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Autore: shadowsdimples_    26/10/2013    4 recensioni
Tirai addosso al muro l’ultimo vaso rimasto nelle vicinanze e mi guardai attorno: cartacce, libri aperti e strappati, il piano coperto di polvere, frammenti di vetro ovunque e il tavolo ribaltato. No, decisamente, non avrei dovuto farlo, ma sapevo che mi avrebbe aiutato. Andai nello studio con l’intenzione di distruggere pure quello, ma mi fermai quando vidi sulla scrivania un paio di fogli e una penna. Li presi e tornai in salone. Rigirai il tavolinetto davanti al divano, mi sedetti a terra e iniziai a scrivere. Non so per quanto andai avanti, la disperazione e tutto il resto non mi facevano smettere di scribacchiare parole confuse su quel foglio. Alzai finalmente la penna, lessi il testo e scrissi il titolo.
I won’t see you tonight.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Why did you come back?" "Because I love you."

Jimmy.
28 dicembre 2009, 9.32 PM

Aprii il barattolino delle pillole e ne presi tre. Erano gli ansiolitici. Da quando avevamo finito il tour, da agosto, avevo dei problemi di ansia, insonnia e forti dolori al petto. Mi svaccai sul divano con la birra in mano e iniziai a fare zapping senza prestare veramente attenzione a quello che vedevo. Dopo un po’ mi alzai, buttai la birra ormai vuota nel secchio e mi buttai sul letto, ripensando a quello che era accaduto negli ultimi mesi. Effettivamente, non era successo granché: dopo la fine del tour eravamo tornati ad Huntington e ci eravamo messi all’opera con un nuovo album. Per quei sei mesi che erano passati da quando Elle mi aveva detto di aver rivisto Taylor avevo sempre sperato di ricevere una sua telefonata, come mi aveva detto; telefonata che, purtroppo, non arrivò mai. Da quando mi aveva lasciato non ero lo stesso, a detta degli altri; ero assente, distratto e con scatti di rabbia preoccupanti. Alla fine mi feci visitare, spinto dagli altri, e mi accorsi di avere dei problemi di ansia, per i quali mi vennero prescritte le settemila pastiglie che ero costretto a prendere.
La verità è che mi mancava.
Le ero stato vicino per tanto tempo, non sono mai riuscito a immaginare come sarei stato senza di lei; mi sono sempre visto accanto a lei, non necessariamente sposato. Immaginavo io e lei insieme, e basta. Nient’altro.
Sentii qualcosa di umido solleticarmi le tempie. Le sfiorai con le dita e mi accorsi che erano lacrime. Risi senz’allegria. Fantastico, pensai, adesso piango per una ragazza. Grandioso Jimmy. Mi asciugai il viso e mi sdraiai a pancia in su. Sentii il respiro farsi sempre più pesante, il sonno prendere il sopravvento su di me… ora che ci penso, non pensavo che mi stessi esattamente per addormentare, mi sentii sempre più stanco, la forza che scivolava letteralmente via dai miei arti e mi lasciava sul letto privo di sensi.
L’ultima cosa che mi ricordo è lo shock che provai quando sentii il cuore rallentare sempre di più, ma non avevo la forza sufficiente neanche per respirare.

“Non sappiamo quanto ci vorrà prima che si risvegli…”
“Il cervello ha subìto dei danni?”
“No, nulla di serio.”
Sentivo diverse voci parlare intorno a me, ma non riuscivo ad aprire gli occhi, non volevo aprirli.
“Chissà cosa stanno passando quei ragazzi là fuori…” Disse una voce femminile.
I miei amici erano là.
“Sì. Pensa anche alla ragazza…” Disse una voce maschile.
“Se non ho letto male, su internet c’è scritto che si sono lasciati…” Taylor.
“Beh, fidanzato o no, dobbiamo dirlo ai suoi amici.” Intervenne un altro uomo, più grande, a giudicare dalla voce.
Dire cosa? Che mi era successo?
“Rimarranno scioccati.” Disse ancora la voce femminile.
“Non possiamo fare altro. È il protocollo.” Un sospiro, dei passi e la porta si aprì e si chiuse poco dopo. Non sentii più nulla, solo delle voci attutite che non riuscivo a distinguere e sentire. D’un tratto mi sentii stanchissimo, e la prospettiva di dormire un altro po’ non mi sembrò poi così male. Lentamente, sentii l’oscurità tornare ad avvolgermi e a portarmi con se, ma la porta che si apriva e si chiudeva mi fece tornare in quello spossante stato di semi incoscienza di poco prima.
“Jimmy…” Era una voce femminile, ma non quella di prima. Non la riconobbi, e mi maledissi per non avere la forza necessaria per aprire gli occhi e vedere chi fosse lì con me. Mi sentii stringere la mano, ma non reagii, ero troppo debole. “Ti prego, perdonami. Torna indietro, non lasciarmi. Ti amiamo tutti, io per prima, non ho mai smesso di farlo. Ti prego… torna indietro.”
Proprio quando sentii di poter aprire gli occhi, ripiombai nell’incoscienza.

Sentii dei rumori vicino a me e qualcuno alzarmi le braccia e le gambe. Mi domandai come ce la facesse, io sentivo i miei arti pesantissimi, palpebre comprese.
“Ciao Jimmy, sono Valary. So che mi senti, perciò penso che passerò il tempo a raccontarti come stanno andando le cose qui mentre tu… dormi.” Indugiò nel terminare la frase. “È tornata Taylor. Probabilmente te ne sei accorto, ma te lo dico ugualmente.” Mentre parlava la sentivo stringermi la mano. “Le abbiamo fatto sentire la tua canzone, Death. Non sappiamo ancora cosa ne pensi, Matt è con lei adesso, ma… siamo tutti preoccupati per il significato di quel pezzo, e… Taylor è distrutta. Vi siete lasciati, lo so, ma… le manchi. E sono sicura che è mancata anche a te. Perciò, se ci tieni a rivederla, muovi il culo e torna qui, perché stiamo impazzendo tutti.” La sua voce si ruppe e scoppiò a piangere sulla mia mano.
In quel momento, mi rivenne in mente perché ero stato così incosciente da quasi ammazzarmi.
Aspettavo Taylor, ma lei non arrivava, e non volevo passare un’altra notte insonne a pensare a lei o al tempo che ho perso. Seize the day, eh? Beh, io l’attimo l’ho colto, ma me lo sono fatto sfuggire come sabbia fra le dita, e senza nemmeno che me ne accorgessi avevo perso la persona alla quale tenevo più di tutte, quindi fanculo quella merda.
Probabilmente fu merito di Valary e delle sue parole; morivo dalla voglia di rivedere Taylor, volevo vedere se fosse cambiata. Non so quale forza motrice o divina mi spinse a farlo, ma aprii gli occhi.
Mi trovai davanti un soffitto schifosamente bianco e illuminato da fottute lampadine che mi stavano accecando. In poco tempo, sentii tornarmi lentamente le forze, riuscivo anche a muovere le dita dei piedi. In quei pochi secondi, Valary non si era mossa, continuava a piangermi sulla mano. Notai che non potevo parlare, avevo un tubo in gola che mi fece venire un conato di vomito. Mossi un dito e lei alzò la testa.
“Fottuto cazzo!” Sbottò e si allontanò di scatto dal letto, facendomi sobbalzare. No, fottuto cazzo lo dico io, porca puttana, ho perso dieci anni di vita, pensai. Provai ad alzare il braccio per indicare il tubo, nella speranza che me lo facesse togliere, ma la vidi gesticolare freneticamente. A dirla tutta mi sarei messo a ridere, se non fossi stato sul punto di morire fino a pochi giorni prima. “Fermo! Vado a chiamare qualcuno.” Uscì di corsa e poco dopo la stanza si riempì di medici intenti ad accecarmi e a punzecchiarmi i piedi. Cristo, sono diventato una bambolina voodoo?
“Pupille reattive. Signor Sullivan, sente qualcosa se la tocco qui?” E mi punse l’alluce, facendomi istintivamente ritrarre. “Segua il mio dito.” Mi sventolò l’indice davanti agli occhi e lo seguii con lo sguardo. “Reagisce.” Il dottore continuò a parlare, ma io mi sconnessi letteralmente. Fuori dalla mia stanza, attraverso la vetrata, vedevo Taylor. Era bellissima, e non era cambiata più di tanto: le erano ricresciuti i capelli, li aveva lunghi come quando l’ho conosciuta, e le guance erano un po’ più piene di come ricordavo, segno che aveva ripreso i chili persi con la chemio. I dottori continuarono a parlarmi e poi uscirono. Parlarono con i ragazzi, che stavano arrivando gradualmente, e poco dopo fece il suo ingresso nella stanza mia madre.
“James…” Si fiondò vicino a me e iniziò a piangermi sulla spalla. Io, poiché non riuscivo a muovere niente al di fuori delle dita e delle palpebre, chinai piano la testa e la poggiai sulla sua. “Ci hai fatti preoccupare tantissimo…” Feci del mio meglio per rivolgerle uno sguardo dispiaciuto. “Faccio entrare Taylor, ok?” Sbattei freneticamente le palpebre. Dio, fammi rivedere Taylor. Mi baciò sulla fronte come se fossi un bimbo che sta per addormentarsi e uscì dalla stanza. Osservai Taylor parlare con mia madre e poi entrare nella mia stanza. Non mi guardò finché non ebbe chiuso la porta. Quando alzò lo sguardo mi resi conto che aveva gli occhi lucidi. Un istinto irrefrenabile mi spingeva ad alzarmi e ad abbracciarla, ma ero davvero troppo debole.
“Ciao.” Mi guardò come se si aspettasse una risposta. Alzai un sopracciglio scetticamente.
“So che ce l’hai con me, ma…” Che cazzo aveva capito? Mi dimenai, cercando il fottuto tasto per chiamare un’infermiera e farmi togliere quel tubo di merda dalla gola. “Che stai facendo?” Le indicai il tubo. “Aspetta.” Uscì e tornò poco dopo con un infermiere.
“Un paio di colpi di tosse, per favore.” Eseguii e mi sentii scombussolato. Ero rimasto in coma per quanto? Tre giorni? Dio, un colpo di tosse mi sembrava una scossa di terremoto. L’infermiere uscì sbuffando e rimanemmo di nuovo soli.
“Non ce l’ho con te.” La mia voce era talmente roca e tombale che mi feci paura da solo. Taylor mi porse un bicchiere d’acqua che mi fece rinascere, letteralmente. Sentivo la gola bruciare come se avessi passato giorni interi a urlare. “Grazie.” Andava molto meglio.
“Di nulla. Come ti senti?”
“Come uno che è stato in coma per…?”
“Cinque giorni. Non fare il simpatico, Sullivan.” Risi. Il suo sarcasmo era la cosa che mi era mancata più di tutte.
“Come dicevo, non ce l’ho con te.”
“Perché no? Ti ho lasciato quando avevo promesso che non lo avrei fatto.”
“Non mi interessa quello; è normale avere attimi di incertezza, ti capisco. In fondo, ci conoscevamo da neanche un anno.”
“Jimmy, non so se ti rendi conto, ma… dovevamo sposarci. E io ti ho detto di prenderci una pausa.”
“Hai detto che non ti fidavi di te stessa.”
“Lo so.”
“Hai mai dubitato di me?”
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale la tensione crebbe al massimo. “Sì. Ho dubitato di te, ma era solo merito delle mie paure. In realtà, non ho mai creduto che tu potessi tradirmi.”
“Non lo avrei mai fatto comunque.” Risposi a bassa voce. Dopo quelle parole seguì un’altra pausa, nella quale nessuno dei due parlò. Dopo un po’ mi resi conto che aveva iniziato a piangere.
“Taylor…”
“Mi dispiace, è colpa mia…”
“Taylor, smettila.” Ripetei come un mantra.
“Perché lo hai fatto?” Vedere i suoi occhioni verdi pieni di lacrime mi spezzò il cuore. Sapevo dove volesse andare a parare, ma non ci cascavo.
“Non è stato per colpa tua.”
“Rispondi.”
Sospirai. “La mia vita era monotona e, se ci penso, lo è tutt’ora. Sì, ho una band, milioni di fans in giro per il mondo, ma… non sapevo più per cosa stessi vivendo. A dirla tutta, non era mia intenzione suicidarmi; mi sono reso conto di aver sbagliato quando ero a un passo dall’incoscienza.” Sospirai e guardai fuori dalla finestra, che dava su un tramonto bellissimo. “La verità è che non volevo passare un altro giorno senza di te, un’altra notte insonne a pensare a te chissà dove, con chissà chi.”
La sentii tirare su col naso. “Quindi è colpa mia.” Constatò. Sbuffai.
“Come ti pare.”
“Mi dispiace, ti prego perdonami…” Si chinò e mi pianse sulla mano.
“Non hai bisogno di essere perdonata, perché non hai nessuna colpa. Adesso vieni qua.” Cercai di spostarmi più possibile per fare posto a Taylor, ma le mie braccia sembravano fatte di plastica.
“Fermo.” Sganciò la sbarra del lettino e incrociò le braccia sul materasso, poggiandoci la testa sopra; eravamo a tipo cinque centimetri di distanza. “Pensavo di non rivederti più.”
“Beh, non è così.” I suoi occhioni verdi erano la cosa più bella che avessi mai visto, mi ci stavo perdendo dentro.
“Ho sentito la tua canzone… Death.”
Sospirai. Avrei preferito evitare quell’argomento. “Mh.” Fu tutto quello che riuscii a dire. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi e lo puntai sul soffitto, che sembrava improvvisamente interessante.
“È… molto bella.”
“Cazzate.”
“Ok, sì, è bella ma è anche triste.”
“Lo so.”
“Era una lettera d’addio?” La sua voce era bassa, quasi timorosa.
Aveva senso mentire? “Sì.”
“Quindi volevi… andartene?”
“Diciamo di sì, anche se in questi cinque giorni le mie prospettive sono cambiate.”
“Capisco…”
Rimasi a rimuginare per un po’ e lei continuò a giocare con i miei capelli. “Perché sei tornata?” Chiesi quasi in trance, il mio sguardo ancora fisso al soffitto. La sentii ridere.
“Perché ti amo. E non ho mai smesso di farlo.”
Deglutii pesantemente. Improvvisamente mi sentivo come se avessi una lama piantata all’altezza delle tonsille. “Neanche quando ci siamo lasciati?”
“No, mai.”
“Ok.” Si alzò e finalmente la guardai di nuovo.
“Vado a prendere un caffè, ti lascio riposare.”
“Resta.” Lei mi guardò e il suo viso si illuminò di un sorriso leggero.
“Ok.”
“Taylor?” Si fermò prima di abbassare la maniglia.
“Sì?”
Sorrisi. “Neanche io ho mai smesso di amarti.” Lei mi sorrise debolmente, si chinò di nuovo sul mio letto e mi baciò delicatamente poggiandomi una mano sul petto. Non c’era niente di erotico o che so io in quel contatto, ma Cristo, dopo quel bacio sarei stato in grado di scalare l’Everest. Mi sorrise un’ultima volta e uscì, e io caddi in un sonno profondo e tranquillo.

***

*LEGGETE QUA E' IMPORTANTE!*
Salve a tutti :3 eccoci qua, dopo un altro capitolo.
Non uccidetemi, ma mi sono accorta ieri sera, mentre lo revisionavo, che questo è l'ultimo prima dell'epilogo ç___ç me sale 'a tristezza, regà. 
Come per il capitolo precedente, anche qua ho messo la mia versione di come sono andate le cose quella sera del 28 dicembre 2009 :)
A presto! <3
Ilaria.

 
   
 
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