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Autore: phoenix_esmeralda    31/10/2013    4 recensioni
"Avevo solo diciassette anni, quella notte.
Un corpo da donna, ma desideri da ragazzina; rossa di capelli - come quasi tutti tra la mia gente - agile di membra e snella nella corporatura, focosa come un dardo acceso e combattiva come il guerriero più tenace.
Ma non potei fare nulla, quando ci presero. Ci presero tutti, e Innithivei divenne Germanica e serva, concubina e schiava."

Prima classificata al contest "Quindici personaggi in cerca d'autore" di Okino Lin Yu"
Partecipa al contest "The thousand and one night" di Prior.Incantatio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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7

 

Quando entriamo nel mio cubiculum, lui non fa domande. Da quando ho accettato di aiutare sua moglie, ha abbandonato ogni combattività, precipitando in una triste rassegnazione. Potrebbe sembrare insensata questa sua assenza di rabbia nei miei confronti, ma Claudio è un ex militare: si è trovato in guerra, ha guidato spedizioni e razzie, ha contribuito a conquistare terre e schiavi. È consapevole del significato di onore e di vendetta e dell’esasperazione e del sacrificio che il mio popolo mette al loro servizio. Non può odiarmi per aver cercato di compiere il mio dovere, detesta piuttosto se stesso per non essere stato sufficientemente scaltro.

Un respiro vagamente accelerato è l’unico segnale di nervosismo che tradisce in questo momento, mentre si guarda attorno con aria assente nel mio cubiculum. Non nota i miei movimenti, mentre rimesto tra le pieghe del mio giaciglio; è solo quando mi paro davanti a lui con delle carte in mano che sembra tornare a offrirmi un po’ di attenzione.

- Naturalmente non mi fido del tutto di Cornelio Attico – gli dico, stringendo a me il malloppo – Mi sono limitata a offrigli la possibilità di arrestarti, senza dirgli che eri in realtà innocente e che esistono prove che possono dimostrarlo.

Quando inizia a intuire il significato delle mie parole, rimane senza fiato. Ne approfitto per proseguire.

- Se, una volta che ti avessero arrestato, non avesse mantenuto la promessa, lo avrei minacciato di farti scarcerare con le carte che mi restavano. Così, come vedi, queste sono ancora in mano mia.

I suoi occhi si fermano fissi sul fascicolo che tengo in mano; vedo la sua mascella serrarsi, il corpo intero irrigidirsi. La flagellazione, la caduta della sua famiglia, la condanna a morte, all’improvviso non sono più un destino certo; diventano solo una possibilità e una possibilità remota.

Un silenzio profondo penetra i muri della casa, un silenzio denso e oleoso, che per qualche istante sembra destinato a farci affogare in esso. Poi, io sussurro – Voglio trattare con te.

- Che cosa vuoi?

Questa conversazione è una farsa, è evidente. Sono sola di fronte a lui, piccola e minuta, quanto lui è alto e forte. Siamo chiusi in questa stanza, in una casa in cui lui è padrone assoluto e io la schiava al suo servizio. Potrebbe riprendere le sue carte in un istante, usando la forza o anche solo la sua autorità; invece sceglie di lasciarmi spazio, come se davvero esistesse una possibilità di mercanteggiare.

- Voglio la mia libertà – dico, alzando su di lui uno sguardo fiero – La stessa che mi aveva offerto Cornelio Attico: voglio venire affrancata e lavorare da liberta.

- Sì, va bene.

La sua arrendevolezza mi fa sussultare.

- Va bene?

- Non è la prima volta che ci penso, Inni. Mi sono già detto tante volte che ti avrei affrancata, e prima o poi l’avrei veramente fatto. Semplicemente... mi spiaceva non averti più per me, nella mia casa, nella mia vita. Se avessi immaginato che la tua rabbia non nascondeva solo un orgoglio ferito, ma il desiderio vivo di essere indipendente...

- Se tu l’avessi immaginato? – trasecolo – Claudio, io sono nata libera! Non sono fatta per essere una schiava!

Sorride.

- Lo so. Ma tu sai, invece, quanto riesco a essere egoista.

Questo non è del tutto vero: tanti padroni finiscono con l’affrancare gli schiavi a cui più si affezionano, ma questo non è un dovere cui devono attenersi. È solo... una delle possibilità che hanno, come signori, di decidere della vita dei loro servitori.

- E la tua vendetta? – mi chiede.

- Mandare all’aria la vendetta di Cornelio Attico sarà la mia.

Gli porgo le carte e lui si affretta a controllarle, quando si è rassicurato circa il loro contenuto, le piega e le infila nella tunica, al sicuro.

- Non credevo me le avresti ridate così... senza avere prima un’assicurazione della mia parola – commenta.

- Mi fido di te – ribatto, con una punta di acidità – Tu non sei un bugiardo, al contrario di me.

Gli do le spalle con una certa asprezza, imbarazzata dalle mie stesse parole e da quanto ho appena fatto, ma Claudio mi afferra per un polso impedendomi di allontanarmi.

- Inni... – comincia. Si interrompe immediatamente però, come se non trovasse il modo di proseguire. Riesco a comprenderlo perfettamente, non ci sono parole per esprimere ciò che proviamo l’uno per l’altra, per raccapezzarsi nel viluppo contraddittorio in cui ci siamo ingarbugliati.

So che l’ho ferito profondamente con il mio tradimento e che ora, invece, l’ho salvato rimangiandomi il mio stesso imbroglio. Sono la persona che ha graziato, che ha catturato, davanti la quale ha pianto. La persona che ha tramato contro la sua vita e che, tuttavia, alla fine si è dimostrata degna di fiducia.

Mentre lui rimane il mio aguzzino, il mio padrone despota; ma resta anche l’uomo che ha avuto pietà di me e di mia madre, che mi ha asservita come schiava, ma mai violentata; l’uomo che mi considera un’amica e che mi ha appena promesso la libertà.

Tutto questo, fra di noi, è troppo. Troppo pesante, troppo denso, inaffrontabile; ci vuole tempo perché le nostre ombre si riaccostino l’una all’altra tornando a creare un’immagine omogenea che ci permetta di rapportarci fra di noi con coerenza.

Per adesso resta solo questo silenzio corposo, imbevuto di emozioni confuse.

Così la sua mano fa pressione sul mio polso e mi spinge a voltarmi verso di lui; Claudio mi tira verso di sé e mi stringe con forza al suo petto. Istintivamente mi aggrappo alla sua schiena e affondo il viso contro di lui, godendo di quell’abbraccio forte, mozzafiato. Credo che potrei restare così per ore, aspirando conforto, pace, calore e cedendone altrettanti a lui; ma dopo pochi istanti il rumore del batacchio della porta pervade il silenzio in colpi ritmici e concitati.

Ci stacchiamo, fissandoci negli occhi, mentre nella domus gli schiavi si svegliano e iniziano a mettersi in moto, turbati, per rispondere alla visita notturna inattesa.

- Sono qui per arrestarmi – dice Claudio, e la sua mano corre istintivamente al petto, dove, sotto la tunica, ha nascosto le carte.

- Ti rilasceranno subito.

- Sì, lo so.

Dovrebbe uscire dalla stanza e raggiungere gli schiavi alla porta, ma esita. Il destino che avrebbe potuto essere, di distruzione e dolore, vergogna e morte, gli sfiora per un istante lo sguardo.

- Mi dispiace – dico – Mi dispiace di aver pensato di consegnarti a loro.

Lui scuote la testa, assorto; poi fa per muoversi.

- Claudio...

Si volta.

- Volevo dirti... che ho apprezzato il tuo tentativo di salvare Tullia Lucina e non te stesso, non sei egoista quanto credi. Tua moglie dovrebbe smettere di essere gelosa, tu sei innamorato di lei, in fondo.

Lui respira profondamente, esita.

- Sai – mormora infine – Penso che, una volta che te ne sarai andata, non prenderò più concubine. È ora di smetterla con questa farsa, non giova a nessuno.

- Niente concubine? Ma saprai resistere?

Lui accenna a un sorriso – Credo di averti dimostrato il mio autocontrollo.

Ora, rumori di passi nervosi riecheggiano nel corridoio. Un’ultima volta, Claudio appoggia la mano là, dove tiene le carte; mi lancia uno sguardo ambiguo, acceso di un sorriso obliquo, e poi esce dalla stanza.

Ha fatto la mia scelta, le cose non si possono più cambiare.

Mamma, riposa in pace. Non ci sarebbe stato onore nel vendicarsi su di lui.

 

  
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