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Autore: Drew Bieber    29/10/2013    1 recensioni
Casa nuova, città nuova, scuola nuova, persone nuove e una madre e un fratello nuovi per Tory. Una ragazza di 14 anni la cui vita ora è completamente cambiata. Con la perdita della madre da più di 6 anni, ora vive ad Atlanta e sarà tutto diverso per lei. Per saperne di più leggete il primo capitolo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Andrè: ehi, ehi ragazzi, venite si sta svegliando
Carly: cosa? Si sta davvero svegliando?
Mark: si, si sta riprendendo
Cercai di aprire più che potevo gli occhi, ma la luce che entrava dalla finestra mi dava molto fastidio. Appena riuscii a mettere a fuoco le sagome sfumate che mi si trovavano davanti, notai con grande felicità che erano i miei amici. Osservai bene la stanza in cui mi trovavo, mi accorsi che avevo un ago che mi entrava nelle vene, e il forte odore di disinfettante mi fece capire che ero in ospedale, ma cosa ci facevo lì? cosa mi era successo? Avevo solo un forte mal di testa, e non riuscii a pensare alle varie possibilità che potevano giustificare la mia presenza in quel posto.
Rob: Tory, ti senti meglio?
Avril: come stai?
Io: meglio, grazie
Mark: Andrè ci ha detto tutto
Carly: e siamo venuti subito a vedere come stavi
Andrè: erano molto preoccupati
Rob: noi ora dobbiamo andare, riguardati mi raccomando, ciao
I ragazzi uscirono uno alla volta dalla porta, restò solo Andrè, aveva sicuramente qualcosa da dirmi.
Io: così glielo hai detto
Andrè: solo a metà
Io: cioè?
Andrè: che sei svenuta perché ultimamente ti sei un po’ trascurata, tutto qui
Io: quindi non gli hai detto che mi …
André: no, sapevo che non avresti voluto, e me lo sono tenuto per me
Io: grazie
Andrè: ora vado se hai bisogno di qualcosa chiamami pure
Se ne andò lasciandomi sola in quella stanza anonima. Il bianco di quelle pareti mi faceva sentire più vuota di quanto lo fossi già. Avevo un forte mal di testa e peggiorava ogni secondo in più che passava, appoggiai la testa al cuscino chiudendo gli occhi cercando di trovare la pace che mi era mancata da ormai così tanto tempo che non saprei più riconoscerla. Dalla finestra leggermente aperta entrò un leggero venticello che mi accarezzava dolcemente il viso, per qualche istante potei illudermi che fosse Justin a darmi quelle carezze che avevo dimenticato del tutto. Non so cosa mi prese, ma un vuoto si stava spandendo in me lasciandomi un deserto di sabbia nera e gelida, così fredda che avvertii una sensazione come se il cuore fosse avvolto da uno strato spesso di ghiaccio. E non potevo porre nessun rimedio a quella sofferenza. Giorno dopo giorno mi sentivo sempre più morta, Andrè veniva sempre a farmi visita e avvolte anche gli altri ma non serviva più a niente ormai. Volevo solo una persona accanto, ma anche se l’avrei desiderata con tutta l’anima non sarebbe mai venuta, aspettando invano l’arrivo di chi è scomparso per sempre dal tuo mondo. Non mi sentivo più al sicuro né a casa mia, né a casa di Andrè e neanche in ospedale, in nessun posto. Ogni volta che tramonta, il sole riempie la mia stanza di un rosso fuoco che mi dà calore, che mi dà un po’ di forza. Adoro quelle sfumature di colore, è l’unico momento della giornata in cui quelle inutili pareti bianche mi trasmettono qualcosa. Quando poi è sera c’è solo la luna a farmi compagnia, con le stelle, quelle stelle a cui ho affidato i miei sogni. Ogni sera mi volto sempre verso la finestra per guardare quel cielo blu costellato da piccole scintille di luce, che non hanno paura di brillare nell’infinito. Vorrei avere anch’io quel coraggio, di farmi valere, ma resto sempre nell’ombra, proprio come quando l’infermiera viene a chiudere la tenda della finestra e tutta la luce scopare lasciandomi in un mondo nero di cui faccio parte, dove tutto è uguale e non ha significato. Stasera non voglio restare a fissare il cielo, voglio aprire gli occhi, per una volta voglio affrontare la verità, e accettarla, anche se fa male. Mi alzo dal letto ed esco dalla stanza. Girando per l’ospedale capisco che tutto è nell’ombra, quando vedo quei pochi raggi di luce cerco di raggiungerli perché è come se trovassi la speranza di uscire da quella solitudine e freddezza che mi soffoca. Scendo giù al piano terra dove è situata la reception. Guardo quelle porte come se fossero il cancello perennemente chiuso che mi distacca dal mio vero mondo, eppure basterebbe avvicinarmi per farle aprire, però non lo faccio, quelle due porte scorrevoli sono la mia salvezza, mi proteggono da ciò che può ferirmi, ma allo stesso tempo mi tengono rinchiusa contro la mia volontà. Resto lì cinque minuti circa, poi arriva un’infermiera che non ho mai visto, mi viene vicino chiedendomi cosa facessi lì, non mi volto neanche per guardarla in faccia, la ignoro completamente, le sue parole mi sono indifferenti, fisso il pavimento e faccio un sospiro di rassegnazione a tutto, do le spalle a quella donna in camice bianco e mi incammino verso le scale che portano al corridoio per ritornare in camera mia, appena sto per girare l’angolo del quinto gradino sento le porte dell’ingresso dell’ospedale aprirsi e entra un soffio freddo di vento caratterizzato da un tocco di profumo che mi è familiare e mi sfiora leggermente le braccia e le gambe coperte dalle fasciature, l’infermiera parla con la persona che è appena entrata, e appena sento quella voce vi svesto di ogni emozione positiva e una chiazza gigante di nero mi soffoca sottraendomi anche la più piccola forza. Ho paura di voltarmi in dietro, ho paura di guardare in faccia la causa di tutto questo, in quel momento volevo solo sbagliarmi su chi credevo fosse quella persona, ma le mie orecchie non potevano negare ciò che sentivano. Nonostante stessi di spalle percepivo il suo sguardo su di me e mi sembrava come dei chiodi che mi ferivano fin nel profondo del mio essere, malgrado tutto quel dolore che mi bruciava viva, riuscivo a trattenere le lacrime, ma sapevo che non sarebbe durata molto quella inutile resistenza che facevo a me stessa rendendomi sempre più difficile tutto. Quando decisi che era il momento giusto presi un quel respiro profondo per calmarmi, anche se non mi servì a molto, corsi il più veloce possibile verso la mia stanza come se stessi scappando, ed era sicuramente così. Correvo talmente veloce che mi scontrai contro un infermiere e per poco non cadevo, ma non potevo fermarmi per nessun motivo, aprii la porta con grande fretta e la chiusi con tutta la forza che avevo, presi la chiave e con le mani tremanti come se dalla paura riuscii a infilare la chiave e a chiudere per bene la serratura. Nonostante quella precauzione non mi sentivo ancora al sicuro, stavo a quasi un metro di distanza dalla porta, non sentendo nulla molto timidamente mi avvicinai alla porta con l’orecchio, all’inizio con sentivo nulla ma concentrandomi bene riuscii a percepire il rumore dei suoi passi sul pavimento freddo che fino a pochi minuti fa stavo percorrendo io, sentivo che mi si avvicinava sempre di più, quel rumore era come una tortura per la mia testa, mi accasciai a terra con le mani che mi fasciavano la testa che di lì a poco sarebbe scoppiata, quando poi non sentii più nulla mi chiedevo come mai si fosse fermato, mi domandavo dove fosse ora e intuii che si trovava proprio lì dietro quella porta, appena realizzai completamente e perfettamente quel pensiero di cui ero sempre più convita mi staccai dalla porta come se attraverso quei pochi centimetri di legno poteva esserci un contatto tra me e lui, e io ne avevo paura, la sua presenza mi fa sentire completamente morta e sepolta. Cerco di farmi più piccola che posso e mi ripeto in mente il desiderio di sparire. Mentre mi dispero sento che qualcuno bussa alla porta e peggioro ancora di più fino al punto di piangere. Le voci dell’infermiera che mi chiede di aprire sono insistenti e cerco nel modo più assoluto di ignorarle, quando mi calmo mi accorgo che non si sente più niente, è tutto in silenzio. Mi rialzo e dopo aver aspettato qualche minuto per accertarmi che non ci sia nessuno dietro la porta lentamente mi dirigo verso il letto e mi metto sotto le coperte. Provando a ignorare ciò che era successo poco tempo fa chiudo gli occhi sperando di riuscire ad addormentarmi. Vedo Justin avanti a me, che sta camminando nella mia stessa direzione, in un posto dove non si intravede la fine ne l’inizio e non c’è anima viva se no noi due, almeno così credevo. Continua a camminare e ormai vicinissimo mi sembra di scontrarci invece passa attraverso il mio corpo come se non ci fossi, come se fossi uno spirito e non fossi fatta di materia, era così, quando mi accorsi che era alle mie spalle e si stava allontanando un dolore acuto invase completamente me stessa, era una sensazione stranissima che non saprei neanche descrivere, ma era tutt’altro che piacevole. Appena me ne accorsi, dei tagli percorrevano le mie braccia, le mie gambe fino il viso, si allargavano sempre di più diventando anche più profonde e mi facevano sempre più male ma non usciva sangue. Tutto intorno divenne di un blu agghiacciante con sfumature azzurre, iniziò a soffiare un forte vento che mi penetrava fin dentro le ossa ghiacciandomi completamente il cuore. Tremavo per il forte freddo, in quel momento la mia vita era assente, non riuscivo a muovermi del modo assoluto. Faceva così freddo che avevo alcune ciocche di cappelli ricoperte dal ghiaccio. Quando stavo per chiudere gli occhi con moltissima fatica avvertii delle braccia intorno alle mie e alle spalle. Riconoscendole capii che era Justin, mi voltai leggermente abbastanza da vedere metà del suo viso, mi accenno un sorriso pieno di felicità, non reagii però, quell’espressione mi faceva un’immensa paura. All’improvviso sentii un forte bruciore alle braccia, guardai e vedi che erano le sue mani a graffiarmi così forte, facendo uscire un interminato fiume di sangue. Mi fa così male che però riesco a tollerare quel male, il freddo gela il sangue ed è così freddo che quasi mi sembra bollente. La mia mente non ragionava più, tutta quella sofferenza non riuscivo ad avvertirla intorno a me. Volevo piangere ma anche le lacrime a quel punto di erano gelate. Mi sveglio immediatamente con la fronte sudata per lo spavento, è stato solo un sogno, anzi un incubo, un orribile incubo, da cui non potevo uscire. Quel qualche secondo mi sembrava di vivere la realtà, ma poi realizzai che infondo ero solo nella mia stanza, in un ospedale, lontana da lui, ed ero viva, per sfortuna. Guardai l’orologio con lo sguardo smarrito, ero le quattro del mattino. Non ce la facevo ad addormentarmi dopo tutto questo, ormai non potevo neanche contare sui sogni.
Angolo scrittrice
Ciaooo ragazze spero vi sia piaciuto questo capitolo, per favore recensite e se volete che legga qualche vostra ff mi fa molto piacere ciao e grazie
  
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