Serie TV > Violetta
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Autore: DulceVoz    26/10/2013    8 recensioni
Ad un mese dalla scomparsa di Maria, l’incubo non sembra ancora terminato: messaggi minacciosi cominciano a tormentare la vita delle persone a cui la famosa cantante aveva voluto bene… e se a questo vi si aggiungono misteriose scomparse la vicenda si complica ulteriormente… e se quello della maggiore delle Saramego non fosse stato un incidente? Se Violetta e Angie rischiassero tanto in una situazione davvero troppo complicata? La loro protezione, affidata a due bodyguards davvero speciali, cambierà le loro esistenze e nulla sarà più come prima… chi sarà il folle misterioso degli inquietanti avvertimenti? Riusciranno le nostre protagoniste a salvarsi dalle ire di qualcuno che vuole solo vendicarsi per motivi sconosciuti? Una storia di intrighi, azione e amore per gli amanti del giallo e del mistero.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“- Se non ci dicono come sta entro 3 secondi vado lì e…” Violetta, Leon e Pablo erano seduti sulla panca nella sala d’attesa dell’Ospedale Centrale e attendevano notizie sullo stato di salute di Angie.
“- Violetta, calmati! Adesso vado a parlarci io, ok?” disse Leon, asciugandole una lacrima con il pollice e depositandole un leggero bacio sulla guancia, prima di alzarsi con aria piuttosto stanca da quella pesante giornata. In quell’istante, finalmente, una dottoressa si avvicinò ai tre con aria serissima, tanto da far sospettare il peggio. “- Come sta?!” disse Pablo, scattando rapidamente in piedi, cosa che fece anche la giovane Castillo. “- E’ stabile, ma la situazione è ancora molto delicata. Dovremo aspettare e vedere come passerà la notte prima di dire qualcosa in più. La signorina ha subito un incidente non da poco e per ora è in stato di incoscienza, sotto sedativi e antidolorifici. Ma per avere notizie più certe bisogna attendere.” Disse la donna, tutto d’un fiato, portandosi una ciocca ramata dietro l’orecchio e analizzando l’espressione dei suoi interlocutori con aria attenta. “- Possiamo entrare a vederla?” chiese la ragazza, ancora con le lacrime che le rigavano il volto. “- Per ora no. Mi dispiace.” spiegò la dottoressa, guardando con più dolcezza la giovane. Si voltò e fece per allontanarsi ma Galindo la inseguì e la chiamò a gran voce: “- DOTTORESSA!” urlò, facendo sì che quella parola risuonasse nel corridoio semivuoto con un rimbombo fastidioso. La donna si voltò e gli andò incontro, con aria perplessa, pensando di essere stata fin troppo esaustiva. “- Ce la farà?” chiese Pablo, con la voce quasi strozzata dal pianto. “- Mi dispiace, non sappiamo ancora nulla con certezza, ma mi ha dato l’impressione di essere una donna molto forte e non è cosa da nulla, mi creda.” tentò di rassicurarlo il medico, mentre lui, tra le lacrime, riuscì ad abbozzare un mezzo sorriso malinconico. “- Lo so. Infatti lo è… e tanto.” Balbettò, ricordando quante ne avesse passate la povera Angie, affrontando sempre tutto con una decisione invidiabile. “- Devo andare.” lo salutò la dottoressa, dileguandosi in una delle tante porte alla sua sinistra. Galindo tornò, con aria sconfitta su quella dannata panca bianca, alle spalle della quale c’era la stanza di Angie, della sua Angie. Dall’esterno riuscivano a vederla: era stesa in quel letto, una mascherina davanti alla bocca e non sembrava nemmeno lei, attraverso quel vetro.
“- Ma perché? Io non riesco a capire che abbiamo fatto di male!” esclamò, tra le lacrime, la nipote della Saramego, mentre Leon le cinse le spalle con un abbraccio senza dire nulla. “- Ragazzi, andate a casa, resto io qui.” Esclamò il moro, fissando i due, dopo qualche secondo di un silenzio pesante, quasi paradossalmente assordante. “- Non ci penso nemmeno. Io da qua non mi muovo.” Ribatté, con decisione, la ragazza. “- Posso parlarti un secondo? Andiamo al distributore in fondo al corridoio, così tengo d’occhio anche lei…” esclamò Vargas all’orecchio di Galindo, facendolo annuire e alzare contro voglia, mentre la ragazza si voltò e rimase a fissare la zia attraverso quel vetro, come bloccata da quella visione che la faceva stare malissimo e non la faceva smettere di piangere. Quando il bodyguard della donna aveva telefonato a Leon aveva subito temuto il peggio. Aveva tentato in tutti i modi di farsi dire dove stessero andando, se la Saramego stesse bene, se le fosse successo qualcosa… ma niente: il ragazzo non aveva fiatato fino all’ospedale, per poi, in ascensore, prenderle le mani e dirle di stare tranquilla, che tutto sarebbe andato per il meglio e che lui, qualunque cosa fosse successa, le sarebbe stato vicino. Ora che sapeva cosa era accaduto non era più lo stesso, temeva sia per sua zia e per lei ancor più di prima. Aveva una paura folle di quel pazzo che stava stravolgendo le loro vite in maniera spaventosa. Leon le fece cenno di restare lì e si diresse con il collega verso il distributore, premendo il tasto del caffè e facendone partire la preparazione.
“- Portala a casa, sul serio. Qui non è al sicuro. Nessun luogo è più sicuro, ormai. Stalle incollato, come fossi la sua ombra.” Sentenziò Galindo afferrando il bicchiere fumante dalla macchinetta automatica. “- Sì… tranquillo. Comunque non devi sentirti in colpa per quello che è successo. Tu sei un grande bodyguard… come eri un grande commissario.” Ribatté Leon, guardandolo negli occhi e rievocando un passato pesante. Era fin troppo chiaro al giovane: Pablo si sentiva dannatamente colpevole di quello che era accaduto ma non aveva nulla da biasimarsi. Galindo era solo stato trattenuto da una serie di sfortunati eventi nel supermercato mentre la donna si era già avviata all’esterno. “- Sto malissimo. Dovevo seguirla io… mi hanno fermato nel negozio e…” Pablo non riuscì neppure a terminare la frase e si appoggiò con le spalle al muro, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, assumendo un’ aria seria e fin troppo rammaricata per lui che non aveva alcun motivo per sentirsi in errore. “- Lo so, Pablo! Lo sappiamo tutti! Non c’entri nulla, calmati!” lo rincuorò il ragazzo, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendogli forza. Quanto ammirava quell’uomo. Lo ammirava quando era un commissario, il suo mito, lo aveva ammirato quando seppe afforntare quella pessima situazione con Lisandro, sempre con onore e a testa alta, e lo ammirava come esempio da seguire anche ora, divenuto suo collega. “- Se non dovesse farcela io…” “Non dirlo nemmeno. Ce la farà, ne sono certo.” Lo interruppe Vargas, serissimo e osservando Galindo negli occhi, mentre una lacrima rigò il viso del moro, venendo subito catturata dalla mano dello stesso che sperò di nasconderla. “- E’ tornata Tamara.” Disse, dopo un secondo di silenzio, l’uomo, buttando il bicchiere in plastica, ormai vuoto nel cestino accanto a lui. “- Cosa?!” strillò Vargas, continuando a sorseggiare il suo caffè.
“- Non lo so, ho avuto l’impressione che Angie la conoscesse che… fosse uscita per seguire lei. Quando è venuta verso di noi dopo l'incidente, però, è scappata ancora. Mi vuole evitare, evidentemente. Forse mi odia e non la biasimo. Avrei dovuto aiutarla invece di fare il poliziotto professionale. Alla fine Lisandro mi ha comunque fregato, a me e anche a lei… almeno avessi fatto sul serio qualcosa per scagionarla!” Disse, quasi sottovoce, l’uomo, prendendo a fissare di fronte a sé il grande finestrone dell’ospedale. “- Aspettati di trovartelo qui tra un po’… ho avvisato Diego, e mi ha detto che erano sul luogo dell’incidente ad ispezionare…” borbottò Leon, serio. “- Grazie per tutto quello che hai fatto per me. Sei proprio un bravo ragazzo.” Sorrise, amaramente, Pablo, sapendo dei conflitti del giovane con l’avvocato Vargas che, pur di aiutare Roberto lo aveva eliminato facendogli perdere il lavoro in commissariato e, in cambio, chiedendo l’assunzione del ragazzo.
“- Era quello che sentivo di dover fare. Non ti meriti quello che ti hanno fatto, Pablo. Mi vergogno di essere il figlio di quell’uomo.” La freddezza con cui il giovane aveva detto quella frase fece raggelare il sangue a Galindo che si avvicinò al davanzale di quella grande vetrata per guardare fuori. La pioggerellina si era tramutata in un forte temporale e fulmini e saette illuminavano il cielo notturno di Buenos Aires.
“- Leon voleva farlo solo per te. Non giudicarlo troppo male. Per amore spesso si fanno cose di cui poi ci si pente.” Lo rimproverò il moro, continuando a fissare il paesaggio scuro, illuminato di tanto in tanto solo da qualche fugace lampo. “- La ami, vero?” la domanda del giovane arrivò come una doccia gelata sull’altra guardia del corpo che, non sapendo cosa dire, poté solo annuire amaramente. “- Allora Lisandro aveva ragione su qualcosa!” sorrise Leon, facendo a malapena disegnare un piccolo sorriso sul volto anche l’altro. “- Leon… stai accanto alla Castillo. Ormai sono davvero in grave pericolo e…” ma mentre il moro tentava di consigliare l’altro, la ragazza corse verso di loro con il cellulare tra le mani e il viso pallido come se avesse appena visto un fantasma. “- LA ZIETTA CE LA FARA’ O ANDREMO DIRETTAMENTE A MENO UNO?” Lessero, ad alta voce, le due guardie del corpo, sbiancando a loro volta istantaneamente. “- Lo sapevo che c’entrava lui. Ne ero sicuro!” strillò Leon, dando un calcio al cestino della spazzatura con rabbia e facendolo ruzzolare con un tonfo sordo.
“- Calmati, così non risolviamo nulla e poi… ah, ecco Lisandro!” esclamò, cambiando discorso ed espressione, Galindo, osservando il suo acerrimo nemico fissare il vetro dietro al quale c’era Angie con espressione imperturbabile. “- Niente segni di frenata sull’asfalto, volevano colpirla di proposito!” Diego corse verso di loro e annunciò quella frase con freddezza e perplessità. Era ancora giovane ma avrebbe tanto voluto capirci qualcosa in più su quel caso tanto complesso sul quale persino il suo capo era in alto mare. “- A questo ci eravamo arrivati!” strillò Violetta con tono ovvio e nervoso, incrociando le braccia al petto con aria furiosa. “- Sera.” salutò Roberto, mentre loro si sedevano sulla panca appena fuori dalla stanza della Saramego. “- Ah, vedo che su qualcosa ci avevo preso, almeno…” ghignò Lisandro alludendo all’amore di Galindo verso la bionda, osservando la faccia ancora scioccata di Pablo che gli lanciò un’occhiataccia, comprendendo subito a cosa si riferisse il commissario. “- Pensa di fare altro a parte ironizzare sulle disgrazie altrui?!” la vocina stizzita della Castillo fece voltare tutti nella sua direzione: per essere sconvolta era comunque decisa e determinata ma il commissario, inizialmente, non sembrò scomporsi più di tanto. “- Ma che adorabile signorina! Vargas, portala a casa. Ora!” esclamò dopo qualche secondo di silenzio Roberto mentre Leon, alzandosi contro voglia, salutò tutti con un cenno e, dopo vari tentativi, riuscì ad andare a villa Saramego con la giovane.
“- Chiamate quando arrivate e state attenti!” urlò Dominguez, facendo annuire anche Pablo che concordò. “- Che pista sta seguendo, ora?” chiese, curioso, il bodyguard più grande, sperando che almeno ci fosse una minima idea su quegli scomparsi e gli incidenti. “- E’ il solito folle, quello che la afferrò nella piscina, lo stesso che ha ucciso Maria Saramego e ha eliminato anche Matias La Fontaine, German Castillo e Angelica Fernandez.” Concluse, con tono ovvio, Lisandro. “- Tutto qui?” chiese Galindo, facendo ghignare Dominguez, divertito. “- E’ fin troppo bravo questo tipo.” Si giustificò il capo della polizia, con aria fredda. “- O tu fin troppo scarso?” ironizzò con acidità Pablo, facendo accigliare il commissario. “- L’auto dell’incidente, ad esempio… ci sono testimoni? Qualcuno l’ha individuata?” chiese il bodyguard, serissimo. “- No, ma la macchina di Angelica Fernandez sembra essere sparita improvvisamente, nel nulla per poi ricomparire davanti casa sua.” Disse Diego, leggendo degli appunti dal suo blocchetto e beccandosi un’occhiataccia dal capo che non voleva facesse trapelare troppe informazioni sul caso, a maggior ragione se al suo peggior rivale. “- Per non farsi individuare avranno usato proprio quella macchina! Fatela analizzare!” esclamò dopo una breve riflessione, Galindo. “- Geniale!” commentò Dominguez, ricevendo un altro sguardo inceneritore dal commissario. “- Interrogate vicini di casa della Fernandez! Diamine, un auto è sparita e riapparsa dal nulla! Qualcuno avrà sentito o visto qualcosa oltre a notare solo l'assenza e la ricomparsa della vettura!” spiegò, con pazienza, la guardia del corpo. Non avrebbe mai e poi mai collaborato con Roberto, ma pur di far arrestare quel folle che aveva fatto del male a tante persone e alla sua Angie, voleva aiutarli, invitarli a seguire almeno una pista logica che, evidentemente loro non avevano.
“- Andiamo, Diego. Abbiamo molto da fare…” sentenziò, con la sua solita aria glaciale, Roberto, facendo scattare il giovane poliziotto che lo seguì di corsa.
 
 
Erano passate le 4 del mattino, Pablo continuava a starsene seduto su quella panca, senza avere la minima intenzione di volersi muovere da lì. Poche ore senza di lei, senza il suo profumo, il suo sorriso, i suoi occhi verdi e profondi… poche ore e le mancava già da morire. Eppure lei era al di là di quel vetro, combattendo tra la vita e la morte e non immaginava neppure tutto quello che le fosse successo quella sera. Galindo si alzò e prese a fissare una piccolo crocifisso in un angolo del corridoio. In realtà c’era un vero e proprio altarino e l’uomo vi si avvicinò quasi d'istinto. Non era un uomo di grande fede, era stato poliziotto ed era fin troppo razionale, credeva che ci fosse qualcosa di superiore ma il suo rapporto con la chiesa finiva lì… eppure, sentì l’impulso irrefrenabile di genuflettersi su una sorta di inginocchiatoio davanti alla croce. “- Ti prego, salvala. Ti scongiuro… non ti chiedo altro. Se io non sono stato in grado di proteggerla, almeno fallo tu.” iniziò a piangere il moro, tenendo le dita incrociate, in preghiera e il capo chinato sulle sue mani intrecciate. Quando si ritrovò solo, in quella vuota corsia, realizzò appieno cosa fosse accaduto… qualcuno voleva farle del male, senza un apparente ragione. Qualcuno voleva strappargliela via proprio adesso che lui l’aveva ritrovata, che era riuscito ad ammettere a sé stesso quello che provava per lei. Non era uno che piangeva molto ma quella notte non riusciva a smettere. La Saramego l’aveva folgorato. Fino a quel momento aveva avuto paura, sì, paura di quella donna così intraprendente, con quello stile di vita che non lo rispecchiava nemmeno un po’. Non poteva farci nulla, se non tentare, in qualche modo, di farla ritornare quella che doveva essere stata prima della morte di Maria. Ora si spiegava il batticuore che sentiva quando era con Angie, come fosse rimasto troppe volte abbagliato dal suo sorriso perfetto, come si fosse ingelosito quando la trovava con Matias La Fontaine o quando quel tipo, Nicolas, ci stava provando fin troppo insistentemente all’Amensia, quando l’aveva letteralmente salvata. L’amava, più di qualunque altra cosa, e continuò a piangere, nel silenzio della notte, affondando completamente la testa sulle sue braccia, ancora inginocchiato. Ad un tratto, però, una mano gli si poggiò sulla spalla, facendolo sobbalzare e voltare di colpo. “- Tamara!” esclamò, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca e alzandosi di scatto, mentre la donna lo fissava con un mezzo sorriso comprensivo. “- Ciao.” salutò la mora, ancora bagnata fradicia dalla pioggia. Doveva aver lasciato l’auto da qualche parte nel traffico provocato dal temporale per correre all’ospedale di gran fretta e lo stato in cui era gliene diede la conferma.
“- Perché?” chiese Galindo, lasciandola perplessa. Non si spiegava che diamine ci facesse ancora a Buenos Aires, perché gli avesse detto di essere a chilometri di distanza da lui, dalla sua vecchia vita. “- Perché era l’unica cosa giusta da fare.” Sentenziò la mora, andandosi a sedere sulla panca fuori dalla stanza della Saramego, cosa che fece anche l’uomo. “- La cosa giusta da fare era rimanere in contatto con il tuo unico fratello, con me! Non farmi credere una bugia solo per starmi lontana!” urlò Pablo, facendole abbassare lo sguardo. “- Ecco perché non volevo affrontarti. Meglio che vada…” disse, con tono rassegnato, la bruna, afferrando la borsa e facendo per alzarsi. “- No, scusa. Perdonami…” la trattenne per un braccio Galindo, facendo sì che lei si risedesse e prendesse ad osservarlo con attenzione… era già abbastanza sconvolto per Angie e  cominciò a chiedersi se la sua decisione di parlarvi proprio in quel momento non fosse stata troppo avventata. “- Non volevo rovinarti ancora la vita. Ti ho causato fin troppi problemi e non volevo darti altre preoccupazioni… ora tu sei un bodyguard, hai di nuovo fama, un lavoro che ti piace… avrei rovinato tutto come sempre, come ho già fatto.” Disse Tamara, fissando la porta di fronte a sé con sguardo perso nel vuoto. “- Quindi non sei mai andata a lavorare in Brasile… e mi hai mentito.” realizzò l’uomo, senza però alzare i toni. Voleva sapere, non farla scappare… ancora una volta. “- Devi stare lontano da me se vuoi essere sereno. Io porto solo guai, fratellone!” ghignò amaramente la Galindo, facendo sgranare gli occhi a lui che l’osservò con insistenza. “- Dove vivi ora? Lavori almeno?” chiese Pablo apprensivo, continuando a fissarla. “- Abito in un monolocale in centro. E non ho un lavoro fisso… vivo alla giornata. Noi siamo diversi, Pablo, troppo. Fai finta di non avermi mai rincontrata, ok? Fai finta che io non sia mai venuta qui a cercarti!” sintetizzò la donna, avviandosi verso l’ascensore. “- No, ferma! Mi devi spiegare una cosa! Tu quando hai visto Angie dopo l’incidente mi hai dato l’impressione che la conoscessi già… è così, vero? Vi conoscevate già?” chiese Pablo, che, con quella domanda, immaginò di essere ritornato il capo della polizia che era un tempo. La donna si morse un labbro, con nervosismo e raccontò di averla incontrata in commissariato, qualche tempo prima e accennò al fatto che, essendo stata la ex di Matias, tutti i frequentatori di discoteche la conoscessero. Pablo subito collegò che Angie l’avesse riconosciuta e che per questo l’avesse cercata all’Amnesia, quel sabato sera, quando poi l’aveva trovata con quel tizio, pensando che lei fosse lì per divertirsi, perché era ritornata quella di un tempo, avendo fermato di colpo il suo cambiamento in positivo, deludendolo. “- Perché Angie non me ne ha parlato?” si chiese ad un tratto, ad alta voce, fissando gli occhi della sorella, così identici ai suoi.
“- Sapeva che l’avresti seguita all’Amnesia, sei prevedibile, fratellino! Forse voleva farti incontrare con me per caso, ne sono certa, ma è andata male, a causa di quel Nicolas. E poi prima che vi fosse l’incidente… lei probabilmente era corsa fuori a cercare me, voleva farci trovare faccia a faccia. Non sapeva come dirtelo, evidentemente.” Le supposizioni di Tamara fecero annuire l’uomo che, nel sapere che la Saramego era uscita per far ritrovare a lui la sorella, si sentì ancora peggio. “- Perché non me l’ha detto subito?!” urlò Pablo, appoggiandosi con le spalle al muro con aria afflitta. “- Sei il suo bodyguard, eh? Te l’hanno affidata dopo la scomparsa di La Fontaine?” chiese la bruna, scostandosi una ciocca castano scuro dietro l’orecchio. “- Prima della scomparsa di Matias.” Precisò il fratello, avviandosi di nuovo verso il vetro che dava sulla stanza di Angie per perdersi ancora a fissarla. “- Sei troppo sconvolto, Pà… secondo me state insieme. Non si tratta solo di lavoro…” intuì subito la fin troppo sveglia Galindo. In effetti l’aveva visto piangere come mai, stringendo la mano alla bionda stesa al suolo, implorandole di non lasciarlo e lo aveva ritrovato in lacrime in ospedale… insomma, chiunque avrebbe capito benissimo. “- No, non stiamo insieme.” “- Non ancora!” ribatté prontamente la minore, abbozzandogli un sorriso. “- Mi fece tante domande all’Amnesia… voleva sapere di me, voleva dirti di me ma non ce l’ha fatta, avendo visto lo stile di vita che facevo non era dei migliori non avrà voluto darti un’altra delusione… e non voglio dartela nemmeno io. Lasciami andare, dimenticami, credimi… è meglio per tutti e due.” Sentenziò la donna, analizzando l’espressione del moro, perplessa. “- Tamara sei mia sorella. Se ti senti in colpa per quanto accaduto sappi che tu non ne hai nessuna! Beh, ok, hai sbagliato con quel che hai fatto, nel frequentare quelle brutte compagnie… ma io ti voglio bene comunque, nonostante i tuoi errori.” Disse, quasi tutto d’un fiato, il bodyguard. “- Con quella registrazione che modificò alla grande della conversazione tra me e te ti è riuscito ad incastrare perché eri fin troppo coinvolto e chiunque avrebbe collaborato con la propria sorella, e a me… beh, io ero solo una mocciosa, non fu difficile incastrare anche me… ma comunque io non dovevo essere con quel gruppo, quel giorno. Mi ha richiamato a distanza di tutto questo tempo solo per mostrarmi quella cassetta, tutto soddisfatto… diceva che doveva tenermi sotto controllo… e che, di conseguenza, dovesse tenere d’occhio te. In quell’occasione ho conosciuto Angie.” Disse, con aria glaciale, la ragazza. “- Sì. Ti fece accusare di tutto… ed io venni cacciato per averti 'aiutato'… io avrei voluto difenderti ma non sapevo come!” disse Galindo, portandosi una mano alla fronte, esausto. “- E non lo avresti fatto comunque. Il tuo senso del dovere avrebbe prevalso, come infatti, avvenne.” Replicò, con un mezzo sorriso comprensivo, Tamara.  “- Ma lui face credere a tutti che ti avevo salvato, modificando delle prove che lui stesso aveva usato contro di te, ingiustamente e, tagliando le nostre voci nei momenti giusti, è riuscito nel suo intento. Quel bastardo ha rovinato entrambi.” Sentenziò Pablo, fissando il pavimento con nervosismo. “- Io comunque ho fatto parte di quel brutto giro! Ero tra i colpevoli lo stesso. Eri tu quello innocente, quello che non aveva tramato con me per salvarmi, mettendosi contro tutto ciò in cui credeva.” esclamò la Galindo, seria. “- Lo so.” Balbettò l’uomo, con aria rassegnata, rialzando lo sguardo e perdendosi negli occhi scuri della sorella.
“- Vado… e salutami Angie, appena si risveglia… perché, stai tranquillo, ce la farà di certo. E’ forte come non immagini nemmeno. Hai visto? Dopotutto è riuscita anche a farci incontrare comunque!” Sorrise Tamara, con un velo di amarezza nel suo sguardo. “- Tam!” disse il fratello, vedendola entrare nell’ascensore. “- Non mi ignorare, per favore. Io non voglio perderti…” esclamò lui, quasi sottovoce, osservando un mezzo sorriso comparire sul viso della sorella. “- Ci sentiamo, fratellone.” Rispose, premendo il bottone del piano terra, facendo chiudere le porte dell’elevatore.
 
 
Violetta si trovava a villa Saramego ed era crollata, a peso morto, sul divano con il cellulare tra le mani, attendendo notizie di sua zia, sperando che Pablo la chiamasse alla prima novità sulle condizioni di salute della donna. SI sentiva così impotente… Non poteva fare nulla, poteva solo aspettare e sperare con tutto il suo cuore che lei si riprendesse. Era tutto ciò che le rimaneva, il suo mondo. Amava da morire sua zia, era sempre stata come la sorella che non aveva mai avuto e, anche quando sua madre morì in quell’incidente e lei cambiò radicalmente il suo modo di essere, non smise mai di vederla, di volerle bene. Suo padre sembrava detestare quella che era diventata, una donna dallo stile di vita così diverso dalla sua concezione di esistere… eppure, la donna, l’andava a trovare spesso, ignorando Castillo che buttava lì sempre qualche commento poco carino sulla cognata e su com’era in quel periodo. A Violetta, però, tutto quel modo di fare che aveva assunto Angie non importava: lei era la cosa più vicina alla madre che avesse e, sapeva che, nonostante tutto, anche per la zia era lo stesso. Forse, inizialmente, le doveva addirittura ricordare fin troppo Maria, per questo era così gelida con lei… ma, a mano a mano, l’amore nei suoi confronti aveva prevalso, rendendola la “vecchia Angie” solo quando si ritrovava con lei. La Castillo iniziò a ricordare tutti i momenti belli passati con la Saramego, anche quando la sua mamma era ancora viva… le passeggiate, le gite al mare, le feste… poi, però, in un batter d’occhio, la sua mente volò a rievocare le parti più brutte… l’incidente di Maria, il folle che continuava a volerle eliminare… ed, infine, questo: la sorella di sua madre era in ospedale in fin di vita a causa di qualcuno che le odiava senza un apparente motivo valido.
Leon si sedette accanto a lei e la fissò, dolcemente, come solo lui sapeva fare. “- Guarda che dovresti riposare. Ti prometto che se chiama Pablo ti sveglio…” le sussurrò il ragazzo, osservando la giovane che, finalmente, si voltò a guardarlo. “- Ho paura, Leon.” Disse, con un filo di voce lei, appoggiando la testa sul petto del bodyguard che si stese sul divano, accanto a lei, tenendola stretta tra le sue braccia. “- Ci sono io… tranquilla.” Tentò di calmarla Vargas, inutilmente, accarezzandole lievemente i capelli castani. “- Anche con Angie c’era Pablo! Questo tizio è astuto e subdolo… e poi non ho paura solo per me… in questo momento ho soprattutto il terrore per lei, per la mia povera zia. Se non dovesse farcela? Come farò io se anche lei…?” Leon la interruppe, iniziando a parlare con calma e tono pacato, nonostante anche lui stesse alquanto in ansia per quella situazione strana e pericolosa:
“- Lei ce la farà, vedrai. E quando starà bene tutta questa brutta storia finirà per entrambe. Lo prenderanno.” Tentò di rassicurarla il ragazzo, stringendola più forte. “- Leon…?” chiese lei, calmatasi un po’, dopo qualche minuto di silenzio. “- Che c’è?” chiese lui, quasi sussurrando quella domanda.
“- Ti amo. Non mi lasciare mai.” Lo supplicò quasi lei, con gli occhi semichiusi… la stanchezza era tanta e il sonno stava per avere la meglio su di lei. “- Mai. Te lo prometto.” Disse, con un filo di voce, Leon, che, sentendo il suo respiro rallentare, capì che si fosse addormentata di colpo. Rimasero immobili, per quasi tutta la notte. Leon rifletteva, sveglio, troppo preoccupato per poter riposare: Pablo era stato chiaro, doveva mantenersi in allerta. Si alzò delicatamente per non svegliarla ma sfiorò il suo braccio, gelido… decise che doveva cercare una coperta per farla stare al caldo e, per iniziare, le poggiò la sua giacca sulle spalle, facendola voltare dal lato opposto con un sorriso sulle labbra. Vargas trovò sulla poltrona accanto al sofà un plaid ripiegato e, senza muovere il suo giubbino, glielo appoggiò delicatamente sul corpo, dalle spalle fino ai piedi. si sedette sul bracciolo del divano e l’osservò: era bellissima, così fragile e delicata… nessuno le avrebbe fatto del male, nessuno. Ripensò a quel povero collega… insomma, si mise nei suoi panni: doveva sentirsi doppiamente male. Probabilmente pensava di aver fallito nella sua missione e, inoltre, si vedeva  che soffriva tantissimo per la Saramego… ne era certo, ormai: Galindo aveva perso la testa per la bionda e, di conseguenza, lo sentiva ancor più simile a sé stesso… anche lui si era follemente innamorato di Violetta, la ragazza che avrebbe dovuto proteggere e anche lui sarebbe stato fin troppo male se le fosse accaduto qualcosa… no, non riusciva nemmeno a pensarci. Allontanò quel tremendo pensiero andandosene in cucina e si ritrovò a fissare l’enorme orologio sulla parete alla sua sinistra: erano appena le 6 del mattino. Si sedette al tavolo e cominciò a pensare a tutta quella assurda faccenda e a come stesse male la sua amata fidanzata… non poterci fare nulla era la cosa che lo faceva sentire ancora peggio. Improvvisamente, però gli venne un’idea… anche se non poteva aiutarla poteva lo stesso risollevarle l’umore! Il suo lampo di genio lo fece subito mettere al lavoro, provocando un forte baccano che, per fortuna, non svegliarono la giovane. Ad un tratto, la sveglia sul cellulare della ragazza squillò, facendola realmente sobbalzare dal sonno e Leon, nel sentire quel suono, apparve sull’uscio del salotto con un sorriso beffardo. “- Buongiorno…” salutò dolcemente, mentre lei metteva a fuoco quella splendida figura di fronte a sé. “- Ehi… ci sono novità?” chiese subito lei, stiracchiandosi nervosamente e mettendosi a sedere. “- No… ma non muoverti! Resta lì, ferma dove sei!” le ordinò Vargas, completamente bianco di farina e con macchie sulla camicia di altri colori indefiniti. “- Ma che cosa…?” chiese lei, sgranando gli occhi sorpresa. “- Ta tan!” esclamò, con una faccia soddisfatta il cuoco, portando un vassoio davanti a lei con aria seria, facendo attenzione a non inciampare in un elegante tappeto rosso. “- Hai preparato tutto da solo?” chiese lei, stupita, facendolo annuire, mentre lui si sedeva vicino alla ragazza che fissava tutta quella colazione pronta per lei con aria sognante. “- Sei il massimo…” sorrise, finalmente, la Castillo, perdendosi poi negli occhi color smeraldo del ragazzo.
“- Avevi bisogno di qualcosa che ti tirasse su il morale ed io ho provato a fare la mia parte… ora mangia, su! Ieri sera non hai toccato cibo!” disse, con tono premuroso, il giovane, afferrando anche lui un muffin. “- E questa?” rise lei, indicando una faccina creata da Leon con due uova strapazzate e una fetta di bacon che creava un sorriso. “- E’ perché voglio vedere anche te, così!” le sussurrò Leon all’orecchio, prima di schioccarle un tenero bacio sulla guancia. “- Vuoi vedermi con del bacon sulla faccia?” lo prese in giro la giovane, mentre lui scosse il capo, sorridendo. “- Voglio vederti sorridere. So che è difficilissimo ma voglio farti capire che per te farò sempre di tutto pur di vederti felice.” Esclamò, serio, il giovane, prendendole una mano delicatamente. Violetta abbozzò un sorriso, ancora velato di tristezza e si avvicinò al suo viso… quelle labbra, quel profumo, ma, soprattutto, quelle parole… non riuscì a resistere: poggiò le labbra su quelle del giovane e iniziò a baciarlo, prima delicatamente, poi sempre con più trasporto, mentre lui le accarezzava dolcemente la schiena.
“- Dobbiamo andare a scuola…” gli sussurrò lui, ad un centimetro dalla sua bocca facendola rabbrividire. “- Devo prima passare da Angie. Lo sai.” disse, tristemente, la ragazza, afferrando il suo cellulare. “- D’accordo, passeremo prima all’ospedale… ma poi sappi che non ho intenzione che ti perda neppure un giorno di lezione!” disse, con tono severo, Leon. “- Sembri mio padre.” Ribatté la ragazza, con decisione. “- Hai bisogno di distrarti e non mi pare il caso di restare in quel corridoio finché non avremo notizie certe. Io non voglio che tu resti lì, nemmeno Angie lo vorrebbe e lo sai.” Sentenziò Leon, facendola poi, annuire debolmente. “- Questo è vero.” Sussurrò quasi la giovane, seria. “- Bene… andiamo che sarà una lunga giornata.” le disse il bodyguard, invitandola a sbrigarsi per poi perdersi a fissarla, mentre la giovane correva per la casa per prepararsi di tutta fretta.
 
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 Capitolo drammatico, lo so! La macchina di Angelica è stata usata per investire la nostra povera Saramego! Pablo è in depressione, Violetta  è in depressione e, di conseguenza, pure Leon è in depressione! Insomma, stanno tutti malissimo per quanto accaduto… poi c’è stata la visita di Tamara al fratello che, finalmente, viene a conoscenza delle intenzioni di Angie: voleva farli incrociare per sbaglio, non sapendo come affrontarlo! Aveva tentato di farli vedere all’Amnesia e voleva provarci anche fuori al Supermercato… inoltre, la Galindo parla del perché Pablo fu licenziato e di come Roberto tramò contro entrambi… come lo sto detestando in questa ff, non immaginate nemmeno! (E l’avvocato Vargas che lo aiutava… peggio ancora! >.<). Ora la nostra cara Saramego sta veramente male! Ce la farà? :( Alla prossima, ciao!
  
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