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Autore: Walking_Disaster    01/11/2013    7 recensioni
Uno scritto privato di Sherlock Holmes in cui descrive Watson. Gli occhi di Watson, precisamente.
One-shot scritta col favore di Halloween e la notte, nata in due ore e pubblicata in dieci minuti.
Dal testo: « Ma torniamo al punto: venne portato da me questo giovane uomo: il viso tanto cotto dal sole da sembrare cuoio, un'evidente zoppia che interessava la gamba sinistra, la spalla corrispondente anch'essa evidentemente ferita e magro, magrissimo, probabilmente reduce di una qualche malattia – che dopo ho scoperto essere stata gastroenterite.
Insomma, non proprio l'ideale di bellezza di uomo, conciato com'era.
Eppure gli occhi, quelle bastarde schegge di ghiaccio, mi colpirono fin da subito con la forza di un pugno nello stomaco. »
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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31- 10 – 1883, 221B di Baker Street, Londra.


Motivi per cui dichiarare illegali gli occhi del dottor John Hamish Watson.



Valide considerazioni dell'investigatore privato Sherlock Holmes.





Vien da chiedere se questo è un manuale? Ebbene, non lo è.
Non è niente di specifico se non un mio scritto – che non vedrà mai luce diversa da quella del mio lume – nel quale si parla del mio irritante, ottuso, pateticamente romantico e
adorabilmente acido, coinquilino del 221B di Baker Street da ormai anni: il rispettabilissimo dottor John Hamish Watson.
Come già precedente detto, sono ormai anni che conduciamo la nostra vita gomito a gomito e mi ricordo ancora quando lo conobbi per la prima volta;

Correva l'anno 1878, e il dottoruncolo sopraccitato era da poco sbarcato nella Madre Patria, dopo il suo soggiorno pieno d'orrori – che non oso neanche immaginare – passato in Afghanistan. Ricordo che lo portò da me uno dei giovani – di cui non rimembro il nome - che bazzicavano la facoltà di medicina che spesso, a quei tempi, mi vedeva compiere esperimenti nei suoi laboratori.
A quel tempo ero anch'io un ragazzo o poco più, pur esercitando già il mio mestiere a cui tutt'oggi mi dedico anima e corpo – divertendomi, per giunta – e cercavo un appartamento a buon mercato, dividendo possibilmente l'affitto con qualcuno.
E qui va aperta una piccola parentesi: sono perfettamente consapevole che le mie così dette "particolari" abitudini possano alle volte risultare fastidiose (e per fare un esempio, direi che non tutti amano passare le notti in bianco per via del suono di un violino, o avere troppe provette e sostanze corrosive, infiammabili o saltuariamente mortali sparse per la casa), ma addirittura rifiutarsi di vivere con me per queste piccolezze? Tutt'oggi, pensandoci ne rimango perplesso.
Ma torniamo al punto: venne portato da me questo giovane uomo: il viso tanto cotto dal sole da sembrare cuoio, un'evidente zoppia che interessava la gamba sinistra, la spalla corrispondente anch'essa evidentemente ferita e magro, magrissimo, probabilmente reduce di una qualche malattia – che dopo ho scoperto essere stata gastroenterite.
Insomma, non proprio l'ideale di bellezza di uomo, conciato com'era.
Eppure gli occhi, quelle bastarde schegge di ghiaccio, mi colpirono fin da subito con la forza di un pugno nello stomaco.
Com'è ovvio, niente diedi a vedere e niente è dato sapere al suddetto dottore, ma quelle due iridi gelide e bollenti, mi avevano imprigionato fin dalla prima volta che incontrarono le mie grigie.
Sto divagando di nuovo, diamine! – lo vedete?! Lo vedete l'effetto che mi fa pensargli!? Perdo il filo di continuo...
in ogni caso, stavo dicendo che mi venne portato quest'uomo brutto, provato da cose che avevo supposto ma che fino a quel momento avevo solamente potuto immaginare, e mi venne detto che anche lui cercava un appartamento da dividere con qualcuno.
Non aveva molti soldi, disse, perché la pensione da ex soldato non è troppo cospicua, ma trattandosi di un appartamento così a buon mercato e da dividere con un coinquilino, era disposto a trasferirsi l'indomani stesso. Io fui ben lieto di accettare – non per il dottore, voglio sperare che sia chiaro – piuttosto perché, finalmente, pareva che un uomo potesse sopportare le mie piccole manie. Non gli recava disturbo il suono del violino – anzi, pareva lo apprezzasse particolarmente -, non si lamentava degli esperimenti e nemmeno delle continue visite che ricevevo – che niente erano se non miei clienti, e al tempo ancora lui non era a conoscenza del mio lavoro.
Watson, al contrario mio, mai aveva visite – magari da parte di qualche amico -, e mai usciva a passeggiare per Londra – inizialmente per la gamba, sospettavo, ma col tempo si rimise e divenne davvero – e Satana mi prenda con sé per ciò che sto per scrivere – un bell'uomo; riprese peso, perse il colorito mattone che gli seccava la pelle del viso, e la ferita alla spalla parve migliorare. Sobbalzava ogniqualvolta un cucchiaio toccasse terra, ma fu evidente che stava rimettendosi, sia fisicamente che psicologicamente parlando. Tanto che fui tanto audace da chiedergli di seguirmi in uno dei miei casi, che interessava uno strano omicidio causato da un avvelenamento.
Mi fu d'aiuto, non posso negarlo, e alla fine arrivò a seguirmi in tutti i miei casi. E poi, già a quel tempo trovavo particolarmente apprezzata la sua presenza e la sua compagnia.


Devo aver detto, nella prima riga di queste mie irritate riflessioni, che è ottuso; ebbene, è tutto fuorché ottuso. Non brilla nel campo della deduzione, ma è abile a fare collegamenti – una volta che io gli ho indicato la strada da seguire – ed inoltre è un buon interlocutore di cui poter parlare un po' di tutto e un po' di niente.


Fatto è che non ci mettemmo molto a considerarci l'uno il migliore amico dell'altro. Ed ad entrambi pareva mancare una figura da definire tale; voglio poter pensare che ci siamo trovati. Le coincidenze non esistono e tutto è dettato dalla nostra ragione, ma devo dolorosamente ammettere che io non sono riuscito a capire per quale motivo mi si sia parato davanti quell'uomo, quel giorno. Tutt'oggi me lo chiedo e non riesco a darmi risposta. Ebbene, queste mie domande spesso e volentieri sono soffocate dalle sue stesse labbra che si posano sulle mie, o sul mio collo, con i suoi bei baffi che mi solleticano la pelle della mascella.
Ho sempre saputo di essere un sodomita, ma non è stata certo una mia scelta. Non nego e riconosco che le donne siano indubbiamente belle, ma gli uomini mi danno quel qualcosa in più che non riesco a provare con il gentil sesso.
Watson mi dà tutto ciò che non riesco a provare con nessun altro.

Ed ecco perché torniamo al titolo:

Motivi per cui dichiarare illegali gli occhi di John Hamish Watson.


Se ciò che facciamo a letto – o nella vasca da bagno, sul divano, sul tappeto, sul pavimento, sul tavolo o schiacciati contro al muro – è illegale, anche quelle due pozze limpide devono essere considerate tali.
Queste iridi sono impossibili. Di ghiaccio, puro ghiaccio. Neanche una pagliuzza, singola, minima, di cambio di colore: sono impossibilmente azzurre.
Ho notato che a seconda della luce, cangiano perfino: se infatti il lume rischiara per tre quarti il volto del mio amico, dal basso, diventano bianche. Si riesce a notare perfettamente il piatto – oserei direi – candido delle iridi, interrotto solamente dalla pupilla nera e profonda come un crepaccio infinito senza appigli, in cui io cado sempre e mi inghiotte.
E a me non resta che amare ed odiare quegli occhi. Per quanto sia un uomo di ragione, checché si possa pensare, provo anch'io dei sentimenti e non sono una parte da poter mutilare. Riesco a rimanere impassibile nella maggior parte delle situazioni, questo è certo, ma Watson e i suoi dannati occhi paiono levarmi ogni qualsivoglia capacità razionale.
Solo per questo andrebbero dichiarati illegali – pur conscio che se me li togliessero, proverei un dolore non descrivibile, non pensabile e non esplicabile.
Non rimpiango il tempo in cui non provavo tutto questo. Per quanto mi senta davvero vulnerabile quando sono con lui – e io solo so quanto mi costi ammetterlo -, amo queste sensazioni, amo quando le sue mani mi bruciano la pelle e quando la sua bocca mi marchia la mascella di segni violacei. Ma tornando a quegli occhi: amo quegli occhi.
Mi gelano, mi amano, mi fanno ardere, mi riscaldano, mi imprigionano, mi segregano, mi seviziano, mi curano, mi fanno andare completamente fuori di senno. E io non volevo, non volevo che succedesse, eppure è iniziato ormai cinque anni fa e ho paura – e spero – che non finirà tanto presto.
Quel dottoruncolo da strapazzo cotto dal sole, poco meno che scheletrico e zoppo, adesso è diventato il mio amante e il compagno delle mie notti – nonché della mia vita. Quegli occhi che fin dall'inizio mi avevano fatto loro, adesso mi hanno legato, imbavagliato, e lasciato lì. Mi mandano avanti a suon di acqua che è per me la sua pelle e cibo che sono per me i suoi ansiti. E mi mandano avanti a passione, che è per me lui nella sua completezza: dalla cicatrice che gli sfigura la coscia alla barba incolta che mi pizzica la pelle.
Quei due lapislazzuli mi fanno suo ogniqualvolta si posano su di me, riconfermandomi quanto io sia stoltamente perso, oramai, in modi che – per quanto detesti ammetterlo – non riesco a comprendere, ma che tuttavia amo.
Quei due ghiacciai mi gelano il sangue nelle vene e poi lo infuocano, causandomi brividi su per la schiena.
Quei due oceani mi danno il buongiorno la mattina e mi fanno sorridere nel modo distaccato che ormai mi appartiene, e poi mi augurano la buonanotte quando arriva il momento di ritirarsi, rendendomi consapevole che non molto tempo dopo di certo li rincontrerò, che brillano nel buio della mia camera – o della sua, pronti ad avermi in un atto carnale, o pronti ad osservarmi per ogni mio più piccolo dettaglio solamente coricandoci nello stesso letto.


E per tutto questo, andr


***


1- 11 – 1883, 221B di Baker Street, Londra.


Come volevasi dimostrare, non mi è stato possibile concludere le mie riflessioni, ieri sera, poiché cause di forza maggiore mi hanno strappato la stilografica di mano e mi hanno costretto a letto, in un groviglio di coperte e corpi caldi e sudati.

Quindi rettifico ciò che ho scritto ieri, preferendo riassumere il tutto con un nuovo titolo:


Motivi per cui dichiarare illegale il dottor John Hamish Watson.






Walking_Disaster corner:


Eccoci qua, dopo solamente un giorno dalla mia ultima pubblicazione xD Mah, che dire? Domani parto per tre giorni, ho dovuto fare le valigie, per cui mi sono dovuta scordare la festa di Halloween. E allora mi sono messa a scrivere e buttare giù un'idea che mi è venuta in mente un paio di giorni fa. In due orette ho fatto, alla fine è il prodotto finale, quindi pubblico.
Ovviamente doveva essere qualcosa di simile, eppure mi è venuta completamente diversa. Ma mi piace, devo ammetterlo.
Ci tengo a precisare che ho scelto una data a caso tra il 1878 (Uno studio in rosso) e il 1890 (Il segno dei quattro – anche se è la data di pubblicazione), per indicare l'anno, di modo che non ci fossero troppe Mary nel mezzo, matrimoni, cascate o chissà cos'altro, ma onestamente conosco solo approssimativamente le date precise degli avvenimenti di Sherlock Holmes, per cui se ci sono errori non esitate a farmeli notare :)
Finisco col dire grazie – come al solito – a tutti quelli che leggeranno ed eventualmente recensiranno!

...cazzo, che NDA corte D: Di solito sono cose bibliche, invece stavolta...
bon, meglio così xD

Au revoir.
~

WD

   
 
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