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Autore: Nephelin    28/10/2013    1 recensioni
"Chissà se sorride come faccio io, con quel velo di malinconia nello sguardo ogni volta che la sua figura mi attraversa la mente."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È finita. Finita lasciandomi così perso, eppure con così tanto preavviso. È stato come quando si mangia un gelato; quando si sta per arrivare alla punta del cono si cerca di godersi i sapori fino in fondo, sapendo che si rimarrà presto senza. Quando questo accade ne vorresti ancora e ancora. Rimani come se ne fossi stato privato improvvisamente, eppure sapevi che stava per succedere. Ecco, così è stato con lei. Era lì tra le mie braccia un giorno, e l’altro era distante da me. Tutto è cambiato in un niente. Ci siamo trovati a far parte di due mondi diversi, quando siamo sempre stati uno il mondo dell’altro. Penso a lei ogni giorno, ogni minuto, è come un tarlo costante che mi mangia la mente. Un tarlo piacevole. Starei con lei sempre e, dato che non posso, farle invadere i miei pensieri sembra l’unica soluzione possibile. È quanto di più speciale ci sia mai stato nella mia vita. Lei, la sua personalità, il suo sguardo. Benedetto quel giorno in cui l’ho incontrata, sul ponte di Brooklyn. Entrambi sporti a contemplare l’acqua che scorreva sotto di noi, abbiamo iniziato a parlare. Lei non mi guardava, aveva lo sguardo assorto nel buio. Io la vedevo poco, era completamente immersa nell’ombra. Parlavamo innamorati della voce dell’altro. Quando finalmente è stata illuminata dalla luce del lampione, l’ho potuta riconoscere. Era Chiara, una giovane cantante ancora inesperta del settore, un’ingenua novellina. Con stupore le sorrisi e lei mi guardò. Ricordo che sembrava stesse trattenendosi dall’urlare. Mi abbracciò piangendo e mi disse “grazie”. Quello è il ricordo più bello che ho dei momenti passati con lei, della mia intera vita. Lo tengo come un regalo prezioso e rarissimo di cui essere geloso. Se potessi lo estrarrei dalla mia mente e lo sigillerei in una scatola, che aprirei di tanto in tanto quando la sua mancanza si fa sentire di più.
Non le ho mai detto quanto amo il suo accento, il suo modo di dire “I’m really really sorry” con quella sua parlantina fin troppo italiana. A volte scandiva le parole quasi a farne lo spelling, altre si mangiava le lettere e chiudeva le vocali dando alla frase un suono buffo. Mi faceva sempre sorridere quando parlava, ogni volta. Sorridevo in viso quando diceva cose belle o divertenti, sorridevo nel cuore in tutti gli altri casi. Lei si faceva trascinare da qualunque canzone. Muoveva la testa e batteva le mani sulle gambe a ritmo, aveva sempre voglia di ballare. Accennava appena qualche passo stando seduta o mentre camminava, ma nella sua mente era una grande ballerina su un palco, ad esibirsi per centinaia di persone. Lo so, me lo ha detto lei. In quei casi la osservavo rapito, incantato dai quei lievi e quasi inesistenti gesti. Amavo con lei fare le cose più semplici, come guardare la tv. Eravamo capaci di stare in silenzio per ore stesi sul divano, o di commentare ogni scena facendo ironia su tutto. Amavo quando ci svegliavamo in piena notte e preparavamo la pasta parlando a bassa voce per non disturbare gli altri. Se ci eravamo svegliati significava che avevamo dormito assieme e se avevamo dormito assieme significava che avevamo passato momenti perfetti. Stare sdraiato con lei nel letto a parlare di tutto e di niente era la cosa più bella, quella che mi manca di più di lei. Spesso non facevamo nulla di che. Ridevamo, facevamo giochini idioti, niente di più, perché con altre persone in casa non ci piaceva rischiare. L’amore lo facevamo di giorno, quando non eravamo disturbati. Fare l’amore con Chiara era così dolce che quasi mi faceva sentire inadeguato quando provavo piacere. In quei momenti ero sereno, immerso nella vera felicità. Lei chiudeva tutte le finestre di camera sua e accostava la porta, in modo da far entrare solo un filo di luce, che si andava a posare accanto al grande letto a soppalco. Non le piaceva il chiarore del giorno in stanza, perché avrebbe voluto dire essere vista bene e lei questo non lo voleva. Aveva paura di non piacermi. Lei, la ragazza più bella del mondo, temeva di non essere abbastanza. Salivamo sul letto e ci coccolavamo coperti dalle lenzuola, sotto al grande poster del ponte di Brooklyn illuminato dai fari di notte. Era esattamente così quando ci siamo conosciuti; lampioni dai raggi gialli, bianchi, rossi, addirittura blu, e i loro riflessi sull’acqua. Erano quelli che la interessavano tanto quella notte, che la distoglievano dalla tentazione di guardarmi la prima volta. Teneva quel poster in camera da più di un anno, avrebbe voluto toglierlo ma diceva che le ricordava il nostro primo incontro. Chissà se è ancora al suo posto, appeso al muro, a sorvegliarla mentre dorme. Chissà se guardandolo pensa a me. Chissà se sorride come faccio io, con quel velo di malinconia nello sguardo ogni volta che la sua figura mi attraversa la mente. Non è come tutte le ragazze famose, snelle, considerate perfette nella loro scheletricità, lei è perfetta in un altro modo. Ha quel qualche chilo in più che la rende soffice, morbida e femminile. Nonostante lei si sia sempre sentita goffa e di troppo, ha una femminilità e un portamento elegante che si faticano a trovare. Ogni volta che le dicevo che era bellissima, abbassava lo sguardo e sorrideva timida. Non mi ha mai creduto.
Una cosa che ho sempre ammirato di lei è il suo sapersi adattare in ogni situazione. Mi diceva sempre che “educazione è sapersi comportare da re nella casa del re, e da contadino nella casa del contadino”. Me l’ha insegnato. Da lei ho imparato tante cose, ho iniziato a cambiare e a crescere sin dalla prima conversazione che abbiamo avuto. Ci siamo trovati a parlare di quanto sia bella la solitudine in certi casi. Io dicevo cose a caso e lei mi rispondeva sempre con una punta di filosofia, in ogni frase. Ho ammirato quel suo saper tenere a freno la mia stupidità senza farmi sentire a disagio e senza sentirsi superiore. Ho ammirato il fatto che si sia innamorata di me e del mio carattere attraverso la mia voce, non del mio nome.
Non le ho mai detto niente di tutto questo. Sono sempre stati pensieri appena abbozzati che faticavano ad uscire dalla mia bocca, che dava baci e baci e nulla più. Forse è per questo motivo che non siamo durati. Non sono mai riuscito ad esprimere a fondo i miei sentimenti per lei.
Durante l’ultimo periodo passato insieme cercavamo di sistemare le cose, di tornare ad essere come prima. Come quando la distanza, i nostri impegni di lavoro, le difficoltà, non erano d’intralcio, ma presto ci siamo resi conto che c’era qualche crepa in più. Il gelato non arriva mai alla fine del cono. Per quanto sia buona la cialda, senza la crema perde gusto, non è paragonabile. Per quanto si provi a farla durare il più a lungo possibile, questa non arriverà mai a riempire anche il fondo. Quando si finisce il cono, rimane in bocca un sapore amarognolo, uno schifo in confronto a quello delle palline di vari gusti e la panna. Chiara quando ne avrà voglia prenderà un altro gelato, magari più buono del precedente, mentre io vorrò ancora quello che ormai è finito e che mi ha lasciato l’amaro.
                                                                                                                       Harry

A dire il vero non so perchè ho scritto questa One Shot; ma mi piaceva l'idea che per una volta non fossi io a pensare ad Harry, ma era Harry che pensava a me, giovane cantante alle prime armi col mestiere. Spero sia piaciuta, una recensione è sempre gradita :)
Nephelin

 
  
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