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Autore: Agapanto Blu    27/10/2013    3 recensioni
Anno Domini 1234.
Chatel-Argent, feudo dei Montmayeur, Francia.
Quando Daniel Freeland decide, come ultimo tentativo di aiutare la figlia diciottenne, di portare la sua Alexandra nel passato, non si aspetta certo l'immensità di sciagure che, con più foga e sadismo del solito, Hyperversum gli scatenerà contro...
Tra un rapimento, segreti che tornano alla luce e giovani amori, sembra che tutto si stia rivoltando contro il gioco di maschere dei Ponthieu e perfino la morte potrebbe non essere così certa...
Ma chi si cela dietro tutto ciò?
**********
Quando i battenti furono aperti di nuovo, il Falco d’Argento non esisteva più e Ian Maayrkas veniva portato fuori dalla sala con i polsi incatenati dietro la schiena e due guardie ai fianchi.
Lo sgomento della corte francese fu totale.
*****
Daniel non voleva crederci, non riusciva a crederci.
Eppure davanti a lui, terribili nelle loro armature, l'una con un leone d'oro rampante in campo rosso e l'altra bianca con una croce nera centrale, stavano gli incubi più tremendi che Hyperversum gli avesse mai fatto incontrare.
Jerome Derangale sorrise.
"Chi abbiamo qui?"
Al suo fianco, il barone Gant rise.
"Una spia senza signore!".

Alcuni personaggi leggermente OOC.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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35. Le guerre di Daniel
 
In quel preciso momento, Daniel ricordò perché avesse deciso che il Medioevo non era decisamente il suo tempo.
Non importavano le dimensioni dello scontro, poteva essere Bouvines come una tafferuglio da taverna, ma a lui saliva comunque il vomito ogni volta che si ritrovava nel bel mezzo di una battaglia.
In quel momento, i Francesi combattevano con i nemici di dubbia nazionalità e tra i nitriti dei cavalli, le grida degli uomini e i suoni delle spade che cozzavano l’una con l’altra, l’Americano perse per un momento coscienza della situazione. Quel rimasuglio di istinto che aveva gli urlava di scoccare la freccia che già teneva nell’arco contro il primo nemico che avesse visto, ma Daniel si costrinse a trattenersi. Avevano un piano, lui ed Ian, e doveva rispettarlo se volevano avere una qualche possibilità: il suo caro fratello adottivo si sarebbe occupato di Derangale e lui si sarebbe dovuto limitare a cercare di aiutare i Francesi restando indietro fino a quando non avesse potuto tirare a Gant. Secondo Ian, era probabile che anche il crociato, come lo sceriffo inglese, mirasse a lui, perciò per Daniel sarebbe dovuto essere relativamente facile colpirlo, ma avrebbe comunque dovuto fare in fretta perché entrambi gli americani dubitavano che l'ex-Jean avrebbe potuto reggere a lungo un duello con entrambi i nemici.
Daniel strinse i denti quando delle gocce di sangue lo colpirono al viso, ma si costrinse a concentrarsi quando capì che erano arrivate da una ferita solo superficiale sul braccio di Etienne de Sancerre.
Erano troppo pochi, l’Americano lo sapeva, ma in fondo i nobili francesi sembravano abbastanza pronti a vedersela con più nemici contemporaneamente.
Tese la corda vedendo un uomo tentare di colpire Geoffrey Martewall alle spalle ma qualcuno scoccò prima di lui e il nemico cadde a terra con una freccia nel petto. Daniel si voltò, confuso, ma riuscì solo a vedere un gruppetto d’armati unirsi a loro e gli occorse un attimo per riconoscere nel blasone nero con leone d’oro e lambello rosso le insegne del giovane Harald Martewall.
Da dove diavolo è saltato fuori?!, pensò, in parte irritato perché la sua situazione andava a complicarsi dovendo riconoscere i nuovi arrivati a lui ignari dai nemici, ma in parte rassicurato dagli aiuti in arrivo.
La calca si spostò più vicina al fiume, evidentemente Gant e Derangale volevano spingere in acqua i loro avversari, così Daniel fece indietreggiare di qualche passo il proprio animale per guardarsi attorno e, nel farlo, si accostò un po’ al punto dove Ian stava lottando contro Derangale, entrambi a cavallo e con le lame incrociate che tremavano per la forza impressa da entrambi.
Daniel non riuscì a capire cosa Derangale avesse detto ad Ian, ma sentì l’amico replicare: “Ti ho ammazzato una volta, vedrai che lo faccio ancora!”. Nonostante la situazione, all’Americano sfuggì un sorriso: Ian pareva non rendersi conto di quanto melodrammatico e teatrale diventasse durante le battaglie, sembrava uscito direttamente da una cronaca medioevale, o anche da un film se solo quelli non fossero stati troppo ‘storicamente imprecisi’ per il signor professorone di storia. Era quello il suo tempo…
Ma questa è una battaglia e ci sono anche io in mezzo.
Daniel scrollò la testa, ammonendosi da solo per la distrazione, e riprese a guardarsi attorno nella calca ora più confusa. Aveva aspettato che Gant attaccasse Ian, ma quello ancora non si era fatto vedere e la cosa lo faceva preoccupare.
Dove diavolo sei?!, insultò mentalmente, ringhiando e voltando la testa a destra e sinistra, ma senza riuscire ad individuare il crociato. Con calma, fingendo che tutto fosse solo il gioco di ruolo che sarebbe dovuto essere, si ritrovò a chiedersi lui cosa avrebbe fatto se avesse dovuto eliminare l’unico nemico con la possibilità di ucciderlo. Gant non brillava per onore, certo, quindi non lo avrebbe mai sfidato a duello, era più il tipo che colpiva alle… Cavolo!
Quando Daniel sentì un fischio sottile già udito una volta a Pienne, agì d’istinto: si piegò in avanti, abbassando la testa, e spronò il cavallo.
La sfera chiodata del mazzafrusto passò ad appena qualche centimetro dalla sua testa.
Mi avrebbe distrutto il cranio!, pensò Daniel, sudando freddo, mentre faceva voltare il cavallo.
Gant gli regalò un ghigno perfido da sotto l'elmo normanno che gli lasciava scoperto il viso prima di spronare il proprio cavallo verso di lui per ritentare il colpo.
Daniel provò a tendere l’arco e prendere la mira, ma era troppo vicino al crociato per avere il tempo di farlo e perciò, a metà dell’opera, fu costretto a rinunciare per far scartare di lato il suo cavallo ed evitare l’ennesimo colpo. Gant, di nuovo, fermò in fretta il proprio animale per non allontanarsi abbastanza da consentire a Daniel di tirare, si voltò e lo incalzò di nuovo.
Siamo troppo vicini!, comprese l’Americano, schivando l’ennesimo affondo. Di malavoglia, si infilò l’arco a tracolla e lasciò cadere a terra la freccia per poter sfilare la spada. Sapeva che non avrebbe retto che pochi minuti contro l’inglese, ma forse sarebbero stati abbastanza perché Ian si sbarazzasse di Derangale e andasse ad aiutarlo.
Gant tentò di nuovo di colpirlo, ma questa volta Daniel tentò la classica manovra cinematografica di far arrotolare la catena dell’arma nemica alla propria lama. Ci riuscì, ma Gant fece avvicinare il proprio cavallo a quello dell’avversario fino a farli scontrare e piantò uno sperone della gamba di Daniel prima di dare uno strattone tanto forte da portargli via la spada.
L’Americano sibilò per il dolore al polpaccio lacerato, ma poi si costrinse a prendere un pugnale, l’ultima arma che avesse. Si pentì amaramente di non aver provato ad allenarsi con Alex neanche una volta, lei avrebbe potuto fare miracoli con quella lametta da dieci centimetri. Gant liberò il mazzafrusto dalla spada di Daniel, sorridendo soddisfatto, e l’Americano cercò disperatamente una soluzione.
Che cosa farebbe Alex ora? tentò di chiedersi, mettendo da parte quell’ultimo barlume d’orgoglio e supplicando di conoscere sua figlia abbastanza bene e di aver ascoltato a sufficienza tutti i suoi sproloqui entusiastici ogni volta che imparava un nuovo movimento o raggiungeva un nuovo obiettivo.
Avrebbe lanciato. Daniel capì subito che era così: Alex doveva tenere una distanza che la aiutasse perché troppo vicina non avrebbe avuto tempo di studiare la situazione senza la vista e quindi in un piccolo spazio come quello lei avrebbe tirato, anche solo per guadagnare un po’ di tempo e cercare di individuare il suo avversario. Daniel, però, vedeva benissimo.
Sperando di non fare danni, afferrò saldamente il pugnale con una mano e lo tirò a casaccio. Il pugnale prese a ruotare su sé stesso e colpì il bersaglio con il pomolo dell’elsa e non con la lama, ma arrivò comunque nell’occhio del crociato che imprecò e indietreggiò con il busto, perse l’equilibrio e cadde nella polvere perdendo l’elmo normanno che rotolò sul campo. Il suo cavallo imbizzarrito si alzò su due zampe, quasi travolgendo quello dell’Americano che a sua volta si impennò e disarcionò il suo cavaliere.
Daniel cadde di petto a terra, riuscendo a malapena a portare le mani avanti per proteggersi il viso, e l’impatto gli strappò il respiro e causò una protesta notevole da parte delle sue costole. Gemette, ma riaprì gli occhi e lo fece appena in tempo per vedere Gant andargli addosso di corsa, un occhio chiuso e lacrimante, urlando e agitando la propria spada sopra la testa. L'Americano non trovò nulla di meglio da fare che rotolare quando vide la lama cercare di abbattersi sul suo petto, ma aveva dimenticato la presenza del fiume e si ritrovò a rotolare giù per la riva, sbattendo contro massi che, per quanto dolorosi, lo bloccarono prima che arrivasse all’acqua e vi sprofondasse. Non aveva certo una grande armatura, ma era sicuro che la sua cotta di maglia fosse sufficiente ad affogarlo. Una parte di lui, lo avvisò dell’urlo di Ian che lo chiamava e di un indistinto “Monsieur Daniel” che poteva essere arrivato da chiunque, ma che ugualmente avvertiva che almeno qualcuno tra i Francesi si era accorto della sua manovra inconsulta e magari lo avrebbe, quando avesse avuto un momento libero ovviamente, aiutato ad uscirne. Certo, se fosse stato ancora vivo. Paradossalmente, il suo cervello gli disse che Jodie l’avrebbe ammazzato se avesse osato farsi uccidere da Gant: non era certo un’impresa facile, ma non dubitava che sua moglie sarebbe stata in grado di portarla a termine.
A fatica e contro il volere del suo corpo, si sollevò sulle braccia cercando di rialzarsi, ma qualcosa gli cadde da dosso e lo fece immobilizzare.
Daniel ignorò tutte le frecce rovesciatesi nella caduta fuori dalla faretra e invece boccheggiò vedendo il proprio arco spezzato in due.
No, no, no!, pensò e d’istinto alzò gli occhi su Gant, ma sbiancò trovandolo intento, sempre con il suo ghigno sulle labbra, a scendere lungo la riva con la spada in mano. L’unico lato positivo era che doveva aver perso il mazzafrusto nella caduta o magari il manico di legno si era spezzato, il punto era che non aveva più con sé la sfera chiodata e questo diede un attimo di sollievo a Daniel. Prima che quello ricordasse che, senza arco, Gant era invincibile anche per lui.
Vengo a prenderti, spiucola da quattro soldi!” ringhiò il crociato in quel momento.
Al diavolo Hyperversum!, pensò, furioso con se stesso, con i massi, con il gioco, con la Storia e decisamente tanto, ma tanto, con Carl.
Senza ragionare, si gettò di peso su Gant prima che quello potesse arrivare a mettere piede sulla piccola striscia di terra che costeggiava il fiume. Il crociato imprecò perdendo l’equilibrio e ritrovandosi a rotolare nel fango.
Bastardo, se devo morire, mi toglierò la soddisfazione di romperti quel becco che hai al posto del naso!, pensò Daniel, furibondo, mettendo in atto tutte le tecniche sviluppate in anni di lotte contro una sottospecie di fratello maggiore grosso il doppio di lui. Mentre stringeva le ginocchia sui fianchi di Gant, si ritrovò a ringraziare il cielo che lui ed Ian non fossero mai stati esattamente degli angioletti, da ragazzi, poi alzò un pugno e colpì Gant in faccia. Lo fece con forza, più mosso dall’istinto di sopravvivenza che dalla voglia reale di far del male, e poi colpì ancora, parecchie volte, fino a che non sentì davvero uno scricchiolare inquietante e il naso di Gant non prese un’angolazione innaturale. Daniel ebbe un conato ed esitò così il crociato sfruttò l’attimo per afferrarlo per la cotta sul petto e cercare di rotolargli addosso.
No! Daniel cercò di fare resistenza cercando di convincersi che non ci fosse differenza tra quella lotta sulla riva del Marq e quelle che fatte da ragazzo con Ian e Martin quando le loro famiglie andavano in campagna per passare qualche giorno d’estate lontani dalla città, ma un’insieme di puntini colorati e un dolore allucinante alla nuca lo intontirono abbastanza perché Gant riuscisse a bloccarlo sotto di sé.
Sassi dei miei stivali…!, pensò la parte di Daniel che lui ancora non aveva avuto il piacere di conoscere, un attimo prima che Gant afferrasse l’Americano per i capelli che formavano l’attaccatura sulla fronte e gli tirasse la testa in avanti per poi sbatterla di nuovo contro la pietra che Daniel aveva impattato poco prima.
La mente dell’
Americano si ridusse di nuovo ad un insieme di puntini colorati e dolore atroce alla nuca e così si lasciò sfuggire un grido di dolore.
Gant rise, il cappuccio della cotta di maglia caduto all’indietro nella lotta e il sangue che dal naso era arrivato ad inzuppargli tutta la bocca tanto che ad ogni movimento di essa il crociato sputacchiava gocce rosse a destra e a manca.
Daniel allungò le braccia, d’istinto alla ricerca di qualsiasi cosa potesse usare per difendersi, anche solo uno di quei sassi che odiava dal profondo del cuore, ma le sue dita affondarono nel fango molle impedendogli di distinguere bene le forme di ciò che afferrava. Non fece in tempo a riconoscere nulla perché Gant mollò la presa sui suoi capelli solo per tirargli un pugno che gli fece voltare la testa.
“Che ne dici, spia, la finiamo qui?” lo schernì il crociato, schizzandolo in viso di liquido rosso e del fango che ormai ricopriva entrambi.
Daniel lo ascoltò con un orecchio solo perché, al di là del dolore alla mascella, la sua mente gli aveva mostrato, eccitata, l’insieme sparso di oggetti familiari accanto alla sua mano. Non era la stessa cosa, ma forse alla Storia sarebbe andato bene lo stesso.
“Fa’ un favore a tutto il mondo” ringhiò quindi, afferrando una delle frecce, “e va’ al diavolo!”
Daniel non seppe mai dove trovò il coraggio, forse fece tutto il suo istinto, ma riuscì a rialzare il braccio e, con forza, piantò la freccia nel collo scoperto del crociato. Gant ululò di dolore e tentò di alzarsi, ma il biondo si avvinghiò al suo corpo e spinse la punta acuminata ancora più in profondità. Aveva le lacrime agli occhi perché quello che stava facendo gli urlava nella testa ‘Omicidio!’ ben più di quanto non avessero fatto le sue frecce tirate a caso nella massa della guerra.
Gant continuò ad urlare, ma ben presto la sua voce si ridusse ad un gorgoglio inquietante e dopo poco il sangue iniziò a sgorgare dalla sua bocca e, come quello dalla ferita, si riversò su Daniel come a ribadirne la colpevolezza. Infine, il crociato si accasciò, senza forze, sull’Americano.
 
***
 
Ian non avrebbe saputo dire come si fossero svolti i fatti nel suo duello con Derangale, ma una parte di lui dovette ammettere che dopo gli anni di combattimenti e soprattutto dopo essersi trovato di fronte come avversario Martewall, che ogni volta che lo incontrava pretendeva di combattere con lui, il confronto con lo sceriffo gli era parso molto più semplice da affrontare rispetto alla prima volta. Forse era stata una questione di esperienza, forse solo di mentalità perché se allora era stato terrorizzato dall’idea che Guillaume potesse morire e Derangale ammazzare poi anche lui e Daniel, in quel momento tutto ciò a cui Ian pensava era ammazzare il bastardo che aveva osato baciare e picchiare sua moglie. L’idea che Derangale avesse messo le mani su Isabeau gli aveva dato alla testa e quando riuscì a calmarsi l’Inglese non era altro che un cadavere con gli occhi vitrei puntati al cielo.
Però c’era una cosa che Ian ricordava bene essere successa, nel bel mezzo dello scontro.
“Daniel!” gridò, voltandosi e correndo verso la riva del fiume.
Si accorse solo marginalmente del fatto che anche gli altri sembravano star avendo la meglio sui loro nemici, che sembravano essere stati indeboliti dalla morte di Derangale, e si gettò in ginocchio sul bordo della riva. Qualcuno, al suo fianco, fece lo stesso, ma Ian non vi badò perché i suoi occhi erano rimasti calamitati dai due corpi avvinghiati pochi metri più in basso. Non riusciva a vedere le condizioni di Gant, ma vedeva bene il viso di Daniel letteralmente coperto di sangue e gli occhi aperti puntati al cielo ma fissi sul vuoto.
Ian sentì qualcosa incrinarsi pericolosamente dentro di sé, ma non volle dargli ascolto.
“Daniel!” chiamò.
Fu quasi sorpreso quando il suo amico sbatté le palpebre e tirò un po’ su la testa per capire chi lo stesse chiamando.
Dio, ti ringrazio…, pensò Ian con un sospiro nel momento in cui Etienne, al suo fianco, chiedeva a Daniel come si sentisse.
 
***
 
“Monsieur Daniel, come state?” chiese Sancerre, all’apparenza davvero preoccupato.
“Male, grazie.” borbottò l’Americano sforzandosi di togliersi di dosso il pesante cadavere ma con scarsi risultati, vuoi per il peso della corazza che portava o vuoi per la debolezza dello scontro appena sostenuto e dei colpi alla testa.
Quando vide che Ian e l’altro conte stavano iniziando a scendere per raggiungerlo, decise di lasciar perdere e cercò di concentrarsi solo sul proprio respiro, reso difficoltoso più dal peso sulla coscienza che da quello sulla cassa toracica. Il viso di Gant, sporco e dagli occhi spalancati, era ancora vicinissimo al suo e di certo non lo aiutava a riprendere aria per cui fu dannatamente grato ai due amici quando glielo tolsero di dosso.
“Ehi…” disse piano Ian, inginocchiandosi vicino a lui, “Come ti senti?”
“Come uno che è caduto da cavallo, rotolato giù da una riva, pestato da un crociato e schiacciato da un cadavere.” bofonchiò, ma nel farlo si costrinse a sorridere al fratello adottivo parecchio preoccupato.
“Normale amministrazione, allora.” ribatté Ian sorridendo mesto e aiutandolo a tirarsi seduto.
Daniel fece ancora un po’ di conoscenza con i pallini colorati della sua vista, ma poi riuscì a tirarsi in piedi quasi da solo e si scoprì in grado di tenersi in equilibrio così, con notevole sforzo, riuscì a risalire il dislivello con l’aiuto di Ian ed Etienne, che pure continuavano a lanciarsi occhiate preoccupate alle spalle dell’amico. Quando arrivò a tirarsi in piedi sulla piana, c’era ancora qualche scontro in corso, ma ben poca roba, però i suoi occhi furono calamitati da un’altra cosa.
“CARL!” urlò, furibondo, nel vedere l’altro Americano stringere i pugni dalla sua posizione a cavallo ben lontano dal luogo dello scontro e poi far voltare l’animale per correre verso il bosco.
Eh no, bastardo, non così facilmente! Daniel vedeva rosso per la rabbia così salì in groppa al proprio cavallo senza pensarci due volte e diede di sprone per inseguire l’altro.
Carl non era mai stato bravo a cavalcare, barcollava parecchio, e Daniel lo raggiunse in fretta proprio dove gli alberi fitti li nascondevano alla vista dei medioevali. Convinto che tanto una o due cadute da una sella non facessero poi quella gran differenza, Daniel si lanciò su Carl e i due rotolarono rovinosamente nel sottobosco.
“Sta’ fermo!” ringhiò Daniel quando si fermarono guadagnando la posizione dominante e afferrando le mani di Carl che tentava di colpirlo e di toglierselo di dosso. Alla fine, con fatica, Daniel riuscì a stringere la gola di Carl con le dita e l’altro si irrigidì immediatamente. “Hai finito di correre, bastardo!”
Daniel sentiva un odio viscerale per Carl, niente a che fare con la rabbia mista a pena dell’ultima volta, e perciò si concesse di stringere un po’ la presa, non tanto da soffocarlo ma abbastanza da fargli capire che l’avrebbe fatto se avesse osato fare qualche danno in attesa di Ian o di un qualsiasi altro cavaliere che si fosse degnato di andarli a prendere.
Carl, a sorpresa, sorrise.
“Quanto tempo, eh, Daniel?” chiese.
“Fottiti.” ringhiò l’altro, ben poco propenso alla collaborazione, “Hai distrutto la vita di Ian!”
“Ma come?” chiese Carl, sorridendo come…un pazzo, Daniel non avrebbe saputo descriverlo in altro modo, “Non era certo a Ian che volevo rovinare la vita…beh, non troppo.”
Daniel represse a fatica una smorfia di disgusto. Poi decise che non ne valeva la pena e lasciò che affiorasse sui suoi lineamenti.
“Sei un pazzo.” sibilò, “Hai già fatto abbastanza male a Donna una volta!”
Carl scosse la testa, serio.
“Oh, ma io non voglio farle male.” dichiarò, “Io voglio fare ciò che non hai fatto tu, voglio riportarla a casa, dove sarà felice. E voglio ammazzare quel bastardo che l’ha tenuta qui.”
Daniel sgranò gli occhi, sgomento, e sbatté le palpebre un paio di volte per assicurarsi che Carl non scoppiasse a ridere dicendogli che era tutto uno scherzo. Non può crederci davvero!
“Donna resta qui perché vuole stare con Etienne.” ribadì, senza neanche sapere perché perdesse tempo a cercare di spiegare la verità all’altro Americano.
Questi divenne fuorioso.
“Bugiardo!” ringhiò, iniziando a dimenarsi, “Lei vuole me! Quello è un bastardo e tu sei in combutta con lui!”
“Ma che diavolo stai…?!”
“Sei in combutta con lui! Non hai riportato Donna di là, sei in combutta con lui! L’hai imprigionata qui!” urlava, era in pieno delirio, e Daniel non seppe più bene cosa fare.
“Sei pazzo…” mormorò solo, limitandosi a tenerlo fermo.
All’improvviso, Carl tacque e si immobilizzò. Sorrise, come se avesse ricordato qualcosa, e poi puntò gli occhi in quelli di Daniel e il sorriso mutò in ghigno.
“Ma basta parlare di me.” disse, come se fino ad ora non avessero fatto altro che conversare amabilmente, come se non fosse stato sdraiato sulla schiena con l’altro americano addosso a tenergli le mani attorno alla gola, “Parliamo di te. Dimmi, come sta tua figlia?”
Daniel sentì un brivido spiacevole scendergli lungo la schiena.
“Non osare parlare di lei!” sibilò. Carl aveva un’espressione strana, folle e felice, e la sola idea che parlasse di Alex con quello strano tono di voce, come di uno che insinua qualcosa, lo atterriva.
Carl scoppiò a ridere.
“Dev’essere una bella responsabilità, una spadaccina donna nel tredicesimo secolo, vero?” continuò, ignorandolo, “Immagino sia anche diventata più grande dall’ultima volta che l’ho vista.”
Daniel si irrigidì. Carl non aveva mai visto Alex, di certo lui non l’aveva portata a trovarlo per una visita di cortesia.
“Sta’ zitto!” ringhiò, sempre più a disagio, la gola che andava seccandosi.
“Beh, è passato un po’, in effetti.” Carl continuò, apparentemente per nulla preoccupato dalla piega degli eventi.
“Daniel, che diavolo succede?”
Ma Daniel non ascoltò la voce di Ian, appena sceso da cavallo alle loro spalle, e invece strinse un po’ la presa sulla gola di Carl.
“Ti ho detto di non parlare di mia figlia!” ringhiò, sentendosi un pazzo a sua volta.
Stava tremando e sudando freddo, qualcosa nella voce di Carl e nelle sue parole lo stava mandando in confusione. Era come se ci fosse qualcosa che continuava a sfuggirgli eppure che la sua mente aveva già capito ma che non voleva formulare, quasi avesse paura di elaborarlo come un pensiero reale.
“Daniel, dimmi:” la voce di Carl era quella di un uomo che avesse appena vinto una guerra, “tua figlia ha imparato a stare attenta prima di attraversare? Ci sono così tanti pericoli per una ragazzina che torni a casa a tarda sera, oggigiorno…”




Lo so, davvero, lo so, e se volete odiarmi per questo ritardo nell'aggiornare, siete assolutamente giustificati. Giuro, vi capisco e me lo merito. :( 
Scusate, prima di...dieci minuti fa non ho avuto tempo di scrivere. Però ringraziate la cara _LaDisegnatrice_XD perché ieri sera, chiacchierando, mi ha risolto tutti i più grossi problemi che avevo per il continuum (questo capitolo praticamente lo abbiamo scritto insieme mangiando pizza xD) e mi ha permesso di superare la più grossa impasse che avessi per questo racconto :)
Grazie, quindi, cara! Cosa farei senza di te? :D
Detto questo, a presto spero! :)
Ciao ciao!
Agapanto Blu
  
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