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Autore: Amartema    25/10/2013    7 recensioni
Dall’altra parte c’ero io, con una madre che potrei definire la versione femminile e degenerata di Buck, lei vittima di uno stupro e costretta a mantenere il frutto di quella violenza: me. Ero ormai abituata ai suoi sguardi, ogni volta che mi osservava, sapevo che in me vedeva il suo stupratore, sapevo che era costretta a rivivere all’infinito quell’evento, conoscevo ormai il suo odio, palpabile sulla mia pelle. Io che involontariamente le facevo ritornare alla mente l’inferno, un inferno che puntualmente mi ritornava addosso triplicato in potenza.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Animi inversi




Mi ritrovai presto seduta sul bordo del letto, capo chino e lo sguardo fisso su quella foto ormai intrappolata tra le mie mani. L’immagine era il perfetto specchio della felicità: Abraham e la sua bambina abbracciati, il sole picchiava su di loro ma ciò che realmente illuminava  quei due volti, erano i sorrisi.
Mi sforzai di porre fine ad ogni mio pensiero, la mia mente era già troppo affollata e l’ultima cosa che desideravo era fomentarla. Abbandonai quindi la foto, stendendomi successivamente sul letto, riposare era il mio obiettivo e il pulsare insistente di un feroce mal di testa non faceva altro che ricordarmelo. Cercai di rilassare il mio corpo, sperando solo che il sonno giungesse presto.


« Jessica…Jè. »
Una voce bassa, debole, fu in grado di interrompere un sonno pregno di incubi. Impiegai del tempo per rimettere a fuoco il posto in cui mi trovavo, sentendomi per qualche istante sperduta. La stanza non era più illuminata, il buio l’avvolgeva, l’unica fonte di luce era quella lunare che delicatamente filtrava dall’esterno. Impiegai anche qualche istante per mettere a fuoco la figura di Jeremy, seduto sul bordo del letto, proprio al mio fianco. La sua presenza stonava in quella stanza, come in fin dei conti stonava la mia.
« Vi lascio soli, credo dobbiate parlare – La terza voce mi fece intercettare anche la presenza di Abraham, fermo sulla soglia, non mi diede tempo di osservarlo dato che in silenzio richiuse la porta, lasciando me e Jeremy da soli. Jeremy rimase in silenzio per una buona manciata di secondi, assicurandosi che l’uomo si fosse prima allontanato.
« Buck… voglio dire, Abraham. Lui mi ha raccontato tutto e ammetto che ho rischiato un infarto quando ho visto la porta che collega la cantina alla cucina, aperta. Non mi piace questa storia, non mi rende particolarmente sicuro, Jessica. »
Il mio corpo era ancora intorpidito dal sonno, proprio come la mia mente, per tale motivo l’unica cosa che riuscii a fare dopo le parole di Jeremy, fu afferrare malamente ma con delicatezza, la sua chioma, invitandolo in tal modo ad avvicinarsi. Non avevo voglia di discorsi, di pensare o semplicemente parlare, desideravo solo rannicchiarmi contro il corpo di Jeremy e in silenzio venni subito accontentata.
Un petto al posto di un cuscino e un braccio ad avvolgermi le spalle, tuttavia l’aspetto più significativo era l’essere in grado di avvertire il battito cardiaco di Jeremy, un suono in grado di infondermi, ogni volta, un profondo senso di pace.
« Tu credi che possiamo realmente fidarci di Buck… Abraham? Ammetto che mi riesce complicato chiamarlo in altro modo. Comunque, il fatto che abbia sempre saputo del rifugio mi mette un po’ di angoscia, mi fa sentire spiato. »
 La voce del ragazzo era bassa, sapeva che l’unica cosa che desideravo era solo avvertire quel suono continuo, ritmico e racchiuso dentro di lui ma come sempre non riusciva a non esternare i suoi pensieri.
Sospirai. Uno dei più grandi difetti o pregi di Jeremy era il cercare di trovare una spiegazione per tutto e naturalmente io venivo sempre trascinata e coinvolta dalle sue elucubrazioni mentali, alle quali era sempre complicato sfuggire.
« Non possiamo dormire e basta? Ti prego, solo questa volta, solo in questo momento. Voglio solo un po’ di tranquillità, Jer. »
« Perché devi sempre prendere ogni cosa alla leggere? Non credo che questa situazione sia da sottovalutare, Jessica. »
« Jeremy, seriamente? Perché non credo che la mia situazione familiare, proprio come la tua, siano così spensierate da sottovalutare, eppure tendiamo a farlo sempre e lo facciamo per non deprimerci ulteriormente. Questa volta non voglio interessarmi di nulla, voglio solo provare a donare fiducia a quell’uomo, in fin dei conti non credo io abbia nulla da perdere e sono sicura che quell’uomo non potrà ferirmi più di quanto sia stata in grado di fare mia madre. »
 Cercai di mettere fine al discorso non solo con le parole ma anche con un debole gesto della mia mano, la quale portai contro la bocca di Jeremy, semplicemente per tappargliela; un tentativo fallito dato che mi ritrovai con il braccio bloccato e afferrato per il polso.
« Non è la stessa cosa. Per quanto la situazione con tua madre sia infelice, la conosci, sai cosa aspettarti, ovvero una valanga di parole offensive. E lo so che quelle parole fanno male ma credo ormai tu abbia una buona corazza contro quelle, una corazza che in realtà non hai per altre cose. »
« Ah bhe. In realtà quella donna sta iniziando ad essere creativa dato che mi ha procurato un bel numero di punti di sutura. »
Il silenzio giunse immediatamente, rendendo l’aria pesante e pregna di tensione, la stessa tensione che subirono i miei muscoli una volta che mi resi conto di ciò che avevo appena detto. Giunse prima un profondo e lungo sospiro da Jeremy, poi un secondo appena più corto. Cercai di allontanarmi velocemente da lui, un movimento che venne però impedito dalla presa che Jeremy aveva ancora sul mio polso. Non avevo paura della sua reazione, ero solo pronta a fronteggiarla. Rimasi immobile, seduta contro il materasso e il busto sporto verso di lui, a causa di quella presa.
« Cosa vuoi dire con quel: “mi ha procurato un bel numero di punti da sutura”? »
 La sua voce giunse calma, stranamente bassa e controllata, al contrario del suo sguardo con il quale ormai mi divorava.
« Mi ha scagliato contro una bottiglia di whisky, tuttavia con la sua mira pessima ha colpito il muro e una scheggia è rimbalzata sul mio braccio, lo stesso che tu stai mantenendo. »
Non attese ulteriormente, andando a sollevare la manica della camicia di Robert che ancora indossavo; il suo gesto rivelò la benda intorno al braccio, una visione che lui accolse con un ulteriore e lungo sospiro.
« Credimi se ti dico che sono particolarmente amareggiato dal fatto che tu non me l’abbia detto subito, Jess. »
« Come le dici tu a me, le cose, Jeremy? Sappi che non mi occorre alzarti la maglietta per sapere che sei pieno di lividi e segni che tuo padre ti ha lasciato ieri notte solo perché sei rientrato tardi. »
« Lo faccio per non farti preoccupare. »
« Ma dai? Credo che tu ti sia appena risposto da solo, Jer. »
Il mio tono divenne improvvisamente astioso, nervoso, il sonno mi aveva abbandonata completamente. Tirai velocemente il braccio indietro, uno strattone con cui riuscii a liberarmi dalla presa ma che fu in grado di procurarmi un intenso bruciore all’altezza della ferita. Cercai di non esternare quella fitta di dolore, voltandomi dalla parte opposta e stendendomi nuovamente sul letto, ora non fissavo più Jeremy ma un angolo buio della stanza.
« Delle volte mi fai incazzare seriamente, ti rendi conto che con te è impossibile parlare quando fai così, Jessica? »
« E di cosa dovremmo parlare? Stiamo giorni e giorni a discutere per cercare di trovare una soluzione a questa storia, sono anni che ci pensiamo ma siamo perennemente bloccati al punto di partenza. La verità è che è davvero tutto inutile. Mia madre che mi lancia bottiglie e mi ripudia, tuo padre ti alza le mani un giorno si e l’altro pure, minacciandoti che se osi scappare fa a pezzi tua madre. Ci abbiamo provato e ti sei ritrovato in ospedale con un bel po’ di costole rotte. E in tutto questo tua madre è talmente sottomessa che non riesce a ribellarsi in alcun modo. Quindi, davvero, dimmi Jeremy, di cosa dovremmo parlare? »
Mi pentii immediatamente di quel flusso incontrollato di parole che mi uscì dalla bocca, ora fui io a sospirare pesantemente mentre Jeremy si chiuse in un profondo silenzio. Lo sentì prima muoversi, non volevo lui andasse via così, non volevo lui andasse via con quelle mie parole che gli sarebbero risuonate infinitamente nella mente, ma quel timore venne subito messo a tacere con il braccio di Jeremy che ora andava ad avvolgermi la vita mentre il suo corpo si affiancava perfettamente al mio.
«Jessica, ti prometto che troveremo una soluzione, davvero. »
« Mi dispiace, non avrei dovuto. »
« Lo so, dispiace anche a me per tutto questo. Comunque, hai detto che volevi dormire, credo sia il caso di farlo realmente, io aspetterò qui sin quando non ti addormenterai, poi andrò. »
La situazione si era improvvisamente invertita, ora ero io a voler proseguire il discorso, ero io a non voler più accogliere il sonno, tuttavia non aggiunsi altro: il tono di Jeremy era chiaro, non voleva parlare ed io lo accontentai. Restammo così, immobili e in silenzio, lui alle mie spalle e il suo abbraccio intorno alla mia vita ed io che disperatamente cercavo di addormentarmi.



La debole luce che filtrava tra quelle tende segnava ormai un nuovo giorno. Ero sola, Jeremy silenziosamente era sgattaiolato via qualche ora prima, subito dopo che io iniziai a fingere di dormire, cosa che mi permise di sentire il suo distacco ma anche il suo saluto, sottoforma di un debole bacio abbandonato sulla mia tempia.
Mi trascinai fuori dal letto, scoprendo così il piccolo bagno indicato il giorno prima da Abraham. Una volta davanti allo specchio cercai di donare un senso alla mia chioma scomposta, proprio come all’ennesimo volto stanco ma fortunatamente non più segnato dal pianto. Il mio stomaco con un prepotente gorgoglio, mi portò alla realtà, spronandomi a muovere i passi verso il piano inferiore, alla ricerca di cibo.
Un bicchiere di latte, biscotti e un piatto ricolmo di pancetta e uova erano ordinatamente riposti sul tavolo della cucina; quella visione, oltre ad alimentare la mia fame, lasciò sorgere in me un pensiero: nessuno prima d’ora mi aveva mai preparato una colazione in casa, fu strano nel comprendere quanto quel piccolo gesto riuscisse a farmi sentire realmente presente, quasi importante.
Non mi preoccupai di cercare Abraham, come di accertarmi che tutto quello fosse per me, ormai eravamo solo io ed il cibo, il quale iniziai a divorare con una certa voracità.
« Jeremy ha lasciato la moto qui, ha detto che ti sarebbe servita. »
 La voce di Abraham, giunta all’improvviso e alle mie spalle non mi portarono troppo lontano dal soffocarmi con un boccone, cibo mandato giù con l’aiuto di due colpi di tosse e un necessario sorso di latte.
« Ti prego, non farlo mai più. »
« Mi dispiace, non volevo spaventarti. Spero che la colazione sia di tuo gradimento. »
« Scusami, non mi sono neanche accertata che fosse per me, avevo fame. Ne preparo un’altra se vuoi.  »
Mi voltai dopo aver posato il bicchiere e la forchetta con un atteggiamento simile a quello di un ladro colto in flagrante. iò che mi ritrovai davanti non era l’uomo che conoscevo e mi meravigliai di come una semplice barba fosse in grado di infondere un aspetto totalmente differente ad un uomo. Abraham si era liberato della sua barba, il suo volto non aveva più un aspetto trasandato e invecchiato ma chi avevo ora davanti, oltre ad avere anche un particolare fascino nonostante l’età, era in grado di trasmettere anche un senso di sicurezza.
« Credo che tu ti sia appena liberato di dieci anni, stai bene senza barba. »
« Spero non ti dia fastidio, in fin dei conti sei abituata a vedermi in un certo modo. »
« Non preoccuparti, stai bene. Ora devi solo rimediarti dei vestiti decenti e potresti sembrare un uomo d’affari e pieno di soldi. »
Con un cenno del capo indicai gli abiti dell’uomo, una maglia e un paio di jeans sgualciti, loro erano ancora in perfetto stile “Buck”. Mi soffermai ad osservare le sue mani, le stesse  che cercava di ripulire in uno straccio pieno di macchie nere, macchie simili a quelle che ricoprivano la sua pelle.
« Qualche lavoro in casa, Abraham? »
« Non proprio, mi sono permesso di dare un’occhiata alla moto di Jeremy, ora non dovrebbe più creare problemi nell’accensione o almeno spero. »
« Con questo potresti guadagnarti la sua fiducia, ti ringrazio tuttavia. »
Tornai a voltarmi verso quel piatto ancora pieno, riprendendo a mangiare con più calma mentre Abraham ancora cercava di ripulire le sue mani dal grasso scuro del motore.
« Vuoi dire che non si fida di me? »
« Tu ti fideresti di un uomo che si rivela essere un altro e che ha sempre saputo che due ragazzi si nascondevano in casa sua? »
« Effettivamente è abbastanza ambigua come situazione. »
« Effettivamente chiunque si sentirebbe un po’ spiato in questa situazione, Abraham. »
 Lo osservai, curiosa di cogliere la sua espressione alle  mie parole, ciò che ricevetti fu solo un sorriso ed un debole cenno del capo con cui mi indicò il piatto.
« No, spiare no, vi ho solo affittato gratuitamente e tacitamente una parte della mia casa e poi conosci le mie condizioni, anche solo provare a cercare un modo per origliare sarebbe stato sin troppo impegnativo. Comunque basta, così mi fai sentire una sorta di pervertito o ancor peggio un serial killer. »
« Sai, è proprio quello che un serial killer direbbe.
« Jèjè, solito caratterino, eh. »
« No, in realtà cerco solo di capire e poi hai detto che conosci i nostri rispettivi genitori. »
Mi donai qualche altro boccone prima di terminare definitivamente il pasto. Osservavo ancora attentamente l’uomo, studiandone volto e movimenti, era piuttosto strano accettarlo in quelle vesti e ancor più strano accettare quelle informazioni che l’uomo aveva tenuto gelosamente nascoste.
« Io, tua madre e i genitori di Jeremy eravamo una sorta di quartetto, naturalmente non avevamo un legame simile a quello che esiste tra te e Jeremy ma eravamo amici. »
«Siete cresciuti insieme? »
« Si, infanzia, adolescenza e anche un altro bel po’. Parleremo di questo più avanti, manca un quarto alle nove e credo che Robert ti stia aspettando. »
« MERDA! »
Balzai velocemente in piedi e dopo aver salutato in fretta l’uomo, scivolai al di fuori della casa, dove trovai ad attendermi Grace, subito dopo il porticato. Le chiavi erano ancora inserite nella fessura e le girai velocemente dopo essermi ben posizionata sul sellino dell’Harley Davidson. Non pregare Grace e sentire quel rombo animarsi subito fu una strana sensazione, era come se anche lei avesse recuperato improvvisamente anni di vita, proprio come quell’ubriacone che per anni si era fatto chiamare Buck.




NOTA DELL'AUTRICE: Capitolo più lunghetto e un ulteriore indizio su quest'uomo
che si fa chiamare Buck, sono curiosa di leggere le vosre impressioni xD
Dunque, come al solito lo rileggo tra qualche giorno
per sistemare eventuali errori, mi conoscete,
sapete il mio difetto -__-
Grazie alle bimbe che mi sostengono, sempre : *

Vi lascio i miei contatti:
Pagina facebook : Contessa Amartema
Gruppo Facebook : Spoiler, foto, trame delle mie storie.
Ask : Inutile specificare, no?

Altra romantica in corto : Wait in the fire.

Inoltre, la mia mente malata e quella di Malaria, ricordano che:
   
 
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