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Autore: piperina    26/10/2013    3 recensioni
«Amici miei, di certo vi starete chiedendo il motivo di questo invito» disse Klaus, apparentemente felice come non mai di avere ospiti a cena e non per cena.
«Spara la proposta.»
Klaus continuò a sogghignare, forse divertito da ciò che stava per dire.
«Un legame.»
Stefan corrugò la fronte.
«Un legame magico, intendo. Certo, se lei avesse un fidanzato umano opterei per la procreazione adolescenziale, ma purtroppo non ho fortuna neanche con questa strada, quindi creerò un legame magico tra me ed Elena.»

Klaus/Katherine; Damon/Elena; Caroline/Tyler - Stefan, Bonnie, Matt, Elijah, Rebekah.
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Katherine Pierce, Klaus, Originari, Un po' tutti | Coppie: Caroline/Tyler, Damon/Elena
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Vampire Stories'
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Questo è un capitolo particolare a cui tengo molto. È stato davvero difficile da scrivere, l’ultima scena mi ha tenuta impegnata parecchi giorni, una volta buttata giù la prima stesura l’ho rivista quattro volte e ancora non sono sicura di essere riuscita a descrivere tutto in modo chiaro – non sono molto ferrata nelle scene d’azione, ma ci sto lavorando^^

Spero davvero che vi piaccia.

 

Buona lettura!


 

*Act IV*

Emotion

 

 

 

 

Elena indossò la maglietta e i pantaloni della tuta, strinse bene i lacci delle scarpe e legò i capelli in una coda alta.

Bonnie e Caroline erano già pronte e l’aspettavano all’ingresso degli spogliatoi: da quando Klaus aveva avanzato quell’assurda proposta del legame, Elena si era ritrovata ad avere le guardie del corpo quasi fino in bagno.

Sbuffando più volte, raggiunse le amiche. «Non è necessario aspettarmi, posso cambiarmi da sola e arrivare viva in palestra.»

«È assolutamente necessario, invece» la rimbeccò Caroline. «Klaus si è già introdotto a scuola, potrebbe farlo di nuovo e comunque questo non è un posto sicuro.»

«Caroline ha ragione» concordò Bonnie. «Dobbiamo essere prudenti.»

Elena sbuffò un’altra volta. Era sicuro lasciarla libera solo dentro casa, ma in realtà Stefan andava a prenderla tutte le mattine e dopo scuola le amiche trovavano sempre nuove scuse per restare con lei: compiti, shopping, parrucchiere, ceretta di gruppo...

Lei era preoccupata e voleva parlare con Katherine: sentiva di doverlo fare, ma come?

I suoi amici non le avrebbero mai permesso di avvicinarsi alla villa di Klaus e niente li avrebbe convinti a lasciarla andare, da sola per di più, requisito assolutamente necessario: Katherine avrebbe fatto storie a parlare con lei, di certo non avrebbe gradito spettatori indesiderati.

Tra un rimbalzo e una schiacciata a pallavolo, però, le venne un’idea e decise di metterla subito in pratica: abbandonò il campo e si sedette sulla panchina delle riserve.

«Che hai, Gilbert?» si avvicinò la professoressa.

La ragazza assunse un’espressione sofferente. «Mal di stomaco. Forse ho preso un colpo d’aria.»

«Sta girando un virus intestinale in questi giorni, stai attenta a non scoprirti troppo. Se ti viene anche la febbre, resterai inchiodata al letto per dieci giorni.»

Elena sorrise gentilmente. «Sono sicura che mi sentirò meglio se sto un po’ ferma.»

La recita continuò fino al termine della lezione. Poco prima di entrare nello spogliatoio, la professoressa fermò Elena.

«Come ti senti?» chiese la donna con fare apprensivo.

«Come prima» alzò le spalle la ragazza.

L’altra scosse la testa. «Allora ti consiglio di andare in infermeria.»

«Sì, prof.»

Elena raggiunse la panca su cui aveva lasciato la borsa, tirò fuori i vestiti e iniziò a spogliarsi.

«Tutto bene?» Caroline era già pronta per tornare in classe: aveva preso l’abitudine di cambiarsi in bagno a velocità vampiresca. La cosa la divertiva molto.

Ricevette uno sguardo incerto come risposta, così lei si indicò le orecchie. «Ho sentito quello che hai detto alla prof.»

«Cosa ha detto?» chiese Bonnie mentre si sedeva accanto a Elena.

«Non mi sento molto bene. Ha detto di farmi vedere in infermeria» rispose, poi aggiunse, fingendo al meglio delle proprie capacità. «Stanotte avevo caldo e ho dormito con la finestra aperta, credo di aver preso freddo.»

Come previsto, entrambe le ragazze si offrirono per accompagnarla, temendo attentati e aggressioni nei corridoi della scuola.

«Penso di poter sopravvivere fino all’infermeria» ridacchiò Elena, ma dentro di sé sperava di riuscire a lasciare l’edificio senza i cani da guardia attaccati alla gonna.
 

 

Fu così che l’infermiera le suggerì di tornare a casa e restarci per un paio di giorni, per assicurarsi di star bene e di non attaccare niente ai suoi compagni.

Bonnie la intercettò vicino ai loro armadietti.

«Esci? Vengo con te.»

«No, Bonnie, tranquilla» la bloccò subito. «Mi metterò a letto e cercherò di dormire un po’, non è necessario che venga anche tu.»

Quello proprio non ci voleva. Elena non aveva molto tempo a disposizione e doveva anche liberarsi di Bonnie ed eventualmente Caroline per potersene andare da sola e senza destare troppi sospetti.

Adorava le sue amiche e sapeva che il grande affetto nei suoi confronti era la base della loro preoccupazione, ma iniziava a stancarsi di dover essere scortata addirittura in bagno.

La strega la guardò in silenzio per qualche istante. «Sicura?»

Elena annuì e sorrise. «Filerò dritta a casa, berrò una tisana e andrò a dormire.»

«Stai attenta.»

Attenta. Come no.
 


***
 

 

Elena non fece in tempo a suonare il campanello che qualcuno aprì la porta: era un ragazzo alto e robusto che non aveva mai visto prima. Aveva lo sguardo duro e sembrava annoiato. Doveva essere un ibrido.

«Ho bisogno di vedere Klaus» annunciò Elena con tono fermo e deciso.

«La doppelganger» mormorò lui a bassa voce. «Entra.»

La fece accomodare nel salotto moderno e la lasciò sola, dicendo che Klaus sarebbe arrivato entro pochi minuti.

Vedendo le varie console e la grande quantità di giochi, Elena si chiese se fossero mai stati usati e provò a immaginare Klaus impegnato con un videogame. Scosse la testa a quel pensiero.

«Ma che bella sorpresa.»

Dopo tutto il tempo trascorso in compagnia di creature sovrannaturali, Elena doveva aver fatto l’abitudine a quei passi silenziosi, ma in realtà non era affatto così.

O forse era solo Klaus a spaventarla in quel modo, nonostante tutto?

«A cosa devo l’onore, love?» l’ibrido si portò le mani dietro la schiena e fissò divertito la sua ospite. «I tuoi guardiani sanno che sei qui? O sei già nella fase della ribellione?»

Dio, quanto era irritante.

«Voglio parlare con Katherine.»

Lo sguardo che ricevette in risposta non era affatto rassicurante.

«A proposito di cosa?»

Elena si chiese se la stesse prendendo in giro: molto probabilmente sì e si stava anche divertendo a farlo.

«Lo sai» rispose e iniziò a sentirsi a disagio e non al sicuro. «Ho bisogno di sapere come sta e parlare con lei da sola

Klaus alzò le sopracciglia e sorrise. «Ma quante richieste... perché dovrei accettare?»

Si avvicinò a lei, che si sentiva ancora più a disagio. Era stata davvero una buona idea andare lì per conto suo, di nascosto da tutti? L’ibrido era a un metro di distanza, ma Elena si sentì soffocare, come se lui avesse invaso il suo spazio personale.

La presenza di Klaus era sempre stata così intensa o lei lo percepiva in quel modo perché, ora che sapeva del matrimonio con Katherine, lo vedeva anche come uomo?

Forse non avrebbe dovuto mettere la gonna...

Deglutì, spostò lo sguardo da lui e tirò su la manica della maglietta. «Non sono venuta qui a mani vuote.»

Klaus osservò il braccio nudo della ragazza, ascoltò il suo cuore correre come un pazzo nel suo corpo mingherlino e sorrise, soddisfatto.

«Questo è lo spirito giusto.»
 

 

Klaus aveva voluto occuparsi personalmente di quel prelievo di sangue: una sacca, non di più, Elena era stata chiara e lui non aveva insistito per averne altro.

«Spero che tu stia valutando la mia offerta senza lasciare che pareri esterni ti influenzino.»

Nonostante la crudeltà delle sue azioni, Klaus aveva modi garbati e gentili: aveva preparato acqua e zucchero per Elena e, nel caso, aveva ordinato di portarle del cibo.

La ragazza l’aveva osservato a lungo, chiedendosi come avesse fatto a circuire una come Katherine... ma, in effetti, non faticò a capire cosa la sua antenata avesse visto in lui.

«Sai, Elena, la mia proposta è quanto di più civile potessi offrirti.» Se si era accorto dei suoi sguardi insistenti, non lo aveva dato a vedere. «Sappiamo entrambi che potrei portarti via in qualunque momento.»

«Cosa che hai già fatto» puntualizzò lei.

Klaus annuì, il sorriso da brigante ancora sulle sue labbra. «Sono un uomo di parola.»

«Sei anche uno che agisce solo secondo le proprie regole e che non bada al numero delle vittime che si lascia alle spalle.»

«Siamo nervosette, eh?» la prese in giro, poi spostò una sedia di fronte a lei e si sedette, sporgendosi in avanti, un po’ troppo secondo i gusti di Elena, ma Klaus era abituato a invadere con prepotenza lo spazio personale degli altri.

«Piuttosto, sei ancora decisa a voler stare con uno dei due fratelli Salvatore?»

Klaus aveva posto quella domanda come se stesse parlando del tempo. Elena gli rivolse uno sguardo oltraggiato in risposta e lui ridacchiò sotto i baffi.

«Non credo che questi siano affari tuoi.»

«No?» lui alzò le sopracciglia e il sorriso si ampliò sul suo volto. «Mi sta a cuore la discendenza delle Petrova. Ne nasce una ogni cinquecento anni più o meno e gradirei che tu non fossi l’ultima doppelganger che camminerà su questa terra.»

Molto poetico, pensò Elena, rimangiandosi una rispostaccia.

Come si permetteva lui, tra tutti, a mettere il naso nei suoi affari privati? Nessuno poteva dire a Elena con chi stare, se e con chi avere figli. Certo, lei figli ne voleva e il problema della paternità non era irrilevante, considerando che i suoi sentimenti pendevano tra un vampiro e un altro vampiro.

«Le Petrova non sono una tua proprietà» disse la ragazza, guardando male l’ibrido. «E ti ripeto che questi non sono affari tuoi» aggiunse, in tono acido.

«Il rancore non ti aiuterà, love

«Non provo rancore. Io ti odio e voglio vederti morto.»

Quella sì che era una bella risposta a tono.

Klaus non disse nulla. Abbassò lo sguardo per qualche istante, si leccò le labbra e poi allungò le braccia verso Elena, che sobbalzò sulla sedia, ma lui si limitò a sfilarle l’ago dal braccio e raccogliere la sacca con il suo sangue.

«Troverai Katerina al primo piano. Ha già avvertito la tua presenza» si alzò in piedi e la sua figura apparve imponente agli occhi di Elena. «Chiedile pure cosa l’ha fatta innamorare di me cinquecento anni fa. So che bruci dal desiderio di saperlo.»

Il bastardo aveva scelto apposta quelle parole, pensò Elena: si divertiva a mettere a disagio le persone solo per il gusto di dimostrare quanto potere avesse sugli altri e lei non faceva eccezione.

E quell’accento inglese…

Rimasta sola, Elena vuotò il bicchiere di acqua zuccherata e si avventurò subito al primo piano. Non aveva molto tempo a disposizione e le chiacchiere con Klaus l’avevano irritata.

Katherine sapeva che era lì, ma lei non aveva idea di quale fosse la sua stanza e quella casa, di stanze, ne aveva fin troppe.

«Il tuo stupido buonismo ti farà fare una brutta fine.»

Elena si voltò e vide Katherine poco lontana da lei. La vampira la invitò nella sua camera e si sedette sul letto.

«Come stai?»

«Ti interessa davvero?»

Quello non era un buon inizio, si disse la ragazza.

«Che tu ci creda o no, voglio sapere come stai. Questa volta è diverso.»

Katherine si limitò ad alzare un sopracciglio.

«Da quando eri nell’appartamento di Alaric, intendo.»

«Un po’» rispose l’altra, con aria di sufficienza e una scrollata di spalle. «So che Klaus non può uccidermi e questo è un vantaggio, ma l’altra volta voleva te per spezzare la maledizione.»

Elena provò un moto di compassione per lei. «E questa volta vuole te. Non c’è modo di aggirare il suo soggiogamento, vero?»

A Katherine venne da ridere a quelle parole. «Non dirmi che ci speravi! Non ti facevo tanto stupida.»

Si allungò verso il comodino, aprì il primo cassetto e ne estrasse una limetta per unghie.

Elena la osservò con gli occhi sbarrati: non poteva crederci, in un momento del genere come si poteva pensare alla manicure?

«Da me non otterrai nulla, tesoro» disse la vampira, fissandosi intensamente la mano sinistra. «Ne so quanto te.»

«Pensi che Klaus riuscirà a spezzare il legame?»

L’altra rimase in silenzio per qualche istante. Non era importante ciò che lei pensava, immaginava o sperava: Klaus otteneva sempre quello che voleva.

Elena stessa, per quanto aiuto avesse avuto dai suoi amici, non era riuscita a sottrarsi al rito per spezzare la maledizione. Cosa le faceva credere che ci fosse un modo di eludere l’ordine di non uscire mai di casa, non farsi portare via da altri, non accettare qualsiasi oggetto proveniente dall’esterno e non passare oggetti provenienti dall’interno?

Illusa.

Finito di limarsi le unghie di entrambe le mani, Katherine rimise la limetta al suo posto e finalmente rivolse l’attenzione alla sua ultima discendente.

«Penso che Stefan e Damon non sappiano che sei qui» disse in tono acido e malizioso. «Penso che Klaus raggiungerà il suo scopo e la mia unica preoccupazione sarà salvarmi la pelle e uscire viva da questo casino che, guarda caso, riguarda ancora te.»

Quello fu un brutto colpo per Elena, che non riuscì a ribattere alle parole della vampira. Era divisa tra la mal sopportazione nei suoi confronti e il senso di colpa che provava nel sapere di essere la causa di buona parte dei mali del mondo.

Quella, però, era Katherine. E la odiava. E adorava metterla in difficoltà. Decise di non farsi fregare in quel modo, non da lei e di certo non davanti a lei. Avrebbe avuto tempo più tardi per disperarsi.

«Tu amavi Klaus» non era domanda.

Katherine la fissò con astio. Non amava che si parlasse della sua vita sentimentale. «Amavo anche Stefan» rispose, cercando di farla irritare.

«Com’è possibile? Cosa ti ha fatta innamorare di uno come Klaus? Eri soggiogata?» Elena non riusciva a darsi pace, aveva bisogno di saperne di più su quel matrimonio assurdo tra due esseri che erano uno peggio dell’altra.

La vampira non parve affatto risentita da quelle parole. Dopo cinque secoli aveva imparato ad accettare quello che era accaduto quando era umana. «Il Klaus che ho conosciuto io era molto diverso da quello che conosci tu.»

Una risposta criptica. Di nuovo. Elena si chiese se Katherine avrebbe mai detto la verità senza girarci intorno, costellando le sue dichiarazioni di bugie, inganni e cattiverie.

«Hai vissuto con lui per un anno!» esclamò, esasperata. «L’hai sposato!»

«Il mio matrimonio con Klaus non ha niente a che vedere con te e con il legame che intende fare.»

Elena fu scossa da un brivido: Katherine sembrava minacciosa, quasi pericolosa, come se stesse per saltarle al collo. Cos’era successo? Aveva forse detto la cosa sbagliata? Toccato un tasto dolente? Era come se il matrimonio fosse una cosa strettamente intima, quasi sacra… ma no, si trattava di Katherine Pierce, per lei nulla era sacro al di fuori di se stessa.

«Sappiamo tutti qual è l’unico modo di spezzare il legame che ho con lui. Puoi dormire sonni tranquilli.»

Detto quello, la vampira si voltò e si diresse verso il balcone. Scostò la tenda bianca e osservò il giardino – somigliava a quello che le era piaciuto tanto cinquecento anni prima.

Elena aprì la bocca per parlare, ma rinunciò. Quella conversazione era finita, Katherine era intrattabile come sempre e alla fine non aveva ottenuto nulla da lei. Senza contare che ormai non aveva più tempo: le lezioni erano quasi finite e lei doveva assolutamente tornare a casa.

Esitò ancora un attimo, osservando quella donna identica a lei nell’aspetto fisico, ma con l’animo e il cuore indurito dalla paura e dalla necessità di sopravvivere. Sicuramente ne aveva passate tanti in quegli anni, ma questo non giustificava il suo egoismo né tutte le macchinazioni che aveva sempre ordito alle spalle degli altri.

Farfugliò un “Ciao” che non ebbe risposta e uscì dalla stanza, correndo giù per le scale e precipitandosi alla macchina. Trasse un profondo respiro, felice di non trovarsi più in quella villa degli orrori e filò dritta a casa.

Entrò dal retro, prese una coperta e si buttò sul divano. Doveva fingere di star male, ma era troppo nervosa. La visita segreta a Katherine era stata un fallimento: aveva solo confermato che non c’era alcun modo di farla scappare e questo era un vantaggio per Klaus.

Possibile che potessero solo aspettare passivamente? Avevano davvero tutti le mani legate?

Come previsto, Stefan bussò alla porta quindici minuti più tardi, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

«Ehi.»

«Ehi. Tutto bene?» si sedette sul divano accanto a lei. «Stai meglio?»

«Un po’» abbozzò un sorriso e si accoccolò vicino a lui. «Ho solo preso freddo. Mi riprenderò subito stando al caldo.»

«Ti ho portato gli appunti» Stefan allungò un braccio ed estrasse un block notes dalla borsa. «Io non devo studiare per davvero, ma tu sì.»

Elena diede un’occhiata agli appunti e si lamentò per la quantità di cose spiegate quella mattina. «Accidenti, è un sacco di roba» commentò, ma era contenta che Stefan glieli avesse portati: concentrarsi sullo studio l’avrebbe aiutata a non pensare alla brutta situazione in cui si trovava.



***



 

Era lì da due giorni e già non ne poteva più. Aveva bisogno di parlare con Klaus e sapeva che si trovava nella sua camera – poteva sentirlo attraverso la parete che li divideva. L’ultima cosa che voleva fare era recarsi lì, ma non aveva altra scelta.

«Katerina» un brivido. «Come posso esserti utile?»

«Cambio» masticò lei tra i denti. «Ho bisogno di vestiti, non posso tenere questi addosso per sempre.»

Klaus rimase in silenzio e si prese un lungo momento per osservarla: stivali, leggins, maglia attillata, coprispalle. Era molto bella. «Ti stanno bene.»

«Grazie, lo so da me» rispose la vampira, sentendosi presa in giro. Incrociò le braccia al petto, come se potessero offrirle una qualche protezione contro di lui. «Ma dovrò lavarmi e lavare questi vestiti. Non posso andare in giro nuda.»

In realtà lo aveva fatto svariate volte in passato, per lei non era un problema mettersi in mostra, ma non voleva di certo mostrarsi a lui in quel modo. Di nuovo.

Klaus sorrise e le si avvicinò lentamente. «Per quanto io trovi l’idea allettante, devo darti ragione, love. Puoi prendere ciò che vuoi dall’armadio di Rebekah.»

Ah, gli uomini. Neanche dopo mille anni di esperienza riuscivano a capire certe cose delle donne.

Katherine lo guardò con gli occhi sgranati. «Sei pazzo?» esclamò d’istinto. «Non li metto i vestiti di tua sorella!»

Lui le rise in faccia senza pudore, riuscendo a innervosirla ancora di più. «Se pensi che basti così poco per uscire di casa…»

«Mi credi così stupida?» lo interruppe lei, esasperata. «Mi bastano un pc e la tua carta di credito.»

Questa volta fu lui a sgranare gli occhi, senza capire.

«Li comprerò online» spiegò lei, per nulla intenzionata a spendere il proprio denaro per colpa sua, che l’aveva rapita e lasciata senza neanche uno straccio con cui cambiarsi. Per chi l’aveva presa, una cavernicola?

«Avrei dovuto immaginarlo. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato.»

Klaus le fece cenno di seguirlo in un’altra stanza, che si trovava proprio di fronte alla sua: era leggermente più piccola, adibita a guardaroba. Vi erano anche una poltrona, una sedia da ufficio e una scrivania, sopra la quale faceva bella mostra di sé un pc portatile relativamente nuovo. L’ibrido si trattava bene… e, in effetti, un guardaroba ben fornito gli era davvero necessario, visto che continuava a tornare a casa imbrattato di sangue dalla testa ai piedi.

Aprì un cassetto a lato della scrivanie e ne estrasse un portatessere.

«Darti un limite di spesa sarebbe inutile, giusto?» lanciò un’occhiata alla vampira accanto a lui.

«Dammi una carta con plafond illimitato, piuttosto. Sei fortunato che io mi limiti ai vestiti. Potrei chiederti cinquecento anni di alimenti non pagati» gli rifilò un sorriso innocente, «e i danni morali per avermi circuita e convinta a sposarti con l’inganno. È motivo di annullamento del matrimonio, lo sapevi?»

Lui incassò il colpo. Anzi, scoprì di essere addirittura divertito. Katerina aveva la lingua biforcuta e la battuta pronta: gli piaceva. Quando era umana era troppo inesperta e attenta all’etichetta del tempo per permettersi tanta sfrontatezza. Era lasciva, egoista, egoista e calcolatrice e non si preoccupava neanche più di nasconderlo.

Eppure, dentro di lei, c’era ancora quella ragazzina ingenua e piena di speranze che aveva conosciuto in Inghilterra.

Klaus si riscosse da quei pensieri e lasciò tre carte di credito sul piano della scrivana e si avvicinò di più a Katherine. La fissò in silenzio per un lungo istante, poi alzò una mano e le accarezzò i capelli – aveva sempre adorato quei lunghi boccoli. Neanche Tatia aveva potuto vantare una chioma come quella.

«Sai, non mi dispiacerebbe rivederti con uno degli abiti ampi e riccamente decorati che indossavi quando ci siamo conosciuti. Ti stavano molto bene. Era piacevole guardarti» si chinò su di lei, sfiorandole una guancia con la propria e sentì il suo intero corpo irrigidirsi. Credeva che l’avrebbe morsa? Oh, la voglia di farlo era forte… lei aveva sempre avuto un’aria appetitosa. «Ed era altrettanto piacevole toglierteli.»

Katherine si sentì avvampare, ma non mosse un muscolo né tentò di replicare a parole. Si ritrovò improvvisamente sola nello studio.

Dunque era quello il gioco di Klaus? Provocarla facendo leva sul passato? Perfetto, pensò lei, bruciando con lo sguardo le carte di credito che aveva davanti. Avrebbe fatto il suo stesso gioco. E speso tutti i suoi soldi.

 

 

 ***

 

 

Katherine aveva effettivamente speso una fortuna comprando di tutto e di più: intimo, sottovesti per dormire, tre set da bagno, scarpe, qualche decina di leggins, altrettante canottiere, una valanga di scarpe, magliette, gonne, abiti per ogni occasione, senza ovviamente dimenticare una scorta decennale di makeup e accessori per capelli.

Era stata anche ben attenta a scegliere gli articoli più costosi. La maglietta bianca che indossava quel giorno, ad esempio, portava la firma di un noto stilista italiano.

Gongolò da sola al pensiero, raggomitolata sul divano del salotto – i tacchi ben piantati nella stoffa pregiata con cui era ricoperto – con un libro sulle gambe. Era piacevolmente immersa nella lettura da tre ore, quando avvertì la presenza di Klaus in casa. Sperare che avesse qualcosa da fare e che quindi decidesse di ignorarla fu inutile: in meno di tre secondi l’ibrido era già alle sue spalle.

«Com’è andata con Elena?»

Katherine chiuse il libro con un colpo secco. Si alzò dal divano, sistemò le pieghe dei jeans sulle gambe e si incamminò verso la porta, evitando accuratamente di guardare in faccia Klaus. Il suo desiderio di tranquillità ebbe vita breve, però, perché si sentì afferrare per un braccio.

«Ti ho fatto una domanda.»

«E io sto cercando di ignorarti.»

Lo sentì sorridere e il gelo si impadronì di lei. Aveva un brutto presentimento.

«Non è per ignorarmi che ti ho portata qui.»

Si voltò lentamente a guardarlo, cercando di studiare i tratti del suo volto per capire cosa stesse macchinando. «Portata? Rapita, vorrai dire. Si chiama sequestro di persona ed è un reato.»

«Anche l’abbandono del tetto coniugale lo è, love

«Credo che pianificare un uxoricidio sia giusto un pelo più grave» puntualizzò lei acidamente, poi fissò la mano che lui teneva ancora stretta al suo braccio. Il contatto con la pelle nuda la fece rabbrividire.

«Abbiamo già vissuto questa scena» commentò, atona. «Gradirei tornare in camera mia.»

Klaus la fissò in silenzio, come soleva fare in moltissime occasioni e non solo con lei, poi, rapidamente, le afferrò i fianchi e l’attirò a sé. «Io invece credo che dovremmo trascorrere del tempo insieme.»

La sua voce era un sussurro sensuale, l’accento inglese più marcato del solito, ma i suoi occhi brillavano di follia. Sembrava pronto a commettere un massacro.

Katherine si sentì in pericolo e ne ebbe conferma dal modo in cui lui le sorrise. Voleva andarsene, ma al tempo stesso non riusciva a non guardarlo. «Non risolveremo niente comunque… e io ho già chiarito la mia posizione.»

«Adesso sta a me decidere la tua posizione, Katerina

Lei lo guardò negli occhi un solo istante e tremò di paura. Tremò visibilmente, senza vergognarsi né cercare di nasconderlo. Tentò di divincolarsi dalla sua stretta per scappare, ma lui le afferrò i capelli, tirando con forza e facendole perdere l’equilibrio.

Katherine sbatté un fianco contro lo schienale del divano e uscì dal salotto l’istante successivo, ma lui le fu dietro in un secondo. Lo sentì alle sue spalle e lo colpì tra le costole con un gomito: questo le diede due secondi netti di vantaggio, ma furono sufficienti solo a correre verso il gran salone delle feste.

Un forte colpo alla schiena le mozzò il respiro in gola e la fece cadere a terra. Klaus ne approfittò e si piegò su di lei per immobilizzarla, ma lei fu più rapida e piegò le gambe. Ebbe così modo di darsi la spinta per allontanarlo e rimettersi in piedi.

Non aveva intenzione di arrendersi, ma era spaventata: i suoi cinquecento anni non erano sufficienti a pareggiare l’abilità di Klaus nello scontro fisico. Lui era un vampiro di mille anni e aveva in sé la forza fisica e l’aggressività dei licantropi.

«Sei sempre stata una sfida divertente» commentò lui, senza neanche il respiro veloce, calmo come se stesse guardando le farfalle nel cielo.

«Tu invece sei sempre stato un dannato psicopatico.»

L’attimo successivo Katherine si ritrovò schiacciata al muro con l’ibrido addosso, pericolosamente vicino.

«Se non vuoi collaborare di tua iniziativa, sarò costretto a darti un piccolo aiuto.»

E lei capì. E tremò, terrorizzata.

«No…» sussurrò, incredula, scuotendo appena il capo. «Non puoi…»

Il volto di lui si tinse di malizia e follia. «Posso e lo farò.»

«No!»

Con tutte le forze che aveva in corpo, Katherine mise le mani sul petto di Klaus e spinse, approfittando immediatamente di quel momento per scappare – ma era soggiogata a non uscire da quella casa, dove avrebbe potuto trovare riparo? Nonostante questa consapevolezza, nonostante sapesse di non potergli sfuggire, lei non si arrese.

Katherine Pierce non era una che si arrendeva. Era una lottatrice. Avrebbe tentato ogni cosa per salvarsi anche davanti all’inevitabile sconfitta.

Corse attraverso il salone nella stanza immediatamente accanto, sbattendosi la porta alle spalle, porta che Klaus buttò giù con un calcio. Non sembrava più divertito da quella caccia domestica.

Voleva una cosa e l’avrebbe ottenuta.

«Smettila di opporti!» gridò, fuori di sé. «Sai che non hai scampo.»

«Preferisco morire!»

Era vero: la morte sarebbe stata meno umiliante e più facile da sopportare. Klaus le aveva già tolto quasi tutto quello che aveva. Non gli avrebbe mai dato la propria dignità.

Lui la rincorse di nuovo e, senza la minima fatica, la afferrò per le spalle, stringendo così forte da conficcarle le unghie nella carne. Lei si dimenò come un’indemoniata, sbatté le gambe contro un tavolo e perse l’equilibrio quando lui allentò la presa, cadendo per terra accanto a un lungo divano bianco.

Si mosse subito per rialzarsi, ma Klaus fu più veloce: si chinò e, afferrandola per i fianchi, la spinse sul divano. Si gettò su di lei per evitare che gli sfuggisse di nuovo e le bloccò le gambe con le proprie.

Katherine sentì il peso della sconfitta e della disgrazia su di sé. Chiuse immediatamente gli occhi. «Non farlo!»

«Sei tu che mi costringi» Klaus portò il viso a pochissima distanza dal suo, come se volesse baciarla. «Guardami

Lei scosse la testa, sforzandosi per resistere a quell’ordine. Tremava. Era terrorizzata come poche volte in vita sua. «No, no!» gli batté i pugni sul petto.

Lui, in risposta, le afferrò i polsi e li premette con forza sul cuscino accanto alla sua testa.

«Ho detto guardami!» tuonò e la sua voce le spezzò il cuore e l’anima.

Katherine aprì gli occhi, colmi di lacrime e paura. Non riusciva a smettere di tremare. «Klaus, ti prego, no!» esclamò, quasi in preda ad una crisi isterica.

«Katerina

Lei non poté distogliere lo sguardo dal suo. Era finita.

«Ti ordino…» iniziò lui, ora con un lieve affanno per la lotta «di riportare alla luce…»

«No…»

«…i sentimenti che provavi per me cinquecento anni fa» sembrava un rito macabro, il sacrificio di un innocente sull’altare della follia.

Lei, privata di ogni forza, scosse debolmente la testa. «Non farmi questo…»

«Ti ordino di riaccendere la tua umanità e l’amore che ti legava a me.»

Trascorsero lunghi istanti di silenzio. Katherine smise di tremare. Aveva gli occhi sbarrati, vuoti, una maschera di orrore dipinta sul suo bel volto dai tratti delicati.

Poi, all’improvviso gridò. Era un grido acuto, doloroso, che liberava tutta la sua sofferenza in un lamento lancinante. Era come se la sua anima stesse morendo.

Infine, non si mosse più. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e le guance bagnate di lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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