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Autore: Patosangel32    26/10/2013    10 recensioni
E se Clary avesse sempre saputo di essere una Shadowhunter? Se Valentine l'avesse addestrata insieme a suo fratello Jonathan, il quale è solo un pupazzo tra le mani del padre? Avete mai provato ad immaginare cosa sarebbe successo se la rivolta non fosse mai scoppiata? Come avrebbero fatto Magnus e Alec ad incontrarsi? Ed Izzy e Simon? E possibile che due anime che siano fatte per stare insieme, si ritrovino sempre in qualunque circostanza?
Dal capitolo 15:
-“Potresti avere di meglio, Jace. Sono solo una ragazzina con problemi familiari che…” ha paura di amare.
-“Voglio te, e questo dovrebbe bastarti” mormorò Jace con voce soave. Riprese a baciarla ma poco dopo Clary si fermò. Di nuovo.
-“Hai aperto tu la finestra prima?” chiese Clary che aveva sentito un brivido di freddo accarezzarle la pelle laddove il corpo di Jace non la copriva.
-“No, sono stato io.” disse ad alta voce qualcun altro nella stanza.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Author's Corner: E' la prima volta che mi cimento in una cosa del genere. Premetto che è una storia molto lunga, figuratevi che ancora non ho deciso come farla finire nella mia mente. Prima di perdere altro tempo, mi auguro solo che vi possa piacere. Potrebbero esserci straordinario (nel senso di extra - ordinari e non di magnifici >.<) cambiamenti, che alcuni potrebbero non apprezzare. Ma così è presocché il modo in cui si sono svolti i fatti nella mia mente molto contorta. Amo Shadowhunters illimitatamente, quindi qualsiasi consiglio è sempre ben accetto. Se fa proprio schifo, potete dirmi di ritirarmi!
Con l'augurio di una buona lettura,
-A. Ah, quasi dimenticavo! Mi raccomando, se vi va fate un salto sulla nuova pagina appena creata Cherik Italia ! Aiutiamola a crescere! Un po’ di Cherik al giorno, toglie il medico di torno.


Prologo

"Would you like a cup of tea?
"

 
E paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede,
tutto  integrità, tutto umanità, tutto religione.
E gli uomini, in universali, iudicano più agli occhi che alle mani;
perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi.
Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu sei.
Niccolò Machiavelli

Sedici anni prima…

 
Ad Alicante era una bella giornata. Jocelyn avrebbe voluto uscire e andare a correre tra le immense distese verdi che disegnavano onde sinuose all’orizzonte. Le sue dita prudevano dalla voglia di dipingere il contrasto dell’azzurro del cielo con la scia di luce che il sole brillante tracciava sulle acque tranquille del lago Lyn. Jocelyn aveva sentito di strane creature che popolavano i fondali di quel lago. Ovviamente lei non ci si era mai avvicinata più di tanto. Lei come ogni Shadowhunter di Idris con un po’ di buon senso. Le acque del lago facevano male agli Shadowhunters come l’acqua santa ai vampiri. E fino a qualche anno prima, Jocelyn non avrebbe mai pensato al suicidio. Ora una gravidanza in corso e la speranza di poter andare via da tutto quel mondo di cui non voleva più fare parte, frenava i suoi istinti immorali.
 In quel momento era seduta, rannicchiata contro la spalliera della poltrona in soggiorno, con gli occhi rivolti alla finestra di fronte. Che orribile barriera alla felicità. Un solo passo e sarebbe stata lontano da tutto e da tutti. Poi una macchia bionda ai suoi piedi attrasse la sua attenzione.
Il suo primo figlio giocava tanto tranquillamente da incuterle terrore, con lo stilo del padre. Ad un anno conosceva la maggior parte delle rune del Libro Grigio. Si chiamava Jonathan e aveva due spaventosi occhi neri. Jocelyn avrebbe giurato che non fosse suo figlio, ma dal momento che era venuto al mondo proprio grazie a lei aveva evitato di esternare i suoi pensieri.
Aveva provato ad essere una madre come si deve, ma quando Jonathan la guardava un brivido le percorreva la schiena. Voleva volergli bene, come una mamma ama un figlio, ma questo non le era mai riuscito perfettamente. Quel bambino aveva qualcosa di strano e, se non fosse stato suo figlio, Jocelyn l’avrebbe tenuto a distanza di sicurezza.
Valentine invece, sembrava avesse imparato ad amarlo. Lo portava sempre con sé da quando aveva cominciato a camminare da solo, non si allontanava un centimetro da lui.
Quasi la sua presenza fosse di fondamentale importanza.
Quasi volesse monitorarlo ogni trenta secondi.
All’inizio Jocelyn aveva trovato la cosa piuttosto tenera, ma quando Valentine era diventato ossessionato da una serie di teorie note solo a lui, la questione aveva iniziato a preoccuparla. Per quanto la vicinanza a Jonathan la rendesse nervosa, non riusciva a sopportare che gli succedesse qualcosa di male per colpa di quel pazzo del padre.
C’è da considerare che una volta, quando Jocelyn non aveva neanche l’età di partecipare alle riunioni del Conclave, era stata addirittura innamorata di lui. Valentine era il più bel ragazzo che frequentasse l’accademia di Shadowhunters di Idris, il più preparato, il più intelligente, il più simpatico. Insomma aveva tutta una serie di qualità in più rispetto al resto dei Nephilim di sua conoscenza e per questo Jocelyn l’aveva sposato. Ora però, non sapeva cosa dovesse fare. Aveva già capito che allontanare Jonathan dal padre sarebbe stato impossibile. La gravidanza che avrebbe dovuto portare a termine entro altri sette mesi, fungeva da collante per il loro rapporto. Ma Jocelyn si chiedeva se questo fosse sbagliato.
Quanto è giusto dare alla luce una creatura innocente solo per non mandare a monte un matrimonio nato sbagliato? Quanto è giusto rimanere affianco ad una persona diversa da quello che credevi in realtà? Forse Lucian aveva ragione. Al pensiero del suo migliore amico le salì il cuore in gola. Luke era così diverso da Valentine. Erano stati due perfetti parabatai prima che Valentine entrasse in un periodo di pre-mestruo perenne, come Jocelyn ironicamente preferiva chiamarlo. Ovviamente Valentine non ne era a conoscenza. L’Angelo solo sapeva come Valentine avrebbe reagito ad un insulto del genere. Forse l’avrebbe legata con una corda di qualche metro alla staccionata della stalla e costretta a pascolare proprio come uno dei cavalli di famiglia.
Si spostò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, sorridendo al bambino ai suoi piedi. Jocelyn notava che dopo tutto le mani del figlio si muovevano proprio come le sue su una tela bianca. Avrebbe voluto che suo figlio avesse i capelli rossi e ricci come tutti i membri della famiglia Fairchild, che fosse un’artista o comunque che sapesse fare qualcosa che non rientrasse nelle nozioni base di cacciatore prodigio ad una anno soltanto. Voleva vederlo ridere, chiedere i nomi di oggetti a lui sconosciuti e storpiarne il nome come fanno di solito i bambini. Invece Jonathan non faceva niente di tutto ciò. Anzi già saltellava come se fosse un atleta da sempre e ti guardava con uno sguardo di superiorità tipico di un adolescente molto sicuro di sé. Lo sguardo di Valentine.
Jocelyn avrebbe volentieri preso un carboncino per disegnare tutta la confusione che aveva in mente sarebbe stato tutto grigio e nero come la Londra di Dickens. Sarebbe stata una nuvola di cenere immobile, senza speranza di scomparire. Ma Valentine non voleva che disegnasse quando aspettavano ospiti.
Proprio in quell’istante il campanello della villetta suonò.
Jocelyn si alzò con agilità, evitando di disturbare il figlioletto ai suoi piedi, più per paura che per altro. Il piccoletto non la degnò di uno sguardo. Così con il solito senso di inadeguatezza, si diresse alla porta dove ovviamente, Valentine l’aveva preceduta.
L’uomo aprì la porta, e nello stesso tempo circondò le spalle di Jocelyn con un braccio. Un tempo aveva sperato che Valentine lo facesse per sempre. In quel momento, se non ci fosse stato Stephen Herondale sulla porta probabilmente se lo sarebbe scrollato di dosso con uno spintone.
-“Mio caro Stephen” disse Valentine stampandosi sulla faccia un sorriso ancora più finto di quello di Jocelyn. Entrambi fingevano per diverse ragioni. Valentine non aveva mai apprezzato davvero Stephen Herondale, o in generale tutti gli Herondale. Li trovava insidiosi, troppo intelligenti, e superbi. Jocelyn invece li trovava attraenti e spiritosi. Ovviamente le piacevano solo perché  a Valentine davano fastidio, solo perché riuscivano a tener testa alle sue discussioni.
Rettifico, Jocelyn adorava chiunque potesse redimere l’ego supremo di Valentine.
-“Ciao Jocelyn” salutò l’uomo. Aveva gli occhi spenti e nessun velo di ironia era palpabile. A Jocelyn si era stretto il cuore. Stephen aveva perso la moglie, Cèline, quasi un anno prima, di parto. Quando era nato il loro Jace, la giovane Cèline non ce l’aveva fatta. Jocelyn si era più volte domandata quale fosse il motivo di tanti imprevisti. Innanzitutto è difficile che gli Shadowhunters muoiano così facilmente, poi di parto nel XX secolo era pressoché assurdo. Stephen continuava a soffrire molto, e Jace rappresentava l’unica cosa di veramente bello che gli rimaneva. Quel bambino aveva due splendidi occhi color oro, inusuali per gli Herondale, e splendidi capelli biondi che il bambino aveva ereditato dalla mamma. Per Jocelyn era la cosa di più vicino ad un angelo che avesse mai visto.
Stephen portava il bambino sulle spalle e la cosa non sembrava dargli fastidio. Sembrava piuttosto che lo avrebbe portato anche in capo al mondo senza lamentarsi mai del peso. Gli occhi ambrati di Jace guizzavano di qua e di là, e quando incontrarono quelli di Jonathan si affilarono come quelli di un gatto. Per il momento non avevano mai dato problemi, ma un giorno, Jocelyn avrebbe giurato, che tutto quel guardarsi di sottecchi avrebbe portato ad un bello scontro.
La donna inorridì un’altra volta.
-“Sono contento che tu sia venuto, Stephen, è importante che i nostri figli imparino a conoscersi. Non si sa mai che un giorno diventino parabatai”
-“Preferire che mio figlio scelga il suo parabatai da solo” ribatté Stephen con voce piuttosto cupa. Valentine lo guardò male. Jocelyn pensava che non si sarebbe mai abituato alle risposte secche del ragazzo dagli occhi azzurri. Stephen non lo faceva di proposito, ma spesso Valentine si irritava al punto di portare la mano vicino uno dei suoi soliti coltelli dentro la giacca nera. Solo Jocelyn poteva intervenire in quel caso, perché in quanto madre dei suoi futuri figli, era l’unica persona che non avrebbe corso pericoli.
-“Jonathan, cosa stai facendo, figliolo?” chiese Valentine sedendosi sui talloni. Il bambino alzò lo sguardo e Jocelyn sentì i capelli della nuca rizzarsi. Più volte si era ordinata di smettere di avere paura di suo figlio.
Ma aveva l’impressione che fosse assolutamente sbagliato.
-“Rune” rispose quello con un’alzata di spalle. Jace lo guardò interessato e poi tornò concentrato su qualcos’altro. Jocelyn avrebbe giurato che appena fosse stato in grado di parlare il necessario, avrebbe avuto una lingua lunga come quella del papà.
-“Anche Jace ne disegna parecchie. Ma non mi sembra di avergliele insegnate. Tu cosa ne pensi, Valentine?” Stephen parlava come se fosse lontano, ma Jocelyn notò che stesse nascondendo rabbia e frustrazione tutte in una volta.
Suo marito si alzò sorridendo. Malefico.  Scrollò i capelli del bambino di fronte a lui e se ne andò in cucina. Prima di scomparire nella stanza adiacente, si fermò.
-“Vuoi una tisana, tesoro?” chiese di spalle. Jocelyn si chiese se fosse il caso di dirgli di no, visto che continuava a bere quelle miscele dalla prima gravidanza. Inutile dire che il sapore ultimamente era migliorato. Sapeva di miele e limone. La prima volta che Jocelyn l’aveva provato, si era ricordata il giorno in cui aveva bevuto dalla coppa mortale. Ma era impossibile bere sangue di angelo. Giusto?
A volte si era soffermata a pensare che fosse una coincidenza strana che anche Cèline bevesse quelle tisane che Valentine le offriva. Cèline però non si era mai lamentata del gusto. Era così dolce, che Jocelyn si era sentita in colpa per giorni dopo la sua scomparsa.
-“Si, tesoro” disse la donna guardando fuori dalla vetrata. Forse un giorno avrebbe smesso di mentire. Un giorno forse, Valentine avrebbe visto ciò che Jocelyn era davvero, e non ciò che pensava che fosse.
 
 
Continua …
   
 
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