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Autore: Volleydork    26/10/2013    3 recensioni
SPOILER
È questo il problema con gli elefanti: qualcuno deve indicarli perché se ne vadano. Né Alec, né Nico avevano intenzione di farlo, per motivi diversi: Alec riteneva fosse una cosa che doveva risolvere Nico. Nico aveva troppa paura di venire schiacciato.
***
Erano passati quattro anni dalla morte di Percy e Annabeth, alla fine della loro missione per sconfiggere Gaia. L'ultima volta che l'aveva visto era un cadavere freddo e bianco, più bianco di lui.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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L'elefante


 
È questo il problema con gli elefanti: qualcuno deve indicarli perché se ne vadano. Né Alec, né Nico avevano intenzione di farlo, per motivi diversi: Alec riteneva fosse una cosa che doveva risolvere Nico. Nico aveva troppa paura di venire schiacciato.
 
"And who are you?" the proud lord said
"Only a cat of a different coat, that's all the truth I know
In a coat of gold, a coat of red, a lion still has claws
And mine are long and sharp, my lord,
as long and sharp as yours"

Erano passati quattro anni dalla morte di Percy e Annabeth, alla fine della loro missione per sconfiggere Gaia. L'ultima volta che l'aveva visto era un cadavere freddo e bianco, più bianco di lui. Al suo fianco stava Annabeth. Qualcuno aveva intrecciato loro le dita.
Non era riuscito neanche a rimanere per la cerimonia funebre. Aveva sentito i bisbigli della gente, sapeva che l'avrebbero chiamato menefreghista, stronzo, l'avrebbero indicato come quello a cui non era mai importato niente di Percy Jackson.
"Come potete capire? Come potete sapere?"

Per un po' di giorni aveva girovagato come suo solito. I giorni erano diventati settimane. Le settimane, mesi. I mesi, anni. La prima volta che era tornato nell'Oltretomba, dopo la loro morte, erano già rinati.

Poi era arrivato Alec. Alec era serenità, freschezza. Era al primo anno di college, avevano la stessa età. Alec era appassionato di Sherlock, e studiava mitologia con un professore che adorava.
Non aveva sangue divino. Si erano incontrati per caso: una sera Nico era rotolato fuori dalle ombre e gli era caduto addosso. Non era riuscito a fargli credere di essere uscito da una porta inesistente nelle vicinanze. Così gli aveva raccontato tutto. Alla fine Alec l'aveva guardato con gli occhi spalancati, incantati, mormorando che quello era il sogno di tutta la sua vita diventato realtà.
Avevano cominciato a frequentarsi. Per Nico quel ragazzo dai capelli fini come la sabbia era stato una ventata di aria fresca.
Allora perché continuava a sentire quel buco doloroso in mezzo al petto?

La prima volta in cui avevano fatto l'amore erano a casa di Alec. I suoi genitori erano via per il week-end. Alec aveva già fatto un po' di esperienza, quindi era stato suo compito guidare un Nico timoroso e incerto. Alla fine il figlio di Ade si era rannicchiato contro il suo petto, come un bambino tra le braccia del genitore. Alec aveva fatto il gesto di passargli il braccio attorno alla vita, però Nico aveva intercettato la sua mano e aveva continuato a intrecciare le loro dita, con gesti lenti ma senza interrompersi. Presto aveva preso l'abitudine di farlo ogni volta che smettevano di fare l'amore.
Si era reso presto conto di come fosse importante per Alec far star bene gli altri, anche a costo di fare qualcosa che non gli andava. Aveva cercato il più possibile di evitarlo, ma c'erano state occasioni in cui non era riuscito a capire cosa passasse per la testa del suo compagno. E grazie a quei momenti aveva capito quanto era stato frustrante per le altre persone stare intorno a lui.

Più di una volta era scappato per giorni senza dare notizie di sé o senza dire cosa stesse combinando e ogni volta che era ritornato, Alec l'aveva riaccolto a braccia aperte. Non aveva mai capito da cosa nascesse quel bisogno di lontananza. Forse era
4il timore di venire abbandonato dall'ennesima persona che aveva amato che lo spingeva a mantenere il distacco. Forse era uno strano senso di colpa che non sapeva da dove provenisse.
«Perché non ti arrabbi mai?» gli aveva chiesto un giorno Nico, di ritorno dalle sue fughe nell'Oltretomba.
Il ragazzo aveva fatto un sorriso sereno. «Se ami qualcuno lo lasci libero. Non importa quante volte scappi, ho fiducia che tornerai sempre da me.»
"Sei ingenuo" avrebbe voluto dirgli Nico. "Bianca non è mai tornata da me."

L'oceano è scuro, in contrasto con le stelle luminose che si riflettono sull'acqua e sulla sabbia. Nico si guarda intorno, stranito.
"Che ci faccio qui? Sono anni che non torno al Campo Mezzosangue."
Nota solo dopo qualche minuto la figura seduta accanto a lui. Si chiede se è stata lì tutto il tempo o no. È un ragazzo alto, con i capelli disordinati e giocherella con una penna. Nico sobbalza.
«Percy?» chiede.
Il ragazzo si gira verso di lui: stranamente gli occhi brillano come quelli di un gatto, ma il colore è inconfondibile, quel verde colore dell'oceano che ha amato tanto.
«Be', sono contento che almeno mi riconosci» commenta acido il figlio di Poseidone.
«Cosa vuoi dire?»
«Non ti sei neanche fermato alla cerimonia funebre. Potevi almeno fare finta che ti importasse.»
Nico stringe i pugni. «Certo che mi importava! Sei stata la persona che più ha contato nella mia vita!»
«Non si è mica capito.»
Si alza e comincia ad andarsene. Il figlio di Ade vorrebbe seguirlo, ma sente i piedi risucchiati nella sabbia, mentre una voragine si apre sotto di lui e comincia a sprofondare verso il Tartaro.

Si era svegliato urlando da quel sogno, svegliando pure Alec. Il ragazzo gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, preoccupato, chiedendo cosa avesse sognato. Lui non aveva risposto: invece si era messo a raccontargli del suo viaggio nel Tartaro e degli orrori visti lì dentro. Pian piano era sorta in lui la consapevolezza che il suo disagio nasceva dalla presenza di Percy nella sua testa, e aveva sentito una punta panico. Una volta finito il racconto si era scusato con Alec per avergli scaricato addosso l'angoscia e gli aveva fatto appoggiare la testa sul suo petto magro.
«Non ti devi scusare. Potrei aver bisogno anch'io, in qualche occasione, di sfogarmi con te.»
«Non lo faresti mai.»
Alec aveva chiuso gli occhi per rimettersi a dormire. «No, forse hai ragione.»

«Ripetevi il suo nome nel sonno» gli aveva detto una mattina.
«Che nome?» aveva chiesto Nico.
«Percy.»
Nico aveva stretto i denti. Su quella parte della sua vita non era stato sincero con Alec. Non gli andava che il suo ragazzo ne fosse venuto a conoscenza in quel modo.
«Era un mio amico» aveva spiegato.
Alec l'aveva guardato con una dolcezza velata di scetticismo. «Piangevi.»
Si era sentito in imbarazzo nel sapere che nel sonno piangeva. Non se ne era mai reso conto. «È stata una persona molto importante nella mia vita.»
«Il tuo primo ragazzo?»
«Quasi. Era fidanzato con una figlia di Atena.»
Alec aveva capito la situazione: gli era capitato di trovarcisi lui stesso. Senza dire niente gli aveva preso la mano, mentre Nico cominciava a raccontargli la storia della guerra contro i giganti.

Questa volta non è sulla spiaggia. Si trova all'interno della casa grande del campo. Percy gli dà le spalle, in piedi davanti alla finestra. Fuori è sempre notte.
«Vuoi accusarmi di qualcos'altro?» chiede Nico.
Percy si gira lentamente verso di lui. Anche in questa occasione i suoi occhi sono strani: adesso hanno il colore grigio e tempestoso degli occhi di Annabeth.
«Niente accuse. Ti ho già detto cosa penso del tuo gesto.» La voce è un misto tra la sua e quella della figlia di Atena. Nico vorrebbe tapparsi le orecchie e sparire, ma una forza lo attrae verso Percy.
«Lasciami andare» mormora il figlio di Ade.
«Guarda che non sono io a trattenerti.»

Nico si era alzato si scatto, e stavolta era sicuro: il rimorso che per anni aveva soffocato gli stava parlando attraverso la bocca di Percy, convito che a lui avrebbe dato ascolto.

«Nico è il tuo nome intero o solo un diminutivo?»
«Non ne ho idea. Credo che in italiano sarebbe Nicola, o Niccolò, ma non ricordo.»
Alec aveva cominciato a borbottare sottovoce i due nomi, mentre passeggiavano nel parco. Poi aveva scosso la testa.
«Preferisco Nicola. Suona meglio.»
Nico aveva sorriso. Alec si era fermato a guardarlo.
«È bello vederti sorridere. Hai un bel sorriso.»
Avevano ricominciato a passeggiare in silenzio.
«Hai sempre fatto questi sogni?»
«Quali?»
«Quelli in cui Percy viene a parlarti e tu sei ancora al Campo Mezzosangue.»
Nico si era fermato all'ombra di una quercia. «No. Ho cominciato a farli... – si era interrotto – ho cominciato a farli da quando ti frequento.»
Alec si era seduto su una panchina. «Come ti senti quando ti svegli?»
Nico si era seduto accanto a lui. «Strano. Sul momento mi spavento, ma passa appena mi sveglio. E rimane la sensazione...» Si era fermato a cercare il modo giusto per descriverla. «Non di aspettativa. È come quando guardi un film e e verso la fine il DVD si blocca. C'è già chi l'ha visto e ti racconta le ultime scene, così non rimani in sospeso. Ma dentro senti di non aver concluso qualcosa e sei deluso.»
Erano rimasti per quasi un'ora sotto gli alberi senza dire niente.

È di nuovo sulla spiaggia. Sente la sabbia sotto la testa, lo sguardo si perde tra le stelle. Percy ha la testa appoggiata sul suo petto, il che è un gesto strano visto il risentimento con cui gli ha sempre parlato. Però non è una bella sensazione, lo schiaccia e gli rende difficile respirare.
«Ti sta soffocando» dice Percy a un tratto. Nico non capisce se sta parlando di Alec o dei suoi rimorsi.
«Non è vero.»
«Sì, invece.»
«No. Sei tu che non mi lasci andare.»
Percy scoppia in una risata cattiva. «Davvero lo pensi?»
Nico non risponde.
«No, non ci credi neppure tu. Non sono io a non lasciarti andare, idiota: sei tu che non vuoi dimenticarmi. I morti sono andati per sempre, ma tu non sei mai stato in grado di lasciarli al loro posto, vero?»

Nico non aveva potuto contraddire le parole della sua coscienza, perché la stessa cosa era accaduta con Bianca, con Hazel. Morto, vivo, per lui non faceva molta differenza: mancava solo il corpo. Ma Percy era scappato subito, senza lasciargli la possibilità di parlare. Adesso avrebbe avuto quattro anni, privo di memoria, e magari avrebbe giocato con una bambina bionda che non ricordava di chiamarsi Annabeth. L'idea lo faceva soffrire, e la sofferenza lo faceva sentire in colpa, perché se Percy, o chiunque ci fosse al posto suo, era felice, che diritto aveva di sperare le cose fossero diverse?

«Ci sono delle cose che volevi dirgli.»
Non aveva posto una domanda, aveva fatto un'affermazione. Nico aveva annuito lentamente, senza guardarlo.
«E non farai pace con te stesso fino a quando non gliele avrai dette. Puoi dirgliele ora.»
«Ti prego, non metterti a citare Sherlock.»
«E tu fallo per me, Nico.»
Nessuno aveva mai detto il suo nome con tanto amore, dopo la morte di Bianca. Al figlio di Ade si stringeva il cuore ogni volta per l'emozione.
«Alec, Percy ormai è morto e rinato. Non avrebbe alcun senso.»
«Sì, ha senso: il fatto che sia morto non ha significato niente per te. Non l'hai mai tolto dal tuo cuore. Si vede ogni volta che mi parli della tua vecchia vita, nella sofferenza che ti danno quei sogni. Ti viene uno sguardo lontano ogni volta che racconti qualcosa che lo riguarda, e ti sento scivolare dalle mie dita. Non so se sarò mai la persona più importante della tua vita, ma – aveva ricacciato indietro un singhiozzo – ma essere in competizione con un morto... Questo è umiliante.»
Gli aveva preso la mano.
«Vai via per un po'. Fai pace con i tuoi fantasmi. E torna quando sarai pronto a ricominciare.»
«Mi stai cacciando?»
«Ti sto chiedendo di non farmi soffrire.»

Si era deciso a parlargli. Al Campo Mezzosangue avevano costruito una statua in loro onore: l'aveva progettata Malcom, fratellastro di Annabeth, ed era stata portata a termine dai figli di Apollo. Mostrava Annabeth e Percy durante il loro viaggio nel Tartaro. Il figlio di Poseidone sorreggeva la sua ragazza, un braccio passato attorno alla vita, mentre l'altra mano teneva la spada. Era Annabeth però a indicare la strada, il braccio puntato dritto davanti a sé, lo sguardo determinato.
Non era quello il posto giusto: aveva invece cercato il comune cimitero di New York, dove erano state poste due lapidi, su cui era incisa la stessa data di morte. Si era seduta davanti a quella del ragazzo e aveva cominciato a parlare. Gli aveva detto di Alec, di quello che era successo in quattro anni, di cosa stavano facendo gli altri, che aveva continuato a osservare nell'ombra, da lontano.
«Sei stato un bastardo, lo sai? Non hai pensato ai tuoi amici, quando hai deciso di morire insieme a lei? Non hai pensato a Grover, a Tyson? Non hai pensato a Frank, a Hazel, a Piper, a Jason, a Leo? Non hai pensato a tua madre e a Paul? A Rachel?»
Aveva fatto una pausa. «Non hai pensato a me?»
La lapide non gli aveva risposto.
«Ti amavo. Sei stato il primo ragazzo che ho amato. Questo avrei dovuto dirti, se fossi stato ancora vivo. Alec mi ha chiesto di confessartelo, per fare pace con me stesso. Non so se questo smetterà di farmi avere incubi, o mi permetterà di portare avanti una relazione senza pensare continuamente a te, ma almeno l'ho fatto.»
Si era rimesso in piedi.
Qualcuno aveva finalmente alzato il dito su quell'elefante, che aveva avuto il permesso di lasciare la stanza.

Non era tornato subito da Alec, ma aveva preferito lasciar passare qualche giorno, per vedere se continuava a fare incubi o se, effettivamente, parlare a una tomba aveva aiutato.
Era passata una settimana. Niente incubi.
Due settimane. Niente incubi.
Poi aveva deciso di ritentare.

Trova Alec seduto alla caffetteria della scuola. Ha l'aria assorta e legge un libro, bevendo un tè. Si siede di fronte a lui senza dire una parola.
«Sto leggendo il mito del rapimento di Persefone. Non proprio un seduttore, tuo padre.»
Nico fa un debole sorriso.
«Gli hai parlato?»
Annuisce.
«Puoi accettarmi anche se non sono lui?»
Nico si tocca il petto: sente ancora il fantasma del peso che gli ha schiacciato il petto nelle settimane passate, ma forse ora è in grado di trasformarlo in qualcosa che non è rimorso o rimpianto.
«Posso.»

 
And so he spoke, and so he spoke
That lord of Castamere
And now the rains weep over his halls
And no one's there to hear









Angolo autrice:

Prima di tutto quello che si staranno chiedendo tutti (o forse no): cosa ci fa lì una canzone del Trono di Spade? Cosa c'entra con Percy Jackson? La mia spiegazione è questa: se la penso in rapporto con Nico, la canzone mi fa pensare al suo incontro con Cupido. Nico è il superbo signore di Castamere che si ritiene al pari dei Lannister, Cupido. Dopotutto, Cupido stesso ha detto che amore e morte sono molto simili (only a cat of a different coat). E in quanto figlio di Ade, Nico si sente abbastanza forte da affrontarlo. Per punizione Cupido lo colpisce con una delle sue frecce e lo condanna a un amore non corrisposto, per dimostrargli quanta sofferenza può causare l'amore. And now the rains weep over his halls, and no one's there to hear: la pioggia che cade è l'amore di Nico per Percy, e il fatto che non ci sia nessuno ad ascoltare indica il fatto che questo amore non è ricambiato.
Ecco. Malato, eh?
Comunque, se non si fosse capito, Nico è il mio personaggio preferito e mi ispira anche tanti pensieri depressi. Forse è il caso di analizzare bene i propri gusti, quando il tuo personaggio ti fa rotolare sul pavimento e ti fa soffrire come un cane. Magari scopro che sono masochista.
  
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