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CAPITOLO 13 ▪
muori in prima pagina, proprio
come le stelle.
Lexi
correva tra gli alberi, facendo a pezzi qualsiasi cosa si trovasse davanti –
fortunatamente si trattavano solo di liane e rami.
Ormai era notte fonda, ma a Lexi
non importava minimamente, qualcosa nella sua testa le gridava di continuare ad
andare avanti, a correre fino a quando le sue gambe non si sarebbero staccate
dal corpo per l’usura.
Tra gli alberi, notò un piccolo fuocherello sul
punto di spegnersi. Sorrise rigirandosi la spada tra le dita, mentre la pioggia
iniziò a cadere prepotente su di lei, bagnandole il viso e i capelli,
attaccandoli ai suoi fini lineamenti che, in qualche modo, ora erano bloccati
in un ghigno prepotente.
Si avvicinò a quello che era un focolare,
scoprendo il tributo nascosto dietro ad un albero, attaccato al tronco nella
speranza di bagnarsi meno grazie al letto di foglie sopra il suo capo. Teneva
il viso nascosto tra le ginocchia e aveva la gamba ferita – il taglio sembrava
aver fatto infezione.
Quando il ragazzo del sette alzò gli occhi,
avvertendo una presenza, la spada di Lexi rifletté la
luce della luna e poi si scagliò contro l’altro, la lama incontrò la tempia,
frantumandogliela – il tributo cadde di lato senza vita, mentre il sangue
bagnava le foglie e gli scarponi della ragazza.
Lexi si
allontanò correndo, mentre gli uccelli si alzavano in volo dove lei aveva
appena ucciso l’altro concorrente. Inciampò su una radice seminascosta dal
fango e dalle foglie, cadendo con la faccia sul terreno, si girò di lato
ridendo e, mentre la pioggia le colpiva il corpo come migliaia di spilli, si
ritrovò a cadere in un sonno a cui non seppe sfuggire.
Ariel si era addormentata controvoglia sul
corpo del fratello – Lyosha era morto, si ripeteva, alla fine era
successo davvero. Si sentiva dannatamente stupida per la scenata che stava
facendo, che si aspettava? Nel migliore dei casi uno dei due sarebbe uscito da
lì mentre l’altro avrebbe continuato a vivere solamente nella memoria del
fratello, e poi Lyosha gliel’aveva detto: ti farò
tornare a casa.
Ed era stato bravo, a tenerla stretta a sé per
tutto quel tempo, sebbene fosse passato poco meno di una settimana. Ma non importava più nulla, era morto, Thahn era morto, lasciandola sola in quel bagno di sangue,
tra i canti di morte.
Qualcosa si mosse vicino alle sue gambe, ma
Ariel non fece una piega, rimanendo con il viso accasciato sul corpo del
fratello mentre ricordava le notti in cui si abbracciavano per scaldarsi, o
quando lui andava a chiedere rifugio sul letto di lei perché pioveva, e il
tetto lasciava passare le gocce d’acqua che gli cadevano in faccia, mentre
dormiva.
Ancora, i suoi pantaloni furono catturati da
qualcosa che tirò insistentemente, ma comunque con debolezza. La piccola si
girò a guardare quello che credeva fosse un insetto…
e invece era una mano.
Lunghe dita violacee stringevano il tessuto dei
suoi calzoni, percorse con gli occhi le falangi che la portarono ad un braccio
scarno, ricoperto di graffi – questo spariva sotto le ginocchia della bionda
per poi ricomparire e attaccarsi alla spalla di Lyosha,
il quale la fissava con gli occhi socchiusi, il respiro affaticato e le labbra
schiuse, morse fino a farle sanguinare.
«Sei vivo!» esultò, saltandogli al collo, quasi
stendendosi sul corpo supino dell’altro, che le appoggiò la mano mutilata sulla
schiena in segno di conforto, evitando di guardarla per non vomitare.
La ragazzina lo aiutò a mettersi seduto,
facendogli respirare a pieni polmoni l’aria umida del primo mattino. Poi, con
calma, si fece raccontare attraverso il labiale – Lyosha
non voleva assolutamente mostrarle la mano mutilata, le aveva detto – che dopo
l’operazione era semplicemente svenuto, era stato svegliato da un colpo di
cannone (il secondo, suppose lei), cercò di attirare la sua attenzione ma
piangeva troppo forte per accorgersi dei leggeri strattoni che le riusciva a
dare, inoltre aveva la gola secca per fischiare e gli veniva difficile in
quella posizione.
«Quindi non eri morto tu, quando è suonato il cannone…» constatò, facendo delle carezze alla schiena
dell’altro, sapendo quanto quel gesto gli provocava conforto, lo vide
nascondere la mano senza dita sotto la coscia e passarsi la destra tra i
capelli sporchi, gli occhi blu erano stanchi e spenti.
«Allora…» continuò,
abbassando il viso come se stesse pensando, «siamo rimasti in cinque?»
Per tutta risposta, Lyosha
annuì – poi la caverna iniziò a tremare e piccole pietrine cadere sopra le loro
teste. In fretta, Lyosha raccolse la lama che Capitol City gli aveva offerto e poi uscirono di fretta
dalla rientranza, mentre il tetto crollava laddove una volta c’erano loro.
Uccelli dalle considerevoli dimensioni, il
becco grosso e alto – sembravano delle gobbette – e il piumaggio colorato e
acceso aprirono le ali con aria di sfida, come per dire che non potevano
proseguire da quella parte. Alcuni di questi si alzarono in volo verso di loro,
facendoli scappare nella foresta. A quanto pareva, gli Strateghi volevano
mandarli da qualche parte.
Fraser si buttò a terra, rotolando un paio di
volte su questa prima di andare a schiantarsi contro il tronco di un albero
tagliato. Gli uccelli volarono sopra di lui per poi sparire all’orizzonte.
«Dannazione» borbottò lui, alzandosi i piedi e
battendo le mani sulla giacca per cercare di togliere l’erba su cui era caduto
per evitare quei dannati volatili. Si guardò attorno: era in un angolo di
foresta disboscata, qui e la disseminati alberi tagliati via esattamente come
quello in cui si era scontrato.
Perlustrando il territorio con la vista, notò
la figura familiare della ragazza del Due, Liv, che lo guardava a pochi metri
di distanza, in mano aveva già preparato arco e freccia.
Non
siamo più alleati, ormai, si disse, prima di prendere la spada con due
mani dalla cintura e correre verso di lei – cercò di colpirla con un fendente
ma la giovane si scostò di lato, inginocchiandosi e scoccando una freccia che Fraser evitò
brillantemente, questa volò tra gli alberi e un grido si levò non molto lontano
da loro, seguito poi da una risata, proveniente dalla stessa persona che prima
aveva urlato.
I due si guardarono confusi, poi la figura di Lexi arrivò correndo, cogliendo Fraser di sorpresa e
spingendolo in avanti, facendolo cadere su Liv che rotolò di fianco per non
essere schiacciata dal peso del tributo.
La ragazza dell’uno partì l’attacco, brandendo
la spada in una mano e tenendo la freccia spezzata nell’altra (si poteva
notare, nel braccio, la punta del dardo conficcata nella carne) e cercando di
colpire più volte Liv, la quale si spostava ora a destra ora a sinistra,
facendo ogni volta un passo indietro, sperando di non incontrare qualche radice
o qualche rimasuglio di albero dietro di lei.
Quando finalmente Liv riuscì a cogliere il
momento propizio, scattò in avanti di lato per evitare il colpo e poi in
avanti, sperando che Lexi non fosse abbastanza agile
nello spostare il braccio per colpirla perché poteva benissimo farlo. Ma nel girarsi, la Principessa inciampò sui
suoi stessi piedi, come ubriaca, e cadde sulle ginocchia a terra, piagnucolando
come una bambina.
E’
impazzita si disse Liv, ansimando appena mentre guardava quasi impietosita la
figura di Lexi che si rialzava lentamente da terra,
appoggiandosi sulla spada. Ma non poteva permettersi questo genere di riposo,
non erano solamente loro due che combattevano, ma Fraser era lì, da qualche
parte pronto ad attaccare e a uccidere esattamente come le altre due.
Lo vide correre in curva, probabilmente
cercando di avvicinarsi alle spalle delle due, estrasse una freccia dalla
faretra e la scagliò contro il ragazzo, colpendolo alla coscia – questo cadde
di lato e si tenne la gamba ferita senza però urlare di dolore – era stato addestrato anche al dolore, come Roel.
Ma prima che riuscisse a concludere il
pensiero, le risate di una Lexi definitivamente
impazzita le giunsero alle orecchie e la sua coda dell’occhio vide la lama
dell’arma avvicinarsi alla sua testa. Afferrò l’arco con entrambe le mani e lo
usò per parare il colpo, piantando i talloni a terra per non arretrare o
cadere.
Resisti,
dannazione – disse più a sé che all’arco, quando la resistenza dell’altra cessò,
Liv si abbassò a raccogliere lo stiletto che teneva nello scarpone, tentando
con un affondo di colpire l’avversaria, che continuava ad evitare i suoi colpi
con piroette e movenze simili a quelle di un balletto.
Liv provò e riprovò, riuscendo talvolta a
ferirle il braccio o il fianco con qualche taglio che non sembrò fare nulla
all’altra, anche se Lexi inciampava, riusciva a
rialzarsi subito e a balzare indietro come un coniglio.
Si fermò un attimo, un secondo solo,
recuperando quel che bastava per l’ennesimo affondo.
Poi qualcosa la colpi alle spalle, un dolore
acuto le attraverso la schiena, i polmoni, passandole vicino al cuore e
comparendo appena sotto i seni come la punta di una lama sporca di sangue.
Smise di respirare per un momento, cercando di riprendere a farlo –
inutilmente, non riusciva più a respirare, il
suo cuore si stava fermando.
Posò una mano sulla lama, questa fece un mezzo
giro all’interno del corpo di lei, incrementando il dolore che stavolta la fece
urlare, le gambe sembravano cedere sotto il suo peso da un momento all’altro,
il braccio di Fraser la strinse contro il proprio petto, la spada ancora nel
corpo di Liv che ormai iniziava ad impallidire, la nebbia invadeva i suoi
occhi, il silenzio le orecchie – riusciva a sentire tra i capelli l’aria fresca
di montagna del Distretto Due, sulle labbra il respiro caldo di Roel.
«Saluterò il tuo fidanzato per te» le sussurrò
suadente Fraser, prima di estrarre la spada e abbandonare il corpo di Liv per
terra, mentre un colpo di cannone riecheggiava nel cielo e gli uccelli si
alzavano in volo, oscurando il sole.
Lyosha aveva
guardato tutto nascosto dietro un albero, aveva imposto ad Ariel di non fiatare.
La cosa migliore sarebbe stata quella di sperare che i Favoriti si uccidessero
a vicenda, di aspettare notte e poi ammazzarsi. Tutto sembrava così vicino
dall’essere avverato.
Il corpo della ragazza del due cadde a terra,
Ariel impallidì e si mise entrambe le mani sulle labbra per non urlare.
Fraser si era girato verso Lexi
che aveva guardato tutta la scena senza dire una parola – poi i due erano
passati a combattersi l’un l’altro. Sembravano perfettamente alla pari,
nonostante fossero entrambi feriti, ormai tutta Capitol
City credeva che o l’uno o l’altro sarebbe ritornato Vincitore, che uno dei due
avrebbe ucciso l’altro e poi sarebbero andati alla ricerca dei fratelli
dell’otto, sopravvissuti così tanto.
Sovrappensiero, il ragazzo non si accorse che Lexi era scivolata dietro le gambe di Fraser e gli aveva
tagliato entrambi i tendini d’Achille, ferendolo poi con vari tagli alla
schiena e alle braccia – completando l’opera con un affondo che fece sgorgare
lentamente il sangue dal fianco. Fraser sarebbe morto dissanguato ore dopo,
probabilmente, il suo corpo cadde in avanti, e con un piede Lezi lo spostò in
posizione supina e d’un tratto si bloccò, come un animale che aveva appena
fiutato qualcosa. Fissava nella loro direzione, Lyosha
si girò verso Ariel che singhiozzava dal pianto che si ostinava a trattenere – ecco.
Il più grande si spaventò al punto di
sbiancare, in fretta girò su se stesso appoggiandosi contro il grosso tronco da
cui si era limitato a spiare, tirando Ariel per la giacca e stringendosela
contro, lasciando poi che strisciasse per terra, nascondendosi sotto l’arbusto
che affiancava l’albero.
Non
poteva averli trovati, non era vero. Probabilmente aveva visto solo
un uccello e Ariel non aveva fatto rumore come Lyosha
pensava di aver visto.
Vide la sorella rannicchiarsi appoggiando la
fronte sulle ginocchia e circondandosi il viso con le braccia, come se non
volesse far uscire il respiro da quello spazio ristretto e annullare il rumore
delle sue narici che si dilatavano come in preda all’ansia.
Rimase a guardarla per interminabili secondi,
poi una mano si allungò oltre le foglie, afferrando per i capelli Ariel e la
trascinandola nella pianura disboscata. Senza pensarci, Lyosha
si alzò, cercando con lo sguardo la sorella in mezzo a quei rimasugli di
tronchi e trovandola tra le braccia di Lexi, il
tributo dell’uno piangeva, con le guance rigate di lacrime che evidentemente
non controllava e le mani, così come il collo e il viso, piene di chiazze
violacee che prima non aveva il ragazzo non aveva notato.
«Non hai mai parlato, Lyosha»
constatò la ragazza dell’uno, facendo volteggiare la spada nella destra mentre
con la mancina teneva bloccata Ariel contro di sé, afferrandola per le spalle,
«mi danno fastidio, le persone che non parlano». La più piccola mugolò di
dolore e Lexi strinse ancora il braccio attorno a
lei, strattonandola e strappandole un verso di dolore.
L’Isaacs perse quel
minimo di colore che aveva recuperato: Lexi ricordava
il suo nome ma, cosa più importante, sentiva nella sua testa uno strano avviso
di imminente pericolo.
«Le vuoi bene, Lyosha?»
gli domandò, dondolando da un piede all’altro come se fosse impaziente di fare
qualcosa, Ariel si morsicava le labbra per non urlare dal dolore, con le mani
stringeva il braccio di Lexi cercando di abbassarlo
dal collo per non soffocarlo, allungando quest’ultimo per ottenere una parvenza
di libertò.
Si che
le voglio bene.
Lyosha
ricordava il sole di mezzogiorno che picchiava sulle teste dei bambini e dei
ragazzi del Distretto otto, racimolati per la Mietitura dei settantaduesimi Hunger Games. Sul palco, i tre
Vincitori sedevano nella stessa posizione: gambe accavallate e braccia
incrociate.
Ricordava l’Accompagnatrice del loro distretto presentarsi
davanti al microfono con la sua strana acconciatura che Lyosha
aveva ignorato, ricordava sua sorella con le guance paonazze e gli occhi
impauriti puntati sulla Capitolina che, dopo il solito discorso d’apertura,
andò ad infilare la mano nella cupola dove erano posti i biglietti delle femmine
dell’otto.
Ora, davanti ad una pazza omicida che teneva in
ostaggio sua sorella, fissava Ariel con la stessa insistenza del giorno della
Mietitura, come se potesse farla sparire da quel mondo con la forza del
pensiero. Come se il suo amore potesse salvarla dalle braccia di Lexi, come invece non aveva fatto davanti al sonoro «Ariel Isaacs!».
«Lyosha, non mi hai
risposto» cantilenò Lexi, strappando il ragazzo da
quelle reminiscenze. Schiuse le labbra per rispondere alla ragazza, notando per
l’ennesima volta, a malincuore, di non poter dire nulla. No.
Strinse nella mano la lama che aveva
gelosamente custodito, poteva colpirla – poteva provarci... no, non ci sarebbe
riuscito. Sapeva come funzionavano questo genere di cose, Ariel sarebbe morta
se lui avesse fatto solo un passo.
«Rispondimi!» urlò d’un tratto Lexi, facendo gemere Ariel e raddrizzare le spalle a Lyosha, scuotendolo dai suoi pensieri e invitandolo ad
agire d’istinto.
Risponderti… come
faccio a risponderti!
C’era confusione nella sua testa – avrebbe
voluto morire in quel preciso istante, dimenticare di tutto e di tutti. Non
essere mai esistito.
Lyosha fece
cadere dalla mano l’arma, muovendo le dita per urlare le voglio bene, le voglio bene! Come se si fosse improvvisamente
reso contro della situazione, dimenticandosi della fame, del dolore, delle dita
che gli mancavano, delle lacrime che avevano iniziato ad offuscargli la vista.
«Lo ha detto, lo ha detto!» gridò Ariel, mentre
nuove cadevano come gocce di pioggia sulle sue guance.
Lexi rimase
un attimo in silenzio, apatica in volto – «ma io non ho sentito nulla», fece scorrere la lama fredda sulla gola di Ariel e
una linea scarlatta si fece spazio sulla pelle candida, gli occhi della sorella
si ribaltarono all’indietro e la morsa del braccio di Lexi
scomparse.
Ariel cadde a terra come un burattino e il
cannone urlò – facendo quello che Lyosha non poteva.
Lyosha non ci
vedeva più, davanti a lui il corpo di Lexi era
crollato a terra assieme a quello di Ariel, catturato da spasmi mentre la
follia la consumava, facendola ridere, la Favorita inarcò la schiena e rimase
in quella scomoda posizione per qualche secondo, poi si afflosciò a terra e
ancora un altro colpo di cannone annunciò la penultima morte di quei giochi.
Ma che senso aveva vincere, ormai? Ariel era
morta davanti ai suoi occhi, morta perché lui non poteva parlare. E la colpa era sua, lo sarebbe stata comunque – se
solo fosse riuscito a temporeggiare, Lexi sarebbe
morta soffocata dalla sua stessa pazzia e non avrebbe fatto in tempo ad uccidere
sua sorella.
Ariel era morta.
Desiderava che finisse tutto – voleva uscire da
quel posto e abbandonarsi al niente. Raccolse da terra il pugnale che aveva
lasciato e se lo rigirò tra le mani, indeciso se tagliarsi la gola, le altre
dita oppure infilarselo nel cuore.
Perché
non la fai finita, Ly? si
chiese, rendendosi improvvisamente conto che non aveva né la forza né il
coraggio di farlo. Senza Ariel, non poteva fare nessun gesto eroico, niente di
niente. Senza Ariel, sarebbe morto il primo giorno degli Hunger
Games, esattamente come la maggior parte dei tributi
del suo distretto. Era una nullità, lo era sempre stato.
Sospirò, l’aria gli usciva tremolante dalle
labbra – e di fianco a lui, non molto distante, Fraser cercava di afferrare la
spada che gli era sfuggita di mano, riuscendo a malapena a muoversi, soffocando
grugniti di dolore dato dai vari tagli che sfregavano fastidiosamente contro il
tessuto e l’erba, il sangue sgorgava e s’incrostava sulla sua pelle diffondendo
un cattivo odore metallico ovunque.
Ariel. Si
avvicinò a Fraser, abbassandogli le spalle con un piede, sedendosi sui suoi
reni strappandogli un gemito di dolore e bloccandogli le mani con la pressione
delle piante – il ragazzo dell’uno si lamentò ancora. I punti che si era cucito
sul mignolo si erano strappati e la ferita aveva ripreso a sanguinare.
Ariel.
Fraser appoggiò la tempia imperlata di sudore mentre chiudeva gli occhi.
Stanco, stanco come gli altri tributi, stanco
come lui.
Ariel. Una
goccia trasparente seguì la curva del viso del tributo sotto di lui. Forse
piangeva? E’ solo sudore, si convinse
Lyosha, non ha
motivo per piangere.
Ariel. Il ragazzo dell’otto si chinò su Fraser
che sembrava quasi addormentato, con entrambe le mani lo colpì alla schiena,
laddove doveva esserci il cuore – sfilò il pugnale e diede un altro affondo
vicino al precedente – gli occhi del ragazzo dell’Uno si erano sgranati per un
istante e la vita gli scivolò via dalle palpebre. Un colpo di cannone,
l’ultimo.
Lyosha si
alzò in piedi, abbandonando la lama sul corpo dell’altro – la stanchezza lo
inondò come un mare in tempesta e il suo equilibrio venne veno, facendolo
cadere seduto per terra, sopra di lui l’hovercraft sembrò materializzarsi dal
niente e la voce di Claudius Templesmith
annunciava il vincitore dei settantaduesimi Hunger Games.
Lui.
«Vai molto lontano di casa e perderai le tue
tradizioni. Uccidi molte persone e dimenticherai te stesso.
Se morirai in battaglia la tua vita affonderà nel suolo
come la pioggia e sparirà senza lasciare traccia.»
[WENTAI; tratto da “Hua Mulan”]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
….. *sospiro* ebbene.
Siamo praticamente arrivati alla
conclusione di tutto questo – insomma, come molti si aspettavano, ha vinto Lyosha. Eh. Davvero, non so che dire; penso che sia il
momento di fare un discorso su quanto sia stato faticoso mandare avanti questa fan
fiction e tutto il resto, ma non ci sarà nulla di tutto questo perché vi
aspetta ancora un epilogo. E, oltre a quello, tre contenuti extra
accuratamente(?) scelti – ma anche no – qui proposti di seguito.
▶ PAGINE RUBATE Ø1 – intervista alla madre citata nel
capitolo 11.
▶ PAGINE RUBATE Ø2 – intervista a Lyosha
al suo rientro dall’Arena, quella da Vincitore.
▶ PAGINE RUBATE Ø3 – Lyosha durante i 73esimi Hunger Games [scritti da yingsu] come
Mentore.
Inoltre partirà la revisione completa
di grafica e testo + betaggio sempre da parte di yingsu dal primo capitolo, ma la trama rimarrà invariata e
si tratta di una rivisitazione puramente letteraria del tutto, sì.
Inciduncitrinci… mi scuso per il capitolo leggermente
più lungo – e forse macchinoso – del solito, e spero vivamente di non avervi
deluso (perché io sono un po’ delusa, sì) o annoiato, ovviamente desiderando di
non essere stata troppo banale o qualcos’altro. E, giusto perché me lo sono
ricordata ora― la morte di Ariel non è stata scritta in modo che voi piangeste (se l’avete fatto tanto meglio lol),
ma è stato steso in modo che vi desse un senso di “vuoto”, esattamente quello
che prova Lyosha. Ma non sono brava in queste cose e
quindi scusate(…).
Ultima cosa! Penso di aver dimenticato
da qualche parte un accento su una o, l’ho visto oggi a scuola ma adesso, a
casa, non lo trovo più ._. la mia beta è all’Università e quindi non può
ricontrollarlo D: sorry! Rimedierò appena possibile.
Ultima cosa!2 yingsu è stata così gentile da scrivere la morte di Liv dal
punto di vista di Roel, la trovate spammata qui di seguito e vi pregherei di darci un’occhiata,
è veramente bella! c:
E giusto per mettere i puntini sulle
i: adoro la citazione e adoro il film
che non c’è in italiano c: ma lo trovate in sub eng,
guardatelo!(?).
Ci sentiamo, yes.
radioactive,
▪ a n g o l o s p a m ▪
When it’s time to live and let die ― { Hunger Games –
ONESHOT – Roel/Liv • yingsu }
I’m frozen to the
bones ― { Hunger Games – LONG – 73esima Edizione – Roel (D2) • yingsu }
Blur ― { Hunger Games –
LONG – Klaus & London (D6) • ivola }