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Autore: Herm735    26/10/2013    8 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia!

Avvertimenti: AU; Crossover (con...lo capirete leggendo, sennò non c'è suspance!)






Il nostro primo intreccio di anime


~ I cuori più duri si lasciano intenerire dalla bellezza. ~

Ci sono diversi tipi di storie.
La maggior parte, sono solo storie. Storie normali, di gente normale, che finiscono in modo normale.
E poi ci sono storie migliori di quelle normali. Ci sono storie meravigliose, storie fantastiche, che le racconti e non sembrano reali. Storie che, una volta, molto tempo fa, sono accadute. Ma tutti ne parlano come se fossero soltanto favole.
E poi ci sono altre storie. Storie terribili. Che parlano di qualcosa che preferiremmo dimenticare, che riguardano qualcuno che avevamo sperato di non dover mai sentir nominare. Storie che ci fanno paura. Storie che ci tormentano ogni giorno e bussano alla porta dei nostri incubi tutte le notti. Storie terribili, che finiscono con due cuori spezzati.
La mia storia è una di queste.

Era come se tutto attorno a me si muovesse a un milione di chilometri l'ora, mentre io non riuscivo neanche a respirare normalmente.
Non avevo mai visto qualcuno bello quanto lei. Il modo in cui mi aveva tolto il respiro, il modo in cui i suoi occhi guardarono dentro i miei, mi congelò all'istante.
Doveva per forza essere la cosa più bella mai esistita, non c'era storia.
Nonostante quello che tutti mi avevano detto di me stessa nel corso degli anni, non avevo mai avuto la stessa sensazione guardando allo specchio. Io non ritenevo me stessa perfetta, molto lontano dall'esserlo, anzi. Eppure gli altri sembravano pensare che lo fossi.
Quando la vidi, per la prima volta, capii cosa volesse dire vedere qualcosa di assolutamente perfetto.
Ma quello è stato anni fa.


Sapevo che mi stava guardando. Come avrei potuto non accorgermene? Non era stata esattamente sottile. Ormai era più di mezz'ora che se ne stava lì, solo a guardarmi, senza decidersi a fare nient'altro. Alla fine, prese una decisione e si alzò, quasi improvvisamente, con fermezza, venendomi incontro al bancone del bar.
Probabilmente non pensava che l'avessi notata. Si avvicinò alla mia sinistra, cercando di non far vedere quanto fosse nervosa. Potevo avvertirlo, però. Nel suo respiro irregolare e nel leggero tremore delle sue mani. Cose che nessuno avrebbe notato. Eccetto me.
“Ciao” mi salutò, dopo essersi schiarita la voce.
Io mi voltai lentamente nella sua direzione, le sopracciglia leggermente alzate, senza mai lasciare andare il bicchiere che tenevo nella mano destra.
“Vedo che finalmente hai deciso.”
La mia risposta la spiazzò. “Uhm, deciso?”
“Sì. Era circa mezz'ora che mi stavi guardando. O venivi a parlarmi, o potevi beccarti una denuncia per stalking.”
“Ehm, così mi hai visto, uh?” chiese, arrossendo leggermente mentre si sedeva accanto a me.
“Vedo sempre quello che c'è da vedere” risposi con un sorrisetto e sorseggiando il mio drink.
“Sai, questo ti sembrerà assurdo, ma ho come l'impressione di averti già incontrato prima. È possibile?”
Il mio sorriso vacillò per qualche momento, mentre pensavo alla risposta che avrei dovuto dare a quella domanda.
“Presumo che me ne ricorderei se ti avessi visto prima. Non mi dimenticherei facilmente di qualcuno come te.”
Lei accettò quella risposta senza ulteriori dubbi.
“Allora, sarebbe da brividi se adesso ti chiedessi come ti chiami?”
Io risi tra me e me. “Ci sono poche cose che mi spaventano in questi giorni. Callie Torres” le tesi la mano, aspettando che la stringesse.
“Arizona Robbins” rispose con un sorriso completo di fossette.
Quando le nostre mani si sfiorarono, per la prima volta guardai dentro i suoi occhi. Non potei evitare di sentire di nuovo quella sensazione di assoluto congelamento. Non ero più in grado di muovermi, e non ero più responsabile delle reazioni del mio corpo. Solo molti attimi dopo, lasciai andare la morbida presa.
“Mi dispiace. Per averti fissato, intendo. Ma, cavolo, neanche adesso riesco a scrollarmi di dosso la sensazione di averti già vista da qualche parte.”
Io sospirai, svuotando il mio bicchiere.
“Voglio dirti qualcosa, Arizona Robbins” iniziai, voltandomi verso di lei. “Tutta la tua vita, ogni singola scelta che hai fatto, è stata guidata perché tu potessi essere qui, in questo esatto momento, in questo esatto posto, per incontrare me.”
Osservai attentamente il suo viso, notando una reazione strana. Non sembrava spaventata, non sembrava pensare che fossi pazza. Sembrava, più che altro, che avesse ottenuto la spiegazione che stava cercando.
“Quindi sarò fortunata stanotte?” chiese, con un sorrisetto piantato fermamente sul viso.
Io risi, voltandomi e lasciando qualche banconota sul bancone per saldare il conto di quella sera.
“Dipende. Ciò che oggi consideri fortuna, può diventare sfortuna ad un anno da adesso. Viceversa, quella che consideravi una maledizione un secolo fa, adesso potrebbe diventare la cosa migliore che ti sia mai capitata.”
“Sei un tipo strano, non è vero? Intendo in senso buono” si affrettò a chiarire.
Io risi tra me e me.
“Lo intendono sempre in senso buono. Finché, a un certo punto, non più.”
Per qualche istante, si limitò a guardarmi.
“Ok, metterò le carte in tavola. Non ho capito neanche una sola cosa delle tre frasi che hai appena detto.”
Io le sorrisi.
“Sì, Arizona Robbins” chiarii per lei. “Sarai fortunata, stanotte.”
Mi alzai, sicura che mi avrebbe seguito fuori dal bar.
All'inizio di tutta quella storia, avevo pensato che sarebbe dovuto essere in quel momento, in una strada scura e deserta. Pochi minuti, tutto finito.
Ma molti, molti anni prima, quando avevo visto i suoi occhi, avevo deciso cosa avrei dovuto fare, che era quello che stavo facendo. Portarla verso il mio appartamento.
Ma mai, nemmeno per un momento, avevo pensato che sarebbe potuto accadere ciò che accadde da allora in poi.

Guardai verso l'orologio sul mio comodino. Era tardi. O mattina presto, dipende dai punti di vista, credo. Mi tirai a sedere, iniziando a vestirmi velocemente.
“Dove stai andando?” chiese, mettendosi lentamente seduta e coprendosi il busto con il lenzuolo. “A lavoro” risposi, indossando una maglietta presa a caso dal mio armadio. “Mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo prima, suppongo.”
“Lavoro? Alle tre di mattina?” chiese, strofinandosi gli occhi.
“Già. Ti lascio del caffè e pancake pronti, fai colazione prima di uscire, ok?” mi guardai attorno, cercando i jeans della sera prima. Li raccolsi da terra, infilandomeli. “Devo essere lì tra un'ora, quindi te li preparo e vado. Torna a dormire. È spaventosamente presto” una volta vestita mi fermai e guardai verso di lei.
Dal basso mi fissava con quegli occhi del colore del diamante, l'espressione di un bambino che non vuole lasciar andare la mano del suo compagno di banco alla fine delle lezioni. Quell'aria tutta seria era adorabile su di lei. Feci il giro del letto, sedendomi al suo fianco.
Spostai una ciocca dei suoi capelli dietro il suo orecchio.
Lei appoggiò le mani sulle mie spalle, sporgendosi verso di me per baciarmi sulle labbra.
“Sai, questa non è una cosa che faccio, di solito” sussurrò timidamente.
Le sorrisi, tentando di rassicurarla.
“Neanche io. Ma non me ne pento.”
“Ti vedrò di nuovo?” chiese, dicendo finalmente ciò che stava pensando.
Avrei dovuto risponderle di no, per un migliaio di ragioni. Avrei voluto risponderle di no, avrei davvero voluto esserne capace. E, guardiamo in faccia la realtà, avrei potuto dirle di no, avrei potuto andarmene e non guardarmi mai indietro. Ma non lo feci. Non feci ciò che avrei dovuto, voluto e potuto. Feci solo ciò che sentivo il bisogno di fare. Darle qualsiasi cosa volesse.
“Questa scelta spetta a te.”
E anche lei avrebbe potuto altrettanto facilmente rendersi conto che era una pazzia. Ma non fu quella la risposta che sentii uscire dalle sue labbra nel cuore della notte.
“Ti lascio il mio numero sul cuscino.”
Mi baciò, dolcemente, poi si stese di nuovo sotto le coperte, mentre io mi incamminavo verso un altro turno di notte in ospedale.

Dodici ore dopo ero seduta su quel letto, in una mano un biglietto con su scritto 'Chiamami, so dove abiti' con una faccina sorridente accanto e un numero scarabocchiato sotto, e nell'altra il mio telefono.
Quella donna aveva fatto una faccina sorridente su un biglietto per me, Santo Dio.
Composi il numero, portandomi il cellulare all'orecchio. Tre squilli dopo, riattaccai. Che cosa stupida. Probabilmente, mi aveva lasciato il numero sbagliato e aveva scritto il biglietto per essere apposto con la coscienza.
E poi, un'ora più tardi dovevo essere di nuovo in ospedale, in ogni caso.
Arrivai lì a piedi, come ogni volta. Andai dritta a cambiarmi, visto che soltanto un'ora dopo dovevo essere in sala operatoria.
Fu allora che la vidi di nuovo. Stava parlando con qualcuno.
Appoggiai una spalla allo stipite della porta, mentre riconoscevo la donna con cui stava parlando come Teddy Altman, cardiochirurgia.
“Adesso mi pedini anche a lavoro?” chiesi, con un sorrisetto.
Lei voltò di scatto la testa nella mia direzione.
“Sta diventando un'ossessione, non ti fa bene alla salute” aggiunsi, togliendomi il giacchetto e afferrando il camice dal mio armadietto. “Teddy.”
“Callie” mi sorrise. “Voi due vi conoscete?” chiese perplessa, ma ovviamente già a conoscenza della risposta.
“Oh, io e lei ci conosciamo da un sacco di tempo” risposi, cercando di nascondere il mio sorriso.
Lei sembrava ancora perplessa, ma annuì, sorridendo ad entrambe prima di lasciarci sole.
“Non hai chiamato.”
“Ciao, Arizona. Come stai? Non dirmi che anche tu davvero lavori in questo posto.”
“Che stai facendo?”
“Una conversazione normale” risposi a bassa voce.
“Ok, d'accordo. Buonasera, Calliope, sto bene, e tu?”
“Non mi lamento.”
“Chirurgia pediatrica, se te le stessi domandando.”
“Chirurgia ortopedica.”
“Oh, sul serio? Interessante” finse un'espressione stupita. “Non hai chiamato.”
“Per prima cosa, ti ho visto per l'ultima volta stamani. Seconda cosa, ho lavorato dalle quattro di mattina fino a mezzogiorno e adesso sono le cinque e sto iniziando un altro turno, non è che abbia avuto molto tempo libero.”
“Cinque ore sarebbero dovute bastare per chiamarmi, però” mi fece notare.
Feci finta di non averla sentita.
“Terza cosa, un tempo ragionevole per richiamare qualcuno che ti ha lasciato il suo numero sono dai due ai cinque giorni. Se chiami prima sembri disperata, se invece chiami dopo, non sembri abbastanza interessata.”
Sembrò considerare le mie argomentazioni.
“Suppongo che tu abbia ragione. Non so neanche perché ho chiesto. Beh, ci sentiamo tra due-cinque giorni, presumo” si mosse in direzione della porta.
“Arizona?”
“Mh?” si voltò di nuovo verso di me, l'aria pensierosa.
“Comunque ho chiamato. Ma tu non hai il mio numero in memoria, quindi probabilmente hai pensato che fosse qualcuno che aveva sbagliato numero.”
La superai, il sorriso sulle labbra mentre osservavo la sua espressione confusa, e andai verso il mio ufficio. Quando il cellulare squillò, il messaggio che lessi mi strappò un sorriso.
Grazie per aver chiamato prima dei due giorni ragionevoli. Spero che tu abbia una bella giornata, Calliope. E se tra cinque giorni non avrò avuto tue notizie mi metterò l'anima in pace e incasserò il rifiuto. O mi presenterò ubriaca alla porta del tuo appartamento. Non ho ancora deciso quale delle due. Arizona. PS: Spero davvero che questo sia il numero giusto.

Avevo tenuto il piccolo oggetto dorato tra le mani per ore. Non riuscivo a dormire. Per quanto avessi provato.
Rimpiangevo ogni parola della conversazione che avevo avuto al telefono con lei quella sera, e, se avessi potuto, mi sarei rimangiata tutto.
Ma l'ultima cosa che volevo al mondo era spezzarle il cuore.
L'ultima cosa che avrei mai potuto convincere me stessa a fare, era ferire lei.
“Non sono passati ancora due giorni” mi aveva fatto notare ancora prima di dirmi 'ciao'.
“A te non piacciono proprio i saluti, non è vero?”
“Non particolarmente. Vado dritta al punto.”
“Una qualità che mi affascina e che apprezzo.”
“Allora...Hai chiamato per qualcosa in particolare?”
“Solo per sentire la tua voce. Mi dispiace se sembra patetico. Non sono molto brava a mentire” mentii.
“È bello sentire la tua” rispose con voce dolce. “Allora...vuoi...uscire, qualche volta?”
Non dirò che successe all'improvviso, tutto insieme, senza che me ne accorgessi. Perché anche in quel momento, avrei potuto dirle di no. Avrei potuto, in qualsiasi istante, lungo tutto il cammino, voltare le spalle alla direzione in cui stavo andando e prendere quella opposta.
Ma non lo feci.
“Tutto ciò che vuoi, Arizona.”

Rimpiangevo ogni parola. Ogni singola parola.
Mi alzai di scatto dal letto, attraversando l'appartamento fino ad arrivare davanti all'altra camera da letto.
Sentivo il bisogno di farlo, era più forte di me. Sapevo che non avrei dovuto, ogni volta che lo facevo, mi lasciava con un senso di impotenza e di vertigini. E con un milione di brutti pensieri. Ma avevo bisogno di farlo.
Aprii la porta velocemente, richiudendomela alle spalle come se qualcuno fosse potuto entrare da un momento all'altro nell'appartamento.
La stanza era vuota.
Mi guardai attorno, nella ridicola abitudine di controllare che tutto fosse al posto giusto, dove lo avevo sistemato. Mi avvicinai all'oggetto al centro della stanza, sentendomi sempre peggio per ogni passo che mi avvicinava alla pesante coperta di seta. Contro ogni logica, il mio battito accelerò, anche se non c'erano pericoli immediati, il respiro si intensificò, anche se non stavo facendo alcuno sforzo fisico.
Non volevo, non volevo farlo.
Avrei voluto essere in grado di voltarmi e uscire, richiudendo la porta a chiave e seppellendo il mio passato lì dentro.
Ma non potevo.
Avevo bisogno di vedere con i miei occhi.
Afferrai la stoffa tra le dita, e tirai.

“Ehi, tesoro. Come stai?” la sua voce era allegra e spensierata.
“Addison ho- ho bisogno di te” ero seduta sul divano, le ginocchia al petto, la mano libera dal telefono immersa nel miei capelli.
“Sei entrata lì dentro di nuovo, non è vero?” chiese in un sussurro.
“È orribile. È mostruosa, Addison.”
“Non è vero, Callie. Tu ne hai paura, ed è normale, ma...”
“Non capisci. È il modo in cui mi guarda, mi fa venire i brividi. Non potresti...” iniziai, bloccandomi subito dopo. Non mi piaceva chiederle favori, perché sapevo che non avrebbe mai potuto negarmene uno. Ma quella volta, ne avevo davvero bisogno. “Mi dispiace chiedertelo, ma non potresti venire qui?”
Esitò solo per mezzo secondo. “Sto arrivando.”

“Non mi sembra di averti visto prima.”
Mi voltai verso destra, la voce sconosciuta mi aveva riscosso dai miei pensieri.
Fui spiazzata, per qualche secondo, quando, voltandomi, mi trovai davanti a due ragazze perfettamente identiche.
“Infatti, è la prima volta che vengo qui. I miei genitori hanno insistito.”
Una di loro mi sorrise. “La prima volta è sempre strano. Tutta questa gente, tutti vestiti eleganti. Se riesci a passarci sopra, però, dopo un po' di volte non ci fai più caso.”
Ricambiai il sorriso.
“Callie Torres” mi presentai, tendendole la mano.
Lei la prese.
“Jannifer Taylor. Questa è mia sorella, Jane.”


“Ha preso qualcosa da me. Qualcosa che non le apparteneva. Ha preso la mia anima e l'ha modellata senza mai avere il mio permesso. Tu non mi conoscevi ancora, ma ero una brava persona.”
“Lo so” sussurrò, continuando ad accarezzarmi la schiena, abbracciandomi. “Mia non parlava mai d'altro. 'Callie questo, Callie quello'. A volte pensavo che ti preferisse a me.”
Tirai su col naso.
“Mi preferiva a te, infatti.”
Mi colpì piano sul braccio, ma poi rise, sapendo che scherzavo.
“Ero la sua zia preferita. Non pensavo che ti avrebbe mai raccontato quello che mi era successo, però. Quando ti sei presentata alla porta di casa mia, dicendo che sapevi, pensavo che avresti iniziato a ricattarmi o qualcosa del genere. Di certo non pensavo che saresti diventata la mia roccia, Addie.”
“Faccio quello che posso. Vorrei solo poter aiutare a farti sentire meglio.”
La mia mente, del tutto involontariamente, corse verso Arizona.
“Niente potrebbe aiutarmi. Ma ti ringrazio. Significa molto per me, il fatto che saresti disposta a provarci.”
Rimase da me. Le preparai il letto sul divano in soggiorno. Erano soltanto le otto, ma la notte prima nessuna delle due aveva chiuso occhio. Mi aveva lasciato sfogare su di lei il peso della mia coscienza.
Avevo annullato l'appuntamento con Arizona, dicendole che non mi sentivo molto bene, e avevo preso un paio di giorni di malattia a lavoro.
“Mi dispiace averti fatto venire da LA.”
“Non preoccuparti. Ti sei scusata per tutto il giorno, adesso smetti di sentirti in colpa e prova a dormire.”
“Grazie, Addison.”
Entrai in camera da letto, pronta a mettere la parola fine a quella giornata. Indossai il pigiama e scostai le coperte.
Qualcuno bussò alla porta. Sentii Addison urlare 'Vado io' e poi la porta aprirsi prima che riuscissi a fermarla.
Entrai nell'altra stanza, registrando la sorpresa di Arizona nel trovare un'altra donna nel mio appartamento dopo che le avevo detto di sentirmi poco bene.
In fretta la sua espressione diventò di rabbiosa incredulità. Ma fu brava nel nascondere quello che provava.
“Calliope” mi salutò vedendomi, le labbra premute l'una contro l'altra. “Ti avevo portato qualcosa da mangiare” sembrò voler giustificare la sua presenza. Mi mostrò la busta che aveva in mano, poi la sua espressione diventò di confusione, probabilmente verso se stessa. “Non so neanche perché ero preoccupata. Tutto questo è stato stupido.”
“Arizona...” feci un passo verso di lei.
Sentendo il suo nome Addison si voltò di scatto nella mia direzione, guardandomi con estrema perplessità.
Decisi che per il momento l'avrei ignorata.
“Arizona, non mi sento davvero molto bene. Addison è la mia migliore amica. È venuta a tenermi d'occhio” le dissi, sulle difensive. Non avevo fatto niente, ma mi sentivo comunque in colpa. “E apprezzo davvero che saresti stata disposta a fare lo stesso.”
Lei osservò Addison con sospetto.
“Addison Montgomery.”
“Arizona Robbins.”
Si strinsero la mano.
I loro occhi blu quasi identici si incontrarono per qualche istante.
“Beh, buona guarigione” disse infine a me, voltandosi.
Poi ricordò qualcosa e tornò indietro, porgendo la busta che aveva in mano ad Addison.
“È per due persone, non saprei che farmene.”
“Entra” le disse, senza nemmeno prendere in considerazione l'idea di accettare la sua offerta. “So che non pensavi che avresti trovato qualcun altro, ma prometto che non ti morderò.”
Lei superò la soglia timidamente, reticente a contraddire Addison. Gettò un'occhiata in direzione del divano, corrugando la fronte.
“Dormi sul divano?”
Addison alzò un sopracciglio nella sua direzione, che si affrettò a spiegarsi.
“No, intendevo, credevo che ci fosse un'altra camera da letto” indicò la porta alle proprie spalle.
Io mi rabbuiai.
“No. Non c'è un'altra camera da letto.”
“E allora lì dentro cosa c'è?”
“Niente. È vuota. È chiusa a chiave, lo è stata per anni.”
Stava per chiedere di più a riguardo, ma Addison si schiarì la voce, affrettandosi a prendere dei piatti.
“Io e te possiamo fare cena” propose ad Arizona. “Callie non riesce a tenere niente di solido nello stomaco ora come ora.”
La verità era che io avevo già cenato, mentre Addison stava per ordinare della pizza subito prima che Arizona bussasse al mio appartamento.
La mia migliore amica non era una grande fan della cucina spagnola, il piccante la infastidiva, e, gli avanzi che avevo mangiato io, ne erano pieni.
Feci loro compagnia mentre cenavano, intrattenendo una conversazione leggera con Addison sulla sua clinica di Los Angeles mentre osservavo Arizona mangiare.
Non avrebbe potuto essere più bella di quanto già non fosse.
“Allora, Arizona, come vi siete conosciute tu e Callie?”
Lei abbassò lo sguardo, arrossendo appena.
“L'ho incontrata da Joe, qualche sera fa” risposi al posto suo. “E poi il giorno dopo in ospedale.”
“Curioso. Una bella coincidenza.”
“Sono fortunata, a quanto pare” fu la replica di Arizona, che mi guardò, sorridendo.
Quando fu il momento per lei di andare via, salutò Addison con una stretta di mano. Lei le sorrise con calore, dicendole che sperava di vederla di nuovo molto presto. La accompagnai alla porta.
“Mi dispiace avervi interrotto.”
“A me no. Sono felice di averti potuto vedere di nuovo.”
Mi baciò sulle labbra velocemente.
“Rimettiti presto, ok?” sussurrò guardandomi negli occhi di sottecchi, sparendo subito dopo in direzione dell'ascensore.
Chiusi la porta, sospirando. L'espressione seria, il sorriso andato.
“Era lei?” chiese immediatamente. “Non me lo avevi detto.”
“Perché non è importante.”
“Non è importante, che tu l'abbia incontrata?” mi chiese, come se fossi impazzita. “È la tua occasione per riprenderti indietro la tua vita. Che fine ha fatto il piano?”
“No, Addison. Assolutamente no. Il piano è andato a monte nell'istante in cui ho visto i suoi occhi per la prima volta.”
“Lo so. E hai ragione, sai che penso che tu abbia ragione. Io farei la stessa cosa, io lo so, tu lo sai, tutto sistemato. Ma che fine ha fatto il piano B?”
Scossi la testa.
“Andato a monte nell'istante in cui ho visto i suoi occhi per la seconda volta” risposi, lo sguardo basso.
“Finirai con l'avere il cuore spezzato. E con lo spezzare il suo.”
“Lo so.”
“Allora fai quello che devi. Andartene via, non vederla mai più, tutta quella storia.”
“Non posso. Non posso andare via” scossi la testa. Poi, finalmente, la guardai negli occhi. “Quante relazioni falliscono ogni giorno? Quante persone si lasciano, ogni giorno? L'amore non esiste, l'amore non funziona. Quindi lasciami solo avere il tempo che mi darà al suo fianco, d'accordo? Quando ne avrà abbastanza di me, quando deciderà di lasciarmi, allora io non combatterò per lei, la lascerò andare. Ma finché lei vuole me, io posso darle quello che vuole.”
“Spero che tu sappia quello che stai facendo.”
“Onestamente? Non ne ho idea.”

“Callie, devi rimanere ferma. Come pretendi che riesca a dipingere se voi due continuate a muovervi?”
“Scusa Jane.”
“Sì, scusa Jane” la prese in giro Jennifer.
“Sei una bambina” ritorse la sorella più composta.
“E tu sei già vecchia. Non è colpa mia se non mi piace la pittura.”
“Non devi dipingere. Devi soltanto stare ferma mentre lo faccio io.”
“Ok, basta litigare. Jennifer, stai ferma. Continua pure, Jane.”
Era meraviglioso come andavamo d'accordo, come c'eravamo trovate in sintonia. Jane e Jennifer erano la cosa più bella che mi era mai capitata.
I miei genitori erano morti quando avevo appena vent'anni, lasciandomi l'eredità familiare. Non avevo nessuno al mondo, eccetto loro, che avevo conosciuto sei anni prima, qualche mese prima della morte dei miei genitori.
Le amavo. Le amavo davvero. E loro amavano me.


Era stata una pessima idea fin dall'inizio.
Nei tre minuti che passai davanti alla porta chiusa mi maledissi almeno un miliardo di volte. Ma alla fine mi arresi, bussando.
“Finalmente. Pensavo sul serio che ti saresti voltata e saresti andata via.”
“Non lo avrei mai fatto” la rassicurai con un sorriso.
“Sei consapevole del fatto che nessuno ti sta costringendo ad uscire con me, non è vero? Perché stavo assolutamente scherzando quando ho detto che mi sarei presentata davanti alla porta di casa tua ubriaca.”
Io risi, mio malgrado.
“Voglio uscire con te. Ho solo paura” confessai con voce piccola.
“Di me?”
“Di me stessa. Ho paura che finirò con lo spezzarti il cuore. Ed è l'ultima cosa che vorrei al mondo, perché sto cercando di darti ciò che vuoi, anche se non ho ancora capito del tutto cosa vuoi. Quindi, in conclusione, sto provando a renderti felice, ma non penso di poterci riuscire. Ho appena parlato a vanvera e ti ho probabilmente spaventato a morte, perché neanche mi conosci.”
“Ancora” aggiunse. “Non ti conosco ancora. E lascia che sia io a preoccuparmi perché il mio cuore non si spezzi.”
Mi prese la mano, richiudendosi la porta di casa sua alle spalle e lasciandosi condurre fino alla mia macchina.
Quando la riaccompagnai a casa, più tardi quella sera, percepii il suo nervosismo. Aprì la porta, voltandosi poi verso di me, tenendo la maniglia fermamente in mano.
“Vuoi entrare?” chiese.
Ecco da dove veniva il nervosismo, realizzai.
“Non credo a quello che sto per dire” sussurrai a me stessa. “Non credo che sarebbe una buona idea” risposi a voce più alta.
Lei mi guardò, perplessa e divertita allo stesso tempo.
“Che ne dici, invece, se questo sabato ti porto a cena nel mio ristorante preferito?” le proposi con un po' di incertezza.
“Mi sembra corretto, visto che stasera eravamo nel mio.”
Io le sorrisi, appoggiando una mano sulla sua vita, e piagandomi per baciarla sulla guancia. “A domani. Buonanotte, Arizona” sussurrai, il viso vicino al suo.
Lei mi baciò velocemente sulle labbra, prima che potessi protestare in qualsiasi modo. Non che, se me ne avesse data la possibilità, lo avrei fatto.
“A domani, Calliope.”

“Questo film è ridicolo.”
“Non l'hai davvero appena detto.”
“Se vuoi posso ripeterlo per chiarire il concetto.”
“Cosa c'è di ridicolo?” domandò incredula.
“Scherzi, vero? Cosa, di questo film, non è ridicolo?”
Si voltò verso di me, lentamente.
“Rimangiatelo.”
“Hai ragione. Un vampiro di cento anni che si innamora di una ragazzina di nome 'Bella' invece di ucciderla per acquietare la sua sete di sangue è del tutto credibile. Niente di ridicolo.”
“Calliope, rimangiatelo” ripeté, estremamente seria.
“Senti, dico solo che se l'amava così tanto l'avrebbe lasciata andare. E, a proposito, tu hai un sacco di cose in comune con lei” dissi, baciandola sulla punta del naso.
La sua espressione si ammorbidì, ma non era pronta a mollare.
“Per esempio?”
“Tanto per cominciare, l'incredibile tenerezza. E il fatto che faresti di tutto per stare vicino a qualcuno che ami, proprio come lei. Se vuoi saperlo, penso che lui sia il codardo. Ad un certo punto, dovrebbe trovare la forza di...” inciampai sulle mie stesse parole. Lo sguardo mi cadde verso il basso. “Lasciarla andare” sussurrai.
“Lei non vuole andare, Calliope” mi fece notare con tono fermo. “E lui sta cercando di darle ciò che vuole, perché questo è il tipo di persona che lui è.”
“E lo capisco. Davvero, lo capisco. Ma prima o poi avrebbe trovato il modo di farle capire che la vita, qualsiasi tipo di vita, è migliore della morte. È migliore di non avere un'anima. E lei non ha più un'anima da quando...”
“Lei?”
“Uh?”
“Hai detto 'lei'.”
“Ah.”
“Calliope, non so di cosa tu stia parlando, ma...” mi avvolse le braccia attorno al collo, voltandosi verso di me e tirando le gambe sul divano, lasciandole ricadere sulle mie.
Io ero rimasta seduta, immobile, spaventata dal dire qualsiasi cosa che avrebbe potuto lasciarle capire anche il minimo dettaglio.
“Se mi lasci andare ti uccido. Se tu vuoi andare, sei libera di farlo in qualsiasi momento. Ma non lasciare andare me, mai.”
Le circondai la vita con le braccia, facendola sedere su di me.
“Non lo farò. Finché vorrai me, io sarò al tuo fianco.”
La baciai dolcemente, cercando di farle capire che stavo dicendo la verità.
“Mi dispiace. Ma devi ammettere che non è il migliore dei film per qualcuno di trent'anni.”
“Attenta a come parli, Calliope. Ne ho ventotto.”
“Stavo parlando di me” sorrisi, baciandola di nuovo.
“Oh. Trenta? Sei vecchia. Non sono più così sicura di non voler andare, adesso che conosco la tua vera età.”
“Peccato che non abbia alcuna intenzione di lasciarti andare, allora” le rivolsi un sorrisetto, facendola stendere sul divano del mio appartamento. “E, fidati, non sei nemmeno vicina a conoscere la mia vera età” sussurrai un attimo prima di baciarla.
Nei tre mesi in cui l'avevo conosciuta, il rituale che avevamo di guardare un film a casa mia, raramente era finito in altro modo.

Non potevo dormire.
Era di nuovo quel bisogno profondo dentro di me, a tenermi sveglia. Non era più successo. Non da Arizona in poi.
Quando lei dormiva al mio fianco, la mia brama di sapere, mi lasciava in pace.
E quando mi capitava di svegliarmi nel mezzo della notte o di non riuscire a prendere sonno affatto, mi bastava voltarmi dalla sua parte del letto.
Tutto lì.
La guardavo e mi sentivo meglio.
Ma lei aveva il turno di notte ed io ero lì dentro da sola. Sapevo che sarebbero potute passare settimane prima che avessi avuto un altra serata senza di lei nel mio appartamento. Ormai, se poteva, Arizona era solita dormire lì insieme a me.
Ma il mio desiderio di entrare in quella stanza cresceva di più ogni volta che mettevo piede dentro casa mia, ogni volta che ero a meno di cento metri da quella porta.
E sarebbe stato meno rischioso farlo allora, con lei in ospedale.
Aspettare ancora mi avrebbe portato a rischiare di essere scoperta, perché, alla fine, sarebbe arrivata la sera in cui non avrei più potuto resistere. Così mi sarei alzata, con lei dentro il mio letto, e sarei sgattaiolata dall'altra parte dell'appartamento, facendo qualcosa di stupido. E se lei mi avesse seguito senza che la notassi?
Mi tirai via le coperte di dosso.
Non potevo correre alcun rischio.
Avrei dovuto farlo subito, quando lei non era dentro casa.
Frugai nel cassetto del comodino per meno di due secondi, poi sentii il metallo freddo a contatto con la punta delle dita e presi la piccola chiave dorata in mano, alzandomi e andando verso l'altra stanza.
Le mani mi tremavano leggermente.
Girai la chiave, aprendo la serratura.
Mi bloccai.
Se avessi chiamato Addison, forse, lei avrebbe potuto convincermi a non farlo. Oppure sarei potuta andare in ospedale, cercare Arizona e guardarla per qualche minuto, in modo che mi facesse stare meglio. Se avessi chiamato dicendole che stavo male, sarebbe corsa al mio fianco. E allora non ne avrei più avuto bisogno.
Ma la verità era che volevo vederlo.
Aprii la porta, richiudendola subito dopo, come se avessi voluto impedire anche all'aria di uscire al di fuori di quelle quattro mura, per impedire che fosse proprio l'aria stessa a trasportare via il mio segreto.
Controllai velocemente gli oggetti come da abitudine. Non che mi aspettassi di vedere qualcosa fuori posto, comunque tutto era come doveva essere.
Mi avvicinai al centro della stanza, pensando a quanto minore sarebbe stato il mio dolore se me ne fossi semplicemente andata via.
Chiusi gli occhi con tutta la forza che avevo, afferrando la stoffa senza neanche il bisogno di guardare quello che stavo facendo.
Non riuscivo a costringere la mia mente a pensare a nient'altro che non fosse Arizona.
Sentendo le lacrime premere per uscire, promisi a me stessa che Addison non ne avrebbe saputo niente, quella volta.
E Arizona non ne avrebbe saputo niente, mai.
Respirando a fondo, aprii gli occhi.

“Dipingere te da sola è molto più facile.”
Io risi, Jennifer sbuffò.
“Dico sul serio, Jennifer non fa che agitarsi.”
“Spirito di contraddizione. Vuole darti fastidio perché sei sua sorella. Del tutto normale” la rassicurai.
“Questo sarà il mio miglior ritratto, Callie. Sei un soggetto meraviglioso da dipingere.”
“E da guardare” aggiunse Jennifer, sorridendo.
“Neanche sposarti ti ha fatto cambiare” ritorsi, sorridendo a mia volta.
Lei spostò lo sguardo sul quadro che la sorella stava dipingendo.
“L'hai dipinta con un aspetto così puro, Jane, sembra a malapena Callie.”
“Non immischiarti. Vedrai quando sarà finito, sarà bellissimo.”
“Non ne dubito. Dopotutto, stai pur sempre dipingendo Callie. Non sarebbe appropriato se, attraverso il quadro, non si fosse in grado di vedere la sua assoluta perfezione.”
“Jennifer, dico davvero. Non hai un marito che ti aspetta da qualche parte?” chiesi, desiderosa di farla andar via. Avere un quadro di me stessa era abbastanza imbarazzante senza dover sentire i suoi commenti inappropriati tutto il tempo.
Lei sbuffò. “E tu? Io e Jane ci siamo sposate, tu quando hai intenzione di farlo?”
“Non ho bisogno di un uomo.”
“Ma a chi lascerai tutta la fortuna dei tuoi genitori?” domandò Jane. “Non sarebbe saggio se ti sposassi e avessi dei figli?”
Scrollai le spalle.
“Non voglio passare la mia vita a fare scelte in base a cosa ne sarà dei beni della mia famiglia quando io sarò morta. Sto per compiere trent'anni. Sono ancora viva, no? Mi concentrerò sulla vita, invece che su ciò che viene dopo.”
Ed era quello che avevo fatto da allora in poi.


“Devi dirglielo.”
“Non voglio, Addison. Non voglio rovinare quello che abbiamo.”
“Callie, devi farlo. Più aspetti, più le cose andranno male.”
“Lo so. Ma se aspetto ancora un po', forse...”
“Sono passati sei mesi. Se doveva lasciarti entro breve, lo avrebbe già fatto. È il momento in cui la lasci andare, ok? È il momento.”
“Addison...Io la amo.”
Silenzio.
“Ti avevo detto che questa storia sarebbe finita con due cuori spezzati.”
Di nuovo silenzio.
“Credi che anche lei ti ami?”
“No. Come si può amare qualcuno come me? Forse crede di amarmi adesso, ma capirà ben presto che era un'illusione. Alla fine, non importerà. L'amore non importerà.”
“Che vuoi dire?”
“Quando le dirò la verità, finirà per odiarmi. E sarà allora, Addie. Sarà quello il momento in cui dovrò lasciarla andare. Per questo non posso dirglielo. Perché nel momento in cui lo faccio, finisce tutto. Finisce la storia. E, con la storia, finisco io.”
Ci fu una lunga pausa.
“Aspetta un altro po' di tempo. Come hai detto tu, la gente si lascia di continuo, giusto?”
“Giusto” risposi sommessamente.
“Perché hai chiamato oggi?” chiese.
Sospirai.
“Ha compiuto ventinove anni, ieri” ammisi con riluttanza, aspettando pazientemente una risposta che non arrivò mai.
Dopo un lunghissimo silenzio, finalmente prese il coraggio a quattro mani e si decise a chiedermelo.
“Stai pensando di rimanere un altro anno, non è vero?”
“Vedrai che si dimenticherà di me, poi.”
“Non essere ridicola.”
“Si dimenticherà di me” insistetti con fare infantile. “Che potranno mai essere altri dodici mesi della sua vita? Alla fine riuscirà a dimenticarsi di me.”
“Sei un'idiota se lo pensi davvero.”
“Non posso rinunciare a lei. Sono troppo egoista, troppo debole, per farlo.”
“Si odierà per sempre quando lo saprà.”
“Non lo scoprirà mai.”
“Una volta che avrà compiuto trent'anni, glielo dirà lei.”
Aveva ragione. Non ci avevo pensato. Corrugai la fronte.
Sapevo qual'era la cosa giusta da fare, sapevo qual'era la cosa giusta nei suoi confronti e nei miei confronti.
Ma dirle la verità avrebbe voluto dire metterla in condizione di fare una scelta. E io non potevo permetterle di scegliere la cosa sbagliata da fare.
“A quel punto non importerà più.”
“Non importerà più che lei sia stata la causa della tua morte?” replicò con totale schiettezza.
“No. Non potrà più farci niente in ogni caso.”

La vista davanti ai miei occhi era impagabile.
Per tutta la mia vita avevo desiderato qualcosa di così semplice, eppure così perfetto, che averlo trovato in lei mi fece sentire, per la prima volta da anni, tranquilla.
Come se fosse la conferma che volevo che stavo facendo la cosa giusta. Anche se in effetti stavo facendo la cosa più sbagliata che avrei mai potuto fare.
Eppure sentii un nodo in gola. Le lacrime agli occhi. E un sentimento strano che avevo sempre vicino a lei e che fino ad allora avevo stentato a riconoscere. Felicità.
“Buon anniversario.”
“Hai cucinato?” chiesi, incapace di muovermi.
“Sì. Ho usato la copia delle chiavi che mi hai dato, spero non ti dispiaccia.”
“Te l'ho data perché la usassi. Anche se non pensavo che l'avresti usata per...questo.”
Finalmente mi ripresi, posando le chiavi, gettando a terra la borsa, togliendomi il giacchetto.
“Un anno fa, esattamente, ti ho visto per la prima volta” mi sorrise.
Sentii un nodo allo stomaco.
No. Non è vero.
“Ho pensato che dovevamo festeggiare, quindi, ti ho preparato la cena.”
Mi avvicinai al tavolo, illuminato solo da due candele, sopra cui era posato un vassoio ancora coperto.
“Non dovevi, Arizona. Dico sul serio.”
Mi avvicinai, abbracciandola.
“Volevo farlo. E ho immaginato che tu non avessi fatto caso al giorno un anno fa, ma il prossimo anno mi aspetto che te ne ricordi” mi sorrise dal basso dei pochi centimetri che la separavano da me.
Sentii un nodo in gola.
Ci sarà un altro anno? “Arizona, devo dirti qualcosa. Io...” dillo, dillo e basta “...me ne ricordavo. Ti ho preso un regalo, aspetta solo un secondo.”
Mi allontanai, andando verso il punto in cui avevo lasciato la borsa e frugandoci dentro finché non trovai quello che avevo comprato nell'eventualità che avesse tirato fuori il fatto che quella sera avrebbe dovuto essere il nostro primo anniversario. Le andai incontro, porgendole il piccolo pacchetto.
“Sei incredibile” sussurrò, baciandomi sulle labbra.
“Spero che ti piaccia.”
Lo aprì, senza mai smettere di sorridere. Era una piccola collanina d'argento con il pendente a forma di cuore.
“Calliope, è bellissima” era senza parole, potevo vederlo dalla sua espressione.
“Ti aiuto a indossarla” mi offrii, prendendola in mano e aspettando che si voltasse e si tirasse su i capelli, prima di allacciarla.
Stava per voltarsi di nuovo verso di me, ma avvolsi le braccia attorno alla sua vita. Non potevo farlo se mi guardava negli occhi.
“Non era questo che volevo dire, in realtà” confessai, respirando contro il suo collo il profumo che usava, misto a quello del suo shampoo, misto a quello della sua pelle.
Ebbe un piccolo brivido. Rafforzai la mia presa.
“Prometti di non dare di matto, ok? Devo farlo, io devo dirtelo” lasciai una scia di baci sul suo collo.
“Spara” rispose, palesemente distratta.
“Arizona...” se non lo dici adesso, te ne pentirai per il resto della tua vita. “Ti amo. Nel senso di, sono davvero, davvero, innamorata di te. E ho paura. C'è qualcosa che avresti il diritto di sapere...qualcosa del mio passato...” non riuscii a continuare. “Ma non posso perderti.”
Si voltò, prendendomi il viso tra le mani, guardandomi negli occhi ed accarezzandomi una guancia con il pollice.
“Calliope, so che hai un segreto, qualcosa che non mi hai detto” mi rassicurò. “Sarebbe stato difficile non notarlo” scherzò per metà. “Ed io sarò qui, quando sarai pronta a parlarne. Ammetto che alcune volte, avrei voluto che lo avessi già fatto, ma posso aspettare. Aspetterò tutto il tempo che vorrai.”
“Non capisci. È qualcosa di terribile. Qualcosa che ci distruggerà.”
“Niente del tuo passato potrebbe mai impedirmi di essere nel tuo futuro, Calliope.”
Fu allora. Fu quella frase. Fu come un secchio d'acqua gelata di prima mattina.
“Tu pensi davvero che sarò io, non è vero? La persona con cui passerai il resto della tua vita” nella mia voce, semplice perplessità.
“Sì. Lo penso davvero” confermò, accarezzandomi i capelli lentamente.
Scossi la testa, guardando verso il basso.
Come avevo potuto farle una cosa del genere? Dopo aver promesso che avrei fatto di tutto per impedire che fosse mai ferita da qualcosa, come potevo essere io ciò che l'avrebbe fatta soffrire ad un certo punto?
Come era successo?
Come dannazione era successo?
Come era possibile che mi fossi cacciata in quel casino, con le mie stesse mani, per giunta? Come era possibile, dopo tutto quello che avevo passato, dopo tutto quello che era successo, che mi aveva fatto, come potevo amare lei?
Mi baciò sulle labbra, poi mi costrinse a guardarla negli occhi.
“Sono davvero, davvero, innamorata di te anch'io.”
La strinsi dolcemente tra le braccia finché non persi la cognizione del tempo.
Avrei voluto che fosse possibile un finale diverso, per quella storia.
Avrei voluto poterle dare il finale che lei voleva.
Ma le cose erano quello che erano, e non potevamo avere nessun altro finale se non quello che c'era destinato.
L'amore non contava.
Alla fine di quella nostra storia, la verità che stavo per dirle era l'unica che avrebbe avuto qualche valore.
“Non sono io, Arizona. Non sono io la persona con cui passerai il resto della tua vita. Ma sarebbe importante, per me, se tu riuscissi a capire che quella è la cosa che più vorrei al mondo. Se potessi avere qualcosa, qualsiasi cosa, sarebbe rimanere al tuo fianco. Ma questo non è il modo in cui andrà a finire.”
“Di che stai parlando? Com'è che andrà a finire?” chiese, guardandomi con confusione e dolore dipinti sul viso.
“Devo raccontarti tutta la storia, Arizona. Dall'inizio. Ma non stasera. Dammi solo...dammi ancora un po' di tempo. Solo un po' di tempo in più.”

“Questo, tutto questo, è colpa tua.”
“Callie, ti prego.”
“No. Dico sul serio. E non ho intenzione di pagare il prezzo dei tuoi errori, Jane. Sarai tu a farlo, ricorda le mie parole. Sarai tu a pagare il prezzo di ciò che mi hai portato via.”
“Ti prego, non farlo. Ti imploro. Non lei” sussurrò, piangendo, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Come potevo dirle di no?
Lei e sua sorella erano state per anni l'unica famiglia che avevo avuto.
Ma poi mi ricordai di ciò che mi aveva fatto.
Davo la colpa a lei. Ho dato sempre la colpa a lei. E, in fondo, era colpa sua.
Il mio viso si indurì nuovamente.
“Bene. Sarai tu a scegliere chi pagherà per un errore che hai fatto tu, Jane. Ma sappi che il prezzo sarà alto.”
“Non puoi costringere qualcuno a pagare. Dimentichi forse il potere che ho su di te?” chiese, ritrovando una briciola di convinzione.
“Stai pur certa che riuscirò a scoprire dove lo tieni. E quando me lo sarò ripreso, finalmente avrò la mia vendetta.”


Tornai a casa, fischiettando. Mi tolsi il giacchetto e posai la borsa, poi andai in camera da letto, sicura che Arizona fosse lì da qualche parte. Vuota. Così come il bagno. Entrai nuovamente in camera, la fronte corrugata in un cipiglio confuso.
Fu allora che lo notai.
Il primo cassetto del mio comodino era di circa due millimetri aperto. Come se fosse stato richiuso in fretta.
Corsi in soggiorno. Dall'altra parte della stanza, la vidi. Stava lì, luccicando, come se fosse fiera di essere nel posto a cui apparteneva. La chiave d'oro era dentro la serratura. Proprio dove l'avevo lasciata la notte precedente.
Aprii la porta, cercando di non fare rumore.
Stava fissando l'oggetto davanti a se stessa. Non si mosse per diversi secondi, si limitò a fissare la stoffa che lo rivestiva.
All'improvviso allungò una mano in direzione di esso.
“Non lo farei se fossi in te.”
La mia voce la fece trasalire. Si voltò di scatto, ritraendo la mano come se fosse stata appena bruciata.
“Calliope, io...Mi dispiace.”
“Esci” la voce mi uscì più dura di quello che avrebbe dovuto.
Lei annuì, fissandosi le scarpe.
“No, non capisci” la mia voce aveva sempre una nota parecchio più dura del solito. “Non voglio che tu sia vicino a...quella cosa.”
Sembrò turbata quando si rese conto che la rabbia che traspariva dalla mia voce non era rivolta a lei ma all'oggetto che un attimo prima stava contemplando di scoprire.
“Cos'è?” domandò con un filo di voce.
Io tesi una mano nella sua direzione. Quando lei la afferrò, io la tirai verso di me, abbracciandola, portandola immediatamente fuori dalla stanza, come se con il mio corpo avessi dovuto proteggere il suo.
Richiusi la porta a chiave, ma non la tolsi. La lasciai dov'era.
Rimasi lì, a fissarla, stringendo la donna che amavo tra le braccia, mentre lei scrutava il mio viso con aria preoccupata.
“Lei” risposi velocemente, aprendo di nuovo la serratura. Poi allontanai la mano. Quel bisogno feroce si fece di nuovo strada dentro di me. Guardai Arizona. E richiusi la serratura. “Adesso credo sia il momento adatto per raccontarti tutto, fin dall'inizio.”

“Il quadro che Jane ha dipinto...Qualcosa non va in quel quadro, Callie.”
“Che vuoi dire?”
“Non lo so. L'immagine è assolutamente perfetta. Ma ogni volta che mi avvicino troppo mi vengono i brividi. Sembra che ci sia una persona dentro quella cornice. Intendo, una persona in carne ed ossa. È perfettamente realistico. Di solito mi spaventava a morte. Adesso Jane ci tiene sopra un telo, come se solo il pensiero di lasciarlo scoperto alla vista del mondo la terrificasse completamente.”
“Jennifer, è solo un quadro.”
“Lo so. Ma averlo in casa, mi dà il tormento.”
Sentii una stretta allo stomaco.
“È in casa vostra?”
Annuì.
“In soffitta. Jane sembra non riuscire a separarsene per più di poche ore. Passa più tempo di quello che dovrebbe lassù, a tenere d'occhio quell'affare di poco valore, come se avesse paura che qualcuno potesse venire per rubarglielo. Insomma, una volta era il ritratto perfetto di qualcuno perfetto, ma non credo che adesso valga più molto. Il tempo ha scolorito la tela. Adesso sembra un comune ritratto.”
“Hai ragione. Il valore che ha, ormai, è poco. Facciamo così, portalo da me. Ci penserò io a sistemarlo, in modo che Jane smetta di esserne ossessionata.”
“Questo è il punto. Non voleva neanche che ti dicessi che era a casa nostra. Callie, temo che mia sorella stia impazzendo. Credo che...Non prenderla nel modo sbagliato, ma credo che sia tu la persona che ha paura riesca a rubare il quadro.”
“Averlo lì le sta dando alla testa” mentii con finta aria sconsolata. “Portamelo di nascosto. Vedrai che una volta che non lo avrà più lì a disturbarla, tornerà ad essere quella di sempre.”
Sospirò. “Lo spero davvero.”


Poteva vedere quanto entrare lì dentro mi aveva turbato.
Mi portò a sedere sul divano, tenendomi le mani mentre mi guardava negli occhi.
“Mi dispiace di essere entrata lì.”
Scossi la testa, non riuscendo a guardarla però negli occhi.
“Non ti ho mai detto esplicitamente che non avresti dovuto.”
“Me lo hai fatto intuire chiaramente, però. Ed entrare in quella stanza senza il tuo permesso è stata una mancanza di rispetto.”
“Non dirti la verità per tutto questo tempo, è stata la vera mancanza di rispetto, Arizona. Sono io a dovermi scusare.”
Alzai finalmente lo sguardo, incrociando il suo.
“Che intendevi dire quando hai detto che lì dentro c'era 'lei'?”
Sospirai.
“È una storia parecchio lunga. Sarebbe meglio partire dal principio, o non credo che riuscirei a spiegarti molto.”
“D'accordo. Ma lasciami solo spiegare perché sono entrata lì dentro anche se sapevo che sarebbe stato stupido farlo senza prima chiederti il permesso.”
“Non ho bisogno di alcuna spiegazione. Tenere un segreto verso di te è stato stupido, me ne rendo conto.”
“Voglio comunque farti capire perché” insistette. “E soprattutto che non farò mai più niente che ci si avvicini.”
Io la guardai negli occhi diversi istanti. Poi annuii.
“Una settimana fa, Calliope, mi hai chiesto di darti ancora un po' di tempo. E da allora io mi sento sull'orlo del precipizio. Sto facendo del mio meglio per riuscire a non cadere, ma non so per quanto ancora riuscirò a rimanere nel dubbio.”
Sospirai. “Questa cosa che ho fatto...”
“Non si tratta di quello.”
La guardai, confusa.
“Non si tratta di quello che hai fatto, del tuo passato. Credo davvero in quello che ti ho detto, Calliope. Non c'è niente del tuo passato che potrebbe farmi desiderare di non essere una parte del tuo futuro.”
Scossi la testa.
“Questa faccenda è grande, Arizona. Enorme. Ho sempre avuto l'impressione che un giorno mi avrebbe distrutto. E non mi sbagliavo. Mi sta già distruggendo. E non so come potrei evitarlo, onestamente. So solo che è qualcosa che va contro la semplice volontà, mia o tua, per quello che importa. È qualcosa che potrebbe spingerti a odiarmi. Anzi, quasi sicuramente, quando avrò finito, mi odierai.”
Scosse la testa, ma io non lasciai che mi interrompesse.
“E voglio che tu sappia che io lo capirò. Non mi andrà a genio, ma lo accetterò.”
“Come fai ad esserne così sicura?” chiese, perplessa.
“Perché questa storia parla anche di te.”

Bussò alla porta di casa mia.
La pioggia aveva ormai bagnato i suoi abiti ed il suo viso, quando aprii.
“Jane. Entra” la invitai. “Sai, stavo giusto aspettando una visita da parte tua, uno di questi giorni.”
“Come ci sei riuscita?”
“Non è il caso di preoccuparsi di quello. Vieni. Mettiti a sedere.”
La feci entrare in soggiorno, ed accomodare sul divano.
“Ti prendo dei vestiti asciutti.”
Aspettai che si cambiasse. Non era saggio, a quarant'anni passati, rimanersene in panni bagnati più dello stretto necessario.
“Cosa vuoi che faccia?”
Osservai la strada davanti casa dalla finestra. Le spalle rivolte nella sua direzione.
Iniziai a picchiettare con un dito sul davanzale della finestra, pensando alle parole appropriate da usare.
“Non credo che tu capisca la gravità della situazione.”
“Sì. Sì, la capisco, invece.”
“Davvero?”
“Sì. E mi pento per quello che ho fatto. Ma che senso ha cercare una vendetta? A cosa ti porterebbe, se non ha causare altro dolore a persone che non hanno mai fatto niente di male, che non hanno alcuna colpa?”
“Ed io che colpa avevo?” tuonai, voltandomi. “Cosa ho fatto di così terribile da meritarmi questo destino?”
Non rispose. Invece, abbassò lo sguardo in direzione nel pavimento.
“Hai strappato la mia anima alla mia volontà, imprigionandola dentro una semplice cornice d'oro.”
Mi guardò di nuovo negli occhi.
“Credevo fossi d'accordo con me, quando ho detto che una cornice d'oro sarebbe stata in grado di prendersi cura di un'anima meglio di quanto una qualsiasi cornice di ossa e carne avrebbe mai potuto fare.”
“Ero d'accordo, infatti” risposi, tornando a guardare fuori dalla finestra. “Ma non pensavo che quell'anima sarebbe dovuta essere la mia.”


“Se non ti riferivi al mio passato, cos'è che ti fa sentire sull'orlo del precipizio?” chiesi, divorata dalla curiosità.
“Hai detto che non sei tu. La persona con cui passerò il resto della mia vita” chiarì. “Ma io non voglio sentirmi dire niente del genere. Credo fermamente che sia tu, Calliope. E volevo dimostrare a me stessa che, qualunque segreto ci fosse stato, seppellito da qualche parte nel tuo passato, non avrebbe fatto alcuna differenza per me. Volevo dimostrarti che puoi fidarti di me. Che io sarò qui, qualsiasi cosa accada.”
Mi prese una mano.
“Beh, ammetto che non è stata la migliore idea convincerti a fidarti di me nel modo in cui ho provato a farlo.”
Io ricambiai il sorriso che aveva sul viso, baciandola poi sulla mano.
“Promettimi solo che potrò scegliere io se lasciarti o no” mi pregò. “Promettimi che non te ne andrai per il mio bene, perché, onestamente, sarebbe la più grande cavolata mai sentita. Tu sei il mio bene. Per la prima volta in vita mia, sono felice. E non sono pronta a rinunciare a quello che abbiamo.”
“Neanche io” confessai. “Per questo ho aspettato così tanto a parlartene. Perché non volevo perderti” sospirai. “Non potevo perderti. Non posso ancora adesso. Ma accetterò qualsiasi sia il modo in cui vorrai gestire questa situazione.”
“Bene.”
“Mi dispiace non avertene parlato prima, è importante che tu capisca questo prima che inizi. Non avevo mai messo in programma di diventare una parte della tua vita. Per questo non ho detto niente, all'inizio. E poi le cose sono diventate sempre più difficili. E da allora non sono mai riuscita a costringere me stessa a rinunciare a te.”
“Sono felice che tu non l'abbia fatto. Neanche io sono pronta perché tu rinunci a me.”
Io la abbracciai, baciandola sulla testa.
“Sono pronta. Dammi solo un bacio” la pregai.
Assecondò quella mia richiesta.
Quando mi allontanai da lei, iniziai a cercare tra i miei ricordi, pensando a quale sarebbe stato il modo migliore di iniziare.
Poi, capii che non c'era un modo appropriato per iniziare a raccontare qualcosa del genere, avrei solo dovuto iniziare.
Sospirai, passandomi una mano sulla fronte.
“D'accordo. La storia è iniziata quando avevo diciannove anni e i miei genitori mi portarono ad un ballo. Era il 1894.”
Capì. Finalmente, capì.
Lasciò andare le mie mani, senza dire niente.
Mi fece raccontare la storia senza interrompere.

“Hai il quadro. Non ho più armi contro di te. Adesso sei immortale” sussurrò. “Cosa mai potresti volere da me?”
“Come ti ho già detto, non credo che tu capisca la gravità della situazione.”
“Allora spiegami.”
“Hai portato via la mia anima senza il mio consenso. Non è qualcosa che si può fare senza aspettarsi delle conseguenze.”
“Quindi?”
“Voglio invecchiare. Voglio un'anima. Voglio essere in grado di morire e andare in un posto che sia migliore di questo” mi guardai attorno. “Un posto che sia giusto, un posto dove poter essere felice.”
“È quello che vogliamo tutti noi, Callie.”
“E tu me lo hai portato via.”
Cadde il silenzio. Mi voltai di nuovo verso di lei, sedendomi nel divano di fronte a quello dove era seduta lei.
“Voglio un'anima” ripetei.
“Prendi la mia.”
“La tua? No. La tua anima ha vissuto, ha commesso errori, ha ferito altri esseri umani. Voglio andare in un posto che sia migliore. Ho bisogno di un'anima che me lo permetta, Jane. Per questo voglio la sua.”
“Ti prego. Non prenderti l'anima di mia figlia, Callie. Ha solo dieci anni. Non lei. Ti prego. Non lei.”
Io annuii.
“Ti ho detto che avresti potuto scegliere. Quindi scegli. Posso prendere l'anima di tua figlia, oppure posso prendere l'anima della figlia di sua figlia.”
“Ha dieci anni. Non ha una figlia.”
“Non ancora. Ma un giorno l'avrà. Questo ti darebbe più tempo. La tua famiglia sarebbe salva ancora per qualche anno. Nessuno verrebbe mai a conoscenza del perché. Si penserebbe ad un tragico incidente.”
“Perché mi stai dando questa possibilità?”
“Perché, nel frattempo, posso vivere una vita senza dovermi preoccupare della mia anima. Posso farne ciò che voglio, non sarò io a doverne pagare le conseguenze.”
“Callie, sii ragionevole. Come posso fare qualcosa del genere?”
“Non c'è scelta più facile al mondo, in realtà. L'anima di tua figlia o quella della nipote di tua figlia. Non mi sembra che ci sia niente di troppo difficile da risolvere. Io saprei immediatamente cosa fare.”
“Se ti concedo l'anima di mia figlia, sarò devastata. Verrà fuori la verità. Tutto mi crollerà addosso. Ma se ti concedo l'anima della mia pronipote, tu avrai vinto. Avrai almeno un secolo in cui poter macchiare la tua anima con ogni tipo di colpa senza mai doverne pagare le conseguenze, né nel tuo aspetto fisico, né nella vita che ci attende oltre la morte. Perché dovrei stare alle tue condizioni?”
“Perché non hai altra scelta. Davvero vuoi darmi l'anima della tua stessa figlia?”
Non rispose.
“Come pensavo” sussurrai.
“Che devo fare?” si arrese alla fine.
“Facciamo un patto” proposi. “La forma di accordo più antica del mondo. Una semplice promessa, legata alle nostre vite.”
Annuì, guardando in basso.
“Mi concedi l'anima della tua pronipote. Entro il giorno del suo trentesimo compleanno, io reclamerò ciò che mi appartiene. Altrimenti, se lei sopravviverà a quel giorno con la sua anima, io morirò, portandomi dietro la mia.”
Tesi la mano nella sua direzione.
Lei la guardò con riluttanza.
Poi alzò gli occhi su di me. E di nuovo, li spostò verso il mio braccio teso. Sapevamo entrambe che non aveva scelta.
Poi strinse delicatamente la mia mano con la sua.
“Andata.”


Continuai a fissare il cielo scuro e nuvoloso della notte di Seattle, dando le spalle al divano del mio soggiorno.
“Questa è la storia. Jane ha raccontato a sua figlia tutto quanto il giorno del suo diciottesimo compleanno. Mary, a sua volta, ha avuto una figlia. L'ha chiamata...”
“...Barbara” intervenne.
Ci fu una breve pausa.
“A cui a sua volta ha raccontato la storia il giorno del suo diciottesimo compleanno. E Barbara ha sposato il Colonnello Daniel Robbins, dando alla luce una bambina.”
“Me” concluse, senza che ce ne fosse bisogno.
Ascoltai la pioggia picchiettare con ritmicità sul vetro della finestra a cui ero affacciata.
L'avevo appena persa.
L'avevo appena lasciata libera.
“Perché non mi hai ancora ucciso, allora?”
La sua voce era più vicina di quello che mi aspettassi. Mi voltai, vedendo che si era alzata e, invece di iniziare a correre a perdifiato il più lontano possibile da me, aveva fatto qualche passo nella mia direzione.
“Non è così che funziona.”
“E come funziona?”
“Lascia stare. Non è questo il motivo per cui ti ho raccontato la storia.”
“Conoscevo già la storia” mi fece notare.
“Perché sei ancora qui?” chiesi allora. “Scappa. Vattene. Vai via, Arizona. Sparisci. E non guardarti indietro.”
“No. C'è qualcos'altro. Qualcosa che non mi stai dicendo. Altrimenti non saremmo qui a discuterne, giusto?”
Ci fu una lunga pausa. I suoi occhi fissi nei miei.
“Perché non mi hai ucciso?” domandò di nuovo.
“Non dovevo ucciderti” risposi, avvicinandomi a lei di un paio di passi.
“E allora cosa avrei dovuto fare, per salvare la tua anima, Calliope?”
Distolsi lo sguardo.
“Se qualcuno distrugge il quadro, io muoio.”
“Lo so. Mia madre me lo ha detto.”
“Ma se tu lo distruggi” continuai “allora la tua anima passerà a me e la mia, corrotta, sporca, indegna, ucciderà te.”
La guardai finalmente di nuovo negli occhi.
“Quindi adesso che succede?”
“Niente. Non succede niente, Arizona. Tra sei mesi compirai trent'anni. Se trovassi nel tuo cuore la forza di perdonarmi per quello che ho tentato di fare, potremmo avere ancora qualche mese insieme.”
“E poi, cosa? Distruggo il quadro, tu ottieni l'anima che vuoi ed io muoio?”
“No, Dio” scattai. “Come puoi dire qualcosa del genere? Come puoi anche solo pensare che ti farei qualcosa del genere? Ho aspettato trent'anni solo per poterti parlare e...”
“Hai aspettato trent'anni?”
Io mi bloccai. Non si supponeva che lei sapesse.
“Questa è la parte che mi manca della storia, non è vero?”
Mi voltai di nuovo verso la finestra.
“Per prima cosa, domani mattina, porterò quell'affare il più lontano possibile da te. Avrei dovuto spostarlo tempo fa. Non ti voglio nelle sue vicinanze.”
“Quindi intendevi questo, quando hai detto 'lei'? La tua anima?”
“Sì.”
“Calliope” chiamò con decisione.
Io mi voltai di nuovo, incrociando il suo sguardo ancora una volta.
“Finisci la storia.”
“Non è importante.”
“Lo è per me.”
Sospirai, sedendomi sul divano. Lei mi si sistemò davanti, aspettando che finissi di raccontarle la storia.
Appoggiai il gomito sul bracciolo alla mia sinistra, sistemando il mento sul palmo della mano. Mi persi velocemente in quel ricordo, lo sguardo distante.
“Ventinove anni e sei mesi fa, il giorno in cui sei nata, andai a casa dei tuoi genitori. Non avevo resistito alla curiosità di vederti. Il piano era chiaro. Ti avrei fatto crescere abbastanza e poi ti avrei portato in una strada buia. Un paio di minuti, avresti distrutto il quadro se te lo avessi chiesto con le giuste parole. E tutto sarebbe finito. Ma poi...”

Era come se tutto attorno a me si muovesse a un milione di chilometri l'ora, mentre io non riuscivo neanche a respirare normalmente.
Non avevo mai visto qualcuno bello quanto lei. Il modo in cui mi aveva tolto il respiro, il modo in cui i suoi occhi guardarono dentro i miei, mi congelò all'istante.
Doveva per forza essere la cosa più bella mai esistita, non c'era storia.
Nonostante quello che tutti mi avevano detto di me stessa nel corso degli anni, non avevo mai avuto la stessa sensazione guardando allo specchio. Io non ritenevo me stessa perfetta, molto lontano dall'esserlo, anzi. Eppure gli altri sembravano pensare che lo fossi.
Quando la vidi, per la prima volta, capii cosa volesse dire vedere qualcosa di assolutamente perfetto.


“Ma poi ho visto i tuoi occhi per la prima volta.”
Sorrisi, non riuscii ad evitarlo. Era una memoria a cui ero particolarmente attaccata.
“Non potevo portare via la tua anima. Eri soltanto una bambina. Tu eri la perfezione. Questa è la verità. Quella perfezione completamente pura che ho cercato tutta la mia vita e che ho trovato solo in te.”
Lei si spostò, venendo a sedersi accanto a me.
“Allora il mio piano è cambiato. Ho aspettato che crescessi. Tutto ciò che volevo era poter avere un assaggio di quella perfezione che perfino qualcuno come me, qualcuno...danneggiato, era stato in grado di vedere. Ho aspettato che crescessi e sapevo che il destino ti avrebbe portato da me perché mantenessi la promessa fatta dalla tua bisnonna.”
“Tutta la tua vita, ogni singola scelta che hai fatto, è stata guidata perché tu potessi essere qui, in questo esatto momento, in questo esatto posto, per incontrare me. È questo che intendevi, quella sera?”
Annuii. “Ti ho detto anche qualcos'altro, quella sera. Ciò che oggi consideri fortuna, può diventare sfortuna ad un anno da adesso. Viceversa, quella che consideravi una maledizione un secolo fa, adesso potrebbe diventare la cosa migliore che ti sia mai capitata. Ho odiato la mia maledizione per quasi un secolo, Arizona. Ma il giorno in cui ho visto i tuoi occhi per la prima volta, ho ringraziato che la mia anima fosse stata fatta a pezzi, perché distruggendo me stessa, ho avuto la possibilità di incontrare te.”
“Quindi non hai mentito, su di noi?”
Scossi la testa con un piccolo sorriso.
“No. Come avrei potuto? Ti ho amato per trent'anni. E dal giorno in cui sei nata, ho passato ogni ora della mia vita a cercare di essere migliore, di essere il tipo di persona che tu avresti potuto amare. Prima, il quadro, era diventato...raccapricciante” confessai in un sussurro. “La persona lì dentro mi guardava, gli occhi duri, un sorriso malvagio sulle labbra, egoismo e vecchiaia sul viso, i sette peccati capitali erano diventati con il tempo chiaramente visibili nella sua figura. Quando ho iniziato a rimettermi in sesto, in qualche modo, è come se ciò che avevo fatto mi fosse stato perdonato. Ho salvato vite, da allora, facendo il chirurgo. Ho trattato me stessa e gli altri con rispetto. E il ritratto non è diventato che quello di una donna di quasi centoquaranta anni, ma dal viso tranquillo.”
Le sfiorai la mano.
Lei afferrò la mia, stringendola forte.
“Hai salvato la mia anima, Arizona. E forse non è abbastanza perché ci sia un posto migliore in attesa per me, ma almeno so di aver tentato. E ti ringrazio.”
Scosse la testa.
“Avresti dovuto vedere Addison. Quando lo ha visto, l'ultima volta che è stata qui, un paio di settimane fa, si è quasi commossa. Mi ha abbracciato e mi ha detto di essere fiera di me” sorrisi appena.
“Addison lo sapeva?”
Annuii.
“L'unica altra persona al mondo che sapeva tutta la storia, era Jennifer. Jane le raccontò la verità, ma solo dopo che lei mi ebbe consegnato il quadro. Jennifer raccontò la storia alla figlia, Mia. È con lei che ho passato la maggior parte della mia vita. Ero come una zia, per lei. Jennifer e Mia avevano capito perché avevo fatto quello che avevo fatto. Ma quando presi una brutta strada, decise che non avrebbe mai raccontato niente a sua figlia, per salvarle il dolore di vedermi autodistruggere. Poi, una ventina di anni fa, sul letto di morte, dopo aver visto quanto duramente mi stavo impegnando per tornare sulla retta via, decise che avevo bisogno di qualcuno che mi stesse affianco ogni passo del cammino. Chiamò la nipotina di diciotto anni, figlia della sua unica figlia femmina, Bizzy Forbes. Quando morì, una ragazza dai capelli rossi si presentò alla mia porta. Ancora prima che potesse parlare, riconobbi i familiari occhi di Jennifer, molto simili a quelli di Jane. Addison Forbes Montgomery è rimasta al mio fianco da allora. Ha otto anni più di te, tecnicamente, Mia è morta quando tu avevi dieci anni, molto tempo dopo Mary. Tua madre ha pensato che sarebbe stato meglio prendere le distanze da quel ramo della famiglia. Per ovvi motivi, certo.”
Non disse nient'altro. Appoggiò la testa sulla mia spalla, lasciandosi abbracciare.
“Mi dispiace di essere stata il più grande incubo della tua vita.”
“Quella era solo l'idea che mi avevano dato di te. Ma tu? Tu sei stata il mio sogno che diventa realtà, Calliope.”
“Allora mi permetterai di rimanere con te?”
“Ad una condizione.”
“Quale?”
“Voglio vederlo.”
Mi spiazzò. E non poco.
“Arizona...”
“Addison l'ha visto, giusto? Non sarà così tremendo.”
“Non credo sia una buona idea.”
“Perché no?”
Non trovai nessuna risposta soddisfacente.
“Ok. Ma devi promettermi che non proverai a distruggerlo.”
Corrugò la fronte.
“Non fare la finta tonta, so che ci stai pensando. Darmi una seconda occasione, la tua anima, la tua vita. Ma non voglio che tu lo faccia, mi hai sentito? Devi promettermelo.”
Mi guardò negli occhi per diversi secondi.
“Te lo prometto.”
Con mia estrema riluttanza, entrammo di nuovo all'interno della stanza in cui lo tenevo.
Non mi piaceva guardarlo. Lo facevo solo quando ne sentivo il bisogno. Mi avvicinai con circospezione, tenendo sempre d'occhio la posizione di Arizona, pronta ad intervenire al minimo movimento.
Presi la stoffa tra le dita e, lentamente, la feci scivolare a terra.
Trasalii. Lei si avvicinò di un passo.
“Credevo avessi detto che assomigliava a una tranquilla vecchietta di centoquaranta anni.”
“Era così due settimane fa” spiegai, osservando la tela con attenzione.
“E cos'è cambiato da due settimane fa?” domandò.
“Non lo so.”
“Qualcosa deve essere successo” tentò di razionalizzare.
L'immagine che stavamo guardando, raffigurava una donna dall'espressione serena. Non c'era più quel sorriso beffardo e in lei non c'era traccia delle colpe che avevo commesso nel corso del secolo precedente. Eppure, qualcosa era cambiato.
La donna che vedevamo, di certo non poteva avere centoquaranta anni. A malapena, ne aveva un centinaio.
“Mi hai detto di essere innamorata di me” realizzò all'improvviso.
“No, quello aveva già migliorato il quadro a suo tempo” le spiegai. “Non è una novità, per la mia anima, essere innamorata di te.”
Poi, all'improvviso, capii.
“No, tu mi hai detto di essere innamorata di me. E non posso credere che tu non abbia ancora cambiato idea.”
“Te lo ripeterò per la terza volta, Calliope, e spero che tu riesca a capirlo, adesso. Non c'è niente del tuo passato che potrebbe farmi desiderare di non essere parte del tuo futuro.”
“Arizona, io non ho alcun futuro. Ma quello che il tuo amore ha fatto alla mia anima è...stupefacente. Non riesco a crederci” continuai ad osservare l'immagine davanti a me, ascoltandola parlare solo vagamente.
“Per tutta la mia vita ho immaginato la donna di cui mi aveva parlato mia madre come qualcuno di mostruoso. Qualcuno in grado di barattare la propria anima, la propria vita. Non avevo mai capito che razza di persona avrebbe potuto farlo. Ma, prima che la tua anima ti fosse portata via, e anche adesso se è per questo...tu sei una brava persona. Avevi ragione. Meriti di avere indietro quello che hai perso, Calliope. Niente potrebbe mai farmi pensare il contrario, perché io riesco a vedere chi sei davvero. È una fortuna, quindi, che io sia proprio l'unica persona al mondo che può darti una seconda occasione.”
Avanzò velocemente in direzione del quadro, ma io fui più veloce. E il fatto che fossi anche più forte e qualche centimetro più alta, mi permise di sollevarla e portarla fuori dalla stanza prima che potesse fare qualcosa di stupido.
“Avevi promesso” sbattei la porta e la chiusi a chiave, togliendo poi il piccolo oggetto dorato dalla toppa e mettendomelo in tasca.
Scosse la testa, guardando verso la tasca dentro cui avevo messo la chiave.
“Arizona” dissi il suo nome con forza, facendole alzare gli occhi verso i miei. “Avevi promesso” ripetei.
“Jane ha preso la tua anima. Sto pagando il suo debito verso di te, con la mia.”
“Tu proprio non capisci, non è vero? La tua anima, per me, vale un miliardo di volte tutto questo, Arizona” feci un gesto per indicare ciò che avevamo intorno. “E un miliardo di volte ancora, qualsiasi cosa potrebbe esserci di meglio di questo.”
Le presi le mani tra le mie.
“Farei qualsiasi cosa per renderti felice.”
Lei mi baciò con rabbia, come se non avesse sentito nemmeno una parola di quello che le avevo appena detto.
Mi arresi. Non c'era niente che avrei potuto dire o fare che le avrebbe fatto capire come mi sentivo riguardo tutta quella situazione.
Una sua mano abbandonò la mia e si posò sul mio fianco.
Usai la mano libera per accarezzarle una guancia. Mi chiesi se quello sarebbe stato il nostro ultimo bacio, e ricacciai indietro le lacrime.
Sentii la mano che aveva sul mio fianco spostarsi verso il basso, finché...
“Quasi.”
Terminai il bacio, afferrandole il polso e facendole alzare la mano, impedendole di arrivare alla chiave che aveva provato a rubarmi.
“Bel tentativo, comunque.”
“Calliope...”
“Vai via, adesso” lasciai andare il suo polso.
“No. No, ti prego” si sorresse alle mie spalle.
“Perché? Perché vuoi così tanto che io abbia una seconda occasione, a tal punto da strapparti via l'unica che è stata data a te?” sussurrai, mentre lei nascondeva il viso contro la mia spalla, alzandosi in punta di piedi a causa della differenza che avevamo in altezza.
“Perché io ti amo” venne la risposta tranquilla. “Io ti amo.”
“Non lo rimpiango, Arizona” sussurrai, accarezzandole i capelli lentamente. “Niente di ciò che è successo. Perfino gli sbagli che ho fatto e che cancellerei se potessi, perché ogni passo, ogni secondo, ha portato a questo. Ogni mio errore, ha portato a te.”
La baciai sulla tempia.
“Avremmo potuto non trovarci mai. Io e te, avremmo potuto non trovarci mai. La mia anima è stata un piccolo prezzo da pagare.”
“Hai detto che vuoi che sia felice, giusto?”
“Sì, ma...” non le avrei permesso di avvicinarsi di nuovo al quadro.
“Sposami.”
Trattenni il fiato. L'aveva appena detto sul serio?
Le afferrai le spalle, allontanandola il minimo indispensabile per poterla guardare negli occhi. “Sposami” ripeté, nessuna traccia di domanda nella sua voce.
I suoi occhi blu di cui mi ero innamorata due volte mi guardavano, velati di lacrime.
“Ad una condizione. Non proverai mai più a toccare quella cosa.”
“Abbi rispetto, Calliope. Non parlare così dell'anima della donna che amo.”
Mi prese il viso tra le mani, baciandomi.

“Pronto?”
“Addison.”
“Callie, ciao. Che succede?”
“Ho bisogno che tu venga a Seattle.”
“Oggi?”
“Il prima possibile” confermai.
“Per fare cosa?”
“Devi farmi da testimone.”
“Testimone?”
“Testimone di nozze.”
Cadde il silenzio.
“È lì con te?”
“Sei in viva voce” confermai.
“Ci sono solo io come testimone?”
“Sì. Va bene così. Io e te, comunque sia, siamo imparentate, giusto?” rispose Arizona, tenendomi la mano con la sua.
“Giusto” capì al volo che le avevo raccontato tutto. “Credo che prima di fare qualsiasi cosa, dovresti parlare con i tuoi genitori.”
“No, va bene così. Non possiamo permetterci di perdere neanche un minuto. I miei genitori ci metterebbero giorni ad arrivare.”
“Non se gli dicessi chi stai sposando.”
“Addison, vieni a Seattle e basta” le disse con fermezza. “Entro domani sera saremo sposate. Con te, o senza di te.”

Addison non era lì.
E Arizona non aveva intenzione di aspettare neanche un secondo di più.
Entrammo nell'ufficio del giudice di pace per firmare il contratto che mi avrebbe reso sua moglie.
“Ho bisogno di un documento di identità” ci disse dopo che gli ebbi consegnato la domanda ufficiale.
Entrambe lo facemmo senza esitare.
“Ok, sembra tutto in ordine. Siamo qui oggi per un'unione civile. Ripetete dopo di me. Io, Calliope Torres, prendo te, Arizona Robbins, come mia sposa.”
“Io, Calliope Torres, prendo te, Arizona Robbins, come mia sposa.”
“Io, Arizona Robbins, prendo te, Calliope Torres, come mia sposa.”
“Io, Arizona Robbins, prendo te, Calliope Torres, come mia sposa.”
“Volete aggiungere qualcosa?”
“Sì, giusto un paio di cose” la guardai negli occhi. “Arizona, tu mi hai mostrato per la prima volta cosa significhi vivere. E non che non abbia vissuto prima, anzi, è stato un viaggio lungo” ci scambiammo un sorriso complice. “Ma niente di ciò che ho vissuto prima mi ha mai dato l'impressione di essere viva davvero, finché tu non sei stata al mio fianco. Tu sei vita. Non saprei come spiegarlo meglio di così.”
Lei annuì, stringendomi le mani più forte.
“Calliope, tu hai il mio cuore. È sempre stato destinato ad essere tuo. Da oggi, hai anche tutto il resto di me. Ti dono il mio cuore, la mia vita, e la mia anima.”
“D'accordo, firmate qui e qui, rispettivamente” ci indicò due fogli diversi.
Firmò senza la minima esitazione. Poi mi passò la penna.
Ti dono il mio cuore, la mia vita, e la mia anima.
Mi piegai. La punta della penna sfiorò la carta.
Ti dono la mia anima.
“Quasi.”
Sorrisi, raddrizzando la schiena e guardandola negli occhi.
“Bel tentativo. Di nuovo.”
Sospirò, quando capì che non avrei firmato.
“Dovevo almeno tentare.”
“Quindi era solo per questo?” chiesi appoggiando la penna sulla scrivania e voltandomi del tutto verso di lei. “Che volevi sposarmi?”
“Certo che no. Ti sposerei in un istante, e in ogni istante.”
“Bell'idea, però. Come ti è venuto in mente?”
“Ho pensato a come avrei potuto donarti la mia anima, se non...” lanciò un'occhiata al giudice, schiarendosi la voce. “Parliamone fuori di qui. Mi sembra evidente che non mi sposerai. Almeno, non oggi.”
Annuii. “Ci dispiace di averle fatto perdere tempo.”
Ci guardò andar via, confuso da quello che aveva appena visto e sentito.
“Allora, ho pensato all'unico modo che avevo per donarti la mia anima. E ho pensato, 'cavolo Arizona, le persone lo fanno ogni giorno. Sposala.' E così, eccoci qua.”
“Quindi in effetti era davvero solo per questo.”
“No. No, Calliope. Non farlo. Non sminuire quello che abbiamo. Ti sposerei. E a rigore di logica, ci sono altre cose che avremmo dovuto fare prima, se fossimo andate in ordine. Come comprare un appartamento. Andare a vivere insieme. Comprare un cucciolo. Eppure ti avrei sposato, anche oggi, anche senza tutta la storia del quadro.”
“Adesso che facciamo?”
“Non lo so. Credo sia il momento di smetterla di tentare di costringerti ad accettare la mia anima e provare a pensare insieme a come riuscire a sopravvivere. Entrambe.”
“Callie!”
Era la voce di Addison?
Mi voltai. Tre persone stavano correndo lungo il corridoio. Noi eravamo ancora in piedi nella sala d'aspetto.
“Grazie a Dio sono ancora in tempo” la voce era affannata a causa della corsa. “Non farlo. Se la sposi lei...”
“Già. Troppo tardi. Ho capito che aveva in mente e mi sono rifiutata di firmare le carte.”
Lei guardò prima l'una poi l'altra per diverse volte. Alla fine, quando capì di avercela fatta in tempo, si lasciò cadere seduta in una delle sedie.
“Beh, tutto è bene quel che finisce bene” sospirò, tentando di riprendere fiato.
“Ehm, Addison, io sto ancora morendo” le feci notare.
“Oh, giusto. Quello. Beh, dammi due minuti e poi cercheremo una soluzione.”
L'uomo arrivato insieme a lei si schiarì la voce.
“Colonnello” gli tesi la mano. “È un piacere vederla di nuovo.”
Lui mi fissò negli occhi senza fare nessun movimento che suggerisse che avrebbe accettato la mano che gli stavo porgendo. Io annuii, ritraendola.
“Avevi promesso che saresti stata lontano da lei” mi fece notare Barbara.
“E l'ho fatto. È lei che ha trovato me, tecnicamente.”
“Perché era destinata a trovarti. Ma tu avevi promesso che l'avresti lasciata a andare.”
“Ed è quello che sto facendo. La sto lasciando andare. Ha provato a distruggere il quadro e non le ho permesso di farlo, ha provato a tendermi una trappola con una proposta di matrimonio improvvisa, e io ho evitato anche quella. Che altro dovrei fare?”
“Andar via. Uscire dalla sua vita.”
“La seguirei in capo al mondo” rispose Arizona, con decisione.
“Tesoro, non capisci. Lei è...”
“Lo so. So tutta la storia. So quello che è successo il giorno del mio compleanno e...” inspirò profondamente. “Ho visto il quadro. L'anima di Callie può ancora essere salvata. Deve esserci un modo perché io riesca a portarla indietro.”
“Arizona, questo è ridicolo” intervenne suo padre.
“Papà” rispose Arizona, senza mancare un battito. “Mi hai cresciuto per essere un brav'uomo nella tempesta. E per tutta la mia vita, non ho capito cosa cavolo significasse di preciso. Ma lo capisco, adesso. Questa è la mia tempesta. Ed io devo essere il brav'uomo.”
L'amore nei suoi occhi, il coraggio nella sua voce. Arizona mi amava. Ed io l'avrei distrutta, cercando di non farle del male.
“No, i tuoi genitori hanno ragione” intervenni, con lo sguardo fisso a terra. “Dovrei solo...Devo andarmene. Tra pochi mesi sarò morta in ogni caso. Dovresti andare avanti con la tua vita ed essere felice.”
“No. Ne abbiamo parlato. Sai che non...”
“Arizona.”
Smise di parlare.
Le presi le mani tra le mie.
“Prenditi cura di te stessa.”
La guardai negli occhi, assicurandomi che capisse.
Feci un cenno della testa ad Addison, che mi seguì verso l'uscita.
“Hai qualcosa in mente, non è vero?”
“Sì. Ma non ti piacerà.”
“Come fai a saperlo?”
“Istinto. Ti piacerebbe se il piano finisse con la mia probabile morte?”
“Hai ragione. Non mi piacerà.”

“Vieni. Devi vederlo.”
Aprii la stanza e, per la prima volta in assoluto, non mi venne da vomitare.
Tirai via la stoffa con uno strattone.
“Cavolo.”
“È anche meglio di ieri. Credo sia perché ho deciso di lasciarla andare. Anche se il mio profondo egoismo mi diceva che avrei dovuto rimanere con lei.”
Si avvicinò alla tela, sfiorandola delicatamente.
“Quanti anni avrà? Ottanta?”
“Credo.”
“Callie è...meraviglioso. Incredibile, perfino.”
“Già.”
“Qual'è il piano?” chiese, uscendo improvvisamente dal trance in cui era caduta.
Io invece continuai a fissare il quadro, consapevole dei suoi occhi su di me.
“Non c'è nessun piano, Addison” le spiegai. “Questo qui è il piano” sussurrai. “Devo solo allontanarmi da lei, devo solo lasciare che sia felice. Ecco il maledetto piano. Se sarò fortunata abbastanza, lei riuscirà a dimenticarsi di quanto è stata in grado di amarmi senza dimenticarsi però di me.”
“Callie...”
“Andiamo, adesso. Quest'affare mi dà ancora i brividi.”
Chiusi la porta a chiave, subito prima di sentire qualcuno bussare insistentemente alla porta dell'appartamento.
Addison tirò fuori il blocco da disegno che si portava dietro ogni volta, sedendosi sul divano.
Aprii la porta.
“Non dovresti essere qui.”
“Non ti è permesso arrenderti” rispose, senza minima traccia di incertezza. “Non ti è permesso rinunciare a noi.”
I suoi occhi rossi mi dicevano che doveva aver pianto.
“Arizona, dico sul serio. Non dovresti essere qui.”
“Stronzate” spalancò la porta, entrando senza nemmeno guardare una seconda volta nella mia direzione. “Devi aiutarmi” disse, mettendosi in piedi davanti ad Addison. “Non posso perderla” le disse con risoluzione. “Forse se la sua anima torna ad essere dell'età giusta entro il mio compleanno...”
“Arizona” mi avvicinai, portandola verso la finestra e prendendole le mani con le mie. Non incrociò il mio sguardo. “Guardami” le domandai. “Amore, guardami” strinsi di più le sue mani, finché alzò gli occhi verso i miei. A quel punto le rivolsi un mezzo sorriso. “Tu non mi stai perdendo. Non mi perderai mai. Sei l'amore della mia vita. Una vita molto, molto lunga e a tratti non esattamente bella. Ma, non di meno, sei l'amore della mia vita. Non si può perdere qualcosa del genere. Non lo perderemo mai, neanche quando un giorno non mi amerai più. È qualcosa che non cambierà, né con il tempo, né quando amerai qualcun'altra. Ho avuto poco tempo, è vero, e ne avrei voluto di più, ma, Arizona, un'intera eternità al tuo fianco ancora non sarebbe stata abbastanza. Non c'è tempo che si avvicinerebbe ad abbastanza.”
Notai Addison muoversi, ma non feci troppo caso a ciò che stava facendo.
“Non ho più paura della morte. E so che la mia anima è salva, perché sarà per sempre con te. E l'unica cosa che mi mancherà di questa vita, sono le persone che amo. E che posso contare sulle dita di una mano. E più di tutto, mi mancherai tu. Ma è così che deve andare a finire. Mi dispiace, e lo cambierei se potessi, ma non posso. Non posso darti quello che vuoi. Mi dispiace.”
“No, non rinunciare. Non ancora. Dammi solo un altro po' di tempo. Solo...”
“Arizona, non c'è altro tempo.”
“Possiamo trovare una soluzione. Possiamo farcela.”
“Non c'è una soluzione. Mi dispiace.”
“Smetti di dire che ti dispiace” aveva le lacrime agli occhi. “Di cosa ti dispiace? Di esserti innamorata di me?”
“No, Arizona, sai che non è quello che intendevo.”
“Allora, cosa? Cosa ti dispiace? Ti dico io per cosa dovresti scusarti. Per avermi mentito, tanto per cominciare. E per aver scambiato la mia anima e la tua come figurine da gioco.”
“Arizona...”
“E la cosa per cui dovresti scusarti più di tutto, è questa” puntò un dito verso il pavimento tra noi due. “Per avermi fatto innamorare di te a tal punto che adesso non riesco a...respirare...se penso che te ne andrai. Quindi se ti dispiace davvero, fai qualcosa per rimediare. Dimmi qualcosa che mi farà smettere di amarti, qualcosa che mi farà iniziare ad odiarti, qualsiasi cosa che possa farmi smettere di volere così disperatamente salvarti. Dimmi qualcosa che mi faccia cambiare idea.”
Io la guardai negli occhi per quella che sembrò un'eternità.
Quando parlai, la mia stessa voce mi risuonò incredibilmente tetra dentro le orecchie, come se non fossi io a parlare.
“L'ho uccisa.”
I suoi occhi si sgranarono leggermente per la sorpresa suscitata dalle mie parole. Spostò le spalle all'indietro, come se volesse allontanarsi da me, mettere più distanza possibile tra di noi.
“Cosa?” chiese in meno di un sussurro.
“Jane. L'ho uccisa” ripetei con voce calma. “La sera in cui era a casa mia. Era seduta sul mio divano e le ho chiesto” continuai a guardare in un punto alle spalle di Arizona “perché io?” scrollai le spalle per farle capire che pensavo fosse una domanda lecita. “Mi rispose che era solo...successo. Stava disegnando il mio viso senza difetti e la mia anima era in qualche modo rimasta intrappolata dentro il suo dipinto” spostai gli occhi dentro i suoi. Mi guardava, semplicemente confusa. “Così mi sono avvicinata. Le ho messo le mani attorno al collo, chiedendole come aveva fatto. Rispose che non ne aveva idea. Così ho stretto con più forza. Ha lottato, per un paio di minuti, ma...ero più forte, e qualche centimetro più alta. Così si è arresa. L'ho sentita smettere di respirare. Poi il suo sangue ha smesso di scorrere. E allora ho lasciato andare.”
Sapevo con certezza che la mia voce priva di espressione, il mio viso privo di emozioni, la stavano turbando.
“Non è stato niente di particolarmente spaventoso. Non è stato come mi ero immaginato che sarebbe stato uccidere qualcuno. Questo è quello che sono. Un'assassina. Pensi ancora di poter salvare la mia anima?” chiesi in tono piatto.
Lei si avvicinò di un passo, entrando nel mio spazio personale e rivolgendomi uno sguardo di ghiaccio.
“Quasi” sussurrò. “Bel tentativo, comunque.”
Ripeté le parole che le avevo detto io, alla fine un piccolo sorriso compiaciuto sfuggì alle sue labbra.
“Jane è morta a settantacinque anni suonati. Mia madre l'ha conosciuta.”
Mi morsi l'interno di una guancia.
“Smetti di mentire, Calliope.”
“Lo farò quando lo farai tu” ritorsi.
“Ragazze...”
“Quando mai io ho mentito?”
“Vuoi davvero andare a parare lì, piccola ladra di chiavi e organizzatrice di matrimoni-trappola?”
“Ragazze...”
“Erano bugie a fin di bene” si giustificò.
“E io ti ho detto solo quello che volevi sentirti dire” risposi.
“Ragazze” Addison riuscì finalmente ad attirare la nostra attenzione.
“Cosa?” domandammo insieme.
“Forse ho trovato una soluzione. Ma, Callie, non ti piacerà.”
La guardammo, entrambe perplesse.
Lei girò il blocco da disegno che aveva in mano, mostrandocelo. Sopra, disegnate a matita, c'eravamo io ed Arizona davanti alla finestra, le sue mani nelle mie.
“L'hai appena fatto? Così, in due minuti?” chiese la bionda, avvicinandosi e prendendo in mano il disegno. “È molto bello.”
“No. Scordatelo, Addison.”
“Se io ritraggo Arizona...”
“No” ripetei con decisione, facendole chiaramente capire che doveva smettere di parlare e non metterle in testa strane idee.
Lei si voltò verso Arizona.
“Se ti ritraggo, se ritraggo la tua anima, tu non compirai mai trent'anni. Tecnicamente, il quadro li compirà al posto tuo.”
“Ma come farai a mettere la mia anima lì dentro?”
Lei scosse la testa.
“Non so se posso. Ma...” si alzò in piedi. “Se vi sposate, se vi scambiate metà della vostra anima come volevi fare tu fin dall'inizio, metà dell'anima immortale di Callie dovrebbe finire in te, e metà della tua anima mortale, in lei. Sarete entrambe immortali, eppure entrambe ancora abbastanza mortali da poter sperare che esista qualcosa di meglio di questo mondo schifoso ad accogliervi, dopo la vita.”
“No. Non se ne parla. Scordatevelo. Fine della storia.”
Arizona mi guardò per diversi momenti. Poi si voltò verso Addison.
“Non può impedirti di dipingere un quadro.”
“Non può e non lo farà” confermò, con risolutezza.
“Ma posso rifiutarmi di sposarti. Non ti sottoporrò al mio stesso destino.”
“Calliope, ne ho avuto abbastanza. Dico sul serio. Se tu muori, io morirò insieme a te. È così tanto semplice. Come puoi non riuscire a capire cosa mi farebbe una cosa del genere? Sarebbe diverso se potessimo tornare indietro, se non ti avessi mai conosciuto, se non ti fossi innamorata di me, se non mi fossi innamorata di te, se avessi ancora la tua anima, se, se, se. Ma la vita non è fatta di 'se'. La vita è adesso. Ed io sto cercando di salvare la persona che più amo al mondo dalla morte. Puoi aiutarmi o puoi remarmi contro, ma in ogni caso ti assicuro, fosse l'ultima cosa che faccio, che io ti salverò. E ti costringerò a passare il resto della tua vita con me, a rendermi la persona più felice al mondo. Che Dio mi sia testimone, ci proverò con il mio ultimo respiro, dovessi legarti all'altare e costringerti a firmare uno stramaledetto pezzo di carta con Addison che tiene una pistola puntata contro la mia testa.”
Pensai fosse meglio non replicare.

“È troppo rischioso. Potrebbe non funzionare. Potresti morire. Niente ci assicura che il quadro avrà avuto alcun effetto.”
Entrambe mi ignorarono.
Continuai a percorrere ritmicamente la stanza in modo agitato.
“Voglio dire, potresti morirmi tra le braccia subito dopo esserci sposate. Come si suppone che mi senta a riguardo? Dovrei stare calma?”
“Zitta. Ecco come dovresti stare. Zitta. Qualcuno qui sta cercando di infrangere le leggi della natura, sarebbe carino un po' di silenzio per aiutare la concentrazione” mi disse Addison guardandomi negli occhi.
Sembrava volermi sfidare a parlare.
“Dico solo...”
“Callie.”
“Sto solo...”
“Callie.”
“Ok. Va bene. Silenzio” sospirai pesantemente, lasciandomi cadere sul divano.
Ero profondamente turbata dalla situazione in cui mi trovavo. Non volevo che Arizona si privasse di metà della sua anima solo per salvare me.
Capivo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, davvero, lo capivo. Ma capirlo non rendeva più facile accettarlo.
Ed io non lo accettavo. Affatto.
Mi rigirai la chiave dorata tra le mani per l'ennesima volta.
Dovevo vederlo. Solo un paio di minuti.
Dovevo solo vederlo e poi avrei saputo cosa fare.
Mi alzai all'improvviso.
Quando arrivai davanti alla porta percepii due paia di occhi puntati sulla mia schiena. Appoggiai la mano sinistra alla porta, infilando la chiave nella toppa.
Sentii il cuore martellarmi nel petto.
Non mi piaceva. Non mi piaceva per niente doverlo fare. Il mio stesso respiro irregolare mi risuonava nelle orecchie. Deglutii a vuoto più volte.
Il fatto che sapevo che due persone mi stavano guardando non aveva fatto che peggiorare le sensazioni che provavo di solito.
Mi voltai. Arizona era ancora immobile, le spalle nella mia direzione, Addison era del tutto concentrata sulla tela davanti a lei.
Eppure mi stavano guardando.
Aprii la porta lentamente, con circospezione. Entrai nella stanza, richiudendomela velocemente alle spalle. Poi rimasi immobile, la fronte appoggiata al legno, nell'attesa di sentirle parlare di me con delusione.
“Volta la testa leggermente verso sinistra” sentii Addison. “Perfetto.”
Rilasciai il respiro che avevo inconsciamente trattenuto.
“Credi davvero di poterci riuscire?” stavolta la domanda venne da Arizona.
“Onestamente, non lo so. Ma ho pur sempre il suo sangue che scorre nelle mie vene” fu la sincera risposta.
“Spero davvero che funzioni. Non sono davvero pronta all'alternativa. A perderla.”
Mi allontanai dalla porta, arrivando davanti alla pesante stoffa rossa. Tirai, rivelando la tela che giaceva sotto di essa.
Allungai una mano.
I capelli corvini un tempo dipinti sul quadro stavano iniziando a riemergere dal colore grigio che li aveva ricoperti tempo prima.
Sessant'anni? Cinquanta, forse. No, meno, parecchi di meno, non c'erano più rughe, non c'era traccia di quella vita che avevo indubbiamente vissuto.
Ma era passata meno di una settimana da quando Addison era arrivata a Seattle per il matrimonio, come era possibile che adesso il volto sulla tela avesse quarant'anni?
Che era successo?
Perché continuava a ringiovanire?
C'era qualcosa che mi sfuggiva.
Qualcosa che arrivò alla mia mente come una scarica elettrica improvvisa.
Ricoprii velocemente il quadro e mi precipitai fuori dalla stanza.
“Ok, ho finito. Non penso davvero di poter fare meglio di così.”
Mi avvicinai con circospezione.
“Aiutami, Callie. Portiamolo nell'altra stanza.”
Annuii.
Avevamo preparato un sostegno simile a quello del mio quadro a circa un metro di distanza. Ce lo appoggiammo sopra.
Non avevo bisogno di guardare. Sapevo cosa sarebbe successo. Tristemente, avevo capito con qualche minuto di anticipo rispetto a loro.
Mi spostai, mettendomi davanti al mio ritratto.
“Tienilo sempre al coperto, e in un posto poco umido.”
“Lo terrò insieme al tuo, se per te va bene.”
Annuii.
“Sarebbe bello da parte tua” sussurrai deglutendo. “Ricordarmi come mi vedi adesso” aggiunsi in un sussurro.
“Che vuoi dire?” chiese, tornando ad osservare il ritratto appena fatto da Addison.
Feci lentamente scivolare la mano destra dentro la mia tasca.
“Che diavolo...” Addison fece un passo indietro.
“Arizona ha dato la sua anima a me già molto tempo fa. Questo è il motivo per cui il quadro ha iniziato a ringiovanire. Non ero più io, capite? Come potevo avere meno della mia vera età, altrimenti?”
Osservammo mentre il quadro di Arizona mutava, i suoi lineamenti invecchiarono fino a mostrare una donna giunta al sereno inverno della sua vita.
Aveva un sorriso dolce sulle sue labbra. Lo stesso sorriso che io vedevo sul viso dell'originale ogni giorno.
Le nostre anime non erano più in equilibrio. Si erano toccate, mischiate, confuse. E adesso c'era uno squilibrio di anime.
E, l'anima umana di Arizona, stava entrando dentro me. Come stabilito dal patto che avevo fatto con Jane.
Tirai fuori la mano destra dalla tasca, in mano le chiavi dell'appartamento.
“Continuando di questo passo, prima del suo trentesimo compleanno, la sua anima sarà mia completamente.”
“Non c'è tempo da perdere, allora” dichiarò Addison. “Se vi sposate subito, avrete metà per uno sia dell'anima mortale di Arizona che di quella immortale di Callie.”
“Hai ragione. Non c'è tempo da perdere.”
Abbassai lo sguardo verso il portachiavi che avevo in mano. Un coltellino svizzero.
“Non posso rischiare che sposandomi il suo corpo si separi definitivamente dalla sua anima” sussurrai.
“No, non preoccuparti. Funzionerà.”
Si mise tra me e il quadro.
Fui veloce nel nascondere l'oggetto che avevo in mano dentro la mia tasca senza farla minimamente insospettire.
“Andiamo.”
Mi prese per mano, tirando finché non fummo entrambe fuori dalla stanza chiusa a chiave.
“Arizona...”
“Devi fidarti di me. Funzionerà.”
Inspirai. Guardai dentro i suoi occhi del colore del diamante e pensai che forse, solo forse, aveva ragione.
Forse sarebbe andato tutto per il meglio, forse avremmo avuto il nostro lieto fine.
Annuii.
E avevo già preso la mia decisione.

Non c'era altare, non c'era musica, e niente fiori.
Eppure l'importanza del momento non mi sfuggiva.
Addison avrebbe celebrato la cerimonia. Era simbolico, in fondo. Il vero matrimonio era un contratto, una firma su un foglio.
Ma volevo che per il resto della sua vita, Arizona ricordasse questo.
Me, in piedi, a guardarla venirmi incontro.
E mi tolse il fiato.
Fu come innamorarmi di lei per la terza volta.
Non avrebbe potuto essere più perfetta. Neanche se avesse provato, non avrebbe potuto. Non per me.
Stavolta non eravamo in jeans, come in comune.
Lei aveva un vestito bianco, semplice, che scendeva dolce lungo il suo corpo fino alle caviglie. Io avevo un vestito parecchio simile, solo con le spalline che al suo mancavano.
Ci scambiammo le fedi, guardandoci negli occhi.
La baciai.
Piano, a fior di labbra.
Era un bacio puro, casto, sacro in qualche modo.
Quando arrivammo a casa, le dissi che avremmo dovuto avere il nostro primo ballo. Avevo chiesto ad Addison di mettere nello stereo una canzone che ero sicura avrebbe apprezzato in quella situazione.

Time stand still, beauty in all she is.
I will be brave, I will not let anything take away
What's standing in front of me.
Every breathe, every hour has come to this.

“Questa canzone è spaventosamente azzeccata” mi fece notare.
“Già” sussurrai.
La verità era che stavo ascoltando solo vagamente.
Tenerla tra le braccia era sconvolgente, ogni volta.
E mi distraeva, ogni volta.

I have died, every day, waiting for you.
Darling, don't be afraid.
I have loved you, for a thousand years.
I'll love you for a thousand more.


“Immagina la faccia di Teddy quando le diremo che ci siamo sposate.”
Mi sorrise.
Spostai una ciocca di capelli dal suo viso.
Ero persa dentro i suoi occhi.
“Come?” chiesi, rendendomi conto che mi aveva appena detto qualcosa.
Lei mi guardò con curiosità.
Quando capì che ero stata distratta da lei, il suo sorriso si allargò.
“Niente” sussurrò, baciandomi.

All along, I believed I would find you.
Time has brought your heart to me
I have loved you, for a thousand years.
I'll love you for a thousand more.


Quando infine le ultime note della canzone sfumarono all'interno della stanza, mi guardò negli occhi, prendendomi una mano e portandomi verso quella che, da quel giorno, era la nostra camera da letto.

Ero sicura che dormisse.
Il suo respiro regolare era l'unica conferma che mi serviva.
La guardai a lungo, appoggiata su un gomito, sfiorandole i capelli e il viso. Era così che si era addormentata, tra le mie braccia, guardandomi negli occhi e sorridendo.
I miei movimenti rallentarono progressivamente fino a fermarsi del tutto.
Mi abbassai, baciandola sulla fronte, sul naso e sulle labbra, inspirando il suo profumo.
“Perdonami” sussurrai.
Chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di uscire.
Mi alzai, andando in soggiorno e prendendo un foglio, iniziando a scrivere tutto ciò che non ero riuscita a dirle.
Perdonami.
E, se riesci a perdonarmi, ricordati di me. Ricordati di quanto ti ho amato, di quanto hai cambiato la mia vita.
Ricordati di quanto ero debole prima di incontrarti e di quanto mi hai reso forte.
Ancora oggi, non rimpiango niente.
Perché ogni errore che ho fatto da sola, mi ha portato a te. Ed ogni errore che abbiamo fatto insieme, ci ha portato a questo. A oggi.
Quindi non rimpiangere niente.
E se avrai voglia di rimpiangere qualcosa, di pensare a quale sarebbe potuto essere il nostro lieto fine, ricorda che il più piccolo dei dettagli avrebbe potuto portarci via tutto quello che abbiamo comunque avuto.
Avremmo potuto non trovarci mai.
Io e te, avremmo potuto non trovarci mai.
Non riesco a concepire un pensiero più terribile di questo.
Ma io ti ho trovato, Arizona, e tu hai trovato me. Questo è tutto ciò che conta.
Ti amo.
Calliope.
~ I cuori più duri si lasciano intenerire dalla bellezza. ~

Lasciai il foglio sul bancone della cucina. Afferrai il mio portachiavi dal mobiletto dell'ingresso e staccai il coltellino svizzero.
Aprii la porta della stanza e, per la prima volta in assoluto da quando avevo chiuso il quadro lì dentro, la lasciai aperta alle mie spalle.
Aprii la parte del coltellino in cui era posizionata la lama.
Mi tremava la mano.
Avevo paura.
Non per me.
Era un destino che conoscevo e a cui mi ero rassegnata parecchio tempo prima.
Avevo paura che Arizona non mi avrebbe mai perdonato.
Avevo paura che senza di me non sarebbe stata in grado di essere felice.
Avevo paura che non ci sarebbe stato nessuno al suo fianco quando perdeva un paziente e aveva bisogno di qualcuno che la stringesse mentre piangeva. Qualcuno che le accarezzasse i capelli mentre si addormentava.
Qualcuno che l'amasse almeno la metà di quanto io l'avevo amata.
E già la metà, sarebbe stato abbastanza amore da durare per un'intera vita. Ma la verità, era che nessuno avrebbe mai potuto amarla quanto me.
Afferrai la stoffa tra le mani, scoprendo il dipinto che conteneva la mia anima.
Mi paralizzai.
Il sorriso genuino che mi rivolgeva, il viso senza segni di vecchiaia, i capelli del colore nero. Era come se stessi guardando dentro uno specchio.
La donna dentro il quadro, di certo, non poteva avere più di una trentina d'anni.
Scoprii anche il quadro di Arizona.
No. Non è possibile.
“Ti prego, non farlo.”
Alzai lo sguardo.
Stava indossando solo una delle mie vecchie magliette con cui di solito dormiva quando rimaneva da me per la notte.
Fece un passo verso di me, allungando la mano destra.
“Dammi il coltello, Calliope” mi incitò con voce ferma.
“Guarda” le dissi solo, facendo un passo indietro.
Lei, con riluttanza, e dopo diversi momenti di indecisione, spostò lo sguardo da me verso i due quadri.
Prima sul mio, poi sul suo, dove si soffermò.
Un'espressione di profonda confusione apparve sui suoi tratti.
Inclinò leggermente la testa e studiò l'immagine più da vicino.
Era come se all'improvviso il mio intero corpo fosse stato invaso da uno stranissimo senso di informicolamento.
Era una sensazione strana, una che non avevo provato da moltissimo tempo. Qualcosa che pensavo che non sarei stata in grado di provare mai più.
“Avevi...” scoppiai a ridere. “Avevi ragione.”
Libertà.
Ero finalmente libera, dopo tutti quegli anni passati imprigionata da catene invisibili che mi avevano tenuto intrappolata.
Richiusi il coltellino, gettandolo a terra.
Mi voltai verso di lei.
“Tu avevi ragione. Mi hai salvato la vita. Non posso crederci.”
La abbracciai, sollevandola da terra.
La appoggiai di nuovo a terra, baciandola.
Per la prima volta dal giorno in cui quel quadro era esistito, mi sentii assolutamente e completamente libera.
Libera dalla mia condanna, da quella maledizione.
“Ci hai salvato entrambe” sussurrai.
Non riuscii ad evitare di ridere di nuovo.
Mi sentivo meravigliosamente.
Lei si unì alla mia risata, a sua volta sollevata.
Il quadro dipinto da Addison, raffigurava adesso una donna dai capelli biondi, dagli occhi azzurri, un sorriso sulle labbra, fossette sulle guance.
Chiunque avesse guardato il dipinto avrebbe potuto confermare che, la donna raffigurata, non aveva ancora compiuto trent'anni.




Siate sempre al vostro meglio. Ma non perdete mai la speranza, perché è quando siete al vostro peggio che vi succedono le cose più incredibili. E chi vi ama davvero, vi rimarrà accanto anche quando toccherete il fondo.

A presto, ragazze.

  
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