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Autore: tortuga1    27/10/2013    2 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V.

 

Come stai oggi? Ti senti meglio? – nel riquadro dello schermo Sebastian è pallido e triste, forse anche lui sta male. Però è meglio non chiedergli niente.

Come… come diavolo fai a sapere che stavo… – Paula si aggrappa alla mensola della consolle. Non può vederla, è tutto sotto controllo. E nemmeno sentire la sua voce vera e capire dalle inflessioni cosa pensa. E invece…

Sono alcuni giorni che stai male. L’ho capito dai discorsi che fai, ma non preoccuparti. Capita a tutti ogni tanto.

Chi te l’ha detto?

Tu, me l’hai detto. Una volta, molte volte. Però ultimamente sei cambiato. Non siamo più amici come prima? Mi sembrava che ci tenessi, alla mia amicizia.

Ma io… lei… volevo dire io sono sempre lo stesso.

Sei un programma, vero? Ho capito che non sei vero, quando ho scoperto dove sono.

E dov’è che sei? Dimmelo.

Sono su una nave spaziale. Ho indovinato? Ecco perché non ci sono finestre e non ho spazio per muovermi. Ecco perché ci sono queste macchine nella palestra, il database del computer ne parla. Sono state inventate per i viaggi interstellari. E tu sei il computer centrale, che deve tenermi compagnia per non farmi impazzire. Ma ora puoi dirmi qual è la mia missione, o è troppo presto ancora?

Cosa ti fa pensare che tu abbia una missione?

Mi hai addestrato per troppi anni. Perché perdere tanto tempo se non serviva a niente? Mi sembra illogico. – già, illogico. Paula stringe ancora di più la mensola, le dita diventano bianche.

E se ti dicessi che non c’è una missione, che tu devi restare lì dentro per sempre… per sempre, capisci!

Cosa dici, per sempre… è terribile.

Sì! Lo so che è terribile, maledizione!

Allora non sei un computer, sei un essere intelligente capace di emozioni!

Che stronzate stai dicendo!

I computer non dicono parole scorrette.

Io… e va bene. Non sono un computer. Vorrei esserlo ma non lo sono.

Io invece sono contento che tu non lo sia. E nemmeno l’altro era un computer. Sai che veniva sempre a salutarmi quando era ora di dormire, sentivo l’affetto nelle sue parole, e sono sicuro che mi avrebbe abbracciato se avesse potuto. Ero un bambino, allora. Ma dimmi dove sei, sei il controllore della base? Siamo collegati via radio? La mia nave si è persa e non potete più recuperarla?

No… – fa tutte le ipotesi possibili in base alle cose che sa, ha letto la biblioteca del terminale che comprende testi di medicina e trattati generici sul volo spaziale. E basta. – non si è persa, la tua nave.

E allora cos’è successo? Perché il volo dura così a lungo? Sono qui da… diciotto anni standard. Ho tenuto il conto, dato che quello di prima (che era più gentile di te) mi ha detto esattamente quanti anni avevo. So anche il giorno della mia nascita, il quindici del mese delle piogge.

Adesso devo andare via. – è troppo duro da mantenere, questo rapporto. Paula ha di continuo la sensazione di fargli del male, tenendolo chiuso lì dentro. Ma non può farlo uscire, sarebbe una catastrofe, e forse ci sarebbero conseguenze irreparabili per tutta la colonia. E le sue paure sono aumentate ora che sa qual era la missione degli uomini.

Ti prego, non andare, resta ancora. – di sicuro è la prima volta che si esprime così. La sua voce esprime ansia, e anche il viso è attraversato da una smorfia di dolore.

Perché vuoi che rimanga…

Mi sento solo. Non mi basta più il computer. Mi sento inutile. Forse è meglio morire.

Non dirlo più! Non è… è una cosa pazza.

Perché pazza? Non servo a niente, tutto quello che ho imparato lo devo tenere per me, anche quegli interventi a distanza sembrano sempre gli stessi, forse anche quelli sono simulati. Tutto simulato, la tua voce, la mia vita. Perché vivere così?

Perché… – Paula pensa in fretta, deve essere convincente. – perché ce l’hai, la missione. Sei l’ufficiale medico di Terra due.

Cos’è terra due? Mai sentito.

È un progetto iniziato molto tempo fa. Tu sei un umano.

Lo so, che sono un umano. Me lo ha detto l’altro.

E lo sai che gli umani hanno un… sesso?

Certo che lo so, lo so perfettamente. – la sua faccia esprime stupore e curiosità – So operare sia uomini che donne, e sono addestrato per curare le patologie specifiche degli uni e delle altre. Ma fra di voi non parlate? Aspetta, aspetta! Ora ho capito, voi siete una specie aliena, ecco perché non vi fate vedere mai.

Sì. – che fortuna, il problema per ora è risolto, fino alla prossima crisi. – hai indovinato. Vi osserviamo da molto tempo, ma non potevamo farci vedere per non influenzare la vostra civiltà.

E io? Perché sono qui? State facendo un esperimento?

No! Non è un esperimento! – maledetta Ester, con la sua idea brillante. – è successo un… incidente. Ora tu sei solo, separato dalla tua colonia.

Lo avete provocato voi, l’incidente? – la sua voce sorda e minacciosa le fa un po’ paura, Paula sa che gli uomini possono essere pericolosi. Per fortuna la paratia d’acciaio è impenetrabile.

No! Ti giuro che non siamo state… stati noi. Noi ti abbiamo solo… raccolto.

Non mi ricordo di nessuno. Solo macchine e questa voce. Siete così schifosi da vedere? Ormai so della vostra esistenza, che ragione c’è a stare nascosti?

C’è un motivo… – Paula pensa ancora, e l’idea viene da una discussione avuta molto tempo prima con Ester, una sera spensierata d’estate. Ester era allegra e si era lanciata in un ragionamento filosofico neanche tanto assurdo. – tu credi che tutte le forme di vita siano basate sul carbonio, vero?

Sì… tutte le forme di vita che conosco. Che vuoi dire?

Ci sono altre forme di vita, completamente differenti. Noi siamo basati sul… silicio, quello che voi chiamate silicio. Non siamo compatibili in nulla, quello che respiri tu (una miscela di gas che voi chiamate ossigeno e azoto) per noi è veleno, e se tu fossi nella stessa cabina con me moriresti ustionato, perché la nostra temperatura corporea è di duecento dei vostri gradi. Ah, dimenticavo, noi respiriamo un gas che voi chiamate acido cianidrico…

Che peccato… e così non c’è speranza d’incontrarci di persona. Avrei voluto stringerti la mano. Sai, un gesto che facciamo noi umani per dimostrare amicizia, me lo ha detto l’altro.

Ma noi non abbiamo mani. Abbiamo… tentacoli, ecco, quello che voi chiamereste tentacoli.

Ah. – finalmente sorride, il viso è disteso. Bene, ha funzionato, almeno per oggi. – Mi dispiace che non possiamo incontrarci, però quello che conta è il pensiero. Sono contento che finalmente mi abbia parlato di te, di voi. E grazie per il tempo che perdi con me, mi fai sentire meglio.

Non ho perso tempo! Anch’io sono contenta di parlare con te. Volevo dire… contento.

Bene. – Sebastian si stira sorridendo e soffoca uno sbadiglio – Ora ho un po’ di sonno. Come si dice, da voi?

Buona notte.

Ah, ecco, si dice così anche da noi. Buona notte.

Lo schermo è muto e vuoto, ma Sebastian resta a guardarlo immerso nei suoi pensieri. Dopo un po’ digita un comando sulla tastiera e riascolta la registrazione del dialogo. Da quando, undici anni prima, ha scoperto per caso come fare, registra tutte le conversazioni con la voce. Le ultime volte qualcosa è cambiato, lo sente benissimo anche se il suono metallico è articolato dalla macchina nello stesso identico modo. Sono diversi gli intervalli fra le parole, come se ogni tanto esitasse, e anche il vocabolario è leggermente differente. Un altro essere parla con lui, quello di prima non c’è più. Lo rimpiange perché si era affezionato, ma quello nuovo è ugualmente gentile, si preoccupa che lui stia bene, gli chiede sempre se ha bisogno di qualcosa. Per due volte ha esitato parlando di sé al femminile, e poi si è corretto. Un alieno femmina.
Nella biblioteca anatomica ci sono solo cadaveri, di tutte le età e osservabili da tutte le angolazioni. Immagini di donne viventi no, nemmeno una. Come sarà una vera donna viva? Come parlerà, che effetto farà ascoltare la sua voce, su un registro più acuto di circa un’ottava in media, perché l’organo fonatorio, il laringe, nelle femmine è più piccolo di quello dei maschi… e poi, che effetto farà toccare la sua pelle, come sarà… congiungersi con lei? Come sempre seleziona l’immagine n. 12569. Donna di diciannove anni, morta per un’overdose da droga. Prima di essere inclusa in un unico blocco di plastica e sezionata con il laser in fette trasparenti da un quarto di millimetro è stata olografata e si può guardare da tutte le angolazioni, sembra in piedi con le braccia lungo il corpo, i capelli ricci e scuri, nuda. Le gira intorno, ecco il palmo delle mani con le linee sottili e macchie d’inchiostro sui polpastrelli delle dita. La curva delicata dei fianchi, le fossette delle articolazioni fra il sacro e l’ischio. Sospirando si tocca, sentendo forte quanto è inutile e quanto è triste.
La nave viaggia da trent’anni, ormai. Accelerando di continuo un po’ di più sotto la debole spinta dei motori ad energia atomica che sparano dai razzi di coda una nuvola di ioni, ormai ha raggiunto i cinquecentomila chilometri all’ora. Poco per la distanza che deve coprire, infatti il Sole è ancora di gran lunga la stella più luminosa del cielo nero, ma nessun uomo è mai andato così veloce. A metà percorso, guidata dalla sua batteria di computer ridondanti, la nave invertirà la spinta dei motori impiegando più di duecento anni per frenare la sua corsa, descriverà una rivoluzione intorno alla stella AK32, perdendo ancora velocità e agganciando il campo gravitazionale di Terra due. Il pianeta si chiama già così, se qualcuno laggiù è ancora vivo e ha voglia di consultare una carta stellare potrà localizzarlo facilmente e fantasticare su come mai può essere. Leggermente più piccolo della Terra, con un’atmosfera contenente vapore d’acqua, anidride carbonica e tracce d’azoto. Grandi calotte polari, un oceano sconfinato e un continente color arancio che durante i lunghi inverni diventa bianco di neve. Ci vorranno cento anni perché i batteri transgenici producano un’atmosfera respirabile e abbastanza humus per le piante primitive, e altri cento perché crescano le foreste e le praterie seminate dai moduli automatici. E poi comincerà l’avventura.
Solo nel vasto locale dei computer Steve rigira fra le mani una delle schede di memoria che ha preso in biblioteca. In trent’anni ha letto tutti i libri gialli, l’unico genere che gl’interessa, nel molto tempo libero che gli resta dai turni nelle serre. L’astronave è grande abbastanza da dare l’illusione di un mondo fermo e stabile. I locali sono abbastanza spaziosi, la gravità ottenuta con una rotazione costante attorno all’asse centrale è due terzi di quella originale della Terra. Le nuove serre a circuito chiuso sono state un successo: ancora in fase sperimentale alla partenza, si è visto che producono cibo e ossigeno a sufficienza per il piccolo gruppo di coloni, e l’eccesso può essere liofilizzato e ridotto in razioni a lunga conservazione.
La scheda è un videogioco modificato, molto usato dall’equipaggio maschile. La ragazza che è possibile fingere di toccare dev’essere una vecchia, ormai, o forse anche lei è morta ammazzata. Nuda, con i capelli raccolti in una breve coda da un nastro colorato, la pelle liscia e abbronzata, tette spettacolari ma naturali (si capisce da come ballano quando corre), fianchi larghi parlanti e un pezzo di culo che lo fa venire duro solo a guardarlo. Corre e tu la insegui, e se la prendi… Purtroppo le schede sono solo un centinaio, e col tempo diventa tutto banale e scontato. Come quei giochi complicati che le prime volte ti danno filo da torcere, e poi li fai ad occhi chiusi perché hai capito il trucco. Steve è ingegnere meccanico, il suo addestramento dovrà metterlo in pratica solo dopo l’installazione dei moduli minerari. Comunque ne sa abbastanza di informatica da tentare di riprogrammare la scheda. Altri movimenti, cazzo, qualche variazione che renda le cose meno monotone. Inserisce il quadratino nero nello slot, eccola la stronza subito pronta che gli tira fuori la lingua e lo sfida ad afferrarla con le braccia pelose incorporate nel programma, comandate dalla coppia di joystick. Ma lui non è interessato alla solita scena. Cerca di fermare il programma per lavorarci dentro e subito compare una schermata di protezione, è necessaria una password per proseguire.
Rina è alta per la sua età e il lavoro nei campi l’ha irrobustita. D’estate usa le macchine solari per diserbare e dissodare, taglia alberi per liberare nuovi spazi e per procurare altro legname alla colonia. Quasi tutto è fatto di legno, alla colonia, l’estrazione e lo sfruttamento dei metalli vanno molto a rilento per mancanza di attrezzature. Per costruirle dovrebbero ripercorrere le tappe delle civiltà primitive, ma sono poche e poco adatte ai lavori pesanti. La maggior parte dei membri della colonia ha specializzazioni scientifiche o decisamente strane, come quella di Tania, che deve tenere nascosto il suo talento artistico ed è stata costretta a rispolverare il suo hobby dell’erboristeria, Rina lo sa perché gliel’ha confidato Francesca che è scrittrice e scenografa, e d’estate zappa la terra. Per fortuna qualcuna con i muscoli c’è, servono braccia per seminare, piantare e curare gli alberi da frutta. Durante il lungo inverno Rina e Francesca hanno poco da fare, la terra è gelata e le macchine non vanno. Ma c’è sempre la neve da spalare, la legna da trasportare con le slitte e le riparazioni. E poi si può fare musica, non ai livelli di Emily, ma abbastanza da divertirsi. Le dita di Rina percorrono la tastiera del campionatore, senza seguire uno spartito. Lei si rilassa così, inventandosi la musica. Potrebbe continuare per ore, e se qualcuno l’ascoltasse di sicuro la troverebbe noiosa. Però non c’è nessuno, solo Francesca, perduta nei suoi pensieri, quasi non sente le note di organo che le sembrano seguire una logica inesorabile. Ora premerà sui tasti per ottenere un effetto di vibrato con l’aftertouch, poi suonerà una scala veloce sul registro alto. Infatti. E ora…

Di cosa parlate sempre tu e Marzia?

Non lo sai? Davvero non lo sai? – Rina continua a suonare distrattamente, ha il viso leggermente arrossato. Come molte altre, ha preso male la notizia che non è un essere unico e irripetibile, l’idea di essere una copia destinata a ripetersi all’infinito le fa rabbia. – invece sono sicura che lo sai, è già successo, come queste fottute note che sono sempre le stesse! – la mano aperta colpisce con forza i tasti bassi del campionatore, che emette un rumore violento di porta che sbatte.

Non romperlo, è difficile da riparare e poi ti mancherebbe.

Non lo rompo ma mi sono rotta io di suonarlo. – spegne bruscamente lo strumento e rimane girata con la faccia verso il muro di legno grezzo.

Senti, se ti consola, io quando l’ho saputo ho fatto una scenata identica a questa.

Non mi consola un cazzo!

Non parlare così. Le altre non parlano così.

Ma noi sì. E se non gli piace alle fottute stronze, che vadano a farsi inculare da un negro!

Chi ti ha detto cos’è un negro…

E a te chi ha detto cos’è un cazzo? Svegliati, Francesca, mi sembri rincoglionita! Chi diceva così, non te lo ricordi? Tu eri, e lo hai detto a Helga, Helga lo ha detto a Marzia e Marzia a me. Tutto torna indietro.

Io volevo…

Ho capito cosa volevi, invecchiando sei diventata molle. Credi che sarò più felice se non dico fica alla fica?

Basta, hai ragione tu. Non funziona, non funziona un cazzo di niente. Ti ascoltavo suonare e sapevo quale tasto avresti premuto. Ne ho le palle piene di questa ripetizione del cazzo.

Ah! Finalmente parli come si deve! – si alza bruscamente e percorre la camera a grandi passi. – e ora che sono grande, tira fuori il whisky, lo so che ce l’hai e so pure dove lo tieni. Fa freddo e ho le palle rotte. Dove andiamo a parare con questa colonia del cazzo? Che fine faremo? Me lo dici, lo sai, tu?

Non lo so, non so un cazzo di niente. Vuoi bere, eh? Io all’età tua lo reggevo già bene.

E io pure, che credi? Ti ho detto che so dove lo tieni, e so pure farlo. – Francesca estrae da sotto un’asse una bottiglia scura e versa l’alcool in due scodelle.

 
Rannicchiata nel suo letto Giulia respira piano, sperando d’ingannare l’udito fine di Anna. Da quando ha visto il contenuto della maledetta scheda di Paula non riesce più a riposare tranquilla. Basta chiudere gli occhi e ricompare il filmato senza parole ma pieno di gemiti e grugniti, una cosa schifosa ma anche terribilmente interessante, e così lei e Paula l’hanno visto fino all’ultimo fotogramma, senza fermarlo quando è ripartito dal principio. Poi senza guardarsi negli occhi hanno staccato il cavo e Paula ha ripreso la scheda, ma non se l’è messa al collo come prima, l’ha cacciata in una tasca della tuta. Giulia sospetta che l’amica abbia intenzione di buttarla via, ma è indistruttibile, anche dopo un inverno sotto la neve le sue dannate informazioni restano. Che delusione, lei credeva che ci fossero dati importanti, e anche Paula, invece…
Invece una lunga scena spaventosa, ripresa dalla parte di un essere schifoso con le braccia pelose, si vedono solo quelle e nient’altro, che afferrano una povera donna, molto bella per la verità, che non sembra spaventata, anzi sorride mentre le mani la toccano, la…
Giulia si gira nel letto e mette il cuscino in mezzo alle gambe. Muovendosi piano per non farsi scoprire da Anna, dato che non russa ancora si capisce che è sveglia, strofina la carne sensibile contro la stoffa ruvida e controlla il respiro. Alla fine sospira forte e cambia rumorosamente posizione. Fatto anche stavolta. Ora il sonno verrà più facilmente, forse.
Invece non viene, vede ancora la scena che gira e gira, la carne soda dei fianchi della donna pressata dalle dita crudeli, mentre l’altra mano si muove rapida. Si muove rapida apparentemente senza scopo, ma che logica poteva avere un uomo, un essere estinto primitivo, inferiore... Però quei movimenti le ricordano qualcosa, somigliano troppo a…Vorrebbe avere la scheda e non può alzarsi senza svegliare Anna, sente che è importante rivedere il filmato ancora una volta.
  
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