CAN I LOVE A MONSTER?
20 Gennaio
2013, Norvegia. Fiordi
a nord-ovest di Vadsø.
Era
una giornata gelida e ventosa, di
quelle che sono piuttosto comuni se vivi in Norvegia.
Il
freddo non le aveva mai dato
fastidio, fino ad allora.
Eppure,
adesso era diverso. Aveva
bisogno di tutto il calore possibile per farcela. Tradotto: aveva
bisogno di
nutrirsi più del solito.
Sorvolò
la lunga distesa d’acqua
incassata nell’entroterra, silenziosa come il più
furtivo dei falchi.
Attorno
a lei svolazzarono alcuni
uccelli, ma le bastò uno sbuffo di fuoco per scacciarli in
massa.
Erano
decisamente troppo piccoli per
costituire un pasto decente, constatò, ma l’idea
della loro carne tenera tra le
sue mascelle le fece comunque venire l’acquolina in bocca.
Solo quel briciolo
di dignità tipica dei draghi le impedì di sbavare.
Finalmente,
si allontanò dall’inutile
ammasso di acqua salata ed avanzò trascinata da una lieve
corrente
ascensionale: sulla terraferma c’era decisamente
più cibo.
Individuò
alcuni lemming con la sua
vista acutissima, ma ancora non erano ciò che cercava:
insomma, lei era un
drago! Dei minuscoli topi non potevano farle nemmeno da aperi-cena.
Ma
qualcosa di infinitamente più
interessante attirò la sua attenzione: un branco di renne al
pascolo, che
brucavano quel poco che c’era di commestibile della tundra.
Gli
animali si guardavano attorno,
vigili anche durante il pasto: i loro occhi saettavano a destra e a
sinistra in
ogni istante.
Purtroppo
per loro, non si
aspettavano di veder calare la morte dall’alto dei cieli.
Nascosta
dalla loro ignoranza, la
draghessa gioì, e piombò in una picchiata
perfettamente calcolata. Negli ultimi
metri, quando le renne la videro e capirono, si scatenò il
panico, ma per una
di loro fu troppo tardi.
Prima
che avesse il tempo di muovere
un muscolo, gli artigli affilati come rasoi del drago stroncarono
rapidamente
la sua esistenza. L’ultimo suono che udì fu un
ruggito terrificante, più simile
al rombo di un tuono che al verso di un predatore.
La
bestia ringhiò soddisfatta,
divorando i resti della sua preda.
Il
calore all’interno del suo ventre
le fece capire che andava tutto bene, e non solo per lei.
17
Marzo 2013, Norvegia. Territori nell’entroterra di Tromsø.
L’aria
era il suo elemento.
Mentre
volava, si sentiva leggera e veloce, letale più di quanto
non potesse essere a
terra.
Sul
terreno, lei non era altro che un lucertolone zannuto e sputafuoco;
quando
spiegava le enormi ali spinate al vento, diventava la regina dei
predatori, il
terrore di ogni creatura presente al mondo.
Beh…
Questa affermazione non era proprio veritiera.
Già,
perché qualcuno al mondo che non la temeva
c’era… Quel fastidioso umano dalla
pelliccia rossa, che se fosse stata capace di un linguaggio coerente
avrebbe
definito stalker.
Ormai
non la infastidiva più, era abituata a vederselo comparire
ad una rispettosa
distanza una volta ogni tanto. Non si avvicinava mai, ma la osservava.
Prendeva
nota. Poteva sentirsi il suo sguardo addosso.
Sin
da quando era piccola, quell’umano era stato una costante
della sua vita.
C’era
stato un altro umano, una volta.
I
suoi ricordi di quest’ultimo erano confusi: ricordava solo la
sua folta
pelliccia nera ed una voce profonda ed affettuosa, la voce che aveva
accompagnato la sua infanzia per un certo periodo.
Poteva
ancora ricordarlo, perché era il primo volto che aveva
scorto quando aveva
fatto a pezzi il suo uovo.
L’umano
l’aveva allevata: e per lei era una cosa normale,
perché non era stata
consapevole della sua natura fino all’età mediana
tra quella di cucciolo e
quella di adulta.
I
suoi ricordi sbiaditi erano tinti di una dolcezza che ora non conosceva
più: in
un certo senso le sarebbe piaciuto risentire la sua voce mormorarle
incomprensibili suoni gentili, che avevano avuto il potere di
tranquillizzarla
quando era accecata dalla furia o di rassicurarla quando provava paura.
Ma
ora nella sua vita non vi era più spazio per quelle
smancerie da cuccioli: era
una regina dei cieli, dannazione!
E
l’umano l’aveva abbandonata alla fine, sparendo per
sempre. Non era degno della
sua considerazione.
E
lei aveva cose molto più importanti su cui concentrarsi.
Eppure,
una strana sensazione parve appesantirla
durante il volo.
Il
Rosso era tornato a trovarla. Intravide la sua
pelliccia di fuoco anche dall’alto. Uscì da uno
sbuffo di nuvola e lasciò che
lui la vedesse. Ruggì al cielo, e lui mostrò i
denti. A quanto pareva, gli
umani lo facevano quando apprezzavano qualcosa. Che strane creature!
Nonostante
sapesse che lui non le avrebbe mai fatto
un torto, si affrettò a scendere di quota e ad atterrare: il
suo istinto era
più forte della razionalità, e
l’istinto le diceva di proteggere il suo tesoro.
Quando
si fu accovacciata, osservò il Rosso.
E
si accorse che non era solo.
Con
un sibilo minaccioso, la draghessa si raccolse
su sé stessa, i muscoli tesi sotto le squame. I due umani
però rimasero eretti
sulle zampe posteriori, immobili.
Stava
per scatenare un inferno di fuoco contro di
loro, ma dalle sue fauci uscì solo una voluta di fumo.
L’altro
umano… Perché lo conosceva? Era di
dimensioni maggiori rispetto al Rosso, aveva la pelliccia
più scura,
cespugliosa e disordinata.
Lui
fece un passo avanti, incurante dei suoi
segnali. Aveva notato che lei non lo aveva ucciso. Se
l’avesse voluto, sarebbe
già morto.
-Nor…
Norberta…-. Il verso per lei non poteva avere
alcun senso, ma le suonò familiare all’orecchio.
Lo aveva già sentito, e le
trasmise una bizzarra sensazione di calore alle membra.
Lo
stesso calore che associava al pensiero o alla
vista del suo tesoro, la sua prole in arrivo che ora proteggeva.
Cos’era
quella sensazione? La analizzò, decisa a
comprendere. Era senz’altro positiva, le piaceva il calore.
Il calore era
fuoco, ed il fuoco rappresentava la sua forza.
Nel
linguaggio dei draghi non esisteva la parola
amore.
Se
fosse stata umana, si sarebbe chiesta se era in
grado di amare quel mostro a due zampe che ora la guardava con gli
occhi
lucenti di lacrime, le labbra aperte ma mute.
Ma
si trattava senz’altro di amore: nient’altro le
avrebbe impedito di ucciderlo, mentre si avvicinava fino a superare
ampiamente
la distanza X entro la quale non si infuriava.
Men
che mai mentre uno scricchiolio sonoro attirava
la sua attenzione: i suoi piccoli, i suoi cuccioli stavano venendo al
mondo!
No,
lei non lo uccise. Solo l’amore senza nome per
colui che l’aveva cresciuta le permise di tollerare che lui
si avvicinasse ai
suoi figli appena nati, che li guardasse, che guardasse lei. Di nuovo,
lui
emise dei suoni.
Norberta
non capì, ma Hagrid le aveva appena detto
che sarebbe stata una mamma di gran lunga migliore di quanto lo era
stato lui.
Salve
a tutti!!!
Grazie mille se avete letto questa One-Shot. Insomma, non so da dove mi
sia
venuta fuori… Sarà che ho sempre amato i draghi,
e mi andava di mostrarne i
sentimenti, in un modo originale ma non troppo smielato…
Insomma, sempre draghi
sono xD
E
poi, mi piace l’idea che
anche un drago pensi. In modo tutto suo, diverso dal nostro, ma che
comunque
pensi, ami ed odi :3
Beh…
Ditemi che ne pensate, se
vi va!!
Grazie
mille, di nuovo =D
Micol