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Autore: Gea_Kristh    14/04/2008    5 recensioni
Il tempo aveva cessato il suo corso. Non so quanto esattamente rimasi in quello stato degradante, ma ricordo distintamente quando, ancora circondata da quel dolore indimenticabile, avvertii un cambiamento. Ci misi più di qualche minuto, forse ore, a rendermi conto di cosa fosse, quel cambiamento. Poi realizzai, e fu un fulmine a ciel sereno, per così dire. Non udivo niente. Il mio cuore aveva smesso di battere.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
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Ed ecco che, dopo tante esitazioni, dopo mille dubbi, mi sono decisa a pubblicare questa mezza fanfic. Avrebbe potuto trasformarsi in una longfic, ma ho deciso di lasciarla così sotto consiglio di una mia amica. Ci sono temi che volutamente non ho trattato, ignorandoli. Non me ne vogliate, è stata una pura scelta di stile.

Un ringraziamento particolare a coloro che leggeranno questa breve storia,
Gea Kristh

Reborn - Senza Rimorsi

 Il mio corpo era coperto di una patina di sudore; deglutii a fatica, avevo la gola molto più secca di quanto credessi fosse possibile.

 Sentivo i miei muscoli guizzare senza che il mio cervello inviasse loro il minimo impulso. Crampi continui mi avevano paralizzato le articolazioni, rendendomi incapace di qualsiasi movimento.

 Respirare mi costava fatica, e tuttavia non riuscivo a smettere di ansimare disperatamente. Il mio petto si alzava ed abbassava freneticamente, seguendo battito aritmico del mio cuore.

 Ero in preda al dolore più letale che il mio povero corpo avesse mai sopportato. Molto più terribile di quanto la mente umana possa immaginare senza aver provato l'esperienza.

 E avrei voluto gridare, ma ne ero incapace. Non ricordavo come si facesse. Nulla. La mia mente era vuota. Solo dolore, che mi rendeva incapace di pensare a qualsiasi altra futile cosa.

 I miei occhi bruciavano, come consumati da fiamme. Vedevo, ma il mio cervello era incapace di registrare le immagini. E sentivo anche, nonostante il martellante ritmo del mio cuore e lo scrosciare del mio sangue nelle vene sembrasse riempire l'aria. L'aria... i polmoni erano preda del fuoco più intenso. Ogni respiro era una sofferenza immane.

 Sapevo che avrei dovuto sentire calore. Ma ciò che provavo era solo gelo. E non era un ghiaccio lenitore né benefico, bensì rovente più delle fiamme stesse.

 Sarebbe stata una liberazione svenire, o almeno che la sofferenza cessasse di aumentare. Ma rimasi lucida. Meglio: rimasi cosciente. Cosciente delle fitte lancinanti e costanti che contorcevano le mie membra.

 Il tempo aveva cessato il suo corso. Non so quanto esattamente rimasi in quello stato degradante, ma ricordo distintamente quando, ancora circondata da quel dolore indimenticabile, avvertii un cambiamento. Ci misi più di qualche minuto, forse ore, a rendermi conto di cosa, quel cambiamento fosse. Poi realizzai, e fu un fulmine a ciel sereno, per così dire. Non udivo niente. Il mio cuore aveva smesso di battere.

 Da quel punto in poi il dolore andò diminuendo, sebbene, in preda alle convulsioni, non me ne rendessi conto.

 Fu improvviso. Tutto svanì come era comparso. Rapidamente il mio cervello realizzò che giacevo su qualcosa di morbido; avevo gli occhi chiusi, ma non ricordavo quando le mie palpebre si erano abbassate.

 Fu altro, tuttavia, a sconvolgermi nel profondo.

 Per primo, mi accorsi di udire. Uno scricchiolio del parquet, due passerotti che cinguettavano, il vento tra le chiome degli alberi, voci sommesse, tonfi e stridii. Tutto era amplificato, ed io riuscivo a cogliere ogni sfaccettatura di quella sinfonia.

 In pochi secondi mi resi conto di qualcosa che, però, mi causò un sobbalzo impercettibile: non respiravo. E non ne sentivo nemmeno il bisogno, a dirla tutta. Mi concentrai un poco sui miei polmoni, e un lento e placido respiro mi carezzò, forse fin troppo pacato, ma tuttavia piacevole. Un’incredibile quantità di odori mi colpì. Sentivo il profumo della terra, dell’erba, dei fiori; aromi conosciuti e sconosciuti. Ma, sopra ogni cosa, sentivo forte, inebriante, il fantastico odore di lui.

 Mi resi conto che doveva essere lì, accanto a me. Il mio bellissimo angelo…

 Aprii gli occhi e mi sembrò di vedere per la prima volta nella mia vita. Guardavo il soffitto della camera di Edward. C’era sempre stata, quella macchia più scura? E quella sottile crepa? Spostai il mio sguardo sul resto della stanza. Fu meraviglioso vedere quanta luce inondasse l’atmosfera. Mi trovai a sorridere, facendo guizzare lo sguardo in ogni parte. E, mentre osservavo ogni dettaglio come una bambina alle sue prime esperienze di vita, il profumo intenso di lui mi entrava nei polmoni. Volevo vederlo. Non mi importava quanto orribile sarei apparsa ai suoi occhi, dopo notti di dolore e sudore. Volevo stringerlo a me e dirgli quanto lo amassi. E volevo sentirmi dire che anche lui mi amava, e che saremmo rimasti insieme, per sempre. Mi tirai a sedere, facendo scivolare il morbido lenzuolo che mi copriva lungo il mio busto. Non mi resi conto immediatamente di quanto fluido e rapido il mio movimento fosse stato.

 Cercai lui con lo sguardo, ancora non abituata a quelle nuove sensazioni. Quando infine i suoi occhi incrociarono i miei, tutto il mondo smise di esistere.

 Edward mi fissava con le labbra socchiuse, seduto su una poltrona accanto al letto. Ed era bello, bellissimo. Si alzò, senza una parola, e venne verso di me. Lentamente, un passo alla volta. Si sedette sul bordo del letto, e mi passò le braccia attorno al corpo, attirandomi a lui. Mi ritrovai circondata dal suo profumo, che entrava in me, donandomi sensazioni mai provate. Il mio corpo era scosso da brividi.

 Lo strinsi a mia volta, sentendo forte il bisogno di sentirlo vicino a me. Una morsa mi strinse la bocca dello stomaco. La familiare emozione che mi coglieva ogni qualvolta ero assieme a lui non mi aveva abbandonata affatto: era lì, ferma e potente.

 La sola presenza di Edward mi intossicava. Era la mia droga, e io ne ero assuefatta.

 Prese a carezzare lentamente la mia schiena, le mani lievi come ali di farfalle, e per riflesso poggiai il capo nell’incavo della sua spalla. Il profumo della sua pelle mi dava alla testa. Poggiai un bacio leggero sulla sua spalla.

 Mi accorsi con stupore che la pelle del mio Edward non mi sembrava più così fredda, ora.

 «Ti amo» lo sentii sussurrare, e il suo fiato mi carezzò, facendomi rabbrividire.

 «Ti amo» risposi allo stesso modo.

 Edward mi scostò un po’ da se, solo per poter poggiare la sua fronte sulla mia. I suoi occhi socchiusi, fissi nei miei, esprimevano sentimenti diversi. Le sue iridi erano di un color topazio dalle mille sfaccettature diverse. Vi leggevo amore, dolcezza, ma anche sofferenza e dolore.

 Gli sorrisi timidamente. Alzai una mano, per potergli carezzare con un movimento delicato una guancia. Lui chiuse gli occhi, e inspirò profondamente.

 Le sue labbra erano socchiuse, così invitanti da essere irresistibili. Mi avvicinai inconsciamente. Edward sorrise, con quel suo sorriso sghembo capace di farmi impazzire. Prese il mio viso con le mani, e, con estrema dolcezza, posò un bacio sulle mie labbra. Mi sentii morire.

 «Potrai mai perdonarmi, amore mio?» la sofferenza che i suoi occhi esprimevano mi colpì improvvisamente. Non capivo. La mia incertezza doveva essere evidente, perché continuò:

 «Ti ho trasformata in un essere senza pace, angelo mio. Non ho nemmeno il diritto di sfiorarti, con queste mani peccatrici.»

 Lo osservai sconvolta per un istante. Davvero era questo ciò che lo tormentava? Abbassò gli occhi.

 «Edward», gli risollevai il viso con un gesto delicato, ma fermo. Quando incrociai nuovamente il suo sguardo dorato la potenza del suo pentimento mi fece quasi del male fisico. «Sono felice che tu l’abbia fatto.»

 «Perché? Perché non sei infuriata con me?» la sua voce era rabbiosa ora, tuonante. Il suo corpo fu scosso da un fremito, e si accasciò sulla mia spalla. «Perché?».

 Lo strinsi forte a me, cercando di trasmettergli tutto l’amore che provavo per lui.

 «Perché dovrei essere arrabbiata con l’amore della mia vita? Perché, quando ha solo realizzato il mio sogno? Perché, se sono così immensamente felice e innamorata?». Gli sorrisi quando lui alzò il volto per fissami.

 «Non sentirti in colpa, amore mio. Ti prego. Io non sono mai stata così felice in vita mia… Perché ora, e per sempre, posso stare con te.» Era vero. Ero felice, felicissima. Ma l’ombra della sua tristezza prosciugava ogni briciolo della mia gioia.

 «Ti amo.» mormorò, prima di baciarmi ancora. Le mie braccia scivolarono attorno al suo collo. Era un bacio diverso da quelli a cui ero abituata. Un bacio in cui misi tutta la passione che avevo in corpo. Sentii la lingua fresca di Edward carezzarmi il palato, e giocare con la mia. Era come se il mio cuore fosse tornato a battere ancora, solo per lui.

 «Ho paura Ed…» mormorai, stretta nel suo abbraccio.

 «Ne hai il diritto, ed è solo colpa mia.» ogni sua parola era intrisa di un dolore straziante.

 «Oh… no! No, non intendevo questo. Non pensarlo mai.»

 Edward mi scostò da se, per guardarmi negli occhi. Gli sorrisi, e se avessi potuto arrossire sarei di certo divenuta più simile ad un pomodoro maturo che a una persona comune.

 «Sarò sempre accanto a te Bella. Non lascerò mai che niente possa farti del male.»

 Chinai il capo. La mia voce fu poco più di un sussurro, tanto che credetti non avesse potuto sentirmi. «Ho paura... di non piacerti Ed. Non ho più un cuore che batte, o il profumo del mio sangue… non posso arrossire, non sono calda.» Un singulto mi scosse. Sapevo che Edward mi amava. Eppure la paura che lui non mi trovasse attraente era costante.

 «Sciocca.» mi carezzò dolcemente i capelli, chinandosi per posare le sue labbra sulla mia testa. L’ombra di un sorriso gli aveva increspato gli angoli della bocca. «Ti amo più di qualsiasi cosa in questo mondo. E sei bellissima, angelica, molto più di quanto le parole non possano descrivere… tanto da dovermi controllare per non saltarti addosso.» Sorrise, e lo feci anche io.

 «Ti amo.»

 «Non mi stancherò mai di sentirmelo dire.»

 Mi baciò ancora, e ancora. La dolcezza del suo sapore mi diede alla testa, e non riuscii più a pensare coerentemente. Sentii la morbidezza del cuscino premere contro la nuca. Edward mi sovrastava, il suo peso tutto sugli avambracci, ai lati della mia testa.

 Sentii il rumore di una porta che sbatteva, e di passi veloci lungo le scale. Non vi prestai molta attenzione, finché un uragano non si abbatté sulla porta della stanza di Edward, spalancandola con un tonfo assordante.

 Ed si staccò di malavoglia da me, e un basso ringhio gli nacque dal petto. Ridacchiai.

 «Bella!! Oh mio Dio! Fatti vedere!» Alice ignorò completamente le occhiate assassine del fratello, con un sorrisone a ottomila denti stampato in volto. Dire che era raggiante era poco.

 «Ali! Come stai? Mi sembra un secolo che non ci vediamo!» decisi di assecondarla, tanto ormai l’atmosfera romantica era andata a farsi benedire. E poi avevo voglia di rivedere tutti quanti. Quanto era passato dal morso? Erano accanto a me ed Edward in quel momento.

 Il mio angelo dai capelli di bronzo si scostò da me con una smorfia in viso. Gli sorrisi divertita, lui sbuffò.

 «Io? Io sto benone! Tu piuttosto… Ma guardati, sei una meraviglia!!»

 Fu allora che mi ricordai di un fatto: il mio aspetto era cambiato. Ero anche io bellissima come gli altri Cullen? Ne dubitavo, ma la curiosità mi spinse a muovere le gambe per uscire dal letto. Indossavo una camicia da notte di seta, che indubbiamente non era mia. Una volta fuori dal lenzuolo notai quanto snelle e toniche le mie gambe fossero. Mi sorprese anche di più il colore della mia pelle: lattea, molto più di quanto già non fosse. Mi sollevai in piedi, aspettandomi di avere i muscoli intorpiditi dalle ore passate nel letto. Non era così. Il controllo che avevo sui miei arti mi scioccò. Alzai una mano, portandomela all’altezza degli occhi. Fissai con mente vuota le lunghe dita affusolate, le unghie perfette, la pelle priva di imperfezioni. Possibile? Strinsi la mano a pugno. Sentivo una forza che mi era estranea.

 «E’ strano?» mi chiese Edward con un sorriso sulle labbra. Voltai la testa nella sua direzione, sorridendogli a mia volta.

 «Non immagini quanto.»

 Lui ridacchiò. «Oh… penso di averne un’idea.»

 Alice senza una parola mi prese per mano e mi trascinò verso la porta del bagno. Una volta dentro mi indicò lo specchio, trepidante nell’attesa di vedere la mia reazione.

 Sgranai gli occhi non appena mi voltai in quella direzione.

 Ero io? Ero davvero io? Mi mossi verso la mia immagine riflessa, non sapendo cosa pensare. Mi sentivo un’estranea. Non era semplicemente possibile.

 La mia pelle era completamente bianca, e solo le occhiaie violacee spiccavano su essa. Ricordavo iridi color cioccolato fondente… Quelle che ora erano tinte di sangue, un colore che mi dava i brividi. Mi terrorizzò pensare che quelli fossero i miei occhi; ma, contemporaneamente, mi affascinò immensamente. Lunghe e folte ciglia scure davano un’aria sensuale al mio sguardo. Se ne fossi stata in grado, sarei certamente arrossita. Le mie labbra erano più carnose di quanto non le ricordassi. Molto di più.

 I capelli… i capelli erano veramente qualcosa. Scossi il capo, e ciocche boccolose e morbide seguirono il mio movimento, scintillando di riflessi rosso rame alla luce della stanza. Erano lunghi, più di quanto non lo fossero i miei, e brillanti. Descrivevano curve così perfette…

 Seguii con stupore crescente la curva del mio collo e giù, sul seno, il ventre piatto, i fianchi, le gambe. Non ero cresciuta in altezza, comunque, almeno qualcosa non era cambiato dalla vecchia me.

 La vecchia me… possibile che Bella Swan e questa modella riflessa nello specchio fossero la stessa persona?

 Mi voltai, ancora in fase di shock, verso la porta del bagno, solo per accorgermi che tutta la famiglia Cullen era intenta a fissarmi, con sorrisi tra il divertito e lo stupido stampati in volto.

 «Benvenuta ufficialmente nella famiglia, cara.» Esme mi venne incontro e mi abbracciò, come una madre. Ero quasi commossa. Ricambiai la sua stretta, sentendomi davvero a casa. Una mano si posò sulla mia spalla. Mi voltai, incrociando gli occhi di Carlisle.

 «Benvenuta Bells.» mi regalò un sorriso caldo, che mi fece stringere il cuore, metaforicamente parlando.

 «Ehi piccoletta… ma sai che poco poco e non ti riconoscevo? No, davvero, sei uno schianto!» Emmett mi fece l’occhiolino e io risi di cuore, correndo a stringere anche lui.

 Poi fu il turno di Alice, che mi reclamò per se con un “Ehi, Emm, hai intenzione di monopolizzare la mia nuova sorellina?!”.

 Abbracciai anche Jasper, che con il mio cambiamento non aveva più il problema di dovermi stare alla larga. «Benvenuta in famiglia sorellina.»

 Mi voltai verso Rosalie, non sapendo cosa aspettarmi. Ciò che vidi mi diede un immenso piacere. La bionda sorrideva. Sorrideva verso di me. Io non potei fare a meno di risponderle allo stesso modo.

 «E così non mi hai dato ascolto, eh?» mi sussurrò mentre mi abbracciava anche lei, come gli altri, accettandomi in famiglia. «Spero che non te ne penta mai.»

 E poi… poi c’era Edward. Mi osservava con quel suo sorrisetto sghembo, così incantevole da farmi dimenticare di respirare.

 No Rose… Non me ne sarei pentita. Mai.

----- Fine -----

Ed ecco la fine di questa pseudo-storia! Se avete avuto la pazienza di arrivare fin qua allora vuol dire che avete taaaanta pazienza. E perché a questo punto non lasciare un commentinino? ^.^
Un grosso saluto; alla prossima,
Gea Kristh
a.k.a.
Bea-chan

   
 
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