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Autore: caelicola    14/04/2008    1 recensioni
Esercizio di stile; la prima parte è discorsiva, la seconda dialogica. Attenzione: tematiche omosessuali, linguaggio colorito. Sarei molto grata a chunque leggesse e mi lasciasse un parere, soprattutto se negativo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo Mario

 

Mario Rossi si sente un luogo comune vivente da quando è grande abbastanza da sapere cos’è un luogo comune.

Mario Rossi fa il camionista, e come tutti i camionisti, almeno quelli dei film, che sono gli unici che conosce,  dorme nell’abitacolo del suo bestione durante una consegna lunga.

Come tutti i camionisti vive di panini degli autogrill, di caffè annacquati dei bar lungo le strade sterrate, di sigarette fuori dal finestrino.

Come tutti i camionisti, prima di addormentarsi, contempla le giunoniche figure della bellona di turno sul calendario “nudo-artistico”.

Quando incontra un collega, mentre guidano si fanno un cenno con la mano, se sono a piedi grandi pacche sulle spalle, ma non si parlano mai.

Tutti gli altri camionisti pensano che Mario Rossi sia un cliché su due gambe.

Mario Rossi pensa che tutti gli altri camionisti siano cliché su due gambe, e spera che vedano così anche lui.

Perché Mario Rossi sa di non essere un luogo comune vivente, nonostante il nome.

Mario Rossi fa il camionista perché gli piace guidare un mezzo tanto potente da rombare e far tremare le pompe di benzina.

Mario Rossi mangia i panini dell’autogrill perchè gli piacciono, e beve il caffè annacquato perchè le signore che glielo servono nelle osteriacce di provincia sono sempre alla mano, allegre e ridanciane, e dopo un po’ sul camion ci si sente soli.

Prima di addormentarsi contempla le forme nude delle pin-up con occhio puramente artistico, come si può contemplare un Botticelli, o un Caravaggio.

Perché Mario Rossi è gay.

E ha paura.

 

Fin da quando era bambino, pensava che non fosse difficile per lui passare inosservato, non creare scalpore, soprattutto con un nome simile. Sperava di potersi mescolare alla folla.

Certo, non che Mario Rossi sapesse di essere gay fin da quando era bambino. Era solo molto timido.

Quanto stupore, quanto sgomento quindi quando si rese conto che quel nome che sembrava una promessa di invisibilità era in realtà fonte di infiniti scherzi, di quello scherno lucido e doloroso che solo i bambini hanno.

Perchè solo i bambini riescono, senza remore, senza freni, a colpire là dove fanno più male.

E a Mario Rossi faceva male tutto.

Ripensandoci, gli sembra di aver passato i primi anni della sua vita in un costante stato di indolenzimento emotivo.

Veniva invitato alle feste di compleanno, ma non aveva mai il coraggio di andarci. Anzi, non aveva nemmeno il coraggio di andare dai suoi genitori a dir loro dell’invito. Mario Rossi non apriva mai bocca per primo.

Ma era un bravo bambino, diligente e ordinato, con ottimi voti, quindi i genitori non potevano neanche immaginare che ci fosse un problema.

Franca e Francesco-detto-Franco, i genitori.

A volte Mario Rossi si sentiva vittima di una serie di contingenze crudeli volte tutte a fornire agli altri motivi di prenderlo in giro.

Franca e Franco.

Ancora adesso, se ci ripensa, gli sale il nervoso, e ha cinquantasette anni, e i suoi genitori sono morti da un po’.

Che poi, lo sa, non ha alcun senso arrabbiarsi per i nomi dei suoi genitori, non dipendevano certo da loro.

Ma il suo sì.

Mario Rossi avrebbe dato qualsiasi cosa per chiamarsi Simone, o Davide, o Giovanni. A volte pensava che avrebbe preferito anche Garibaldo, o Leoncavallo.

Qualsiasi cosa, ma non Mario, non quel Mario Rossi delle barzellette.

 

Mario oggi non ha consegne da fare, ma non ha nemmeno un posto in cui tornare, quindi guida, guida fino ad essere troppo stanco per andare avanti, e poi vedrà.

Non ha mai avuto amici veri, solo qualche amici finto, conveniente, con cui scambiare due parole e qualche battuta in allegria.

Mario non ha mai avuto una fidanzata, o un fidanzato, ed è vergine sia fisicamente sia emotivamente. Non si è mai innamorato, perché non ha mai conosciuto nessuno al punto di innamorarsene.

Guarda ogni tanto qualche film romantico, come se potesse trarne delle regole generali; come ci si comporta quando si è innamorati? Tiene un quadernone su cui annota quelle che gli sono sembrate finora le idee più interessanti, per poterle imitare in caso gli si presenti l’occasione.

Sta pensando a questo, a come sarà bravo a conquistare l’uomo della sua vita con battute ed idee dei film, quando vede un ragazzo lungo la strada.

Fa l’autostop, impolverato e bruciato dal sole che picchia forte, oggi, sulla stradella sterrata.

Il cartello che il ragazzo tiene tra le mani legge ‘Roma’.

E’ lontana, almeno cinque ore di viaggio, se va a prendere l’autostrada.

Fa caldo, magari il ragazzo vorrà chiacchierare, e lui non sa parlare con la gente.

Meglio non fermarsi.

 

 

Ma si è già fermato, e il ragazzo è già salito.

Avrà vent’anni, barba incolta, capelli lunghi e arruffati, un enorme zaino sulle spalle.

E’ sporco, ha i vestiti laceri e un odore nient’affatto gradevole.

Ma è proprio quell’odore, caldo, maschio, salato, che colpisce Mario come un pugno nello stomaco.

Non si sono presentati, il ragazzo non apre bocca.

E Mario si trova improvvisamente con la curiosità insopprimibile di sentire la sua voce.

“Allora, come mai vai a Roma?”

Nessuna risposta.

-E’ meglio arrendersi, Mario, sai quanto ti dà fastidio quando la gente cerca di fare conversazione anche quando non vuoi. E non vuoi quasi mai.

“Come ti chiami?”

Ancora silenzio.

Adesso Mario si irrita.

Una cosa è la timidezza, un’altra la maleducazione!

Basta, lascia perdere.

L’ora successiva Mario la passa in compagnia dei propri pensieri, nel silenzio rombante dell’abitacolo di un camion. In fondo era quello che voleva, che l’autostoppista non gli desse noia.

Comincia a canticchiare sottovoce ‘Vacanze Romane’, ed è allora che, per la prima volta da quando è salito, il giovane si gira verso di lui e lo guarda con occhi severi, inquisitori.

E Mario non si è mai sentito così inadeguato, con la sua canottiera bianca e unta tesa sullo stomaco prominente, la barba trascurata e probabilmente i denti sporchi.

Si accende una sigaretta, e solo dopo chiede al suo passeggero se gli dà fastidio. Come prevedibile, il passeggero non risponde. Ma lo sta ancora fissando, sempre più torvo.

 

“Il fumo uccide”

Ecco, la sua voce.

E’ roca, graffiante, trasandata come il suo aspetto.

“La vita uccide”

“Bella filosofia del cazzo.”

Ed è di nuovo silenzio.

 

Lungo,

 

opprimente.

 

Mario alza il finestrino, ha finito la sua sigaretta.

Gira con nonchalance lo sguardo, e il suo autostoppista lo sta ancora fissando.

“Come ti chiami?”

“...”

“E dai, dimmelo, cosa ti costa? Muto non sei, mi hai appena rimproverato perché fumo!”

“...Lorenzo”.

“Piacere, Lorenzo, io sono Mario.”

La sua mano tesa e il suo sorriso storto cadono nel vuoto.

Lorenzo lo sta ancora fissando, ora con più curiosità che rimprovero.

Come si guarda un animale potenzialmente pericoloso.

A Mario imbarazzano quegli occhi scurissimi puntati addosso, perchè gli fanno venire pensieri che non aveva mai nutrito prima. Risvegliano in lui voglie sopite da tanto a lungo che credeva fossero morte.

Si ritrova a desiderare che quel viaggio duri il più a lungo possibile, esce dall’autostrada, tergiversa per strade secondarie.

Lorenzo finalmente distoglie lo sguardo da lui, lo fissa sulla strada.

 

“Cazzo fai? Perché sei uscito dall’autostrada?”

“Ehi, giovanotto, basta parolacce.”

“Chi sei, mio padre? Che cazzo, perché facciamo queste stradine di merda? Così la allunghi e basta!”

“Non sono tuo padre, ma ora la pianti di dire schifezze, a me non piacciono. E comunque so quello che faccio, è una scorciatoia, non una ‘stradina di merda’”.

Forse lo preferiva quando stava zitto.

No, non è vero.

Quella voce roca, quelle parole volgari gli stanno facendo affluire il sangue in zone in cui mancava da tanto, forse troppo tempo.

“...Vaffanculo.”

Sì, quel ragazzino gli piace.

Mario aumenta l’aria condizionata.

 

All’improvviso Lorenzo diventa un fiume in piena.

Un inarrestabile flusso di oscenità e innocenza infantile, che Mario non sa e non vuole fermare.

Passano almeno dieci minuti prima che Mario colga una pausa nel soliloquio del suo passeggero.

“Scusa, dicevi?”

“Ho detto che hai proprio un bel bestione...Mario, hai detto?”

Mario sussulta.

Istintivamente guarda il cavallo dei suoi pantaloni, prima di capire che Lorenzo sta parlando del suo camion.

Perché sta parlando del suo camion, vero?

“Sì, ho detto Mario. Ma il mio bestione –dà qualche affettuosa pacca alla portiera- si chiama Elsa.”

“Gli hai dato un nome femminile?” Lorenzo ora ha la voce un po’ strozzata, come se stesse trattenendo a fatica una risata.

“Sì, è la mia ragazzona...”

“Ah, ok, parli del camion, amico. Io parlavo del tuo cazzo. E’ proprio un bel bestione.”

Mario è bianco come un lenzuolo, e ha sbandato pericolosamente.

Ma il suo “bestione”, non domo, non scoraggiato, è sempre più interessato.

 

“Oh, piantala, stai un po’ zitto. E non dire parolacce.”

“Ma io non ho detto parolacce! Senti, ho una fame troia, ci fermiamo da qualche parte?”

“Sì, certo. E’ pieno di ristoranti, nel bel mezzo del nulla.”

“Ehi, non è il caso di rispondere così! Ti sei offeso per quella storia del bestione? Ma scusa, è vero, e poi al massimo era un complimento! Non occorre un ristorante, mi basta una qualsiasi osteriaccia in cui mangiare un boccone!”

“Vabbè, la prima che vedo mi fermo, d’accordo. ...com’è che all’improvviso sei così loquace? Prima non ti strappavo una parola di bocca...”

“Mi stai simpatico. Perchè sei un po’ strabico, e gli strabici mi stanno simpatici. E così, fai il camionista?”

“No, sono miliardario. Questa è solo una delle mie macchine, per quando sono dell’umore di qualcosa di stravagante.”

“Davvero? ...sei ricco, allora...”

Mario è sconvolto e intenerito dall’ingenuità di Lorenzo.

“Visto che sei ricco, quanto mi dai se ti lascio mettermelo in bocca? ...In culo no, che credo faccia un male boia...”

Mario si convince che Lorenzo non sia ingenuo proprio per niente.

“Ma che accidenti dici?!”

“Ah, non fa male? Boh, non so, non mi sento pronto, capisci...”

Mario si gira di scatto, per sgridarlo, e vede che Lorenzo sta ridacchiando.

E’ la prima volta che lo vede sorridere, e diventa proprio bello, anche se ha i denti storti e sporchi.

 

“Quanti soldi hai? ...Per mangiare, intendo!”

“Cosa? Ti devo anche offrire il pranzo, oltre che un passaggio?”

“Credi che se avessi tanti soldi in tasca ti avrei fatto quell’offerta? ...che, a proposito, non era mica tanto uno scherzo, tu pensaci...”

Mario è assolutamente basito.

“Da quanto è che non mangi?”
”No, tranquillo, ho mangiato ieri. C’era un cassonetto pienissimo...scherzo, scherzo! Non fare quella faccia schifata, cazzo! Ho finito ieri i soldi che avevo...preso...prima di partire, e li ho finiti mangiando un cazzo di panino che sapeva di culo.”

“...Non ce la fai proprio a non riempire di parolacce ogni frase, vero?”

“Ma tu non sei un vero camionista, cazzo! I camionisti parlano in dialetto, dicono le parolacce, e non sono così fottutamente perfettini. Tu sembri solo un camionista. Magari sei davvero un miliardario...Senti, per cinquecentomila euro ti lascio anche farmi il culo, ok?”

“Ma la pianti di scherzare così? Non mi diverte. La prostituzione non è qualcosa su cui scherzare.”

“’Fanculo, se non ci scherzo su, alle cose brutte del mondo, come faccio a sopravvivere? E comunque, scherzavo solo fino a un certo punto. Cinquecentomila e mi faccio una vita a Roma.”

“Se credi che bastino cinquecentomila sei un illuso.”

“Dai, per cominciare...poi mi trovo un lavoro, o continuo a dar via il culo. Anche se dopo la prima volta forse non mi pagherebbero così tanto.”

“Ma ti rendi conto?! Tu svenderesti la tua prima volta per cinquecentomila euro. Vale molto di più di così, e dovrebbe essere con un uomo che ami...”

“Chi cazzo ha detto che voglio un uomo? Chi cazzo ha detto che mi potrei innamorare di un uomo? Guarda che io sono già stato con delle donne, e voglio stare con altre donne, non con gli uomini!”

“Scusa, non ti arrabbiare, è che mi hai fatto delle proposte che è difficile equivocare...”

“Vaffanculo, va’! Adesso mi hai fatto incazzare. Sei tu che vuoi innamorarti di un uomo, io no di certo! Fottiti, va’!”

 

Mario arrossisce, non risponde, guarda la strada.

Si sente sempre più a disagio, il cuore gli martella nelle orecchie, suda a fiumi.

 

“Oh, non dirmi che ci ho preso! Beh, dai, non c’è niente di male, scusa se ti ho offeso...Quindi ti piacerebbe farmi il culo! Dimmi, ti sei mai scopato un vergine?”

 

Mario sta sempre peggio, gli gira la testa, ha un po’ di nausea.

Perchè vorrebbe baciare Lorenzo.

Anche solo per farlo stare zitto.

 

“Come mai fai il camionista?”

“Perché...a essere onesto, io non volevo fare il camionista. Io volevo fare il violinista. Ero bravo, sai, quando ero da solo nella mia stanza. Ma poi arrivavo in aula al conservatorio, e mi bloccavo, perché il maestro mi guardava. Poi hanno scoperto che sono gay, e mi hanno cacciato definitivamente.”

“Ma che cazzo dici, non hai le mani da violinista. E poi non succede più che i gay vengano discriminati così, non siamo mica nell’Ottocento!”

“Guarda che non occorre essere nell’Ottocento, basta il 1966.”
“Vaffanculo, tu neanche eri nato, nel ’66! Mi stai prendendo per il culo, e non mi piace.”
“Certo che ero nato, nel ’66! Quanti anni credi che abbia?”

“Avrai al massimo 35 anni, su.”

“Ragazzino, non sei proprio capace di dare l’età a una persona”.

Mario si sente incredibilmente lusingato.

Non sarà certo lui a disilludere Lorenzo.

Forse vorrà baciare un trentacinquenne.

Non gli è mai piaciuto qualcuno tanto quanto gli piace questo ragazzo sboccato e impertinente, per quanto sia diametralmente opposto da tutto quello che lui credeva di apprezzare in un uomo.

 

“Vabbè, non hai potuto fare il violinista. Ma potevi fare milioni di altre cose, perchè proprio guidare un camion?”

“...Perché mi piace il rumore che fa, mi piace la sua potenza...”

“Cos’é, compensazione?”

“In che senso, scusa?”

“Vabbè, lascia stare. Dai, ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti? Cazzo, sto morendo di fame! Sei tu che ci hai cacciato in questo buco di culo di posto, se non troviamo niente torniamo sull’autostrada!”

“No, vedrai che qualche osteria la troviamo, sta tranquillo. Qualche bettola in cui facciano un panino si trova ovunque.”

“Sicuro? Guarda che sono le tre di pomeriggio, sicuro che mi facciano da mangiare anche a quest’ora?”

“Guarda che un panino te lo fanno a qualsiasi ora.”

“Ah, ok.”

Cala di nuovo il silenzio.

 

E questa volta è un silenzio rilassato, fresco, e non solo perchè l’aria condizionata sta raggiungendo temperature polari.

Nessuno dei due sente il bisogno di interromperlo con casuali amenità.

Mario vede l’insegna di una trattoria, la stessa in cui si ferma ogni volta che capita da quelle parti, e sa che Rita e Gianni non gli rifiuteranno un panino.

“Ecco, guarda, adesso ci fermiamo qui e mangi qualcosa”

“Oh, cazzo, era ora!”

“Per favore, conosco queste persone, sono quasi miei amici, e sono rispettabilissimi. Quindi apprezzerei molto se tu potessi, solo per mezz’oretta, evitare le parolacce. Se sei capace.”

“Ok, ok, capo. Come vuoi. Cosa credi, guarda che io sono perfettamente in grado di portare avanti una conversazione! Ho un diploma di liceo classico, pezzo di stronzone. Sono molto più intelligente e colto di te, che ti atteggi tanto ma in realtà vali meno della merda che ho pestato ieri!”

Mario è un po’ ferito, ma per la prima volta nella sua vita ha voglia di contraccambiare, non di sparire in una buca.

“Stai tranquillo, mocciosetto, il tuo odore copre perfettamente quello della merda sotto la tua scarpa. E giusto perchè tu lo sappia, io sono laureato, quindi se vogliamo fare la gara a chi è più colto, vinco io.”

“Cazzo! E cosa ci fa un laureato aspirante violinista alla guida di un camion? Amico mio, tu hai proprio buttato nel cesso la tua vita.”

“Ti ho già detto perchè guido il camion. Ora, tappati quella bocca diabolica, che entriamo.”

 

Rita e Gianni sono, come sempre, dietro al bancone, e, come sempre, giocano a briscola.

Mario prova un istintivo moto di affetto nel vederli, e si rende conto in un momento di bruciante e dolorosa chiarezza che sono quanto di più vicino abbia a degli amici al mondo.

Per lo meno, sa con certezza che se lo vedessero per strada lo saluterebbero.

 

“Cazzo, che brutti. Ma tutti i tuoi amici sono così brutti? Cosa sei, nel gruppo di supporto ‘sono un cesso e non me ne vergogno’?”

Lorenzo lo sussurra appena, ma questo non impedisce a Mario di essere colto dall’irrazionale paura che Rita e Gianni l’abbiano sentito.

I due locandieri alzano la testa, ma il sorriso che Rita gli rivolge è genuino, e Mario tira un sospiro di sollievo.

 

“Ciao, Mariolone!”

“Ciao, Rita. Gianni.”

“Cosa ti porta da queste parti?”

“Sto dando un passaggio a questo piccolo delinquente, speravo che mi potessi fare un panino.”

“Certo, tesoro. Il solito?”
“Oh, non è per me. E’ per lui.”

“Ah, capisco. Allora, dimmi, bambino, con cosa te lo faccio?”

“Qualsiasi cosa lei abbia in dispensa mi va bene, signora.”

 

Mario è sconcertato dal tono rispettoso e deferente del suo piccolo autostoppista.

 

“Oh, ma tesoro, questa è un’osteria, ho praticamente tutto quello che potresti mettere in un panino. Però, se ti va bene, Gianni ha appena portato un po’ di salame da Varzi. Ti va bene?”

“Certo, signora. Poi, sono talmente affamato che mangerei qualsiasi cosa.”
Rita, piccola e rotonda, schizza in cucina come una pallina del flipper.

 

“Allora, Marione, come si chiama il tuo passeggero?”

“Mi chiamo Lorenzo, signore.”

“Beh, ti prego, Lorenzo, chiamami Gianni.”

“Va bene, Gianni. Non per essere irrispettoso, ma potrebbe chiedere alla sua signora di fare in fretta?”

Gianni scoppia in una risata sonora, e Mario sorride con lui.

“Rita, mia signora, hai sentito il giovanotto? Datti una mossa, con quel panino!”

“Sì, sì, calmati, arrivo subito.”

Mario si è accorto che Lorenzo li sta ancora fissando incuriosito e stupito dalla risata roboante dell’oste e dal suo sorriso.

 

Non è riuscito a trattenersi; da quando li ha conosciuti, ha sempre creduto che fosse impossibile per chiunque non accorgersi della parentela tra Gianni e Rita.

Sono quasi alti uguali, entrambi molto rotondi, con la stessa fronte bassa, gli occhi piccoli e il naso schiacciato.

La prima volta che li ha visti ha subito capito che erano fratello e sorella, e si stupisce del fatto che Lorenzo, con tutte le sue affettazioni da uomo di mondo, non se ne sia reso conto.

Ma il bruciore dei commenti saputelli di poco prima non si è ancora del tutto estinto, quindi decide di non correggere subito il suo errore, di farsi una risata alle sue spalle. Anche se non sa se ne sarà in grado.

 

Rita ritorna con il panino, che è enorme e profumato come sapeva che sarebbe stato.

Lorenzo lo fissa come un bambino fissa il giocattolo che da tanto voleva ricevere per natale, ma che non ha il coraggio di chiedere.

Lo morde con voluttà, a occhi chiusi, masticando piano, e cala uno strano silenzio, quasi rispettoso dell’incontro tra l’uomo e il cibo.

“Cavolo, è buonissimo! Hai visto, Mario, che bravo, non ho neanche detto cazzo!”

Ha la bocca ancora piena, le labbra unte, negli occhi la primordiale gioia di chi vede soddisfatto un suo bisogno primario.

Gianni e Rita sorridono, indulgenti, e l’uomo versa due grandi bicchieri di vino rosso forte e carico.

“Grazie, Gianni, ma non posso, devo guidare, è il mio lavoro, lo sai...”

“Marione, chi ti ha detto che uno è per te? Sono uno per il ragazzo e uno per me.”

“Ah. Rita, intanto, quanto ti devo per il panino e il vino? Non ho molto tempo a disposizione, questo piccoletto mi trascina fino a Roma.”

Lorenzo bofonchia qualcosa attorno al boccone, senza dubbio qualcosa di volgare e irriverente, perchè in questo momento è regredito a uno stato animalesco che fa quasi tenerezza a tutti e tre gli adulti.

“Mamma mia, questo era il panino più buono che avessi mai mangiato. Posso fermarmi a vivere con voi, signora?”

Rita ridacchia, annuisce, arrossisce lievemente sotto quello sguardo scuro, troppo scuro, e troppo bambino.

“Per me, tesoro, puoi restare, ma Mario qui mi diceva che state andando a Roma.”

“Ah, già, Roma. Vabbè. Però tornerò, signora, e se suo marito mi vorrà offrire ancora un bicchiere di vino rosso, di sicuro non rifiuterò.”

 

Ora tutti e tre scoppiano a ridere, e Lorenzo crede che sia la sua cortesia esagerata a far ridere, e si sente bene, ed è chiaro a tutti, e Mario non ha il cuore di dirgli la verità, che stanno ridendo di lui, non per lui, e lo lascia sorridere soddisfatto, e pensa che è troppo vecchio per voler fare cose indecenti a un ragazzino, e che Lorenzo è troppo giovane per girare da solo per l’Italia, e si chiede perché, che cosa vuole fare a Roma, e, Dio, vorrebbe baciarlo, e....

 

Tutti e tre ora lo guardano con un’espressione strana, ansiosa e sospettosa al tempo stesso.

“Mario, tutto bene?”

E’ la voce premurosa e un po’ preoccupata di Rita a scuoterlo del tutto.

“Sì, non ti angustiare. Sto bene, mi sono solo perso un attimo nei miei pensieri.”

“Beh, non vorrei essere maleducato, e vi sarò grati PER SEMPRE, signori, ma penso davvero che dovremmo partire, se no a Roma quando cazzo ci arrivo?”
Mario sorride, un sorriso privato, non diretto a nessuno.

Ma deve ammettere che un po’ gli mancava, sentire quella voce trasandata graffiare parolacce e grattare oscenità.

“Beh, sì. Come ha detto il Piccolo Lord, dobbiamo davvero rimetterci in viaggio. Grazie di tutto, Rita, Gianni. Ci vediamo presto, ok?”

“Si, grazie, signori, Mi avete salvato la vita, letteralmente.”

I due ridacchiano ancora, non capitano molti giovani nella loro osteria.

Mario esce, si avvia al camion, sale, accende una sigaretta.

 

Lorenzo entra dalla parte del passeggero, si china e fruga un po’ nel suo zaino.

Ne estrae un pacchetto di Pall Mall accartocciato e mezzo vuoto, se ne accende una ed espira il fumo con un sospiro appagato.

“Tu, piccolo...ipocrita! Mi hai rimproverato perchè fumavo, prima, e ora...ma guarda un po’, piccolo impudente!”

Lorenzo lo interrompe con una risatina soffiata.

“Volevo prenderti un po’ per il culo, vedere di che pasta eri fatto. Dai, non è mica così grave.”

Il vino era davvero forte, e Lorenzo si sta già abbioccando contro la portiera, con la sigaretta ancora tra le dita.

Mario sente ora qualcosa di completamente diverso, di quasi paterno, viscerale e potente, il desiderio di proteggere l’innocenza che Lorenzo fa di tutto per nascondere, e che emerge prepotente ora che la testa gli ciondola e le palpebre gli si chiudono.

Rinuncia a lottare, butta via la sigaretta, si accomoda sul sedile e chiude gli occhi.

“Svegliami quando siamo a dieci minuti da Roma, così ho tempo di salutarti e ringraziarti come si deve.”

“Va bene, ragazzino. Ora dormi, che ti si chiudono gli occhi.”

 

Mario ora non vede l’ora di arrivare a Roma, di non avere più a bordo quell’irritante ragazzetto, i suoi vestiti luridi, la sua puzza di sudore e piscio, i suoi capelli arruffati e unti...e, Dio, tutta la sua presenza, così inequivocabilmente maschia, e giovane, e attraente nonostante tutto.

Rientra in autostrada, non c’è traffico.

In un paio d’ore sono già a Orte.

Tra non molto arriveranno, Mario aspetta con ansia il momento esatto in cui svegliare il ragazzino.

Ora? ...no, ancora un po’.

Ora? ...no, no.

Ora? Si, basta, ora lo sveglio.

Lo scuote leggermente per la spalla sinistra, e lascia che la sua mano si posi sul braccio del giovane, assorbendo il suo calore e la sua giovinezza.


“Lorenzo, siamo a cinque minuti da Roma.”

“Ah, di già? Cazzo, mi sembra di aver dormito dieci minuti.”

La sua voce, impastata dal sonno, è ancora più ruvida, e va drittà al cervello di Mario.

“Aspetta, non mi hai detto dove vuoi che ti lasci. ‘Roma’ è un po’ vago...”

“Lasciami in stazione, da lì un posto dove andare lo trovo. Ho un paio di amici che forse mi ospitano per qualche notte...”

“Va bene, allora, tra una ventina di minuti siamo in stazione. Aspetta, Termini o Tiburtina?”

“Termini, grazie, la Tiburtina mi fa paura.”

Nonostante la voce roca e gutturale, sembra incredibilmente giovane e piccolo.

“Prima di entrare a Roma, accosta un attimo dove vuoi, così ti ringrazio.”

“Certo, va bene.”

 

Accosta alla prima area di sosta che vede.

Il sole, rosso come un’arancia di Sicilia, ha quasi finito la sua discesa verso l’orizzonte.

“Non capisco che cazzo ci trova di romantico la gente nei tramonti. E’ come la morte, capisci? E’ come se il sole ogni sera morisse, per risorgere il giorno dopo, e tutti lì a dire ‘Che bello’, a fare ‘Ooooh’ e a sbaciucchiarsi. Che cazzata. Come una farfalla. Quando la farfalla muore, muore anche il sole. Solo che poi risorge, e deve declinare e morire di nuovo. Come una specie di fottuto Prometeo, solo senz’aquila.”

E’ nervoso, Lorenzo, e cinico, e amaro, molto di più di quanto dovrebbe esserlo un ventenne.

“Forse è proprio per questo che alla gente piace, ragazzino. E’ triste, decadente, ci ricorda la nostra mortalità, eppure ci dà la speranza che ci sia qualcosa d’altro, perchè non importa se sarà morto per tutta la notte, sorgerà di nuovo il giorno dopo. Ci fa sperare che anche la nostra notte, la nostra morte, non sarà per sempre.”

“Cazzo, sei religioso?”
“No, no, non lo sono. Penso che Dio non esista, o che, se esiste, sia molto menefreghista, o molto cattivo. Perché se ci avesse avuto davvero a cuore, non avrebbe lasciato che succedessero tante cose brutte.”

“Vabbè, non voglio impelagarmi in una diatriba teologica con te, tanto più che in linea generale sono d’accordo con te. Ma non è per questo che ti ho fatto fermare, e poi tutte queste stronzate metafisiche mi fanno girare la testa quando sono appena sveglio. Ora vorrei che spegnessi il motore e ti slacciassi la cintura di sicurezza, per favore.”

 

Mario obbedisce, nervoso e insicuro.

Non ha idea delle intenzioni di Lorenzo, non sa cosa aspettarsi.

Lorenzo si avvicina sempre di più al suo volto, finché lo sta baciando.

Sulla bocca.

A labbra aperte, con la lingua.

E Mario non può fare altro che provare a tenere il passo.

 

Non c’é musica in sottofondo, non ha i brividi nè le gambe molli, non si sente girare la testa.

Non si sente come se tutto al mondo improvvisamente avesse un senso.

Sente solo caldo, e molto bagnato, e la lingua forte e intraprendente di Lorenzo che esplora la sua bocca, e Lorenzo ha un pezzo di salame incastrato tra i denti, ed è tutto così intimo che gli fa male il cuore.

 

Finisce improvvisamente quanto era cominciato, e Mario si ritrova con la bocca aperta e la lingua ancora di fuori.

Lorenzo è improvvisamente timido, tiene gli occhi bassi.

“Sai, dicevo sul serio, prima. Se vuoi che te lo succhi, lo faccio. Non devi neanche pagarmi, hai già fatto abbastanza, e questo è l’unico modo che ho per ripagarti.”

Mario non ci deve nemmeno pensare.

“No. Grazie. Non mi fraintendere, vorrei, sai, in questo momento più di ogni cosa al mondo. Ma non sarebbe giusto, non sarebbe vero. Ora ti porto in stazione.”
“Ok. Grazie di tutto.”

 

Arrivano in stazione. Prima di scendere, Lorenzo gli dà un altro bacio, questa volta leggero, a bocca chiusa.

“Grazie ancora. Buona vita, Mario, spero che tu ricomincerai a suonare il violino.”

“Buona vita, Lorenzo, ma io farò il camionista. Se mai avrai bisogno di un altro passaggio, io sarò sulla strada.”

 

Scende, chiude la portiera, gira le spalle, va verso la fermata della metropolitana.

Presto la sua testa scura è sparita tra la folla.

Mario rimette in moto, fa inversione, un po’ macchinosamente, torna indietro.

Adesso un bicchiere di vino gli farebbe davvero comodo.

Si ferma al primo autogrill, ha anche un po’ fame.

Si palpa le tasche, cercando il portafoglio.

 

“Non ci posso credere, Elsa! Quel piccolo stronzo mi ha rubato il portafogli!”

 

Dovrà fare denuncia...almeno la patente la tiene sempre nel camion, almeno può ancora guidare.

Parcheggia, abbassa il sedile, si mette gli occhiali da sole e si addormenta.

Da domani tornerà ad essere Mario Rossi.

Per un po’ ancora, si vuole sentire solo Mario.

  
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