CAPITOLO
4: TAMBURI
Clary non riusciva a
dormire.
Si girava e rigirava
nel letto piuttosto nervosa, ma niente, il sonno non voleva saperne di arrivare.
Era trascorsa più di
una settimana dall’arrivo degli Shadowhunters ad Hogwarts e cominciava ad
ambientarsi e ad orientarsi all’interno della scuola.
Secondo lei però,
c’era qualcosa che non andava, negli ultimi giorni si sentiva sempre più
irrequieta, come se sentisse che qualcosa di enorme incombesse sulle loro
teste. Inoltre, le stavano succedendo delle cose strane. All’inizio non ci
aveva prestato molta attenzione, ma percepiva come se una parte di lei lottasse
per liberarsi e venire fuori. Era una sensazione che non aveva mai provato e
decisamente, non le piaceva.
Come se non bastasse,
era successo quel fatto durante la lezione di rune. Non ne aveva fatto parola
con nessuno, ma era come se, tutto d’un tratto, avesse sentito un’improvvisa
esplosione di potere generarsi dallo stilo e propagarsi lungo tutto il braccio,
spandendosi poi al resto del corpo.
Non era stata però
una cosa piacevole. Aveva sentito come se una forza sconosciuta guidasse la sua
mano e aveva iniziato a tracciare una serie di linee e curve, ma tutto ciò che
ne veniva fuori le era parso terribilmente sbagliato. Quella runa che stava
riproducendo le era apparsa per un momento nella mente e aveva subito iniziato
a disegnarla, anche se in quel momento la classe di Cacciatori stava lavorando
ad un semplice runa di protezione proveniente dal Libro Grigio, tanto che Jace
continuava a lamentarsi che gli sembrava tutto troppo facile.
Le era servito un
notevole sforzo per fermare la sua mano e, quando aveva staccato lo stilo dal
foglio, si era accorta che la pergamena, lì dove la punta dello strumento aveva
tracciato i suoi segni, era tutta bruciata e rovinata. Clary aveva cambiato
pergamena prima che l’insegnante potesse accorgersi della cosa.
Fece un profondo
respiro, e poi lo sentì: un rumore, come quello che avrebbe potuto fare un
tamburo, ma più… sinistro.
Si rizzò a sedere sul
letto con il cuore che le martellava nella gabbia toracica.
TUM!
Eccolo di nuovo,
adesso più forte.
Tum, tum, tum!
Sempre più veloce e
più forte, come se si stesse avvicinando.
Clary scattò in piedi
e scese nella sala comune, deserta alle tre del mattino.
Aveva il cuore in
gola e le mani fredde, ma ferme.
Il rumore si stava
indebolendo man mano che si avvicinava alla porta che dava verso il sotterraneo
buio, fuori dalla sala comune dei Serpeverde.
«Clary?», quella voce
alle sue spalle la fece sobbalzare.
«Oddio, Aline!»,
esclamò la rossa portandosi una mano al petto. «Mi hai fatto venire un
infarto!»
Aline Penhallow
sorrise. Era una Cacciatrice come lei e proveniente da una delle famiglie più
in vista di tutta Idris.
«Scusami. È solo… che
cosa ci fai qui sveglia a quest’ora?».
«Io… », stava per
dire la verità, stava per dire che aveva sentito degli strani rumori, ma
all’improvviso cambiò idea.
«Niente, non riuscivo
semplicemente a dormire».
«Già… dà i brividi
questo posto, eh?».
Clary annuì.
«Su, adesso è meglio
se torniamo a letto; domani ci sarà la prima lezione di addestramento, dobbiamo
essere in forma!».
«Hai ragione».
E detto questo, con
ancora quell’inquietante rumore che le rimbombava nelle orecchie, Clary scosse
la testa per allontanare i pensieri che continuavano ad affollarle la mente e
tornò nel suo dormitorio.
[…]
Quella mattina Jace
si svegliò con un fastidioso cerchio alla testa.
Church non era lì,
segno che doveva essere sgusciato fuori a fare un giro di ricognizione del
castello.
Alec stava ancora
dormendo nel letto accanto al suo; era così diverso a guardarlo mentre dormiva…
di solito aveva l’aria di uno che reggeva il peso del mondo sulle sue spalle ed
in effetti… il ragazzo era sempre costretto a mediare e a vigilare su di lui e
su Isabelle.
Dalla morte di Max,
poi, questo suo atteggiamento iperprotettivo era aumentato ancora di più.
Adesso invece poteva passare per un qualunque normalissimo ragazzo.
Ripensare a Max
provocò in Jace una dolorosa fitta allo stomaco e gli parve che la sua morte
appartenesse a secoli prima, ma che al contempo fosse ancora tremendamente
vicina.
Cercò di spostare i
suoi pensieri altrove e prese dal piccolo armadio che gli spettava, la sua
divisa da battaglia. Pensò che non era mai stato così tanto tempo senza averla
addosso, ma ad Hogwarts era permessa solo durante le ore di addestramento e
quindi oggi avrebbe dovuto metterla.
Sentire addosso i
resistenti indumenti di cuoio in un certo senso fu confortante per lui, lo fece
sentire a casa. E poi, la divisa ormai era diventata una specie di seconda
pelle, a proteggere il suo corpo.
Si stiracchiò in
piedi, fletté tranquillamente i muscoli allenati e aprì e chiuse le dita delle
mani, indossando i guanti di cuoio che
lasciavano scoperte le dita.
Era pronto per quella
giornata.
Siccome però, restava
pur sempre Jace, assestò un improvviso e potente calcio al letto del suo
parabatai, facendo quasi cadere il povero Alec dal letto; il quale scattò
subito in piedi.
«Jace! Che cosa
succede? I demoni ci stanno attaccando?», chiese il ragazzo, con gli occhi
ancora pieni di sonno. Poi parve rendersi conto della situazione. «Ehi, ma… si può sapere perché mi hai
svegliato così?».
«Mi annoiavo; stavi
dormendo un po’ troppo per i miei gusti… ».
Jace, pigramente
appoggiato con una spalla contro il baldacchino del letto, si prese un’occhiata
omicida dal fratello adottivo.
«Avresti anche potuto
farlo un po’ più delicatamente, anche
se in effetti la delicatezza non può far parte di Jace Lightwood».
«Così mi ferisci»,
disse il biondo portandosi una mano al cuore e sfoderando un’espressione
falsamente addolorata.
A quella scena, Alec
non poté fare a meno di sorridere, anche se disse, in tono perfettamente
udibile: «Sei proprio un idiota».
«Oh, grazie»,
continuò Jace con quel suo tono falsamente melodrammatico. «La prossima volta
dovrò svegliarti a suon di moine come farebbe Magnus».
Per un momento, Alec
divenne prima incredibilmente rosso, cosa che, sulla sua pelle chiara, si
notava veramente tanto, poi si irrigidì per un attimo.
«Mi cambio e arrivo;
tu comincia a scendere, razza di demonio che non sei altro, controlla se Izzy è
giù».
E detto questo, il
moro gli voltò le spalle ed estrasse dall’armadio la sua divisa.
Quando arrivò in sala
comune, Jace notò che Isabelle era in
piedi proprio al centro della stanza, le braccia incrociate al petto e un
cipiglio corrucciato.
Inoltre, si accorse
del fatto che praticamente tutti i maschi presenti nella stanza la stavano
fissando con aria piuttosto inebetita. E dopotutto come dargli torto? La
ragazza così bardata sembrava una terribile e bellissima dea della guerra.
Jace non poté fare a
meno di sorridere, vedendo la frusta di elettro della sorella adottiva,
attorcigliata come sempre intorno al suo braccio destro.
La ragazza se la
portava ovunque dal giorno in cui suo padre gliel’aveva regalata in occasione
dei suoi dodici anni.
«Cos’è quella faccia,
Iz? Continua così e diventerai una maschera di rughe… ».
«Dove cavolo è mio
fratello?», chiese lei non facendo caso al commento di Jace.
«Si veste e arriva».
«Per l’Angelo, e poi
quelle con i tempi lunghi saremmo noi donne?!».
«Perché ti agiti tanto?
Non è tardi… ».
«Che importa? A me
non piace aspettare!».
Jace sorrise;
Isabelle non sarebbe mai cambiata.
Quando Alec scese dal
dormitorio, la ragazza esclamò: «Sia ringraziato Raziel! Ora avanti, voi due
smidollati, muovetevi!».
«Si può sapere che
cos’ha?», sussurrò Alec al suo parabatai, in modo che Isabelle, che li
precedeva di qualche passo, non lo sentisse.
«Sai com’è fatta, è
una a cui non piace aspettare. E non escludo il fatto che possa essere in quel
periodo del mese».
A quelle ultime
parole, Isabelle si voltò e mandò un’occhiata di fuoco a Jace.
«Prego?».
«Niente Iz, ho solo
detto che sei bellissima a tutti i mesi».
Alec scosse la testa divertito, mentre la
diretta interessata cercò di restare seria, ma un piccolo sorriso le increspò
le labbra.
«Ti salvi sempre
all’ultimo, eh fratellino?».
E tra una battuta e
l’altra, il trio arrivò nella Sala Grande.
[…]
Quando Harry, Ron e
Hermione arrivarono nella Sala Grande per la colazione quella mattina, per un
momento rimasero bloccati sul portone d’ingresso.
Vedere tutti quegli
Shadowhunters nella loro tenuta da battaglia era impressionante, anche se erano
tutti molto giovani. Sembrava una mare d’inchiostro nero che si spandeva per
tutta la stanza.
«Miseriaccia… »,
disse Ron.
I tre ragazzi
trovarono posto, come sempre, di fronte ai tre Cacciatori di New York, intenti
a parlare con Ginny e Neville.
«Ciao, ragazzi», li
salutò quest’ultimo quando presero posto.
«Ciao. Allora… oggi
avete l’addestramento?», chiese Harry ad Alec.
«Già, la prima
lezione. Potrebbe essere qualcuno che conosciamo», gli rispose il moro.
«Può darsi; dopotutto
Amatis aveva detto che ci sarebbero stati altri Cacciatori».
«Chi è Amatis?»,
domandò Ron, curioso come sempre.
«Amatis Herondale, è
la Cacciatrice che insegna erboristeria», spiegò Jace.
«Herondale? Come te?
È tua madre?».
Per un momento, ai
ragazzi parve di vedere Jace irrigidirsi e Alec ed Isabelle mandargli sguardi +allarmati,
ma la cosa durò solo un momento, poi lui rispose.
«No. Lei è stata la
prima moglie di mio padre».
A Harry sembrò che da
sotto il tavolo, Hermione pestasse il piede a Ron, il quale si lasciò sfuggire
un fievole gemito di dolore.
«E voi? Che lezioni
avete oggi?», Isabelle cambiò argomento con disinvoltura.
«Un’ora di
Trasfigurazione con Corvonero, un’ora di Storia della Magia con Tassorosso,
un’ora libera e due ore di Difesa contro le Arti Oscure con Serpeverde»,
rispose subito Hermione.
Dopo il pasto, i due
gruppetti si separarono e, quando il trio di Hogwarts fu in prossimità
dell’aula di Trasfigurazione, Hermione si voltò a osservare Ron.
«Ma possibile che tu
abbia sempre così poco tatto?».
«Che intendi dire?»,
chiese il rosso, colto alla sprovvista.
«Intendo dire… ma
l’hai vista la faccia di Jace? Dovresti essere un po’ meno curioso, Ron».
«Oh beh, scusami
tanto, sai! Non credevo che chiedere fosse diventato un crimine!».
«Loro sono Shadowhunters! Rischiano di morire ogni
giorno e dall’espressione che ha fatto Jace quando gli hai chiesto se quella
donna fosse sua madre, beh… mi sa proprio che lei sì, che è morta!».
Solo in quel momento
il trio si accorse della presenza di Clary, pallida e col fiatone, a meno di
due metri di distanza da loro. La ragazza aveva un’espressione piuttosto
sofferente e stravolta.
«Scusate, io… non
volevo origliare… », disse lei in evidente imbarazzo e in un momento fu già
lontana.
«È incredibile quanto
riescano ad essere veloci quei ragazzi», prese parola Harry per la prima volta.
«Pensate che lo andrà
a dire a Jace? Dopotutto si conoscono… ».
«No, non credo. Clary
sembra una che se ne sta per i fatti suoi».
«Cosa che dovresti
imparare a fare anche tu, Ronald».
«Ma poi avete visto
che faccia che aveva?»
«Di chi stai
parlando, Harry?»
«Clary. Sembrava un
po’ sconvolta».
«Beh, non mi
sorprende; circondata da quella marmaglia di troll che stanno a Serpeverde».
«Ron!».
«Cosa c’è? Adesso dopo
il Crepa, farai anche il comitato a sostegno di Malfoy e della sua gang di
scagnozzi senza cervello?».
«Si chiamava
C.R.E.P.A.», scandì Hermione ai limiti della sua pazienza.
A quel punto però,
cominciarono ad arrivare anche gli altri studenti, così i tre lasciarono cadere
l’argomento ed entrarono in classe.
[…]
Clary scese di corsa
le scale che portavano al pianterreno e si imbatté in Harry, Ron ed Hermione;
sembrava che gli ultimi due stessero avendo un acceso dibattito.
«Loro sono Shadowhunters! Rischiano di morire ogni
giorno e dall’espressione che ha fatto Jace quando gli hai chiesto se quella
donna fosse sua madre, beh… mi sa proprio che lei sì, che è morta!», stava
dicendo Hermione in quel momento.
Per un attimo, quelle
parole fecero dimenticare a Clary ciò che era appena accaduto.
Quando i tre si
accorsero della sua presenza, la ragazza farfugliò delle scuse imbarazzate e
corse via, verso il portone d’ingresso; aveva bisogno di prendere aria.
Aveva di nuovo
sentito quel rumore, quei tamburi. Stava indossando la sua tenuta da battaglia
quando l’aveva udito e subito si era precipitata laddove la fonte del suono era
più forte.
Così, era uscita
dalla sala comune senza aspettare Aline e aveva salito di corsa quattro rampe
di scale fino ad arrivare al secondo piano e lì, era arrivata in un bagno. Non
aveva nulla di che rispetto a tutti gli altri del castello, solo che quello era
stranamente deserto e allagato.
In quella stanza, il
rumore di tamburi era diventato veramente forte, tanto che Clary si era messa
le mani a coprire le orecchie e poi, tutto ad un tratto, si era fermato.
C’era stato un solo
inquietante momento in cui la ragazza aveva pensato che qualcuno alle sue
spalle la stesse fissando, e, voltandosi di scatto, si era ritrovata faccia a faccia
con una ragazzina dal colore bianco perlaceo sospesa a mezzo metro da terra: un
fantasma.
Clary aveva lanciato
un urlo strozzato e aveva fatto un balzo indietro, andando a sbattere
dolorosamente il tallone sinistro contro
la struttura in marmo del lavandino, schizzando acqua dappertutto.
Dopodiché, era corsa
via al doppio della velocità con cui era arrivata e, una volta che fu giunta al
pianterreno, si era imbattuta in Harry, Hermione e Ron.
Ora, fuori nell’aria
fredda di inizio novembre, pensò più razionalmente a ciò che stava accadendo in
quei giorni e si chiese se non fosse il caso di dirlo a qualcuno; magari a Jace
o ai Lightwood, ma poi si disse che probabilmente Jace l’avrebbe presa in giro
fino alla morte ritenendola una paranoica, quindi accantonò l’idea.
Il suo tallone
pulsava ancora per il dolore della botta presa poco prima nel bagno, così,
decise di fermarsi un momento a disegnare un iratze; non poteva certo affrontare l’addestramento in quelle
condizioni.
Aveva ormai poggiato
la punta dello stilo sulla sua pelle, quando una mano pallida e dalle dita
affusolate avvolse il suo polso.
«Che ti è successo,
Clary?».
Splendido, era Jace.
«Sono scivolata in
bagno, ho sbattuto il tallone», disse piuttosto di malumore. Tra la notte
passata in bianco e poi ciò che era accaduto quella mattina, non si poteva
certo dire che la giornata fosse iniziata al meglio.
Jace sogghignò.
«Ti diverti a
prenderti gioco di me, Herondale?».
«Dovresti fare
attenzione a dove metti i piedi. E stai ferma con quello stilo, te la disegno
io la runa, sono più bravo».
Clary ritirò la mano,
piccata.
«Oh beh, accomodati
allora».
«Perché così
scontrosa di prima mattina?».
«Non sono affari tuoi».
«Ancora problemi a
dormire per i sotterranei? Se mi lasci entrare, potrei venire a tenerti
compagnia la notte».
Il sorriso sulle
labbra del ragazzo la diceva lunga.
«Ma la vuoi
piantare?».
Ora Jace rise
apertamente.
«Ok, così dovrebb+e
andare. Adesso muoviamoci, principessa, altrimenti arriveremo tardi
all’addestramento».
E infatti arrivarono
in ritardo.
Nell’aula, il loro
insegnante aveva già iniziato la spiegazione e quando li vide, lanciò loro uno
sguardo ammonitore.
Clary conosceva
quell’uomo, lo aveva già visto da qualche parte, ma non ricordava dove.
«Jace, chi è quel
Cacciatore?».
«È Kadir, un
importante membro del Consiglio; era il secondo di mia madre».
«Maryse?».
«Sì. È uno che fa sul
serio, non possiamo permetterci di fare troppi errori qui».
«Va bene».
Detto questo, la
lezione cominciò.
Kadir li mise a
coppie e per le prime tre ore, lavorarono sulla teoria di alcune basilari
tecniche di difesa; le rimanenti due ore, li fece esercitare tra di loro,
mentre lui passava a controllare per vedere a che livello fossero.
Clary se la cavava
piuttosto bene, gli allenamenti con Luke erano stati intensi, ma di certo non
poteva competere con la forza e la velocità di Jace.
Il ragazzo a un certo
punto la sollevò da terra e, con un movimento fluido, Clary si ritrovò sdraiata
sul tappetino con il Cacciatore sopra di lei.
«Devo ammetterlo,
nanerottola… sei meglio di quanto mi aspettassi, così sarà più divertente»,
quelle parole, soffiate a così poca distanza dal suo viso, le provocarono un
brivido lungo la schiena.
«Basta così ragazzi,
ci vediamo oggi pomeriggio, adesso andate a pranzo».
[…]
Dopo l’allenamento,
Jace tornò nel suo dormitorio per fare una doccia prima di andare in Sala
Grande per il pranzo, così come Alec.
Doveva ammetterlo a
sé stesso: si era divertito con Clarissa Morgenstern e poi era decisamente
migliorata da quando si erano visti per l’ultima volta, prima di ritrovarsi ad
Hogwarts.
Il suo parabatai si
accorse del suo sorrisetto, così chiese: «Come mai quell’espressione, Jace?».
«L’hai vista Clary? È
stata brava per essere una che ha iniziato ad allenarsi pochi mesi fa».
«Se lo dici tu… », ma
anche sul viso di Alec cominciava a spuntare l’ombra di un sorriso.
«Che c’è?».
«Oh, niente, Jace,
solo che… ti ho visto piuttosto preso
con Clary».
Il fratello gli diede
uno spintone.
«Ma smettila».
Peccato che il suo
tono fosse assolutamente divertito.
A pranzo, i ragazzi
parlarono ancora con i maghi riguardo a quella mattinata e gli studenti di
Hogwarts vollero saperne di più riguardo ai loro allenamenti.
«Oggi pomeriggio
abbiamo un’altra ora buca; dite che potremmo assistere per un po’ alla vostra
lezione?», chiese Hermione interessata.
«Sì, insomma… noi
possiamo assistere alle vostre, quindi immagino che valga anche per voi se
siete liberi», rispose Isabelle, rigirandosi tra le dita una forchetta sulla
quale stava infilzato un pezzo di carne.
«Bene! Allora ci
rivediamo questo pomeriggio!», esclamò allegra la ragazza.
Quando finirono di
pranzare, i Cacciatori ebbero un’ora libera prima di tornare ad allenarsi e
Jace decise di andare a fare una passeggiata per il castello, ancora c’erano molti
posti che doveva vedere e un giro in più non poteva certo fargli male.
Così, insieme ai suoi
due fratelli, si avviò lungo i corridoi della scuola.
«Secondo voi quanto
tempo ci hanno messo prima di costruirlo tutto?», chiese Isabelle.
«Beh, hanno la magia,
immagino prima di quanto farebbero un gruppo di operai mondani».
«Sempre geniale tu,
eh Jace?».
Lui le rivolse un
sorriso d’angelo e riprese a camminare.
Ad un certo punto,
mentre percorrevano il corridoio del secondo piano, sentirono uno strano rumore,
una sorta di basso tamburo.
«Che cosa è stato?»,
fece Alec.
«Non lo so, ma non mi
piace. State attenti», continuò Jace.
Un altro colpo.
«Proveniva da là».
Isabelle si mise in
testa al gruppo, la frusta, prima attorcigliata intorno al suo braccio, adesso
stretta saldamente in mano.
Si muovevano con
movimenti fluidi, come un’unica entità, ora dei veri letali Cacciatori.
«Sembra che il rumore
provenga da questa stanza… ».
«È un bagno
femminile».
«Ok, entro io, voi
state qui».
«Non se ne parla»; il
tono di Alec era deciso.
«Vado io per prima,
se dentro non c’è nessuno vi faccio entrare, ma se c’è qualche ragazza è il
caso che stiate qui».
«D’accordo Iz, ma sta
attenta».
«Lo sono sempre».
Detto questo, la
ragazza sparì oltre la porta.
Sentirono un’altra
volta quel rumore, poi udirono la voce della ragazza dire: «Va bene, è libero,
potete entrare».
Jace si fece avanti e
Alec chiuse coda, poi si sparpagliarono all’interno della stanza, ma non
vennero altri suoni.
«Eppure proveniva da
qui, ne sono certa».
Ad un tratto la porta
si spalancò e…
«Clary, che cosa ci
fai qui?».
«Lo stai chiedendo tu
a me, Jace? Questo è un bagno per ragazze!
Cosa diamine ci fate qui tu ed Alec?».
«Abbiamo sentito dei
rumori strani. Come tamburi», le spiegò Isabelle.
«Tamburi? Li avete sentiti
anche voi?».
Ora Jace la fissava
palesemente stupito.
«Cosa vuol dire anche voi? Tu li hai sentiti?».
«Sì, e non è la prima
volta. Anche stanotte e… stamattina».
Le sue parole
sembravano aver attirato l’attenzione di Alec ed Isabelle.
«E stamattina anch’io
sono arrivata qui. Il bagno era allagato, ma quando sono entrata, dopo qualche
secondo, il rumore è sparito».
«Più o meno la stessa
cosa che è successa a noi adesso e la cosa comincia a piacermi sempre meno. Perché
non ce lo hai detto prima, Clary?».
«Che cosa avrei
dovuto dirti? Che sentivo dei tamburi la notte? Già ti avevo detto che ero
terrorizzata dai sotterranei», rispose la rossa sulla difensiva. «Magari è
soltanto un’altra stranezza della scuola», aggiunse, per cercare di sviare il
discorso.
Jace ci rifletté un
momento, poi scosse la testa.
«No, non credo, è
qualcos’altro, qualcosa di più grande».
«Jace, secondo te…
secondo te potrebbe avere a che fare con ciò di cui hai sentito discutere
Magnus e Silente?», chiese Alec.
«Aspettate, sono
rimasta indietro».
Così, Jace, Alec ed
Isabelle le spiegarono brevemente dello scorcio di conversazione che il ragazzo
aveva origliato tra il preside e il Sommo stregone di Brooklyn.
«Un gioco? Che razza di gioco potrebbe
essere tanto pericoloso?».
«Non lo so, ma
intendo scoprirlo», proseguì il ragazzo.
«Va bene, ma ora è il
caso di tornare a lezione, se voi due arrivate in ritardo anche stavolta, Kadir
potrebbe farvi fuori», intervenne Izzy.
«D’accordo. Allora
su, andiamo, parleremo stasera del resto».
Detto questo, il
quartetto riprese la via per l’aula degli allenamenti.
[…]
Vedere gli
Shadowhunters nel loro ambiente quel pomeriggio, per Harry e gli altri fu una
vera novità.
Era incredibile come
quei ragazzi riuscissero a muoversi con una tale rapidità, ma al contempo con
una tale forza.
Persino Clary, con la
sua corporatura minuta, avrebbe potuto essere davvero pericolosa in un
combattimento corpo a corpo.
Ron rimase
profondamente colpito ed Hermione emetteva dei lievi versi striduli ogni volta
che uno degli Shadowhunters finiva a terra, nonostante si stessero
semplicemente allenando.
A cena, i maghi che
avevano assistito agli addestramenti, erano tutti elettrizzati.
«Wow, siete stati
davvero straordinari oggi!».
«Facciamo questo da
molto tempo, ormai», rispose Isabelle con un sorriso.
«E voi insomma… non
vi spaventa?».
«La consapevolezza
che quando un nostro familiare esce dalla porta di casa potremmo non rivederlo
mai più? Certo che ci spaventa, ma fa parte della nostra educazione, diciamo. È
una cosa che abbiamo dentro e che... beh, sappiamo che non sarebbe poi così
impossibile».
«Ma è orribile vivere
in questo modo!», esclamò Ginny.
«Siamo Shadowhunters.
Fa parte di noi».
La cena si spostò su
argomenti un po’ più leggeri e infine, i ragazzi tornarono nelle proprie sale
comuni, tranne i quattro Shadowhunters che, senza farsi scorgere da nessuno, si
staccarono dal gruppo.
[…]
Come prestabilito
dopo l’addestramento, Clary, Jace e i Lightwood, si ritrovarono nella Guferia.
«A qualcuno è venuta
qualche idea geniale in queste ore?», chiese Jace.
«A parte rapire
Magnus e farlo parlare? No, anche perché immagino che potrebbe trasfigurarci
tutti in delle formiche, se volesse», rispose Clary.
«Magari non rapirlo,
ma… seguirlo?».
«Jace sei impazzito?
Lui è Magnus Bane!».
«E io sono Jace
Lightwood e tu Isabelle, è questo il nuovo gioco?».
La mora sbuffò.
«Basta parlare di
giochi vi prego, mi scoppierà la testa», intervenne Clary.
«Io propongo di far
finta di niente e aspettare per un paio di giorni. Stiamo a vedere cosa succede
e poi decideremo il da farsi. Studiamo la situazione per adesso, quando ci capiremo un po’ di più
in tutta questa storia, capiremo come agire», le parole erano provenute da Alec.
«D’accordo. Allora
aspetteremo, ma ora è meglio tornare nelle sale comuni prima che qualcuno si
accorga che non ci siamo».
E così fecero.
Clary sperò soltanto
che non la attendesse una notte come la precedente, ma, per sua sfortuna, non
appena si mise a letto e chiuse gli occhi, i tamburi ricominciarono.
NOTE:
Salve a tutti!
Scusate, ma stasera sono no di fretta, di più! Perdonate gli eventuali errori
ortografici ma devo proprio scappare, un bacio a tutti e fatemi sapere cosa ne
pensate!