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Autore: Nichigin    27/10/2013    3 recensioni
"Arthur stava iniziando a irritarsi seriamente. La camicia bagnata gli si era attaccata alla pelle e la voce assurda dell'americano gli faceva venire il mal di testa. Il pomeriggio non doveva andare così; erano previsti solo lui e il suo tea. Magari qualche unicorno di passaggio, al massimo, ma NON Alfred!" [UsUk]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sei
 
Arthur si svegliò con la testa che doleva come se fosse passata sotto una pressa. Non sapeva come, ma era riuscito ad arrivare fino al letto prima di crollare addormentato. Ricordava di aver preso in prestito la macchina di Alfred - quell'idiota aveva dimenticato le chiavi inserite - ma per quanto riguardava il tragitto fino a casa… buio totale. A tutto ciò che era successo prima, si rifiutava categoricamente di pensare. Quanto diavolo aveva bevuto…?
Stropicciandosi gli occhi, andò in bagno a sciacquarsi il viso. Quando si guardò allo specchio gli venne la nausea; aveva un aspetto orripilante.
- Non dovresti sconvolgerti così per una tale sciocchezza… - disse alla sua immagine riflessa, cercando di convincersi che l'Arthur Kirkland dall'aria distrutta, con la camicia stropicciata e che puzzava di alcol fosse solo quello nello specchio, mentre quello reale fosse ancora il solito gentleman inglese impeccabile. Una vana consolazione. Aveva baciato un bloody yankee. Lo aveva fatto sul serio, e nonostante tutto quell'alcol riusciva a ricordarlo perfettamente. - Per tutti i cappellini della regina, ho baciato un maledetto yankee! - borbottò. Dopo una sbornia tendeva a fare esclamazioni particolarmente creative. - E per tutte le maledettissime bustine di tea, non mi è nemmeno dispiaciuto! -  tirò un pugno allo specchio dalla frustrazione, facendo tremare il vetro. Posò la fronte su quella superficie fredda, sentendo le ultime vibrazioni spegnersi contro la sua pelle. Se almeno quel maledetto mal di testa fosse passato…
 
***
 
Alfred non sapeva se essere più preoccupato per gli sviluppi negativi che poteva prendere il suo rapporto con Arthur o per la sorte toccata alla sua macchina. Per entrambe le preoccupazioni la soluzione era solo una: andare a casa dell'inglese. Era ben conscio di rischiare grosso… Arthur avrebbe potuto scagliargli contro un intero servizio da tea, se fosse stato di cattivo umore - e in questo caso aveva tutti i motivi per esserlo - ma doveva prendersi il rischio, se non altro per amore della sua auto.
Suonò al citofono dell'inglese con un filino d'ansia: continuava a chiedersi se sarebbe sopravvissuto alla sua furia o meno. Il tono di voce di Arthur, quando rispose, lo fece preoccupare ancora di più. Era visibilmente sull'orlo di una crisi di nervi. - Sono io. Volevo sapere se posso riprendermi la mia macchina.
- È in garage. - rispose Arthur. Alfred capì al volo che non aveva intenzione di aprirgli.
- Non mi fai entrare?
- No.
Alfred fece un profondo respiro. Aveva bisogno di essere preparato psicologicamente. - Arthur. Vorrei parlare con te di quello che è successo ieri.
- Non c'è nulla di cui parlare.
- Arthur. Per favore. Lo sai anche tu quello che è successo.
Arthur aprì la porta e si girò per andare in salotto senza nemmeno guardare Alfred in faccia, ma all'americano bastò uno sguardo per accorgersi che l'altro aveva un aspetto orribile. Conosceva abbastanza Arthur da sapere che su di lui i postumi di una sbornia duravano parecchio, e lo facevano diventare ancora più irritabile del solito. Ma questo discorso non poteva aspettare fino a che Arthur fosse stato meglio.
- Beh, vedi di parlare in fretta. Ho da fare. - disse Arthur, lasciandosi cadere su una poltrona.
- Noi ieri ci siamo baciati. - Alfred decise di andare dritto al punto, tanto girarci attorno era inutile.
- Non serve che lo ripeti. Lo so. - ringhiò Arthur. Pessimo inizio.
- Vorrei che tu ti mettessi con me, Arthur.
Arthur spalancò gli occhi e guardò l’americano come se fosse stato un fantasma. - Scordatelo! -
- Cosa?
- Io ero ubriaco! U-bri-a-co. Chiaro il concetto?  - Alfred avrebbe voluto morire, scomparire nelle viscere della terra. Ma Arthur non aveva ancora finito: - Non pensare che solo perchè ti ho baciato una volta significa che ti amo!
Alfred strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche delle dita. Allora era così che era andata. Quel bacio per Arthur non significava nulla, mentre per lui…
- E allora perché…? - mormorò, con gli occhi bassi.
- Perché cosa?
- Perché l'hai fatto. Perché mi hai dato una speranza, quando in realtà non te ne frega nulla di me? Per te sono solo un ragazzino? Solo un giocattolo?
Arthur lo fissava senza riuscire a dire nulla.
- Mi vuoi spiegare perché mi hai baciato Arthur? - Alfred avrebbe voluto apparire calmo, ma il suo tono di voce si era alzato da solo. - Io l'ho fatto perché ti amo! Ma a quanto pare per te non è lo stesso, giusto? Giusto? - il modo in cui Arthur lo stava guardando… non riusciva più a sopportarlo. Cos'era? Pietà? Compatimento? Ne aveva abbastanza. - Sai, c'è una cosa che si chiama coscienza. Penso che tu dovresti dare una bella controllata alla tua, se ne hai una! - e detto questo, uscì sbattendo la porta.
 
***
 
Arthur rimase a fissare la porta per un periodo indefinito. Non poteva e non voleva credere a quello che era appena successo.
Non era vero che non sapeva quello che stava facendo quando aveva baciato Alfred. Se aveva parlato così era stato solo per paura. Paura che Alfred non stesse prendendo la cosa sul serio quanto lui, o più semplicemente che le cose tra loro potessero non funzionare. Quella era la prima volta che si innamorava seriamente di qualcuno dopo la storia con Francis, che era stata abbastanza tempo prima, ma era finita così male che Arthur aveva promesso a sé stesso di non fare mai più un errore simile. E ora Alfred gli stava chiedendo di rischiare di nuovo, ma lui non ne aveva il coraggio.
Si trascinò di nuovo fino in camera sua e si lasciò cadere sul letto, dove rimase immobile a fissare il soffitto. "L'ho perso." Non riusciva a pensare nient'altro. "Mi sono comportato da stronzo e ora l'ho perso, ed è quello che merito."
In quel momento il suo cellulare, che era posato sul comodino, iniziò a vibrare. Arthur allungò un braccio e afferrò l’apparecchio per controllare il numero. Francis. Evviva.
- Pronto? - borbottò, stupendosi lui stesso di quanto la sua voce fosse roca e il tono distrutto.
- Bonjour, Arthùr. Ti ho chiamato per sapere com'è andata ieri sera.
- Non è successo niente, Francis, lasciami in pace.
- Non mentirmi! Non dovevi uscire?
- Sì, infatti, sono andato a… a prendere un tea... -  disse, cercando di tirare fuori una bugia credibile. In quel momento gli vennero in mente le parole di Alfred: "Sai, esiste una cosa chiamata coscienza…" - Sono andato a prendere un tea con la mia coscienza.
 
  
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