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Autore: Layla    25/10/2013    2 recensioni
Quando la porta si chiude ho un brivido che è un misto di paura e piacere. Mi sto mettendo alle spalle la mia adolescenza per iniziare la mia vita adulta e fa un po’ paura.
“Ruby?”
La voce di Tom mi riscuote e mi fa capire che non sono da sola: ho una sorella, degli amici e un ragazzo.
“Arrivo, scusa. Momento di….”
“Paura?”
Lui sorride.
“Succede a tutti.”
Mi tende una mano e io sorrido mentre la afferro.
“Sono pronta.”
“Bene, allora carichiamo le cose in macchina che si parte e che Dio ce la mandi buona.”
SEGUITO DI "DUE SU DUE".
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mark Hoppus, Scott Raynor, Tom DeLonge, Travis Barker
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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32) La pazzia di Ruby Ferreira.

 

Sono incinta, sono fregata e sono nei guai.
Non posso dire a Mark che sono incinta, non ora che la band ha firmato per una major, le ecografie che ho fatto due giorni prima sono accuratamente nascoste in una borsa e lui non sa nemmeno che sono stata in ospedale.
Ho chiesto a Erin di venirmi a prendere e le ho raccontato tutto, poi sono corsa ad accettare lo stage e mi è stato consegnato un biglietto aereo per dopodomani.
Ho pensato mille volte di dirglielo in questi giorni, ma ogni volta il mio cervello mi ha proiettato la sua faccia infelice per la notizia. Da dopo aver firmato con la MCA dice che i blink sono la sua priorità e che vuole fare un buon album.
Posso io rovinargli questa occasione unica?
No, non posso, non me lo perdonerei mai, per quanto possa fare male  andarmene è l’unica soluzione che mi rimane.
Spero troverà una ragazza migliore di me nei prossimi anni, una che sappia dargli felicità e non problemi. Non può nascere una famiglia in queste condizioni, finirebbe come la mia e non posso permetterlo: non voglio diventare come mia madre.
Quando Mark sarà in sala di registrazione me ne andrò e gli scriverò un biglietto per lasciarlo.
 Non devo rovinargli in alcun modo la vita, mi spezza il cuore sapere che lo farò soffrire come un cane, ma non posso accollargli questa responsabilità, non posso essere la zavorra che lo trattiene  a terra ora che ha iniziato a volare.
Lui nota che sono strana, ma non dice nulla, chissà a cosa pensa, chissà cosa crede che abbia.
Forse trova strano che ogni tanto lo guardi come per imprimermi nella memoria i suoi lineamenti o che mi faccia abbracciare e coccolare senza motivo.
Il fatto è che lasciarlo mi costerà tantissimo, lo amo come non ho mai amato nessuno e come non amerò mai nessuno.
Il destino a volte sa essere estremamente crudele, me lo dico l’ultima notte che mi è concesso guardarlo dormire. È così rilassato, felice, sembra un bambino.
Un bambino di ventisette anni, il mio ragazzo, la mia ragione di vita, l’uomo a cui spezzerò il cuore e che non saprà mai di avere un figlio da me.
Perché?
Perché proprio ora questa gravidanza?
Non ne ho idea, so solo che fa male.
Quando arriva la mattina dell’ultimo giorno gli preparo la colazione, la facciamo insieme e arrivato il momento che lui esca per andare a registrare lo bacio come se non ci fosse domani.
Una volta che la porta si è chiusa alle sue spalle, comincio a piangere silenziosamente e poi a preparare le valige.
Porto via con me anche le ecografie e una foto di noi due insieme, so che la consumerò in questi anni senza di lui.
Alle due mia sorella suona il campanello e io scendo trascinando dietro le mie valigie, lei mi aiuta a portare giù le rimanenti e a caricarle in macchina, poi entriamo.
“Per me sbagli. Mark lo deve sapere, è anche suo figlio.”
“No, Erin. Lui ora deve pensare ai blink e alla sua musica, non a me e al bambino che per errore porto in grembo.”
Erin quasi inchioda.
“Quel bambino non è un errore! È il figlio del vostro amore e poi sai perfettamente che lui non sarà in grado di concentrarsi sui blink se tu te ne vai! Stai solo scappando dalle tue responsabilità."
Io non dico nulla, lei prosegue verso l’aeroporto, mi lascia  sulla porta delle partenze internazionali, scarichiamo le valigie e poi se ne va. È troppo arrabbiata per salutarmi decentemente.
Faccio il check-in e tutte le operazione necessarie come un automa, solo quando l’aereo inizia a prendere quota mi rendo conto di quello che ho fatto. Mark a quest’ora sarà arrivato a casa e avrà letto il biglietto.
Non ci crederà, vagherà per tutte le stanza e poi chiamerà Erin che gli confermerà tutto.
Dio, che bastarda che sono!
Lo faccio per il suo bene, questo è il mantra che mi ripeto mentre l’aereo mi porta dall’assolata California alla piovosa Londra.
Lo faccio per il suo bene.
Lo faccio per non caricarlo di una responsabilità che è troppo per lui.
Lo faccio perché ora deve pensare ai blink e non a me.
Lo faccio perché sarebbe egoista da parte mia distoglierlo dalla musica ora che sta avendo i riconoscimenti che merita.
O forse come dice Erin sono solo una vigliacca che non sa affrontare le sue responsabilità, non lo so.
In ogni caso mi addormento e mi risveglio solo quando una hostess mi avvisa che siamo atterrati a Londra, io tolgo il mio bagaglio a mano e scendo dall’aereo: fuori mi aspetta una notte piovosa e fredda.
Che tempo di merda!
Infreddolita mi infilo sul pullman che dall’aereo porta all’aeroporto vero e proprio e poi attendo che il nastro trasportatore sputi i miei bagagli.
Li ritiro senza allegria e li carico su un carrello. Una ragazza madre in una grande città che non conosce, questo sono e non mi piace, mi sento insicura e impaurita.
Trascino il mio carrello fino alla zona di posteggio taxi e ne prendo uno a cui consegno l’indirizzo dell’appartamento che mi è stato dato insieme al biglietto aereo.
L’uomo annuisce e il taxi inizia a muoversi verso la mia nuova casa che scommetto farà schifo rispetto alla vecchia. Non sarà una casa senza Mark.
Il taxi attraversa le strade di Londra, io non le guardo nemmeno, sono troppo concentrata a  non piangere per non insospettire nessuno.
Fortunatamente arriviamo presto all’indirizzo – una casetta in un modesto quartiere di periferia – così posso scaricare presto tutto e ambientarmi.
In realtà ho solo fame e sonno, quindi cerco un cinese vicino a me sull’elenco del telefono e ordino la cena e poi tiro fuori l’ecografia e la foto e le appoggio su una credenza.
La fotografia mi fa venire un nodo alla gola.
Decido di chiamare Erin, lei risponde subito.
“Ciao Ruby.”
“Ciao, Erin!”
Sento una pausa dall’altra parte.
“Mark è passato a cercarti, è distrutto. Ripensaci, ti prego.”
“Lo sai che non posso.”
Chiacchieriamo ancora un po’, ma è una conversazione piuttosto fredda e triste, come le strade di Londra che ho visto.
Chiudo la chiamata quando suonano alla porta, saluto Erin e le dico che il cinese è arrivato, in effetti è così, ritiro la cena e la pago, poi chiudo la porta.
La porto al tavolo, sono avvolta da una cappa di tristezza che non mi lascia quasi respirare. Mangio svogliatamente il riso alla cantonese e il pollo alle mandorle e penso che con Mark avrebbero avuto un sapore migliore.
Tutto con lui è migliore, persino le giornate di pioggia.
Per scacciare questi pensieri svuoto le valigie e metto tutto ordinatamente a posto, poi mi faccio e mi butto a letto.
Sogno di essere con Mark in un grande prato, con nostro figlio che gioca felice, chiamandoci mamma e papà.
Al risveglio mi accorgo che il cuscino è bagnato dalle mie stesse lacrime che ho versato senza nemmeno accorgermene.

 

Quattro mesi dopo la mia vista è uno schifo.
Sono l’assistente di un’insegnante di arte e i ragazzi sono terribili, soprattutto perché quando hanno visto la mia pancia levitare come un pandoro hanno iniziato a sparlare.
All’ottavo mese è normale che la mia pancia si veda e la direttrice della scuola mi ha messo in maternità, così passo i miei giorni a letto e a mangiare gelato, le cose per il bambino – sì, sarà un maschio – sono già pronte da tempo.
Sono comodamente sdraiata sul divano quando qualcuno si attacca al campanello con violenza, sono costretta ad alzarmi con movimenti lenti e impacciati data la mia mole.
Apro la porta e quasi crollo stecchita: sulla porta ci sono Mark e Tom.
Mark non appena vede la mia pancia si mette a urlare e bestemmiare e si avvicina a me minaccioso, non sembra nemmeno il ragazzo che ho lasciato con quella luce folle negli occhi.
Il mio cuore batte a tremila ed è a un passo dall’esplodere, Tom ferma Mark appena in tempo.
Ho paura che mi metta le mani addosso.
“Hai già trovato un altro!”
Mi urla, io mi chiedo come faccia a pensarlo dato che si vede che la mia pancia non è da quarto mese, ma da ottavo.
“Non è come pensi!”
Urlo.
“Ah, no? E com’è?”
Urla lui.
“È figlio….”
Qualcosa dentro di me inizia a fare male e sento del liquido sui miei pantaloni premaman.
“Mi si sono rotte le acque. Vi prego, aiutatemi.”
“Tom, andiamocene.”
Risponde cinico Mark, io sono sull’orlo delle lacrime e prego mentalmente Tom di rimanere.
“Io rimango con Ruby, è comunque incinta.”
“Fa’ come ti pare!”
Se ne va lasciandomi da sola con Tom che mi carica nella mia macchinetta presa a noleggio e seguendo le mie indicazioni mi porta all’ospedale.
“Cosa stavi dicendo prima che le acque si rompessero?”
“Che il figlio è di Mark, Tom.
È suo figlio, suo e di nessun altro. Me ne sono andata da San Diego non appena ho saputo di essere incinta per non intralciare la vostra carriera.”
Urlo, per sovrastare il dolore delle contrazioni.
“Tom, muoviti o partorisco qui!”
Lui mi guarda spaventato e poi accelera, l’ospedale è finalmente in vista e lui entra nel parcheggio e molla la macchina davanti all’entrata ed entra.
Ne esce poco dopo con un’infermiera e un medico che mi aiutano a scendere e mi portano in una stanza con un macchinario per monitorare la situazione.
“Signorina, queste sono le contrazioni del parto. È già dilatata, pare che suo figlio nascerà un mese in anticipo.”
Io scoppio a piangere  e i due mi lasciano pietosamente da sola. Non so per quanto piango, so solo che a un certo punto un mano maschile mi asciuga le lacrime: Tom.
“Andrà tutto bene.”
“No, mio figlio sta per nascere e Mark mi considera una puttana. Avrei dovuto dirgli tutto subito come mi aveva detto Erin!”
Lui mi accarezza i capelli.
“Andrà tutto bene, tu pensa a partorire e io penserò a portarti Mark.”
“Non mi lasciare! Ti prego!”
Urlo, vedendo che il dottore e l’infermiera sono rientrati nella sala.
“Lei chi è?”
“È un mio amico, lo lasci rimanere per favore.”
Il medico e l’infermiera annuiscono, poi quest’ultima spinge la barella – seguita da Tom – verso un’altra sala.
Lì vedo una donna che mi viene indicata come l’ostetrica che mi dice come respirare, il dolore si fa più forte. Non credevo che partorire un figlio potesse fare così male e probabilmente non lo credeva nemmeno Tom perché quando gli stritolo la mano in una presa ferrea urla.
Le contrazioni sono un incubo, diventano sempre più forti e più ravvicinate, fino a quando la donna non mi incita a spingere, cosa che faccio con un po’ di difficoltà, dato il dolore.
“Spinga, signorina, spinga! E respiri come le ho insegnato.”
Facile per lei! Non è lei che prova un dolore atroce!
In ogni caso spingo più che posso.
“Vedo la testa! Spinga ancora!”
Spingo ancora e finalmente ho la sensazione che qualcosa stia uscendo, poco dopo il mio bambino è tra le mie braccia: somiglia incredibilmente a Mark.
Tom lo guarda incantato e gli accarezza piano la testa.
“È uguale a Mark, è indubbiamente suo figlio!”
“Pensavi che mentissi?”
Gli chiedo con un filo di voce.
“No, ma Mark potrebbe pensarlo. Cercherò di convincerlo in ogni modo a venire qui.”
Io annuisco.
“Grazie Tom, grazie.”
“Prego, per una volta ho l’occasione di restituire tutto il bene che mi hai fatto non ho certo intenzione di lasciar perdere.
E poi… Mark senza di te è perso, durante le registrazioni ha la testa da un’altra parte e quando siamo fuori non fa altro che bere come una spugna.”
Io stringo un po’ di più mio figlio.
“Mi dispiace, Tom. Non volevo fare questo casino, pensavo di fare una cosa positiva per la band.”
Lui mi scompiglia i capelli.
“Lo so. Lo so che non faresti mai, deliberatamente, del male a Mark.”
“Ma gliene ho fatto e non so come rimediare.”
“Gli parlerò io, lo convincerò a venire qui a vedere il bambino e capirà.”
“E se non mi volesse?”
Mormoro senza riuscire a evitare che mi cada qualche lacrima.
“Ti vorrà. Tu sei sua e lui è tuo e poi ora c’è il piccolino che vi unisce.”
“Un piccolino che forse non vedrà mai il suo papà. Come ho fatto a giocare così con la vita di un bambino?”
“Capita a tutti di avere paura e di fare scelte sbagliate credendole giuste. Sei ancora in tempo a correggere la rotta.
Ci sono io, ti darò una mano io.”
“Grazie. Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Come avete fatto a trovarmi?”
Lui sogghigna.
“Io ho distratto Erin e Mark ha frugato tra le sue cose fino a che non ha trovato il tuo indirizzo.”
Io sorrido.
“Ti voglio bene, Tom e amo ancora Mark.”
“Lo so, è per questo che tutto tornerà a posto.”
Io sospiro e poi affido mio figlio nelle mani di un’infermiera che lo porterà in un’incubatrice.
Spero tanto che Tom abbia ragione.

 
Trascorro il resto del pomeriggio riposando, alle sette arriva Tom e la sua faccia non promette nulla di buono.
“Come stai?”
Mi chiede premuroso, mentre si siede su una sedia, in mano ha un mazzo di margherite.
“Dove posso metterle?”
“Aspetta che chiedo un bicchiere a un’infermiera.”
Suono il campanello e una donna si affaccia poco dopo alla porta.
“Scusi, non volevo disturbarla, ma potrebbe portarmi un bicchiere per queste?”
Le mostro le margherite e lei annuisce.
Poco dopo arriva con il bicchiere e guarda curiosa Tom.
“È il padre del bambino?”
“No, sono lo zio.”
“Complimenti, è un bambino bellissimo.”
“Grazie mille.”
La donna ci lascia di nuovo da soli.
“Così sono zio di un bambino figo come il padre.”
Io sorrido malinconica.
“Sì, un padre che non lo conoscerà mai.”
Tom mi prende una mano.
“Abbi fede, lo conoscerà.”
Io guardo fuori dalla finestra.
“Come mai non è qui?”
Lui sospira.
“Ho provato a parlargli, ma era troppo ubriaco per capire qualcosa. Ci riproverò domani, sarà sobrio e vorrà ascoltarmi.”
Io annuisco, ma sento che questa volta non mi andrà bene nulla. Questa volta ho esagerato e pagherò i miei errori, perdendo Mark.
“Non avere paura, Ruby.”
Io scoppio a piangere disperatamente, Tom mi guarda costernato.
“No, Ruby non reagire così, ti prego!
Ce la farai a riavere Mark, hai agito in modo sbagliato, ma se gli spieghi le tue motivazioni capirà, ne sono certo!”
“Io invece sento che questa volta l’ho fatta troppo grossa per essere perdonata da lui!”
Dico tra i singhiozzi, lui non sa cosa fare. È sempre stato a disagio davanti alle ragazze che piangono, me lo ricordo. 
Con lentezza mi abbraccia e io mi lascio andare, mi sento debole, stanca e fragile come non mi sono mai sentita.
“Cerca di riposare e di stare calma.”
Mi dice prima di andarsene,  io annuisco: ho la testa che mi scoppia.
Mi stendo e vengo assalita da tanti – troppi – ricordi.
La prima volta che l’ho visto lo odiavo e odiavo mia sorella, lui mi ha aiutato a recuperare il rapporto con lei e piano piano mi sono innamorata di lui. Era l’unico che continuava a rimanere nonostante tutti i miei patetici tentativi di cacciarlo, in realtà avevo bisogno di lui e non lo volevo ammettere.
È stato un grande giorno quello in cui l’ho ammesso, mi ha aperto le porte della felicità e io, come una stupida, le ho richiuse.
Ho lasciato che tutte le mie paura avessero la meglio su di me e ho buttato via la cosa più preziosa della mia vita, la migliore, quella che mi ha salvato la vita.
Ho preso una decisione egoista credendo fosse la migliore e adesso io e mio figlio ne paghiamo le conseguenze,  non sono sicura che Mark mi rivoglia rivedere e nemmeno che mi creda.
Adesso è tutto nelle mani di Tom e ho una paura fottuta che non bastino i tentativi del suo migliore amico per riportarlo da me.
Avrei dovuto dare retta a Erin e dirgli tutto sin dall’inizio, non tenerlo fuori solo per paura, sono io che ho sbagliato e prego perché lui decida che anche questa volta vale la pena stare con me e non lasciarmi del tutto.
Ho delle fitte al cuore nell’immaginarmi la mia vita senza Mark, adesso mi rendo di quanto abbia agito sventatamente.
Oh, che casino  ho combinato!
Mi metto le mani davanti al volto e ricomincio a piangere, anche se questo aumenta il mio feroce mal di testa.
Non so quanto piango so solo che a un certo punto in reparto si crea una certa agitazione, le infermiere corrono e sussurrano tra di loro che c’è un matto che vuole assolutamente entrare nonostante non sia orario di visite.
Io le guardo un po’ spenta, mi rianimo solo quando sento una certa voce urlare a pieni polmoni.
“Voglio vederla, è una stronza, ma mi devo accertare che stia bene!”
Il mio cuore salta un battito al suono di quella voce.
“Signore, non può! Non è orario di visita!
Torni indietro, fermatelo!”
Urla la caporeparto alle infermiere, Mark però è già sulla soglia della mia camera e mi sta guardando negli occhi. Per me il mondo cessa di esistere e ci sono solo i suoi occhi e le loro sfumature di azzurro.
“Lasciatelo, entrare.”
Dico con un filo di voce.
“Vi prego, lasciatelo entrare!”
La caporeparto scocca un’occhiataccia prima a Mark e poi a me, capelli azzurri invece dal canto suo acchiappa una sedia e ci si siede sopra continuando a guardarmi.
Nei suoi occhi c’è troppa sofferenza e so che è tutta colpa mia, non posso perdonarmi, ma posso provare a spiegargli tutto.
Il nostro dialogo muto continua, questa è la mia occasione di spiegargli tutto e non me la lascerò scappare.
Forza, Ruby!

Angolo di Layla

Grazie a DeliciousApplePie e LostinStereo3 per le recensioni

 

   
 
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