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Autore: Haibara Stark    28/10/2013    3 recensioni
"Se fosse stato un po’ più attento, come era sempre solito fare, probabilmente Sherlock Holmes avrebbe sentito il cuore del dottore incrinarsi. Segretamente sperava di cogliere questo leggero suono, lo stesso che aveva fatto il suo di cuore quando aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il vecchio amico a restare, a non sposarsi. Ma lui non sapeva niente di sentimenti, era risaputo, e non si accorse di come esso ebbe invece prodotto un suono forte e sordo. " || Holmes lascia il Paese per seguire un caso ed al suo ritorno porta con sé una (s)gradita sorpresa al dottor Watson. Misteri, bugie e segreti. I nostri protagonisti si trovano ad affrontare i loro fantasmi, mentre un nuovo antagonista cospira avvolto nell'ombra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
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Non sarebbe tornato in tempo. Le fiamme bruciavano ancora vive nutrendosi di ossigeno e di tutto ciò che rimaneva del magazzino. John Watson aveva nascosto naso e bocca nel colletto della giacca e riparato la testa sotto le braccia. Respirava a bocca aperta, provando un senso di nausea alla bocca dello stomaco e un calore intenso per tutto il corpo. Per quanto avesse potuto sforzarsi Holmes non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe tornato in tempo e Watson lo sapeva bene. Come medico era perfettamente a conoscenza di quanto tempo gli restava da vivere, e non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da poter vedere il volto del compagno un’altra volta. Provò una fitta al petto, la stessa che lo aveva trafitto senza pietà sulle cascate di Reichenbach, e pensò di aver fatto la scelta giusta. Non poteva permettere che Hope morisse al posto suo. Era così giovane e con tutta la vita davanti, mentre lui aveva già offerto tutto ciò che poteva. Andava bene così. Non aveva rimpianti. Non dopo aver confessato a Holmes di amarlo. I suoi occhi si fecero umidi e la gola si chiuse provocandogli un attacco di tosse spasmodica. Con la mente si aggrappò a tutti i suoi ricordi felici, e non fu sorpreso che in ogni singola memoria ci fosse Holmes. Sherlock Holmes. Sorrise debolmente, mentre il corpo si faceva sempre più pesante e il respiro più debole.
“Holmes-” Sussurrò.
Poi il nulla.

•••

La stanza era fredda e immobile proprio come la ricordava. La libreria che copriva la parete laterale destra era composta da intere file di libri perfettamente allineati e disposti in modo metodico e studiato. Negli angoli della stanza belle statue in pietra di medie dimensioni abbellivano il luogo, mentre l’imponente quadro, che accoglieva gli ospiti dalla parete opposta alla porta, li accompagnava nell’impressione di trovarsi nella sala di un museo. Il bel tappeto persiano che nascondeva il pavimento in marmo accompagnò i passi di Hope fino al centro della stanza, dove si fermò. Strinse i pugni, mentre la porta si chiudeva con un leggero schiocco, e lasciò che la sua attenzione venisse completamente attratta dall’uomo che le dava le spalle oltre la scrivania in mogano davanti a lei.
“Credevo che i patti fossero chiari.” Esordì l’uomo, senza voltarsi. La sua voce era piatta e incolore, ma la ladra rabbrividì ugualmente e attese che continuasse. “Non era forse così? Eppure il piano è così semplice e lineare…”
“Ed io ero convinta che lei potesse comprendere appieno che una missione del genere non può essere svolta in un giorno.” Ribatté lei con una punta di sfida nella voce, cercando di mostrarsi ancora una volta sicura di sé e per niente intimorita. Lui si voltò a guardarla, inchiodandola con i suoi occhi di ghiaccio. Timothy Carlton era un uomo alto e slanciato, dallo sguardo severo e penetrante. I suoi movimenti erano eleganti e pericolosi come quelli di una fiera pronta ad attaccare, ma quando parlò lo fece con estrema calma.
“È di questo avviso?”
“Per un soggetto come Sherlock Holmes, si intende.”
“Sono passati mesi,” Mosse alcuni passi camminando affianco alla scrivania carezzandone la superfice liscia e lucida. “vorrebbe lasciarmi credere che non ne ha mai avuto l’occasione?”
“Mi sto conquistando la sua fiducia…”
Questo è irrilevante.” Carlton quasi sibilò nel pronunciare quelle parole e Hope provò un brivido intenso lungo la schiena mentre lui avanzava lentamente verso di lei.
“Non è ciò che le è stato chiesto. Il suo compito è di tutt’altra natura.”
“Ne sono ben consapevole.”
“Ne è sicura?” L’uomo la fronteggiava adesso e Hope fu costretta ad inarcare il collo all’indietro per poterlo osservare negli occhi. Si sentiva come una bambola in mano a un bambino. “Perché vede, Mr. Holmes ha continuato indisturbato ad infilare il naso in situazioni che non lo riguardano come se nulla fosse cambiato.”
La giovane donna ingoiò a vuoto, mantenendo lo sguardo fisso nel suo. “Io-”
Hope non ebbe il tempo di provare a difendersi quando Carlton l’afferrò con impeto per la gola e la sollevò leggermente da terra. Annaspò aggrappandosi alle braccia di lui e cercando disperatamente di toccare con le punte dei piedi il pavimento. Spalancò la bocca reclamando aria, mentre guardava con terrore e supplica il suo aggressore. Il volto dell’uomo era contratto dalla rabbia, non era rimasto niente della calma e dell’eleganza che ostentava prima, e Hope sentiva distintamente le sue dita stringersi con avidità intorno alla sua gola.
“La- La prego—” Disse con tono strozzato.
Inaspettatamente, Carlton lasciò la presa e la ragazza cadde malamente e in modo scomposto sul tappeto. Si portò una mano tremante alla gola e prese respiri profondi, nonostante l’aria le desse la stessa sensazione ardente del fuoco. Il magnate era tornato a guardarla dall’alto, con la schiena eretta e lo sguardo impassibile.
“Voglio la sua testa.”
Hope sbatté le ciglia e una lacrima fuggì lungo il suo zigomo, prima di parlare:
“L’avrà.”
[9]

•••

Quando John Watson si era svegliato aveva impiegato qualche minuto per ricordare. Il magazzino, il fuoco, la terra incredibilmente fredda sotto il suo corpo e il peso delle travi su di lui, tutto era riaffiorato come un sogno che minacciava ormai di svanire. Ma il dottore aveva già sperimentato quella sensazione quando avevano affrontato Blackwood e sapeva che era tutto perfettamente reale. Lo scoprirsi ancora vivo e sdraiato nel suo letto a Baker Street lo aveva lasciato molto più sgomento ed incredulo di quanto non lo fosse stato il ricordare l’accaduto. Cosa era successo dopo che aveva perso conoscenza? Holmes era tornato a prenderlo? Ad un giorno dal suo risveglio Watson non aveva ancora ricevuto risposte al riguardo. Sherlock Holmes non si era mai presentato davanti a lui. Mai. Neanche una volta. Aveva trascorso tutte le ore dal suo risveglio nella propria stanza a vegliare su di Hope. Anche adesso, mentre il dottore se ne stava seduto sulla sua poltrona, Holmes si trovava con lei. Nessuna delle ferite che aveva sul suo corpo era dolorosa quanto quella che provava nel petto in quel momento. Le parole che aveva pronunciato mentre si credeva prossimo alla morte erano vivide nella sua mente e non riusciva ad impedirsi di credere che il detective lo stesse evitando a causa della sua confessione.
Il suo cuore perse un battito quando la porta della stanza di Holmes si schiuse con un leggero schiocco della serratura. Watson chiuse un attimo gli occhi e prese un bel respiro, per poi piegare il giornale che stava inutilmente tentando di leggere e voltarsi verso l’entrata della camera. Sherlock Holmes pareva quasi sorpreso della sua presenza, ma quando iniziò a parlare la sua voce trapelava stanchezza e un sincero pentimento:
“In fede mia, Watson, sono costernato di non esserle venuto a far visita da quando si è risvegliato. Spero non me ne dolga.”  
Il dottore si mosse rigidamente sulla poltrona.
“Sono certo che lo ha fatto per il bene del caso.” Non lo pensava, e la durezza nella sua voce ne era la prova. Holmes si passò una mano sul volto e poi mosse lo sguardo altrove.
“In verità i fatti sono proprio questi.” Fece qualche passo verso il caminetto. “Ma mi dica, come si sente? Sto iniziando a credere che le piaccia giocare col fuoco.” Ironizzò.
“Mi sta nettamente confondendo con lei.”
“Non so a cosa si riferisca.”
Il dottore non era in grado di affrontare il suo umorismo in quel momento. Era tutto così difficile. Perché gli aveva confessato quello che provava? Se avesse minimamente immaginato che sarebbe riuscito a salvarsi non avrebbe mai detto niente di così sconveniente. Sorrise fra sé, pensando che sconveniente fosse un termine troppo riduttivo.
Holmes si appoggiò con le spalle al camino e il silenzio calò fra di loro. Gli occhi del detective vagavano per la stanza, quasi alla ricerca di qualcosa, senza mai posarsi sull’amico e collega di una vita. Alla fine chiuse gli occhi e sospirò.
“Watson…”
“È tornato a prendermi.”
Riaprì gli occhi e li puntò dritti in quelli dell’altro, che erano duri come il diamante.
“Aveva qualche dubbio al riguardo?”
“Date le mie condizioni sono rimasto sinceramente impressionato dalla sua impresa.”
“Ero pronto a morire nell’impresa.”
Watson deglutì e il suo sguardo vacillò. Si sentiva così debole davanti ai suoi occhi. Così sciocco e stupido mentre il suo cuore batteva all’impazzata nel terrore dell’aspettativa e della più crudele verità. Avrebbe dato la vita pur di salvarlo, ma questo non significava niente. O sì? No, indubbiamente no. Sherlock Holmes era già morto per lui. Le loro anime erano intrecciate da un legame inscindibile da sempre, due fratelli nello spirito.
[10]  Le sue parole non dimostravano niente. Il dottore respirò ed espirò profondamente.
“Holmes, per quanto è successo… Per quanto riguarda ciò che ho detto nel magazzino…”
Ogni colore defluì dal volto del detective, che lo guardò con gli occhi sgranati.
“Oh… Non si preoccupi, mio caro Watson. È tutto…” Si schiarì la voce. “perfettamente apposto. Non c’è motivo di discuterne oltre.”
 In quel momento John Watson desiderò che il pavimento si aprisse sotto i suoi piedi e lo ingoiasse per sempre, portandolo nelle profondità più oscure della terra. Avrebbe voluto urlare, strapparsi il cuore dal petto e piangere, piangere come non accadeva dal tempo della guerra. Sapeva che sarebbe finita così. Lo aveva sempre saputo. Da Holmes non poteva aspettarsi qualcosa oltre la più sincera amicizia. Allora perché faceva così male?
Gli sorrise.
“Naturalmente.”
Il detective lo ricambiò con un mezzo sorriso. “Ora vorrà scusarmi, ma devo proprio occuparmi di una faccenda piuttosto urgente.” Indossò cappotto e cappello.
Aveva già una mano sulla maniglia quando si voltò nuovamente verso di lui. “Si riguardi, dottore.” Disse, per poi sparire dietro alla porta.
Watson chiuse gli occhi e strinse forte i pugni, fino ad infilare le corte unghie nei palmi. Udì una serratura scattare nuovamente e si voltò verso la fonte del rumore. Aggrappata alla maniglia e allo stipite della porta, Hope stava in piedi sulla soglia della stanza da letto di Holmes. Indossava un abito da camera che lasciava intravedere le bende che fasciavano le sue braccia, mentre i lunghi capelli le ricadevano lungo le spalle nascondendo quelle del collo. Il suo bel volto era sciupato dalle escoriazioni e dalle lievi occhiaie causate dal lungo sonno.
“Sono felice di vederla.” Sorrise leggermente, mentre il suo volto tradiva uno spasmo di dolore causato probabilmente dallo sforzo. “Sta bene?”
E mentre erano lì, a guardarsi l’un l’altra, entrambi bendati e contusi, Watson comprese che la sua opportunità l’aveva persa nel momento esatto in cui Hope aveva messo piede in quella casa.
“Sì.” Accennò un sorriso. “Non sono mai stato meglio.”



[9] Ve l’avevo detto che non vi eravate persi niente e che sono contorta! Eh eh, spero che nello scorso capitolo vi fosse venuta un po’ di curiosità quando ho inserito queste battute.
[10] Ricordate la predizione di Dora in Sherlock Holmes?

•••

  
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