Crossover
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Autore: Registe    30/10/2013    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 12 - La stella di carta




Bartosh con il piccolo Hyunkel




“Il tuo ardire è grande, Bartosh, se osi portare un umano al mio cospetto”.
Tutti noi annuimmo, sapendo in cuor nostro che poco sarebbe rimasto di quel ragazzo una volta che lo sdegno del Grande Satana si fosse tramutato in furia.
Che la sfrontatezza della non-morte sia incredibile, è cosa risaputa. Ma nessuno di noi credette alle proprie orecchie quando l’enorme figura ribatté al signore di tutti i demoni.
“Grande Satana, Lei offende se stesso. Lei mi ha elevato a comandante del Fushikidan, e mi ha permesso di sedere alla sua destra nonostante la mia infima natura. E non lo ha fatto per amore verso la non-morte, ma perché ritiene che le mie capacità possano essere tali da innalzarsi fino a quelle dei demoni, perché i miei consigli possano essere ascoltati dalle Sue nobili orecchie” disse, sollevandosi dall’inchino. “E io Le consiglio di porre alla testa del Fushikidan qualcuno le cui doti mi superano già da molti anni, che considero più adatto a servire da vicino la famiglia demoniaca di quanto io non sia in grado di fare, perché c’è molto sotto la debole natura di mio figlio. Se Lei non accetta il mio suggerimento vuol dire non ritiene valida la mia opinione. E a che pro nominarmi Generale se poi la Sua fiducia in me viene meno alle prime parole che Le dispiacciono?”
Tutti tremammo, perché il cipiglio del Grande Satana si corrugò.
Poi qualcuno dalle ombre batté le mani, ed i suoi occhi scuri incontrarono quelli del nostro signore. Ci fu solo un grande silenzio, ma quell’applauso non si fermò finché il Grande Satana Baan non annuì, accogliendo la proposta dello scheletro guerriero. Quella sera festeggiammo Hyunkel, nuovo Generale del Fushikidan.
Quella fu anche l’ultima volta che sentii il Cavaliere del Drago applaudire qualcuno.
“Storia della famiglia demoniaca, volume mille settantadue” a cura dell’Arcivescovo Stregone Zaboera, sotto il regno del Grande Satana Baan.





La battaglia si era fermata. Il silenzio era calato di nuovo nei bassifondi di Coruscant, un silenzio che era dipinto con il terrore, il dubbio ed il sospetto di entrambe le parti. Aveva ordinato ai suoi uomini di cessare il fuoco: non poteva vedere i visi dei cloni soldato nascosti dagli elmi bianchi da assaltatori, ma poteva indovinare i pensieri che stavano attraversando le loro menti. Li vedeva chiaramente nel modo nervoso con cui continuavano ad imbracciare i blaster.
Davanti a lui c’era il Fushikidan. Si rese conto in quel momento, davanti a quei corpi cadenti, di non averli mai visti davvero da vicino, che la minima distanza a cui era arrivato da uno solo di quei mostri era il raggio del suo fulminatore. Se dall’alto l’ondata non-morta gli era sembrata solo una massa grigia ed informe che infestava il loro mondo, da vicino era la cosa più disgustosa che avesse mai visto.
Nella sua lunga carriera di cacciatore di taglie, Boba poteva vantarsi di aver ucciso un esemplare di praticamente ogni razza esistente; aveva visto da vicino le viscere verdi e appiccicose degli Hutt, aveva rinchiuso in carbonite un paio di Vong per soddisfare i capricci di qualche ricco collezionista di Coruscant ed aveva perfino piantato una vibrolama lungo il collo di un Kaminoano, aprendolo in due e bagnandosi del fluido appiccicoso che scorreva nelle vene di quelle creature. Il tutto senza il minimo disgusto. O paura. Suo padre gli aveva insegnato che gli uomini erano solo delle macchine fatte di carne, e morivano solo quando uno dei preziosi e delicati ingranaggi veniva danneggiato: uccidere voleva dire solo rompere uno di quei pulsanti ingranaggi, e se un cacciatore di sangue aveva paura di un po’ di sangue … beh, poteva sempre dedicarsi al cucito.
Ma suo padre non aveva mai visto quegli orrori. Alcuni giravano nudi, altri indossavano dei vestiti usati, strappati, che avevano conosciuto il colore decine di anni prima. Nessuno di loro sembrava lo scheletro imbiancato ed impeccabile che i professori di anatomia di Coruscant sbandieravano nelle scuole; quello più vicino a lui aveva perduto la mandibola, ed i residui marcescenti della lingua penzolavano immobili verso il basso, dove la gabbia toracica annerita rinchiudeva un organo che Boba non sicuro di voler conoscere. Uno di loro, ben riconoscibile per una tunica nera quasi pulita, aveva metà del cranio portata via probabilmente da una raffica laser, ed il liquido biancastro che scendeva lungo le vertebre e macchiava il vestito era tutto ciò che restava di un cervello putrefatto.
Non tutti erano stati umani.
Nel punto in cui i resti della strada 465 e 466 si univano, due enormi scheletri erano chini in avanti, appollaiati su quello che un tempo doveva essere un balcone, con i lunghi colli rivolti verso lo spazio vuoto che si era formato tra i due eserciti. Brandelli di pelle squamosa pendevano dalla loro colonna vertebrale, e una membrana grigia e flaccida sventolava come una bandiera su quello che rimaneva dell’impalcatura di un’ala. Una di quelle creature lo fissò con le sue orbite vuote e cupe, un mostro così raccapricciante che i gestori delle arene di Geonosis se lo sarebbero conteso per migliaia di crediti. La morte aveva un viso, dopotutto. Era quello che si rifletteva nelle orbite di tutti quei mostri. Orbite che, almeno in quegli istanti di pace, non erano puntate sull’esercito imperiale.
Davanti a loro due figure stavano discutendo. Il giovane comandante umano stava rivolgendo delle parole cariche d’ira ad uno scheletro enorme, quello dalle sei braccia che aveva caricato Kaspar. Boba lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Selezionò la modalità Traduttore dei sensori della sua armatura, ma dopo qualche minuto una luce rossa al di sotto dell’elmo gli riportò che le parole ascoltate non facevano parte delle 7562 lingue ufficiali della Galassia né degli 87340 dialetti attualmente in uso nelle principali forme di vita; il sistema gli chiese se fosse intenzionato a scaricare il nuovo aggiornamento sui neologismi besalisk appena accettati dal Dipartimento di Lingue Imperiali, ma premette un pulsante stizzito e silenziò l’apparecchio. Non serviva un droide protocollare per capire che lo scheletro gigantesco non approvava. Le sue lunghe mani si spostavano, indicando prima uno schieramento e poi l’altro; l’umano gli rispose qualcosa in modo secco, probabilmente un ordine, e l’altro si acquietò.
Il giovane comandante lanciò un ultimo sguardo ai suoi, poi venne nella sua direzione. Si levò l’elmo, rivelando i capelli azzurri, di una sfumatura argentea che ricordava quella del Membro dell’Organizzazione, e gli occhi chiari. Non doveva avere più di venticinque anni, ed il fisico robusto rimarcava la forza e l’energia della sua giovinezza.
“È lei il capo?” gli chiese il ragazzo. “Io sono Hyunkel, figlio di Bartosh, e sono il Generale del Fushikidan al diretto servizio del Grande Satana Baan. Sono qui in risposta alla vostra richiesta”.
“Io sono il governatore Fett. Di chi sono figlio non sono affari che ti riguardino” tagliò corto Boba, guadagnandosi un’occhiataccia. “E sì, ho la sfortuna di essere il capo di questa operazione militare. Ho chiesto questo incontro per risolvere la battaglia nella maniera più sbrigativa possibile. Non ho intenzione di sprecare le vite dei miei uomini quando non è necessario …”
“Una decisione lodevole!”
Non sai quanto, ragazzino … “Una decisione pratica. Un duello da veri uomini e la finiamo qui, il Generale del Fushikidan contro il comandante dell’esercito imperiale. Chi vince si aggiudica questo campo di battaglia” disse, misurando le parole. “Non posso garantire per le truppe che verranno, ma per quel che riguarda i miei uomini sono pronti a rispettare l’esito del duello. A patto che tu non scappi via piagnucolando, ragazzo!”.
Il viso del giovane umano divenne color porpora. Eccellente …
Tarkin sarebbe stato fiero di quel bel discorsetto appetitoso.
“Piagnucolare, dici? Parole grosse per un vigliacco che nemmeno fa vedere il suo viso!” rispose, stavolta con un tono di voce più alto. Il cacciatore di taglie sospirò, ma non si levò il casco. Il ragazzo abbaiò ancora qualcosa sulla lealtà, l’onore e tante altre vuote idiozie … dandogli tempo di dare silenziosi ordini ai suoi uomini attraverso il comlink innestato nell’elmo. Quando tutti i sottoufficiali confermarono la loro posizione decise che quel discorso era durato anche troppo. “Hai finito di parlare? O nel vostro primitivo pianetuncolo avete tutti la parlantina di Mistobaan?”
L’altro estrasse la spada . “Voi umani non dovreste nemmeno pronunciare il nome del nostro Braccio Destro. Ed accetto questa sfida per poterti umiliare e ricacciare in gola tutto quello che hai detto su di noi e sulla famiglia demoniaca!”
Sì, come no … “Allora iniziamo”.
Lo zaino a razzo gli sarebbe stato utile. Molto. Ma recriminare non aveva senso, quindi estrasse i blaster ed iniziò ad avanzare.
Il ragazzo si scagliò verso di lui, ma Boba sparò al terreno proprio davanti ai suoi piedi e l’altro incespicò e cadde. “Combatti lealmente!”
Non ci penso nemmeno.
L’avversario si rimise rapidamente in piedi. La sua spada era lunga e larga, realizzata in modo elaborato. Sembrava composta da tante piccole lamine disposte in maniera simmetrica rispetto al centro, e poco al di sotto dell’elsa un rubino rosso mandava una luce inquietante; non sembrava di semplice acciaio, e sulla superficie liscia ben pochi segni o ammaccature. I suoi capelli quasi azzurri scintillavano anche nel buio dei bassifondi. Strinse le mani sull’elsa e la puntò nella sua direzione. “Credi sul serio che le tue armi mi spaventino?” urlò.
Si lanciò in avanti, con una velocità sorprendente per la sua stazza. Il cacciatore di tagli fece il gesto di attivare il suo zaino a razzo, e quando si ricordò di non averlo più il clangore della lama contro la sua armatura mandaloriana lo scosse più del previsto. Si spostò di lato, ed il sistema interno gli riportò che il pettorale in platino-iridio era stato danneggiato; per un attimo sul visore si sovrapposero gli schemi olografici dell’analisi dati, ma nemmeno il computer interno dell’armatura riuscì ad identificare il materiale della spada. Tipico. Ecco perché odio la magia.
Quello Hyunkel non indossava nulla oltre ad una tunica viola, nessuna traccia dell’armatura che era certo di avergli visto indosso durante lo scontro che aveva coinvolto anche Kaspar. Sparargli un colpo a bruciapelo sarebbe stato un modo abbastanza rapido di chiudere la partita e forse anche di vincere la battaglia, ma non era quello ciò che cercava. O almeno, non solo quello. Guardò oltre la linea dei non morti, ma non vi era ancora traccia del suo obiettivo. Il ragazzo lo incalzò un altro paio di volte, ma stavolta Boba era concentrato. Si tenne sempre a debita distanza senza mai fuggire, ma sparando qualche colpo ed allontanarsi prima di un fendente.
Questo lo sapeva fare.
L’adrenalina della caccia era l’unica cosa di cui aveva bisogno.
Fece scivolare i blaster nelle fondine, e quando si vide arrivare un affondo speciale ricorse ad una delle tecniche mabari che Zam era riuscita ad insegnargli: invece di evitare la lama, vi andò incontro. La schivò solo al momento dell’impatto, lasciando scorrere il metallo sul bracciale destro dell’armatura. Vi furono delle scintille ed uno sbuffo di fumo, ma Boba si preoccupò solo dei movimenti, girando rapidamente su stesso e portandosi alle spalle del ragazzo. Si lanciò su di lui, afferrandogli il braccio che reggeva la spada e costringendolo ad abbassarlo. Hyunkel urlò infuriato e cercò di divincolarsi, ma Boba gli rimase strettamente avvinghiato. Dal pettorale dell’armatura uscirono alcuni piccoli aghi, ed il cacciatore di taglie si avvicinò ancora di più alla schiena dell’altro, sperando che il fluido rallentante che cospargeva le punte facesse effetto subito. Ma prima che le punte di conficcassero nella carne del ragazzo, quello improvvisamente mollò la spada.
Boba perse l’equilibrio e rovinò a terra. Si rialzò subito, estrasse la vibrolama che aveva nel guanto e caricò il nemico prima che potesse riprendere la sua spada. Fece una finta veloce, poi con forza mirò alle sue gambe. Lui scansò il colpo con facilità. Colpì di nuovo due volte. Il ragazzo perse terreno e scoprì il petto, ma quando Boba lanciò un affondo diretto al cuore, quello si spostò ed eseguì un salto in aria di cui il cacciatore di taglie non lo avrebbe mai ritenuto capace. Prima di riprendersi dalla sorpresa, Boba vide il giovane generale recuperare la sua arma e partire all’attacco, costringendolo sulla difensiva.
Parò un suo affondo e la collisione tra la spada incantata e la sua vibrolama gli fece tremare il corpo. Fecero rapide mosse avanti e indietro, entrambi aspettando che l’altro si scoprisse.
Poi, dopo una serie di colpi, la vibrolama mandò una piccola scarica elettrica all’altezza della gemma energetica nel manico, e Boba rimase con uno sbuffo di fumo in mano. Imprecando tra i denti Boba fece rapidamente molti passi indietro, poi estrasse di nuovo i blaster e sparò, ma l’altro deflesse i colpi con la lama che non sembrava esserne danneggiata. “Sei un buon guerriero, ma non hai quello che ti serve per vincere”.
“E cosa mi manca, sentiamo?” chiese Boba. Fronteggiò l’avversario, che si era fermato per parlare pur con la spada sollevata. In altri tempi lo avrebbe attaccato volentieri, ma il cacciatore di taglie era stanco. La pausa sarebbe servita ai suoi scopi.
Il giovane sorrise. “Il potere della famiglia demoniaca”.
“Potere?” gli rispose. “Forse la famiglia demoniaca. Ma tu, piccolo leccapiedi … Ti credi tanto forte solo perché ti sei venduto a quei mostri? Sei il loro umano da compagnia, credi che uno che scodinzola davanti al Grande Satana possa mettermi paura? Al massimo puoi farmi tenerezza …”
A giudicare dal viso dell’altro, le parole avevano funzionato.
Tarkin dice sempre che il modo migliore per costringere qualcuno ad attaccare per primo è colpirlo sul personale …
“Venduto, eh …?” disse Hyunkel. Strinse con rabbia l’elsa della spada, ed il suo sguardo per un attimo si concentrò sulle scheletro gigantesco che osservava il duello davanti a tutti gli altri non morti. “È proprio vero che gli umani giudicano dalle apparenze! Non sapete niente su di me! E MI FA SCHIFO ANCHE SOLO PENSARE DI ESSERE DELLA VOSTRA STESSA RAZZA! AMUDO!”
A quelle parole il rubino sulla sua spada emanò una luce violenta, rossa come il sangue.
E adesso speriamo che la deduzione del piccolo Membro dell’Organizzazione sia giusta …
Accadde in pochi istanti. Le piccole, strane lamine che componevano la spada si allungarono oltre misura, e si diressero verso il loro proprietario. Formarono un intreccio strano, cozzarono le une contro le altre mentre il rilevatore del casco gli segnalò un rapidissimo aumentare di energia termica. L’ammasso di bande metalliche si illuminò, attraversato dalla luce rossa che continuava a sgorgare senza sosta dalla gemma, poi brillarono pervase dal calore; poi la massa di metallo incandescente si avviluppò al corpo del ragazzo. Boba trattenne il fiato, quasi rapito. Un’ultima vampa avvolse la figura, ma quando questa si dissipò il ragazzo era avvolto dalla testa ai piedi in una strana quanto inquietante armatura. Scintillava di argento e azzurro, senza scoprire nemmeno un millimetro del corpo sottostante, soltanto una sottile fessura verticale per gli occhi. L’elmo era ingombrante e serrato, con una strana decorazione simile ad una coda che partiva dall’incavo in mezzo agli occhi e terminava alle sue spalle, non promettendo nulla di buono. La gemma rossa era scomparsa dall’elsa, riapparendo proprio sulla fronte. Anche il resto dell’armatura era enorme, dai larghi spallacci fino al pettorale che sembrava ispirato alle fauci di qualche mostro demoniaco.
La lama era diventata come molte altre, semplice e liscia, ma i bagliori rossi ed il vapore lungo di essa fecero subito capire al cacciatore di taglie che era tutto tranne che inoffensiva.
“Adesso vedremo se i fabbri demoniaci sono migliori delle vostre macchine, umano!”
Con un solo passo superò la distanza che li separava. Boba fu preso alla sprovvista quando la mano libera del guerriero si strinse intorno al suo polso destro. Era incredibilmente forte, molto più di quello che era apparso qualche minuto prima. A Boba restò un solo attimo per agire, mentre cadeva all’indietro. La mano destra evitò il fendente nemico e scaricò cinque colpi di blaster in rapida successione contro il pettorale dell’armatura. Ma non vide nemmeno un segno di bruciato.
Era certo che sotto l’elmo il ragazzo stesse sorridendo, ma non era intenzionato a perdere. Sebbene bloccato, schivò un secondo attacco della lama gettandosi a terra; l’altro non mollò la presa, ma per mantenersi in equilibrio fu costretto a cambiare posizione e Boba ne approfittò per attivare un dispositivo che non adoperava più da diverso tempo. Dalle giunture delle ginocchiere dei propri gambali liberò delle fiale di acido ukbar, pensate proprio per evenienze simili. Fintò un calcio e sganciò le armi, che esplosero con un sibilo lungo l’armatura azzurra.
Non aveva mai sentito di metalli che l’acido ukbar non riuscisse a sciogliere.
Ma si dovette ricredere.
Cercò di sbilanciare il giovane generale, e quando quello liberò la sua mano dalla morsa ne approfittò per controllare. La superficie dell’armatura demoniaca era intatta e splendente. Imprecò, stavolta ad alta voce, ma quando si volse per cercare un riparo dalla furia del suo nemico notò che il vero obiettivo di quella grande farsa era arrivato.
Silenziosi, i demoni fissavano il campo di battaglia.
La maggior parte aveva l’aspetto di ragazzini, con occhi enormi; i loro capelli colorati disegnavano un arcobaleno sopra la distesa morta del Fushikidan. Avevano tutti la pelle pallida, di diverse tinte ma sempre tenui, e sui visi vi era dipinta un’espressione tranquilla e concentrata. Erano comparsi dalle retrovie in perfetto silenzio, altri erano usciti da incantesimi di invisibilità: si erano disposti a semicerchio, sopra le teste dei guerrieri scheletrici fino a circondare la metà dell’arena improvvisata in cui lui ed il ragazzo stavano combattendo. Le creature al di sotto li fissavano, come se bastasse la loro presenza a bearli. Boba non era certo nella posizione di poterli contare, ma non dovevano essere più di un centinaio.
Con il blaster rimasto, Boba iniziò una raffica intensa. Stavolta Hyunkel non fece alcuno sforzo per pararla, ma camminò verso di lui come se l’intera pioggia di laser valesse meno di una brezza leggera; il cacciatore di taglie attivò il lanciafiamme nel guanto sinistro, e nonostante l’armatura speciale il nemico rallentò l’andatura. Questo gli diede tempo di attivare il comlink. “Ragazzino, è come pensavi?”.
Zexion, il giovane agente 006, rispose con un filo di voce. “Sì, governatore Fett. Anche l’armatura e la spada del Generale Hyunkel risentono della presenza di magia, proprio come tutto il Fushikidan. I demoni si sono avvicinati per supportarlo, perché qui a Coruscant non c’è nessun’altra magia a cui possa aggrapparsi”.
“Eccellente. Questa è proprio quello che volevo sentirmi dire”. Chiuse la conversazione con il patetico moccioso ed attivò quella con i sottoufficiali che aveva preparato. “Potete iniziare”.
In quel momento Hyunkel superò la distanza che li separava con rapidità. Boba aumentò la potenza del lanciafiamme, ma l’altro glielo afferrò, lo strappò con un unico movimento e lo scagliò lontano. Cercò di attivare una seconda vibrolama, ma l’altro gliela strappò di mano e lo sollevò di peso, come se quell’armatura gli avesse persino triplicato le forze, la gemma rossa che brillava mentre beveva il potere delle creature magiche intorno a lei. “I demoni mi hanno reso una persona migliore” sentì sibilare vicino al suo elmo la voce del ragazzo ovattata dal metallo. “Ed il Fushikidan mi ha dato una vita, loro che non ce l’avevano. Sono migliori di voi”.
“L’unica cosa che ti hanno reso i demoni … è un cadavere”.
Il primo demone cadde proprio accanto a loro.
Boba osservò con una certa soddisfazione il perfetto foro insanguinato tra i due occhi. La mira degli IG era ineccepibile. Non poteva vedere l’espressione dipinta sul suo avversario, ma era sicuro che avesse capito le conseguenze.
Gli altri demoni caddero quasi all’unisono. Rovinarono sui non-morti come bambole di pezza, solo un paio riuscirono ad emettere un grido strozzato prima di abbattersi a terra; nascosti tra le finestre dei palazzi ormai quasi distrutti, i droidi IG-88 ritrassero i fucili. A giudicare dalle luci di accensione stavano riconfigurando l’assetto da battaglia per prepararsi al nuovo, vero assalto. Aveva visto giusto. I semplici proiettili di metallo, quelli che ormai usavano solo i terrestri, erano passati inosservati agli occhi dei demoni, abituati a temere esplosioni di laser e plasma. Si erano sentiti al sicuro, avevano offerto il loro potere al generale Hyunkel … e avevano pagato le conseguenze della loro ingenuità. Adesso non erano molto più di mosche pallide spiaccicate a terra. Ed i non-morti non erano in condizioni migliori. Non vi erano pelle o muscoli su quelle facce, ma era sicuro che ci fosse dello stupore in quei sacchi di ossa semoventi. Poi paura. E terrore.
“FUOCO A VOLONTA!” gridò nel comlink, e tutti i suoi uomini aprirono il fuoco sul Fushikidan. Gli IG accesero i razzi interni e volarono tra i palazzi, sopra l’orda di morti non più coperta dai demoni: aprirono all’unisono i lanciafiamme, ed i mostri volanti che ancora non si erano preparati alla controffensiva morirono sul colpo. Un paio di scheletri appoggiò le mani sul cadavere di un demone, cercando di infondergli la non-morte, ma Boba li vide e sparò su di loro. Non mancò il bersaglio. Urla nella loro lingua grottesca partirono dal cuore dell’esercito, e le creature cercarono di rimettersi in formazione e di brandire le loro armi primitive, ma l’assenza di magia li aveva resi incredibilmente lenti. Uno di quei cadaveri alla sua sinistra perse un braccio anche se nessun laser era stato sparato nella sua direzione, ed il cacciatore di taglie gli lanciò una vibrolama in quello che restava del petto per essere sicuro che non si rialzasse. I non-morti intorno a lui si agitarono, ma una raffica sparata da uno speeder li fece crollare a terra.
Il Fushikidan era allo sbaraglio. La prima linea crollò sotto il fuoco congiunto degli assaltatori e dei droidi: sembravano esseri totalmente diversi dai guerrieri inarrestabili di qualche minuto prima, i loro petti esplodevano sotto il fuoco dei blaster ed i maledetti crollavano a terra proprio come banalissimi umani. Alcuni cercarono di contrattaccare scagliando delle lance nella loro direzione, ma per l’Impero non era un prezzo esorbitante la vita di una ventina di soldati trafitti. Gli scheletri sollevarono gli scudi ed opposero resistenza, proteggendo le linee finali che si diedero ad una frenetica, seppur ordinata, ritirata tra le macerie dei palazzi che essi stessi avevano distrutto. “Non lasciateli scappare!” ordinò da sotto il casco, e dopo nemmeno trenta secondi alcuni IG lasciarono il grosso delle truppe e volarono in avanti, intercettando la retroguardia nemica.
Boba lanciò un sospiro soddisfatto, ma quando si voltò si accorse di avere una spada puntata al petto. L’armatura del suo ingenuo sfidante aveva perso tutta la sua luce azzurra, come se lo stesso metallo stesse spirando e lottando per trovare le ultime forze. Il bracciale sinistro era attraversato da sottili crepe mentre il rubino sulla fronte aveva perso qualsiasi splendore, ormai più simile ad una volgare pietra scura che ad una gemma magica. Eppure il ragazzo non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
“MALEDETTO!” urlò, anche se la sua voce fu sommersa dalle centinaia di grida di scheletri massacrati. “ERA UNA TRAPPOLA SIN DALL’INIZIO! IL NOSTRO NON E’ MAI STATO UN DUELLO LEALE!”
“Non mi risulta di aver mai detto una cosa simile!” gli rispose Boba, aspettando il momento giusto. “E comunque bene arrivato in guerra, generale Hyunkel! Se tutta la famiglia demoniaca è così ingenua non credo che ci vorrà molto ad invadere il vostro simpatico pianeta”.
Si lanciò a terra e rotolò a destra, evitando l’affondo dell’arma. Aveva perso il supporto dei demoni, ma il cacciatore di taglie non aveva alcuna intenzione di scoprire se fosse ancora in grado di scalfire la sua preziosa armatura mandaloriana. Il giovane soldato scattò verso di lui, ma trattenne il colpo e si guardò alle spalle, presagendo il pericolo. Boba si fece bene indietro, sgomitando tra le retrovie, sapendo quello che stava per succedere senza però perdersi la scena.
Kaspar era comparso alle spalle di Hyunkel, avvolto nel suo mantello bianco; era ancora ferito dalle ferite della battaglia, ma nulla che il mago in fondo non potesse sopportare. Sollevò una mano, che si avvolse di fiamme rosse. Boba aveva visto fin troppe volte quell’incantesimo, e corse a perdifiato il più lontano possibile, seguito da quegli assaltatori che erano stati così furbi da ricordarsi che gli incantesimi di Kaspar avevano la pessima abitudine a colpire tutti, nemici e non. Lo Sciame di Meteore comparve da oltre la sommità dei grattacieli più alti, fendette l’aria ed esplose in tutto il campo; le meteore incantate si abbatterono su tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di trovarsi davanti al mago, ed una di queste colpì in pieno un Karjhad e quello si disintegrò, mentre un’altra portò via con sé le tre torrette che i soldati avevano installato prima del duello. La più grande comparve per ultima, e seguì il movimento fluido del braccio dell’incantatore, schiantandosi sul ragazzo e avvolgendo la sua figura nelle fiamme. L’energia magica emanata sembrò per un attimo rinforzare le schiere del Fushikidan, ma l’attacco di Kaspar ne polverizzò talmente tanti che non ne ottennero alcun vantaggio.
L’aria era incandescente, le scintille sfrigolavano nell’aria come minuscole gemme. Boba capì che ci sarebbero voluti diversi minuti prima che le pompe aspiranti ed il vento riportassero la visuale alla normalità. Diede ordine agli uomini di non avanzare, lasciando che fosse il grosso della squadra degli IG-88 a decimare i demoni insieme ad un battaglione di droideka appena arrivato dal settore P come supporto. Kaspar doveva essere ancora nella mischia, almeno a giudicare dai lampi di luce che ogni tanto attraversavano gli scheletri e li polverizzavano, e Boba si concesse un sorrisetto al pensiero di quanto fosse utile quel mago da quando era stato condizionato.
Sicuro di non correre alcun rischio, attraversò la nube fiammante ordinando agli altri di rimanere indietro e proseguire come concordato: la sua armatura gli conferiva una protezione totale a quelle temperature roventi, e la visione pineale dell’elmo gli consentiva di vedere nell’aria arancione in maniera perfetta. Prima che la furia della battaglia esplodesse di nuovo volle cercare quello che restava del giovane generale: l’Imperatore andava matto per i souvenir magici –come adorava chiamarli- e la spada di quel ragazzo sembrava qualcosa di perlomeno interessante. Lui, Tarkin e Maul avevano ancora diverse cose da farsi perdonare dal loro signore, ed un regalo non avrebbe potuto far altro che migliorare la loro posizione.
La massa del Generale del Fushikidan era ancora visibile, in piedi nel bel mezzo del fuoco, una forma scura che si stagliava nello sfondo scintillante. Si chiese come facesse ad essere ancora intero dopo lo Sciame di Meteore, specie con la spada a terra distante da lui.
Poi si avvicinò e lo vide.
Sei braccia scheletriche erano avvolte intorno a lui, strette come le ali di un angelo. Delle sei spade non rimanevano altro che le else carbonizzate e del metallo quasi fuso, ma erano levate in alto come ad assorbire tutta la forza dell’incantesimo. La testa del giovane generale era quasi nascosta dentro un’enorme gabbia toracica che ora appariva nera e fragile: lo scheletro gigante che aveva visto combattere con tanta foga sembrava una lugubre statua semicarbonizzata in quell’inferno, immobile. Boba attese qualche secondo prima di avvicinarsi, nel timore che dalle orbite del teschio annerito potesse esplodere una qualche luce vitale o che la creatura si rialzasse. Ma non avvenne nulla.
Trattenne il fiato e avanzò; quando toccò la gabbia toracica con la punta del blaster, quella fu attraversata da una crepa e poi si disintegrò, trasformandosi in un mucchietto di cenere. Non ebbe bisogno di toccarlo una seconda volta, perché lentamente tutto il corpo gigantesco si dissolse proprio davanti ai suoi occhi, ridotto a cumuli di polvere e qualche frammento d’osso annerito ed irriconoscibile. Per ultimo cadde il cranio, che invece di svanire si aprì a metà con un tonfo secco ed inquietante. Il generale Hyunkel rimase dov’era, quasi impietrito: la sua armatura era intera, ma l’elmo era volato da qualche parte ed il suo viso era scoperto: vi era dipinta un’espressione indescrivibile, un misto tra furia, disperazione e qualcos’altro che Boba non riusciva –né aveva l’intenzione- di decifrare. Gridò qualcosa nella sua strana lingua, più preoccupato per quello stupido scheletro che per la sua vita, perché quando Boba attivò il lanciafiamme e glielo puntò addosso non gli rivolse nemmeno uno sguardo. I suoi occhi erano fissi su una strana stella di carta con un nastro azzurro che teneva nella mano.
Beh, bando ai sentimentalismi …
Poi una luce sulla destra attirò la sua attenzione. Su quello che rimaneva dell’elmo, la gemma rossa aveva ripreso a risplendere più intensamente che mai. E sembrava aumentare ad ogni battito del suo cuore.




Clang.
Nel buio più totale sentì il rumore del metallo che cadeva contro altro metallo. Ci fu un rumore secco proprio vicino al suo orecchio, poi un’esplosione ed infine solo il ronzio di qualcosa che si stava avvicinando.
Non aveva ricevuto il colpo di grazia.
Hadler trattenne il respiro quando sentì la donna alzarsi dal suo fianco ed allontanarsi, poi aprì gli occhi. Era stordito ed il dolore gli attraversava tutto il corpo; sentiva già i benefici della rigenerazione del corpo biologico, ma il semplice respirare continuava a dargli fastidio. Cercò di sollevarsi, ma oltre a puntare il gomito e sollevare la testa non riuscì. Scosse il capo, cercando di mettere a fuoco tutto quello che era avvenuto nel corso dell’ultima battaglia, sentendo solo una grande confusione farsi strada nella sua mente. Il suo primo pensiero andò al Fushikidan che stava combattendo, ma quando estese i sensi verso il basso il sangue gli si agghiacciò nelle vene. Non vi era più alcuna traccia di magia.
Cercò ancora, ignorando qualunque fitta del suo corpo. Cosa è successo?
Nulla.
I cuori gli battevano all’impazzata.
Ancora nulla.
Forse sono troppo debole per …
Sotto di lui la battaglia avvampava. Rumori confusi, esplosioni, clangore, quello non era cambiato: grida indistinte di ogni genere, ruggiti e raffiche di armi imperiali da ogni lato. Ma la magia sembrava scomparsa dal campo di battaglia. Nessuna traccia dei suoi demoni. Là sotto stanno ancora combattendo. La battaglia non è finita … Devo essere io che non riesco a …
“Lasci a noi il demone” disse una voce metallica poco distante. Voltò lo sguardo dal combattimento, e vide che sette strani droidi imperiali erano comparsi in aria, volando con le loro strane macchine. La mutaforma li stava osservando, e dal suo blaster saliva una sottile colonna di fumo. Erano alti e sottili, con una testa cilindrica e delle luci intermittenti; non conosceva la metà del loro equipaggiamento, ma era certo che fossero armi. Non aveva mai sentito parlare le macchine dell’Impero.
“Quando ho sparato al vostro compagno credevo di essere stata abbastanza chiara” rispose lei, gettando un’occhiata sprezzante verso il fondo. “Non ho bisogno di quattro pezzi di ferraglia per uccidere un demone. Annullate l’ordine ricevuto e tornate sul campo”.
Uno di quelli si fece avanti, atterrò sul pavimento e dal suo braccio emerse quello che sembrava un blaster enorme. “Impossibile. Ordini superiori”.
“E da parte di chi, se posso essere indiscreta?”
Era evidente che quelle macchine non avevano avvertito il cambio di tono nella sua voce.
“Del Governatore Fett”.
“Allora facciamo così” rispose, rimettendo il blaster nella fondina. “Tornate di sotto e dite al Governatore Fett di andarsi a far fottere. Da un Balrog, se accetta un mio consiglio spassionato”.
I droidi rimasero in silenzio qualche istante, cercando di elaborare il senso delle parole. Diverse luci rosse si accesero sulle loro teste e quasi tutti si diressero verso la cima del grattacielo. “Impossibile eseg …”
“Prevedibile”. L’istante dopo cambiò forma ed un raggio gelido partì dalla mano cadaverica del Lich, distruggendone quattro insieme. I droidi rimasti si sollevarono in aria e attivarono i lanciafiamme verso di lei, ma Hadler percepì un violento incantesimo di vento fuoriuscire dal suo palmo e scaraventare le tre macchine contro l’edificio accanto; guardò oltre, e prima che quelle riuscissero a riprendere il volo furono impalati da altrettante lance di ghiaccio che fecero cadere le loro teste cilindriche giù nel vuoto.
“Jango lo diceva che l’unica macchina con cui riesco ad andare d’accordo è quella del caffè” disse riprendendo il suo aspetto, rivolta più all’aria di Coruscant che a qualcuno in particolare. Ritornò verso di lui ma si mise di nuovo in piedi sul cornicione, guardando giù, come se lui non esistesse nemmeno. Nel suo sguardo c’era un’espressione che univa dolore e disgusto, ma sempre con quel fare distaccato che rendeva gli umani così enigmatici da capire; il demone non riuscì a capire quanto tempo fossero rimasti così, lei in silenzio con lo sguardo rivolto altrove e lui a terra a riprendersi, ciascuno nel silenzio di chi dovesse fare la prima mossa. Sotto vi erano ancora spari e grida, la battaglia infuriava anche senza di loro, e per un attimo Hadler fu tentato di sporgersi e guardare in basso insieme a lei.
“Non lo faccia” disse lei, anticipando i suoi pensieri. “O almeno, attenda un attimo”.
Le fiamme la avvolsero, e riapparve sotto forma di un enorme uccello dalle ali rosse e d’oro; il suo corpo era agile e flessuoso, e le sue fiamme rischiararono la sommità del palazzo come un sole stupendo. Hadler non aveva mai visto dal vero una Fenice e rimase estasiato a guardarla, dimenticandosi per un attimo anche della battaglia, cosciente solo nella piacevole sensazione di calore emanata dal suo corpo. Poi la creatura pianse. Le sue lacrime scivolarono dagli occhi lungo il becco sottile e caddero sul suo corpo; in quell’istante Hadler provò un senso di benessere incredibile, forte, rapido, farsi strada attraverso di sé. Dove le lacrime toccavano la sua pelle bruciata una ragnatela di calore si dipanava attraverso le viscere e le ossa, scaldandolo dall’interno come nessun incantesimo di guarigione riusciva a fare. Una di esse cadde sul petto, ed i suoi cuori batterono insieme, spinti dalla magia. Il ritmo si fece subito serrato, ed il demone si trovò in piedi pieno di energie, come se il duello con la donna fosse stato soltanto un ricordo.
Poi guardò in basso e capì.
Il Fushikidan era in rotta. Non vi era più traccia di schemi di battaglia, ma solo sacche di non-morti che combattevano in maniera disordinata, separati gli uni dagli altri, e la retroguardia stava indietreggiando troppo velocemente. Cercò i suoi demoni, e di nuovo l’assenza di magia lo colpì come un muro di silenzio.
I suoi dubbi divennero una certezza dolorosa come una pugnalata nel fianco.
“Vada da loro” gli disse lei, riprendendo le sue sembianze. Hadler si voltò, incapace di capire cosa stesse passando in quegli occhi color ghiaccio. Ma lei lo allontanò con un gesto della mano. “Se ne vada, o di loro non rimarrà nemmeno una vertebra”.
“Perché lo stai facendo?”
“Perché quello che è successo là sotto è un autentico schifo. Pensavo che Boba riuscisse a vincere una battaglia combattendo in modo onesto, ma evidentemente la bastardaggine del suo amico Tarkin lo ha contagiato. E quello che ho visto non mi piace. Prenda tutti i sopravvissuti e li porti via da questo schifo di pianeta” rispose. Dal basso un grido strozzato riempì il silenzio tra le sue parole. “Consideri rimandato il nostro duello. La prossima volta però venga senza un esercito, senza una missione, senza qualcuno da proteggere. Solo con se stesso e un po’ più convinzione di vincere”.
Hadler sospirò, e si accorse di averla giudicata male. Parole del genere potevano nascere solo da un demone. “Non c’è niente da rimandare. Ho perso perché ho incontrato un avversario più potente di me, non ho altre scuse. Però …” sussurrò, dirigendosi verso il bordo dell’edificio “… ti richiederò la rivincita. E la prossima volta che ti vedrò accusare i miei colpi inizierò a preoccuparmi, lo prometto”.
Lei sembrò sorridere. “Se ne vada. Porti i miei saluti al Generale Baran”.
“Una sola cosa …” disse Hadler, sollevandosi in volo. “Posso sapere il tuo nome?”
“Zam. Zam Wesell”.
Scosse il capo in cenno d’assenso, poi si avvolse di nuovo nel fuoco magico.
Osservò di nuovo la figura in viola prima di tuffarsi giù a perdifiato.
Zam Wesell … questo nome … non lo dimenticherò.
Senza nemmeno pensarci su estese la propria aura magica al massimo delle sue forze, lasciandola attraversare l’aria, gli edifici ed il terreno; essa attraversò il campo di battaglia come un’onda, ed il demone sperò che riuscisse a raggiungere quanti più non-morti possibile. Si avvolse nelle fiamme, incenerendo una squadra di macchine mandata ad intercettarlo, con lo sguardo fisso verso il basso, dove adesso poteva distinguere le schiere spezzate del Fushikidan e le colonne di soldati imperiali che li stavano circondando. Lanciò sfere di ghiaccio e di acido, sentendo tutto il potere delle lacrime della Fenice; si circondò di una barriera difensiva e lasciò che i piccoli laser degli assaltatori si dissipassero lungo la sfera, e creò una piccola tormenta di ghiaccio sopra due strane torrette.
Poco più in là vide uno spazio vuoto, che la guerra non aveva toccato per chissà quale strano motivo. Stava per passare oltre quando lo vide.
Bartosh, o quello che ne restava, era in piedi al centro del terreno, immobile come una statua. Il capo degli umani, quello con la strana armatura, si avvicinò prima ancora che lui potesse intervenire e la mole dello scheletro guerriero scomparve in una cascata di cenere, rivelando sotto di lui la figura sconvolta di Hyunkel.
Reagì d’impulso. Lanciò una Catena di Fulmini alle proprie spalle senza nemmeno voltarsi, giusto per essere certo di non essere inseguito. Accelerò con tutta l’energia che aveva in corpo ed acchiappò il cacciatore di taglie per il collo; quello si accorse del suo arrivo troppo tardi, ed il demone lo scansò dalla figura di Hyunkel prima che potesse sparargli. Quando quello provò a rivolgergli il blaster contro, il demone lo impugnò per la canna e liberò nel palmo tutta la magia di fuoco che aveva, sciogliendolo all’istante. Lo scagliò lontano come una bambola, sapendo che non poteva perdere nemmeno un minuto. Si voltò verso l’amico, ma quello aveva gli occhi spalancati, fissi sulla stella di carta.
“Forza, Hyunkel, andiamocene da qui!”
La mano destra dell’altro tremava. “Hadler, io … io non …”
Lanciò tutto il suo potere sulla spada del compagno, evocandogli di nuovo l’armatura e mettendogli la lama in mano, poi se lo issò sulla spalla e prese il volo lontano da lì, prima che i suoi occhi si posassero di nuovo sul teschio annerito. Hyunkel avrebbe avuto la sua vendetta, ma non in quel momento. Quel giorno aveva imparato che un vero Generale doveva sapere quando conquistare la gloria e quando mettere da parte l’orgoglio.
“RITIRATA!” gridò, spingendo il suono della sua voce fino all’ultimo non-morto. Planò davanti alle loro fila, creando un muro di fuoco che incenerì il primo assalto dei soldati umani. Fissò gli scheletri ammaliati dalla sua magia, e tese il potere verso le loro mani cadaveriche che nonostante tutto imbracciavano le armi. Un necromante uscì dalle fila e prese Hyunkel sulle proprie spalle, per poi tuffarsi nelle retrovie. “Tornate al punto di incontro, e resistete lì fino all’arrivo di Killvearn. Non tarderà a venire” disse Hadler, donando tutto quello che aveva ai soldati. “Io li terrò a bada da solo, in un modo o nell’altro. Voi andate”.
Le figure pallide mossero la testa ed iniziarono ad indietreggiare. Hadler sospirò, guardò in basso e lo fissarono solo gli occhi spenti di uno dei suoi demoni. Trasformò le lacrime in furia.
“RITIRATA!” più a se stesso che agli altri. “RITIRATA!”
  
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