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Autore: Tina_    29/10/2013    1 recensioni
Trovava molto rilassante fissare le onde, poiché sentiva che il mare aveva qualcosa di magico, che l'attirava, ma al tempo stesso la frenava: l'immensità del mare con le sue mille creature la tentava molto, ma al tempo stesso aveva timore dell'acqua alta, odiava non vedere il fondo…
Racconto introspettivo, parla di problemi che la maggior parte degli adolescenti deve affrontare a quell'età.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Si trovava ancora in giro da sola, a passeggio con l'ipod verde acido – il suo colore preferito.
Si stava chiedendo perché era immancabilmente sempre alone, sola. E si che non apparteneva al gruppo degli "sfigati" della classe: non era brutta, non portava l'apparecchio, non era grassa, era dotata di un'eccellente intelligenza, senza voglia di usarla però. Non era ricca come certe sue compagne di classe, ma neanche povera: una ragazza di una famiglia media italiana. Aveva una bella casa, dove viveva con i nonni paterni, la mamma e la sorella. Si vestiva molto bene, ma questo perché sua madre l'aveva cresciuta nell'eleganza: era una cultrice dei completi eleganti ed odiava con tutta sé stessa i jeans! Odiava anche le marche indossate per moda dalle sue compagne di classe, ovvero quelle brand che andavano ora solo nella discoteca della domenica pomeriggio. Non si truccava molto, tranne un filo di matita nera intorno agli occhi, che metteva solo perché era innamorata del suo occhio azzurro-blu. Così come amava i suoi occhi, era entusiasta delle sue labbra, e, infatti, le teneva molto curate, e sempre con un filo di lucidalabbra: tutto ciò però, come ogni cosa che compiva, lo faceva per sé stessa, perché si sentiva bene così. 

Se doveva descriversi a qualcuno, elencava solo i difetti: egoista, permalosa, egocentrica, vanitosa…aveva veramente poca stima di sé, e difatti non sapeva attribuirsi dei pregi, ma perché in realtà era molto umile e non rispecchiava per niente la ragazza che si ostinava a rappresentare.
Aveva qualche ragazzo serio che le faceva la corte, ma lei pareva non accorgersene, infatti, si riteneva poco degna della loro attenzione, sebbene avesse avuto parecchie relazioni "mordi e fuggi". Si sentiva sporca per questo, poiché sceglieva di uscire solo con ragazzi vanesi e poco seri, sempre per quel suo senso d'inadeguatezza nei confronti delle altre persone. Aveva una lista, sulla quale aveva scritto ogni ragazzo con cui era stata, e per lei era incredibilmente lunga, e si odiava per questo, si reputava una ragazza facile. 
Si arrabbiava molto, quando i ragazzi suoi compagni di classe, scherzando, le dicevano che era una "donnaccia", sapendo, però, che avevano ragione.

Il ragazzo di cui era innamorata dall'inizio della scuola, quattro anni prima, un suo compagno di classe, non la prendeva seriamente, anzi si prestava spesso e volentieri a certi tipi di battute, e la cosa la intristiva parecchio.
In gita con la scuola avevano passato le giornate insieme, mano nella mano…lei aveva così bisogno di certezze e lui, che non era il ragazzo che lei pensava, era disposto a darle tutti gli appigli che le servivano, senza però che li cogliesse…avevano dormito insieme, abbracciati, con le gambe attorcigliate, le lacrime di lei che cadevano sul suo petto, i respiri che si mescolavano…ma tornati dalla gita le cose erano riprese normalmente: a scuola in banco insieme la mattina, in giro per la città il pomeriggio, a passeggiare sulla spiaggia la sera…sempre come amici, almeno così vedeva lei, senza capire che lui avrebbe voluto stringerla sempre nelle sue braccia, e sussurrarle tutto l'amore che provava per lei. Addirittura era giunta a pensare "ecco…un altro che non mi vuole…ma perché la maggior parte di questi ragazzi sulla lista non li voglio, né li avevo voluti allora? Perché non c'è lui, l'unico a cui desidero darmi con tutta me stessa?". Che ingenua! Come poteva non capire che erano le stesse cose che pensava anche lui? Forse il fatto che lui aveva iniziato ad uscire con altre ragazze, senza però smettere di passare i suoi minuti liberi con lei.


Quel giorno passeggiava da sola per la sua città, con musica "da tagliarsi le vene", come la definiva lei, nelle orecchie. Tutte canzoni triste, scelte all'oscuro del suo amore segreto, che l'avrebbe sgridata, per questi suoi pensieri depressivi. Ma lui non capiva come si sentiva lei, non solo per quest'amore a sua idea non corrisposto, ma per la scuola, nella quale non eccelleva, per i suoi hobby, scelti per compiacere i genitori e, ovviamente, svolti senza ottenere buoni risultati.
Passeggiando, pensava.

Era una ragazza che rifletteva molto. Del resto, una che si ostina a vagare per la città da sola, che può fare? Parlare all'aria? Lei l'avrebbe anche fatto, strana com'era.

Pensava al fatto che stava ingrassando, a suo parere, quando invece era sottopeso e doveva prendere chili, non perderli. Pensava che, anche se suonava il pianoforte da ormai 10 anni, non si riteneva per niente portata. Pensava che le piaceva molto fare foto: suo zio le aveva regalato una magnifica macchina fotografica e le aveva spiegato i trucchi del mestiere, ma non si riteneva brava nemmeno nella fotografia. Pensava al fatto che l'avrebbero bocciata, se non si fosse impegnata un minimo in più…
Non aveva ancora capito che le mancava la voglia di fare queste cose, tutto perché aveva un senso di depressione che aleggiava in lei, si sentiva inutile, poco apprezzata. Nessuno, soprattutto i suoi genitori non riuscivano a capire come fosse realmente, e ciò la deprimeva ancor di più. Si sentiva poco stimata anche dai giovani della sua età, da quelle ragazze che avrebbe voluto chiamare "amiche" e da quel ragazzo che avrebbe voluto fosse soltanto suo, non capendo che in realtà l'aveva già stregato con i suoi bellissimi occhi e quella bocca simile ad una fragola matura. Non capendo che lui le voleva un bene dell'anima e che sarebbe morto se le fosse successo qualcosa.


Viveva in una piccola città. La cosa che apprezzava maggiormente era il fatto che si affacciava sul mare, con una bella spiaggia, e l'acqua era molto più limpida che non in altre zone costiere d'Italia.
Adorava andare, al tramonto di qualsiasi stagione, a sedersi su degli scogli di fianco al molo, a guardare le onde infrangersi su di essi. Le sue passeggiate al calar del sole iniziavano in compagnia di quel ragazzo, ma terminavano da sola, su quegli scogli.
Anche quel giorno era giunta al suo molo, e aveva appena riposto nel portafogli quella dannata lista, che la faceva star così male ma nel contempo la stregava, non riusciva a fare un giorno senza guardarla, anche se la conosceva a memoria, ovviamente, avendola scritta lei.
Trovava molto rilassante fissare le onde, poiché sentiva che il mare aveva qualcosa di magico, che l'attirava, ma al tempo stesso la frenava: l'immensità del mare con le sue mille creature la tentava molto, ma al tempo stesso aveva timore dell'acqua alta, odiava non vedere il fondo…
Quel pomeriggio si stava avvicinando anche un temporale: poteva vedere, dalla sua postazione, l'orizzonte che cominciava ad incresparsi.
Paragonava il suo io interiore al mare in tempesta, soprattutto quel giorno: era stata tutto il pomeriggio con il gruppetto in cui si era inserita, aiutata dal suo caro amico, che oggi aveva però disertato la passeggiata quotidiana per uscire con una ragazza, e ciò l'aveva intristita ancor di più.
Basta. Si disse di smetterla di pensare.
Prese la sua stilografica con l'inchiostro blu pavone ed un foglio di carta e li poggiò sul molo. Estrasse anche la sua digitale dalla pochette e scattò una foto, per fermare per sempre quel panorama stupendo. Spense l'ipod, la musica che stava ascoltando si disperse, lasciandole però il ricordo nella mente. Era la sua canzone preferita, un brano rock dei System of a Down. Scrisse sul foglio:

"Lonely Day…
Colonna sonora della mia partenza
da questo mondo verso uno migliore.
…spero."

Mise il foglio sotto la digitale, che lasciò sul molo, di fianco alla borsa, e s'incamminò verso la fine del pontile.
Aveva smesso di pensare, infatti non si ricordò del suo motto, delle parole con le quali era cresciuta: non arrenderti mai. Sua madre l'aveva allevata ripetendole ogni giorno queste parole, dicendole che lei poteva sconfiggere tutte le avversità.
Quel giorno se ne dimenticò.
Camminava ad occhi chiusi, tante volte aveva percorso quel molto, avanti ed indietro, sempre da sola, con il timore che, portandoci qualcuno, l'avrebbe reso meno suo, e sarebbe potuto restare pregno di brutti ricordi, e lei ne aveva fin troppi da ricordare.
Arrivò alla fine del molo: sapeva il numero dei passi da fare. Si fermò e spalancò gli occhi. Le era tornata in mente quella notte che aveva sempre voluto dimenticare. Quella notte in cui lui non era stato con lei, e segretamente glielo rimproverava. Quella notte che uno sconosciuto, nero come la notte da dove era sbucato, le aveva fatto del male, le aveva tolto la sua purezza. Quella notte che aveva dato il via alla sua lista. Quella notte in cui aveva iniziato a sentirsi sporca. Questo voleva dimenticare, ma questo era indelebile nella sua mente.
Iniziò a piovigginare, si alzò una folata di vento. Le nuvole avevano quasi coperto tutto il cielo.
Il sole, o quel poco che ne era rimasto, si stava immergendo nel mare.
E lei decise di seguirlo.
  
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