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Autore: Kiki87    01/11/2013    4 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 4
Lumière: A cena, la inviti a cena.
La Bestia: Lei questa sera cenerà con me! E non si tratta di un invito!
[La Bestia sbatte la porta]
(Dal film Walt Disney “La Bella e la Bestia”)


Capitolo 4.

Fu con un sospiro che entrò nel dormitorio dell'Accademia: decisamente, dopo quel piacevolissimo weekend (escludendo la cena a sorpresa), tornare in quella camerata era persino più deprimente. Si muoveva furtivamente, Brittany, guardandosi ansiosamente attorno prima di accorgersi che all'interno non vi era nessuna delle sue compagne, ad eccezione di Marley. Nonostante il suo stato d'animo, era davvero piacevolissimo quel ritrovarsi. Si liberò del grande involucro di cellofan che racchiudeva l'abito per il ballo e lo ripose sull'anta dell'armadio che condivideva con la ragazza (sua madre si era raccomandata di prestare attenzione perché non si stropicciasse). Con persino più delicatezza ed attenzione, appoggiò anche una sacca sportiva – un'altra occhiata furtiva verso l'ingresso della camera - e si sedette finalmente sul materasso, subito seguita dall'amica. Alla convenevole domanda “come è andato il weekend?”, si era ritrovata a raccontarle del piacevolissimo shopping con la madre.
“Posso sbirciare?”, non aveva atteso risposta, Marley, che aveva osservato l'abito con un'esclamazione di sorpresa e d’ammirazione, prima di voltarsi con un sorriso. “E' davvero splendido: sembrerai davvero una principessa, non vedo l'ora che tu lo indossi!”. Si era nuovamente seduta e la guardava allegramente. “Sai già con chi andrai al ballo, a proposito?”.
Si era stretta nelle spalle, Brittany con un cenno di diniego.
“Sei appena arrivata e non conosci molte persone”, convenne l'altra in tono gentile ed incoraggiante. “Ma aspetta che ti vedano con quell'abito, sarai sicuramente tra le più corteggiate”, e dal dolce sorriso, non vi erano dubbi circa la sincerità di quel pensiero.
“Vedremo”, rispose vagamente Brittany che non aveva intenzione ad impelagarsi in una discussione di quel calibro. Cercò di scacciare un viso ben noto dai suoi pensieri, complici le insinuazioni maliziose della madre, nonché il messaggino (che le aveva mandato poco prima), nel quale le intimava di avvisarla d’ogni eventuale invito.
“E, tu, invece, Marley? Con chi andrai al ballo? Justin Bieber o Puckermusone?”.
Marley, che si era voltata verso di lei bruscamente alla domanda, assunse un colorito rossastro sulle gote e, seppur sorrise nervosamente di quei nomignoli, si morsicò il labbro con aria dubbiosa. “Io... non lo so, non pensare male di me, ti prego”.
Brittany era parsa confusa, ma le aveva stretto la mano con dolcezza. “Perché dovrei? Sei la persona più dolce e gentile che ho incontrato, da quando sono arrivata qua”.
Sorrise, Marley, ma sospirò. “Sai, quando sono arrivata qua in Accademia, mi sono infatuata di Jake: è il classico 'cattivo ragazzo' che ha la fama di essere un donnaiolo – usciva con Kitty l'anno scorso, a proposito – è sicuro di sé, a volte arrogante, ma io credo ci sia qualcosa di più. Credo stia solo cercando di imitare suo fratello maggiore, Puck”.
Brittany aveva aggrottato le sopracciglia, pensando al ragazzo con la famosa cresta, nonché il migliore amico di Finn. Ogni volta che la vedeva, dava di gomito al ragazzone per poi dire qualcosa tipo “Pupa ad ore due, fratello: io distraggo Capitan Shampoo al Viagra1. Rendimi fiero di te, tigre!”.
“Lui e Puck sono davvero fratelli?”, le aveva chiesto, sbattendo le palpebre a più riprese. Jake, a dirla tutta, non brillava troppo di simpatia ai suoi occhi: lo vedeva spesso ridere e scherzare anche con altre ragazze, facendo rattristare Marley. Aveva pensato che si fosse convinto d’essere fratello di Puck o lo definisse tale solo per rendersi più accattivante.
Rise, Marley ma scosse appena il capo.
“Scusa, stavi dicendo?”, si era morsicata il labbro, Brittany, e Marley aveva ripreso.
“Poi ho conosciuto Ryder”, il viso aveva assunto un'espressione più sognante: gli occhi sembrarono brillare e un nuovo e delicato rossore le sfiorò le guance.
Brittany, seppur non fosse esperta di balli da sala o di ragazzi, immaginò di aver compreso più di quanto lei stessa potesse affermare.
“Lui è un vero amico: incredibilmente dolce, gentile e mi fa sentire la persona più speciale del mondo, senza chiedere nulla in cambio. E io non vorrei mai ferirlo, ma... non so cosa fare”.
Brittany si morsicò il labbro: era la prima volta che qualcuno sembrava chiederle un parere e in tono così concitato e bisognoso. Non poteva che fare affidamento sul proprio giudizio e sperare di non deludere l'amica che meritava un parere onesto e sensibile. Lo sguardo si era fatto più pensieroso e aveva incrociato le braccia al petto. “Quindi è come se dovessi scegliere tra il Pirata e il Principe Azzurro”.
Marley che parve colpita da quella metafora, la scrutò con il viso inclinato di un lato, l'espressione dolorosamente mortificata. “Credi che si possano amare due persone contemporaneamente?”.
Scosse il capo, Brittany, e parve più sicura che mai nelle parole seguenti: non avrebbe saputo spiegare che cosa ne motivasse il parlare, ma sembrava una verità insita in sé. “No, perché due persone non possono essere uguali”, rispose semplicemente per poi cingerle le spalle con fare protettivo. “All'inizio hai pensato che Jake fosse il tuo Principe, ma se il vostro fosse stato vero amore, tu adesso saresti felice, aspetteresti il ballo e non vedresti l'ora di essere con lui.
Visto che una Principessa può avere un solo Principe e tu sei spaventata perché non vuoi far soffrire Ryder, allora forse hai sempre avuto davanti il tuo vero
“E non l'ho mai capito”, aveva assunto un'espressione ancora più mortificata, ma Brittany aveva continuato a sorriderle.
“Io credo che lo sapessi, ma a volte preferiamo restare sulle nostre opinioni: in fondo anche Adam2, la Bestia, era un Principe in origine e poi è tornato ad esserlo”.
La sua voce si era ridotta ad un sussurro: lo sguardo sembrò perso in un punto indefinito ed arrossì. C'era qualcosa in quel ragionamento che aveva condiviso, in modo spontaneo, che sembrava suggerirle che Marley non era stata l'unica a formulare un giudizio affrettato.
“Credo che tu abbia ragione, Brittany: non so come ringraziarti”. Le sorrise, Marley, una nuova risoluzione nello sguardo.
Aveva sbattuto le palpebre, ma si era lasciata cingere. “Spero troverai il tuo Principe”, le aveva sussurrato Marley con tono più dolce.
Prima che potesse pronunciare risposta, un suono soffuso proveniente dal suo borsone, attirò l'attenzione di entrambe.
Marley sgranò gli occhi quando Brittany ne fece scorrere la zip e la testa di un gatto tigrato fece la sua comparsa: un miagolio e, dopo che Brittany lo ebbe sollevato, Lord Tubbington scivolò fuori. Si piegò sulle zampe anteriori con un movimento pigro ed indolente, gli occhi che vagavano tra le pareti, le vibrisse in movimento ma, dopo qualche passo, si rannicchiò pigramente contro il cuscino della padrona. O probabilmente era crollato per il troppo moto, difficile a dirsi.
“Brittany”, Marley parve impallidire: si affrettò a chiudere la porta della camera, prima di volgersi a lei. “Non puoi tenerlo qui! Se Kitty lo scoprisse-”.
“Ti prego, Marley: Lord Tubbington era tanto triste a casa e a mamma non piacciono i gatti”, la stava supplicando con voce pigolante. “Ti prometto che ne parlerò a Neal e sono sicura che riuscirò a convincerlo prima o poi”.
Sembrò vacillare, Marley, ma si morse il labbro. “E come farai durante le ispezioni?”.
Non sembrava particolarmente preoccupata Brittany che le sorrise, evidentemente già pensando di star accattivandosi la sua complicità. “Non preoccuparti: dorme quasi tutto il giorno, basterà nasconderlo sotto il letto per qualche minuto. Promettimi che non lo dirai a Kitty, ti prego”.
Sospirò l'altra ragazza che sembrava molto combattuta e poco ottimista ma le sorrise. “Certo che non lo farò”.
Prese in braccio Lord Tubbington, Brittany e la cinse con il braccio libero. “Grazie, Marley, sei un'amica”. Sollevò il mento del micio che schiuse pigramente gli occhi, l'aria annoiata e un lieve sbadiglio. “Benvenuto all'Accademia, Lord Tubbington”.
~

Alzarsi alle cinque era divenuto meno traumatico e, a poco a poco, anche la corsa mattutina s’integrò nella sua routine. Riusciva a resistere più a lungo, anche se così dava pretesto a Kitty di farla correre per più tempo. In realtà, il Capitano sembrava cercare ogni possibile appiglio per metterla in difficoltà o somministrarle gli oneri più snobbati dalle altre reclute come l'aiuto in cucina (una fortuna che fosse amica della madre di Marley) o la lucidatura degli stivali della sezione maschile. Non si sorprendeva di trovare spesso anche Finn rilegato allo stesso incarico.
Era proprio lui, molto “cavallerescamente”, a sputare sugli stivali che poi lei doveva sfregare con un panno e del grasso come le aveva mostrato.
Quel giorno sembrava persino più sorridente del solito, mentre l'attendeva: era reduce da un weekend particolarmente positivo, Finn, come in ogni occasione in cui poteva sottrarsi alle grinfie di Hunter, quando si allontanava dall'Accademia.
Aveva già finito la sua parte di lavoro ma, per qualche motivo, seppur si fosse già rimesso in piedi, non sembrava avere particolarmente fretta di allontanarsi dal bungalow adibito come spogliatoio. Al momento vi erano soltanto loro due, poiché i compagni di Finn erano impegnati in altri percorsi o esercizi, sotto la guida dello scrupoloso Capitano che Brittany aveva avuto la fortuna di non incrociare dopo quella disastrosa cena.
Notando l'insistente sguardo di Finn, Brittany s’interruppe e, con la mano libera, cercò di scostare un ciuffo di capelli che le era scivolato sul viso per riporlo sotto il berretto. “Ho del grasso in faccia?”, gli chiese quindi.
Il ragazzone le sorrise con quel fare più puerile e spensierato, le mani strette in grembo e si strinse nelle spalle, quasi volesse scomparire dalla stanza. Inclinò il viso di un lato. “Ti sta benissimo!”, le rivelò con aria quasi timida.
Brittany gemette e si portò una mano sul viso, finendo soltanto per estendere ulteriormente la macchia. Fissò la propria mano sporca ed emise un verso di disgusto alla fragranza tutt'altro che piacevole.
“Dovrò farmi una doccia o Kitty-”.
“Vieni al ballo con me!”, aveva esclamato, Finn, la stessa postura rigida - le braccia lungo i fianchi e lo sguardo sgranato nel vuoto - che assumeva quando Hunter gli urlava contro. Sbatté le palpebre e si grattò la nuca, guardandola dall'alto al basso. “Tu mi piaci: sei gentile, dolce, molto carina e...”, aveva aggiunto con il sorriso nuovamente accattivante.
Ma Brittany non lo stava più ascoltando: c'erano stati diversi balli al suo liceo (e altrettante giornate di shopping con sua madre) ma era in assoluto la prima volta che qualcuno la invitava. O, per dirla tutta, che qualcuno le chiedeva di uscire o le diceva di trovarla graziosa.
Era arrossita, ma più osservava il volto speranzoso e dolce di Finn e più si domandava se tutto stesse accadendo nel modo giusto. Era sudata, spettinata e sporca di grasso: non proprio una circostanza nella quale si potesse effettivamente sentire carina. Oltretutto, non avrebbe dovuto sentire un forte batticuore o essere spaventata ma impaziente all'idea? Non avrebbe dovuto prevedere che le cose tra lei e Finn avrebbero potuto evolversi in quel modo?
Il sorriso di Finn si spense lentamente, al prolungato silenzio, e parve così spaesato e a disagio che Brittany sentì un nodo in gola, seppur lui cercasse ancora di sorriderle con fare rassicurante. “N-Non importa: non preoccuparti, era così per dire e poi io-”.
“Certo, verrò al ballo con te”, rispose.
Un repentino sorriso luminoso che ne fece scintillare anche gli occhi, affiorò sul viso di Finn che sembrò trattenersi a stento dal saltellare sul posto o correre a cercare Puck per annunciargli la meravigliosa notizia.
“Siamo amici, vero?”, soggiunse Brittany.
“Certo, certo!”, sembrava sovreccitato Finn. “Ti prometto che ti divertirai e-”, si era fermato davanti a lei e qualcosa nel suo sguardo sembrò mutare. Perse completamente quell'anelito più puerile e pasticcione: sembrava molto più sicuro e determinato di sé.
Brittany si sentì stranamente a disagio e confusa, soprattutto per come aveva interrotto la frase. “E..?”, sembrò incoraggiarlo.
Finn si era chinato e Brittany era indietreggiata d'istinto: gli occhi sgranati, le labbra schiuse e lo sguardo incredulo. Nello stesso istante, la porta fu spalancata ed entrambi trasalirono e si volsero nella stessa direzione.
Lo sguardo di Hunter Clarington, come sempre impettito, saettò dall'uno all'altra prima che incrociasse le braccia al petto, evidentemente chiedendosi cosa stesse accadendo. Si rabbuiò e Finn sembrò sgonfiarsi letteralmente a quello sguardo glaciale.
“Hudson, sono consapevole che la coordinazione mano-occhio è una dote innata soltanto nel 99,99% delle mie reclute”, il tono era annoiato e lo sguardo sembrava trapassarlo da parte a parte, tanto che il ragazzo si mise nuovamente in posizione. “Ma quanto credi ti sia necessario per lucidare dieci paia di stivali, senza che lo sforzo ti procuri un'ischemia cerebrale?”.
Era arrossito, Finn, ma si era affrettato a rispondere. “Ho finito, Signore!”.
Lo sguardo verde lo perforò con ancora più insistenza per poi lampeggiare nuovamente verso la ragazza che si era istintivamente irrigidita, le braccia strette al corpo sulla difensiva. “Allora, cosa diavolo staresti aspettando?”:
Gocce di sudore freddo scivolarono sulle tempie di Finn. “Signore, io, io-”. Balbettò, lo sguardo che vagava tutto attorno alla ricerca di una scusa plausibile.
“Tu, cosa, Hudson?”, aveva sibilato, avvicinandosi al giovane che, per qualche strano effetto ottico, sembrava quasi rimpicciolirsi di fronte al suo superiore, malgrado lo torreggiasse.
“Stava aiutando me”, si sentì dire, Brittany che parve ritrovare la parola. Era come se l'ingresso di Hunter fosse riuscito a ricondurla bruscamente alla realtà, dopo quel lungo istante nel quale l'iniziativa di Finn l'aveva disorientata e quasi intimidita.
Inarcò appena le sopracciglia, Hunter, che scosse appena il capo, ma la fissò. “Hai del grasso sulla faccia”, le fece presente.
“Lo so”, commentò per risposta con aria indifferente. Era la prima volta che si ritrovavano faccia a faccia dopo quella cena. C'era stato persino un istante, nel suo giardino, in cui aveva provato un disorientamento persino più intenso di quello che le aveva innescato Finn. Mentre il suo amico sembrava aver agito ad una maniera che non riusciva ancora a spiegarsi; per un solo istante aveva avuto l'impressione di scorgere qualcosa di più del Capitano. E che fosse persino giusto abbandonarsi a quell'attimo di contemplazione, chiedendosi genuinamente che cosa sarebbe accaduto se non fossero stati interrotti.
La scrutò ancora curiosamente, Hunter, ma infine si volse al suo sottoposto che aveva guardato dall'uno all'altra, con la stessa espressione confusa. Si irrigidì subito, Finn, quando lo sguardo verde lo fulminò sul posto. “Muoviti, cinquanta giri di campo per la tua lentezza da bradipo morto”, gli aveva indicato l'uscita del bungalow con aria annoiata.
“Ma non è stata colpa sua”, protestò la ragazza.
Hunter, che stava per precedere Finn, si volse nuovamente. Le labbra erano serrate in una smorfia. “Ma non rientra nelle mie giurisdizioni punire te”.
“Ma nelle mie, sì”, osservò Kitty con un sorriso viscido. Era sulla soglia dell'uscio: le braccia incrociate al petto e l'aria soddisfatta mentre entrava con aria trionfale. “Che cosa ha fatto? A parte lucidare gli scarponi con la sua faccia da Barbie?”, chiese a Hunter, dopo aver rivolto uno sguardo di puro disprezzo alla sua recluta.
Sembrò un lungo istante quello in cui Hunter scrutò Brittany, che si era imposta di non reagire alla provocazione per non peggiorare ulteriormente le cose (memore dell'ultima volta in cui Hunter ne aveva preso le difese), al di sopra della spalla di Kitty. Brittany avrebbe voluto sottrarsi a quell'esamina, ma non riuscì a distogliere il proprio sguardo: avrebbe voluto capire che cosa Hunter sembrasse cercare nel suo volto o che cosa si celasse in quello del ragazzo stesso. Sembrava, tuttavia, un mistero irrisolto così come il perché e il come riuscisse a procurarle quella fastidiosa fitta allo stomaco, quando non diceva una sola parola, ma la fissava in quel modo.
Dopo quello che parve un silenzio infinito, Hunter tornò a scrutare Kitty e scosse il capo.
“Nulla”, rispose in tono spiccio per poi rivolgersi alla sua recluta. “Andiamo, Coglion Hudson”, gli diede uno spintone che quasi lo fece cozzare contro la trave del soffitto.
Kitty non parve affatto soddisfatta, quando si furono allontanati e rimasero sole. “Finisci di pulire, poi ti occuperai dei bagni e visto che ti piacciono tanto i soldati, pulirai quelli maschili. Di tutto l'edificio”, le sorrise velenosamente, probabilmente attendendo una qualsivoglia reazione che le desse adito ad una punizione persino più esemplare. Recuperò uno stivale dal pavimento e lo premette addosso alla biondina che si lasciò sfuggire un gemito.
“Mi hai sentita?”, le sibilò all'orecchio.
“Signorsì, Signora!”, rispose Brittany più per abitudine che per altro e rilasciò un sospiro di sollievo, quando finalmente Kitty tornò sui suoi passi. Ma, prima di varcare la soglia dell'uscio, lei si volse nuovamente in sua direzione.
“Sono sicura che tu e Coglion Hudson sarete una coppia perfetta in pista”, e Brittany si accigliò a quella sospettosa dichiarazione. “Quasi quanto lo saremo io ed Hunter”, aveva aggiunto con tono ancora più allusivo e un sorriso repentino ad incresparle le labbra carnose. Quel sorriso che Brittany conosceva troppo bene e che, abbinato a quello sguardo gelido, non n’addolciva affatto i lineamenti, ma la rendeva persino più... inquietante.
Nonostante non comprendesse il motivo di quella specificazione, si sentì chiedere un incredulo e interdetto: “Ti ha invitata?”.
Aveva sgranato gli occhi, Kitty, evidentemente non aspettandosi quella domanda, formulata in modo tanto diretto.
“Voglio dire, Signora”, si era morsicata il labbro, Brittany, certa che quell'impudenza le sarebbe costata una punizione persino peggiore. Senza contare che lei stessa non avrebbe saputo spiegarsi quell'insana curiosità.
Ancora più sorprendentemente, Kitty parve compiaciuta: la mano appoggiata sul fianco in una posa ben più languida del portamento tipico di una donna in uniforme. Aveva sorriso nuovamente, di quel sorriso malizioso e consapevole. “Non ce n'è bisogno”, dichiarò in tono eloquente che, se possibile, lasciò Brittany persino più interdetta.
Neppure la sentì abbaiarle contro qualche altra minaccia: la seguì con lo sguardo, continuando a riflettere non soltanto sulla dichiarazione, ma sull'evidente certezza di cui era intrisa. Che Kitty fosse riuscita a trovare quel qualcosa nello sguardo di Hunter Clarington? Era lei a renderlo meno rigido e più spontaneo? Era lei ad innescare un sorriso simile a quello che aveva scorto nel suo giardino, quando era fradicio per l'incidente con gli irrigatori? Anche Kitty sentiva il mal di pancia per colpa del suo sguardo o era qualcosa che accadeva soltanto a lei?
Scosse il capo e si sedette nuovamente sulla panchina, uno stivale in una mano e il panno unto di gesso nell'altra.
Avrebbe dovuto partecipare al ballo, nonostante tutto, per l'impegno preso con Finn ma era certa che il ragazzo sarebbe stato un cavaliere molto gentile e si sarebbero potuti divertire insieme.
Non poteva desiderare una compagnia migliore, in fondo, no?
Un cavaliere un po' pasticcione ma dolce poteva essere un Principe camuffato?

~


Non era la prima volta che si osservava allo specchio con quell'abito, ma nuovamente stentò a riconoscersi. Sentiva l'emozione stringerle la gola mentre lasciava scorrere le dita, in una carezza delicata, lungo il tessuto per poi sfiorare i lembi del tulle che dava corpo e spessore alla gonna, con un sorriso che ne faceva scintillare gli occhi di una nuance simile. Raddrizzò le spalle e prese un bel respiro, cercò di ricordare le parole di sua madre: il miglior consiglio e promemoria che potesse serbare in quell'occasione.
Tira fuori la principessa che è in te. Lei attende da molto tempo”.
Rimirò un'altra volta il vestito e sorrise tra sé con aria più decisa e convinta: non sapeva che cosa l'avrebbe attesa quella serata, se sarebbe stato più o meno divertente e/o coinvolgente. Ma, mentre Finn l'attendeva, adorabile quanto soffocato in quello smoking scuro che sembrava renderlo persino più monumentale e rendeva il contrasto con il sorriso goffo persino più dolce; per un attimo si sentì esattamente come le sue prime maestre di vita. Una Principessa che faceva finalmente il suo ingresso e il cui vestito sembrava risplendere di luce propria, divenendo esso stesso protagonista della scena, come probabilmente sua madre si era augurata.
Un corpetto candido, dalla scollatura rotonda che le lasciava nude le spalle esili e il cui unico ornamento sul décolleté era una collana di perle, abbinata ai pendenti che scivolavano dai lobi. Sul tessuto era inciso un ricorrente ricamo di rose che stilizzavano ulteriormente il bustino che ne sottolineava la vita esile.
Un'ampia gonna azzurra con riflessi candidi per lo stesso motivo di rose che, dal corpetto, si allungavano alla parte superiore dell'abito, per poi disperdersi e luccicare per gli strass applicati e dispersi nella lunghezza stessa. Il sotto-strato di tulle dava un ampio volume e Brittany si era lasciata incantare dal fruscio che poteva sentire ad ogni singolo movimento.Seppur avesse dichiarato di non essere affatto avvezza ai balli di sala, in quel momento non avrebbe desiderato altro che vivere interamente una scena da favola.

Finn sembrò incantato ed incapace di trovare le parole mentre Brittany, i capelli trattenuti ai lati da un nastro azzurro e poi liberi in boccoli a discendere lungo le spalle nude, gli porgeva la mano che egli strinse. Rilasciò il fiato e un sorriso gli increspò le labbra. “Sei bellissima”, aveva sussurrato e Brittany gli aveva sorriso di rimando, lasciando che le insinuasse un bouquet da polso che aveva osservato con sguardo scintillante.
“E' bellissimo, ti ringrazio”, aveva commentato e sollevato nuovamente lo sguardo su di lui. “Stai molto bene”, aveva osservato lo smoking scuro e aveva allungato la mano verso la cravatta leggermente storta. Aveva sentito il battito di Finn divenire più intenso e aveva abbassato la mano automaticamente.
Il ragazzo le aveva porto il braccio che Brittany aveva stretto ma, nel momento in cui varcarono insieme la soglia della palestra adibita come una sala da festa elegante e romantica, non poté trattenere quel singulto d’emozione alla vista di quello che sarebbe stato il suo primo ballo ufficiale, almeno come dama. Strinse istintivamente più forte il braccio del suo cavaliere, quasi necessitando di un incoraggiamento, mentre lasciava vagare lo sguardo su volti noti ma che sembravano risplendere con abiti sontuosi e un'atmosfera così soffusa. Avrebbe continuato ad osservare la scena, ma si riscosse quando Finn sembrò trovare una nuova risoluzione nell'indicarle la pista da ballo con un cenno del mento. “Ti va di ballare?”.
Sembrava la tipica situazione fiabesca, la domanda che aveva sognato di udire fin da quando era solo una bambina e sognava di indossare un abito come quello presente.
C'era quel qualcosa, tuttavia, che le impediva di essere completamente soddisfatta. Ma nel guardare lo sguardo speranzoso di Finn, non poté non sentirsi in colpa e gli sorrise dolcemente. “Molto volentieri”.
Se soltanto la dolcezza e le premure di Finn avessero eguagliato il suo senso del ritmo, Brittany non avrebbe avuto dubbi di essere stata accompagnata dal migliore ballerino della sala.
Abbandonarsi al ritmo della musica era come ritrovare una parte di sé che sembrava smarrita e tenuta strettamente sotto controllo. Era nuovamente libera ed era una sensazione che non vedeva l'ora di provare nuovamente: le ore trascorse nella palestra della madre, di fronte a quello specchio ad esercitarsi su diverse coreografie e generi di ballo, erano tra i ricordi più felici della vita a New York e quelli che più gli strappavano un sospiro nostalgico.
Si riscosse, e in modo doloroso, quando Finn, nell'impeto di quell'improvvisato passo di danza, le calpestò il piede. Gemette, la ragazza, interrompendo il suo ballo.
Il ragazzone si portò le mani alle labbra e si bloccò, l'espressione chiaramente sconvolta e timorosa.
“Oddio! Scusa, sono un disastro”, aveva commentato mortificato. “Tu sei così brava e dovresti poter ballare con qualcuno che sia alla tua altezza e io dovrei sedermi e non fare altri danni-”, era persino più adorabile, quando perdeva la propria sicurezza.
Ne aveva stretto nuovamente la mano. “Non preoccuparti. Che ne diresti se ci sedessimo qualche minuto e parlassimo un po'?” gli aveva proposto, indicando i tavoli rotondi, disseminati nella stanza e il ragazzo parve notevolmente sollevato. Non sembrava arrabbiata e neppure intenzionata a scaricarlo dopo quel disastroso esordio.
Le sorrise nuovamente con la consueta gentilezza. “Vado a prenderti qualcosa da bere”.
Annuì, Brittany, e si allontanò dalla pista, osservando l'orlo dell'abito che sfiorava il pavimento: aveva una vaga smorfia sul viso per il dolore e fu un sollievo potersi nuovamente sedere, ma lasciò correre lo sguardo sulle coppie che si accalcavano sulla pista da ballo. Sorrise e agitò la mano in direzione di Marley la cui guancia era premuta contro il petto di Ryder. Quest'ultimo la stringeva con espressione così devota, ma con tale tenerezza che Brittany non poté che compiacersi per la sua amica e la scelta più giusta per il suo cuore.3
Stava ancora facendo vagare lo sguardo, cercando altri visi familiari per contemplarne il cambiamento, ma quasi trasalì quando la sedia davanti alla sua fu scostata da Hunter Clarington.
Anch'egli indossava uno smoking scuro, perfettamente contrastante con la camicia candida e la cravatta di seta. A differenza di Finn, sembrava che quelle vesti non lo stessero affatto costringendo: al contrario, ne mettevano in risalto la figura longilinea, le spalle ampie e la vita stretta. Gli conferivano un'eleganza che, ad essere onesti, incarnava perfettamente anche nei movimenti armonici con cui si apprestava all'addestramento. Ma c'era quell'alone più sofisticato che era innegabile, seppur Brittany fosse troppo impegnata a fissarlo con aria incredula per quella iniziativa.
Si accomodò con nonchalance, Hunter, un bicchiere di champagne tra le dita.
Sospirò, Brittany, ma volse caparbiamente gli occhi alla sala: ne sentiva lo sguardo addosso, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a rivolgere un saluto all'altro.
“Gran bel passo di tip tap”, fu il commento pacato ma svogliato e Brittany fu strappata dalla sua silenziosa contemplazione, gli occhi sgranati e un accenno di rossore sulle gote. “Certo, l'atterraggio sul tuo piede è stato superbo”.
Le labbra di Hunter si erano increspate in un'espressione vagamente divertita e Brittany s’irrigidì com’era fin troppo solita nelle interazioni con lui: incrociò le braccia al petto e gli rivolse uno sguardo infastidito. Per quale motivo non raggiungeva Kitty, specie considerando che tra loro il vincolo non richiedesse neppure un invito, come aveva specificato in modo fin troppo chiaro la ragazza stessa?
Quest'ultima, doveva ammettere Brittany con un certo dispiacere, era incredibilmente graziosa quella sera: indossava un abito lillà con una fusciacca di un azzurro scintillante per i glitter, ma erano il sorriso più civettuolo sul viso, i capelli lunghi e ondulati che le sfioravano le spalle e il trucco a renderla molto più femminile e delicata. L'abito risaltava, inoltre, una silhouette più minuta e aggraziata di quanto la divisa lasciava immaginare.
“Finn è un ottimo cavaliere”, gli fece presente, il tono più severo, ma ne evitò ancora lo sguardo.
Si era portato il calice alle labbra, Hunter, e l'aveva osservata con le sopracciglia inarcate prima di posare il bicchiere, il viso inclinato di un lato e le labbra ancora increspate dal sorriso. “Il che equivale a dire che sia un pessimo ballerino, oltre al peggior soldato che io abbia mai avuto la sfortuna di avere nel mio plotone”.
Si era voltata nuovamente in sua direzione, soltanto per rivolgergli una smorfia severa e corrucciata, prima di inclinare il viso di un lato e accennare un sorriso tutt'altro che complice. “Perché non vediamo come balla un Capitano?”.
Non aveva fatto in tempo a rispondere, Hunter, lo stesso sorriso divertito sulle labbra, perché Kitty gli appoggiò la mano sulla spalla e sbatté gli occhi le cui ciglia erano state ispessite notevolmente dal rimmel, rendendo quel gesto persino più languido del naturale. Una sola occhiata sprezzante verso Brittany, seppur avesse indugiato sul suo abito, evidentemente impressionata per un misero istante. Dopodiché la ignorò allegramente.
“Balliamo?”, si rivolse al ragazzo, sussurrandogli all'orecchio ma con voce abbastanza squillante perché Brittany la sentisse (un vago alzare gli occhi al cielo, da parte di quest'ultima, per poi tornare ad osservare la pista, a dimostrazione di totale indifferenza). “Me lo avevi promesso”, aveva picchiettato sulla sua spalla.
'Me lo avevi promesso', mimò Brittany con una vaga smorfia, gli occhi nuovamente volti al soffitto, ma lo sguardo del ragazzo lampeggiò in sua direzione. Kitty attendeva con postura più rigida, rafforzando la pressione della mano sulla sua spalla.
“Sarà un piacere”, aveva risposto Hunter, infine, ma era ancora Brittany quella che stava scrutando con un sorriso più saputo e divertito. Porse il braccio alla sua dama e la condusse verso la sua pista. Brittany incrociò le braccia al petto, decidendosi che per quella sera era già stanca di guardare gli altri ballare.

“Ecco i nostri bicchieri”, era finalmente tornato Finn che le aveva sorriso: evidentemente non aveva notato che la stessa sedia, un attimo prima, era stata occupata dal suo Capitano. Non che questo avrebbe fatto differenza, probabilmente, visto il puro terrore che provava nei suoi confronti.
Gli aveva sorriso, Brittany, che aveva preso il calice tra le dita. “Grazie, Finn”.
La melodia era divenuta più soffusa e una dolce voce femminile si era sostituita al brano registrato, quando una minuta figura era salita sul palco. Un ragazza che Brittany non credeva di aver mai visto con i lunghi capelli scuri, un elegante abito di una bella sfumatura di rosa e una voce che riuscì ad incantare la platea, Brittany compresa, complice il brano romantico.
“Canta come un angelo”, aveva sussurrato, infatti, in tono ammirato e si era voltata verso Finn il cui sguardo era altrettanto catturato da quell'immagine. Ma sembrò irrigidirsi e si strinse nelle spalle.
Non era una grande intenditrice, Brittany, ma avrebbe giurato che stesse cantando con il cuore e quelle parole fossero davvero dedicate a qualcuno, la cui mancanza o la cui sola idea d’assenza, sembrava spezzarle il cuore.
Fu un errore soffermarsi nuovamente sulla pista perché incrociò lo sguardo di Hunter Clarigton: quest'ultimo le sorrise ancora divertito da sopra la spalla di Kitty e Brittany dovette voltarsi bruscamente. Cercò di ignorare il rossore sulle guance: non era decisamente piacevole essere scoperti in quell'atteggiamento che poteva persino dare adito a stupidi equivoci.
Finn aveva ancora tra le mani il suo drink, non aveva risposto alla lode di Brittany alla cantante ma sembrava incapace di concentrarsi nuovamente sulla sua dama. Almeno fino a quando Brittany non gli appoggiò la mano sul braccio e allora trasalì.
“Stai bene?”, gli chiese preoccupata e il ragazzo sbatté le palpebre ma le sorrise.
“Sì, scusami, io-”.
Ma Brittany non lo stava più ascoltando: tornò ad osservare la cantante i cui occhi tristi sembravano davvero rivolti in loro direzione e non poté non sentire un moto di dispiacere nel comprendere il suo stato d'animo. Si volse nuovamente all'amico.
“Sta cantando per te, vero?”, gli aveva chiesto con un sorriso addolcito. “Voi stavate insieme?”, gli chiese curiosamente.
Finn sembrò sorpreso dalla domanda diretta: era arrossito, ma si era stretto nelle spalle. “Si chiama Rachel”, le spiegò. “E' un'amica di mio fratello, Kurt, ma tra noi è finita”, sembrò ansioso di specificarlo, probabilmente temendo che la sua accompagnatrice potesse risentirsi, ma Brittany gli aveva nuovamente sorriso.
“Io non credo”, lo contraddì, prima di stringergli la mano con maggiore risoluzione. “Va' da lei: è la tua principessa e lo sai anche tu”, gli aveva suggerito, lo sguardo limpido e l'aria più che risoluta e sicura di sé.
“Brittany”, Finn aveva scosso il capo e sembrava realmente confuso. “Io... tu mi piaci”, ma lo sguardo era nuovamente stato richiamato dalla voce della ragazza, persino più delicata nel vezzeggiare il ritornello della canzone.
“Anche tu: sei il miglior amico che potessi trovare, ma sei anche il suo principe”, aveva soggiunto con voce più allusiva.
Un lungo istante di riflessione quello che adombrò lo sguardo di Finn ma, infine, annuì. Si era rimesso in piedi, dopo aver appoggiato il calice neppure toccato sul tavolo, ma si era chinato a baciarle la guancia con un sussurrato “Grazie”.
Gli aveva sorriso di rimando, Brittany, nello stringergli la mano e augurargli buona fortuna. Lo seguì con lo sguardo, mentre si faceva largo tra le coppie danzanti per raggiungere il podio. Un breve sospiro le sfuggì, come ogni volta che contemplava quella magia unica e suggestiva quale l'amore che univa due persone nonostante le difficoltà, le divergenze di carattere. Con una sorta di sortilegio che ingentiliva anche la persona più orgogliosa.
Bevve dal proprio bicchiere, quasi a lenire quella sorta d’aridità all'altezza della gola nel domandarsi se un giorno sarebbe stato anche il suo momento. Fino ad allora, sarebbe rimasta la principessa ignota dal bell'abito.
Alla fine della canzone, Rachel aveva sorriso a Finn che le aveva porto il braccio con nuova grazia ed eleganza e improvvisamente, anche agli occhi di Brittany, non sembrava più il gigante buono quanto goffo ma un principe in tutto e per tutto. La moretta aveva occhieggiato verso Brittany evidentemente confusa, ma la ragazza aveva sorriso ad entrambi e finalmente la coppia prese posto tra le altre per il loro ballo.

Si rimise in piedi, Brittany: il ballo era finito prima del previsto, ma era felice che Finn avesse ritrovato la sua metà. Occhieggiò verso la portafinestra che dava sul cortile esterno: avrebbe potuto prendere una boccata d'aria e rientrare nel dormitorio attraverso l'uscio che dava sul campo d'addestramento. Avrebbe potuto godersi ancora qualche istante del suo bell'abito, magari inventare qualche racconto da fornire alla madre (era un sollievo che non fosse presente o non sarebbe stato tanto semplice potersela svignare in quel modo) sul resoconto della serata e poi sarebbe rientrata per assicurarsi che Lord Tubbington stesse bene.
Volse le spalle alla pista da ballo ma proprio quando stava per varcare la soglia dell'uscita, si sentì artigliare il polso: un tocco fermo per quanto delicato ma trasalì quando, voltandosi per lo slancio della pressione, incontrò lo sguardo di Hunter Clarington che la trattenne a sé.
Aveva sgranato gli occhi, il mento sollevato e le labbra schiuse, ma il ragazzo la stava scrutando senza alcun sorrisetto canzonatorio o irritante. Al contrario, sembrava stesse lui stesso contemplandola in quel momento, senza voler affatto lasciarla andare.
“Balliamo”.
Non sembrava una richiesta, realizzò Brittany, che si era istintivamente irrigidita anche per l'imbarazzo, ma un ordine: ma era la prima volta che lo sguardo verde baluginava di una luce che non le parve di aver mai scorto in quelle iridi. Sentì il suo stomaco annodarsi, ma il ragazzo non sembrò affatto esitare: non fece neppure in tempo a chiedergli perché si fosse allontanato dalla sua dama. Tuttavia, quando si volse per condurla nuovamente alla pista, si accigliò.
Puntò i piedi sul pavimento, opponendo una breve resistenza: il ragazzo la fissò da sopra la propria spalla, le sopracciglia inarcate in un atteggiamento interrogativo. Sbuffò, Brittany, che cercò di scostarsi.
“Non voglio ballare con te!”, protestò, la voce indignata. E poi non glielo aveva neppure chiesto: lo aveva preteso soltanto perché era un Capitano e lei una recluta, quando pochi giorni prima aveva anche ribadito che era solo Kitty ad avere autorità su di lei.
Non parve scomporsi, Hunter e neppure offendersi: nuovamente lo sguardo baluginò con quel sorrisetto impertinente e divertito. “Ma io non te lo sto chiedendo”, lo specificò esplicitamente.
Lo fissò incredula, Brittany, sbatté le palpebre interdetta, ma il ragazzo riprese a condurla verso la pista. Qualcuno aveva inserito un disco registrato e fu una nuova melodia quella che risuonò.4
Una voce maschile ma delicata e Brittany si sorprese di come quella melodia sembrasse rimandare ad un libro di favole: avrebbe potuto probabilmente accompagnare il momento in cui si sarebbe effettivamente sentita principessa. Con Hunter Clarington.
Il pensiero la rendeva ancora più rigida e lo guardò mentre, senza alcuna esitazione, una volta condotta al centro della pista, le cingeva la vita con un braccio e ne prendeva la mano libera, intrecciandola alla propria. Osservò le loro mani strette, sentì il calore della mano più grande e, suo malgrado, ne intrecciò lo sguardo e realizzò, con un brivido lungo la spina dorsale, che era proprio così che doveva avvenire una simile iniziativa. Con la sua sicurezza e, al contempo, la delicatezza con cui la tratteneva, quasi si stesse premunendo di non procurarle dolore.
Realizzò ancora una volta quanto si sentisse esile al confronto ma quanto, incredibilmente, riuscisse a condurla senza alcuna esitazione e con una scioltezza davvero sorprendente per qualcuno che sembrava sempre così rigido e controllato. Soprattutto il modo in cui il suo corpo, a dispetto della sua mente, si fosse perfettamente rilassato e lasciato andare, seguendo le sue circonferenze, come se non avessero mai fatto altro fino a quel momento. Gli sguardi erano intrecciati in una sorta di comunicazione che non sembrava necessitare di parole. O che andasse persino in direzione opposta rispetto al contesto che li vedeva perfettamente abbinati.
Perché avesse scelto proprio lei, Brittany non riusciva a capirlo, ma dubitava che lo stesso Hunter glielo avrebbe mai lasciato intendere. Avrebbe voluto sottrarsi a quegli occhi che sembravano realmente contemplarla e ben oltre il suo portamento o l'abito di quella sera.
Non riusciva a spiegarsi perché le fosse così difficile. Forse era colpa della pressione decisa della sua mano sulla vita, del modo in cui quel tocco gentile le faceva scorrere quei brividi, tanto da non riuscire a capire se fosse intirizzita o, al contrario, se quell'imbarazzo stesse divampando in una fiammata di calore.
Avrebbe tanto voluto comprendere a cosa stesse pensando in quel momento, mentre la conduceva in perfette circonferenze, senza mai calpestarle il piede o sgualcirle la gonna vaporosa, per quanto potesse sembrare d’intralcio con il suo diametro.
Principe”.

Una vecchia favola mi ha insegnato,5
che il cuore semplice riacquisterà valore.
Un rospo sarà il nostro re,
e brutti orchi saranno i nostri eroi.



Sembrava lui stesso fin troppo pensieroso a giudicare da come la stava guardando e rimasero in silenzio per qualche istante: aveva scorto Kitty, accanto al tavolo delle bibite, con espressione furiosa. Non poté che chiedersi se avessero avuto una discussione e Hunter si fosse allontanato da lei. Non osava immaginare quali sarebbero state le ripercussioni durante gli allenamenti quotidiani.
“Siamo partiti con il piede sbagliato”, sussurrò il giovane e Brittany si riscosse. La stava ancora osservando, il viso lievemente inclinato di un lato. Aveva sentito il suo respiro caldo sul volto, a farla ulteriormente rabbrividire, seppur si sentisse salda nel suo abbraccio.
Era stato così vicino per tutto il tempo? Il pensiero la fece arrossire ma, a quelle parole, parve confusa: non stava concentrandosi effettivamente sul ritmo: si era lasciata condurre e le era parso un ballerino tutt’altro che goffo o impreparato.


Tutte le promesse sono state infrante,
dai da mangiare alla tua gente e lascia il tuo trono.
E cedi il tuo intero regno.


“Sei tu che conduci”, ribatté, quasi a mo’ di difesa, soprattutto con l’intenzione di riprendere il controllo della situazione e non sentirsi ulteriormente intimidita.
Il ragazzo parve spiazzato e sbatté le palpebre. L’attimo dopo un verso d’ilarità ne sgorgò dalle labbra. Brittany realizzò, un nuovo contorcimento nello stomaco, che era la prima volta che lo sentiva davvero ridere. Non per umiliare, non per intimidire un suo inferiore.
Si fece nuovamente serio e sentì la pressione sulla sua mano farsi più salda, strappandole un ulteriore brivido perché sembrò quasi volerla trattenere. “Parlavo del nostro rapporto”, precisò e Brittany parve persino più interdetta: era normale invitare (?) una ragazza a ballare per poi constatare l’ovvietà del non riuscire ad andare d’accordo con lei?
Aveva sospirato. “Beh, sei tu che ti comporti in modo cattivo”, ribatté in tono eloquente quanto puerile. “Ma potrei perdonarti, se mi chiedessi scusa”.
Parve irrigidirsi il ragazzo e la pressione sulla sua vita, per la prima volta, vacillò seppure l’attimo dopo la cinse con la stessa risoluzione. “Io non devo scusarmi con te”, rispose in tono composto ma evidentemente interdetto dalla sua risoluzione su quel punto.
Brittany arricciò il naso. “Allora non ti perdonerò”, ribatté in tono ovvio.
“Sono un tuo superiore”, ribadì il ragazzo che, per qualche motivo, la stava stringendo più forte, facendola trasalire per il contatto più serrato. “Devi portarmi rispetto”.
Sbuffò, Brittany. “Non siamo in addestramento e lo hai detto tu stesso che è Kitty che si occupa di me”, aveva precisato per poi aggrottare le sopracciglia. “E comunque trattate entrambi male i vostri soldati soltanto per divertimento”.
Curioso come fossero vicini fisicamente ma altrettanto distanti emotivamente e sembrasse sempre esservi un ostacolo alla reciproca comprensione e tolleranza.
Si era fermato bruscamente, Hunter, seppur non avesse accennato a lasciarla andare. “Io non mi diverto”, specificò, apparentemente indifferente al giudizio su Kitty, parve davvero stizzito da quell’accusa nei propri confronti. “E’ mio dovere prepararli”, aveva ripreso a condurla, ma nessuno dei due parve seguire realmente il ritmo della canzone o carpire il significato stesso del brano. Neppure sembrarono sforzarsi di ritrovare la concentrazione come le altre coppie.
“Non c’è bisogno d’essere meschino per farlo”, aveva ribadito la ragazza, altrettanto caparbiamente. Stava cercando di ignorare la sensazione dilagante di quello sfarfallio nello stomaco, o di come il suo sguardo verde riuscisse a farla sentire piccola e indifesa. Era la sua stessa rabbia e il risentimento covato a lungo, ad implodere malgrado tutto.
Serrò le labbra, Hunter, e il suo sguardo sembrò adombrarsi, ma non si scompose seppur, per la prima volta, la pressione sulla sua vita, si attenuò. “E’ questo che pensi, allora?”, non sembrava arrabbiato, era un’altra emozione che Brittany non sapeva decifrare, probabilmente era qualcosa di simile alla… delusione. Ma si sentì persino peggio.


Tu eri il nostro bambino d’oro,
ma i gentili e i miti
erediteranno la tua terra.



“E’ quello che fai vedere”, si sentì dire ma la sua voce parve più flebile, quasi intaccata dal pensiero che il suo giudizio potesse avere davvero effetto su di lui.
Sembrò senza parole, Hunter, continuò a scrutare in quei limpidi occhi azzurri che sapevano sempre porlo di fronte a qualche realtà che non sembrava riflettere la propria. “Liberissima di crederci: è un tuo problema”, sembrava adesso indifferente.
“Sei tu che rischi di restare solo”, non lo aveva detto con cattiveria, ma sentì chiaramente qualcosa rompersi in sé. Non era a cuor leggero che pronunciava quelle parole e seppur volesse cercare in lui la conferma che non fosse solo un Capitano arrogante e prepotente. Si sentiva lei stessa delusa dalle loro tipiche interazioni.
Sorrideva, Hunter, ma pareva tutt’altro che divertito: sembrò voler dire qualcosa, ma si riscossero entrambi quando apparve Neal tra loro. Indossava l'alta uniforme e sorrideva ad entrambi con sguardo complice: osservò con ammirazione la ragazza per poi rivolgersi a Hunter.
“Spero non ti dispiaccia, Hunter”, aveva porto la mano a Brittany.


Mentre la tua corona da principe si rompe e cade,
il tuo castello è desolato e freddo.
Sei così lontano dalla persona che eri.
Lasciati andare, lasciati andare,
perché ora tutti lo sappiamo.


Non aveva distolto lo sguardo da lei, Hunter, ma aveva abbassato le braccia lungo i fianchi. “Affatto”, era stata la replica asciutta e, dopo essersi congedato dall’uomo, si era allontanato, lasciando Brittany con un grave sospiro ad uscirle dalle labbra.
Si sentì improvvisamente svuotata, lo stomaco ancora annodato da una nuova e sgradevole sensazione e neppure il dolce abbraccio di Neal sembrò restituirle quel brivido o quel calore sentiti poco prima.

Presto qualcuno farà un incantesimo su di te.
Profumo, stregoneria, qualsiasi trucco e
tu giacerai in un sonno profondo.


“Eravate carini insieme”, le sorrise Neal, notando il suo sguardo distratto e Brittany sbatté le palpebre. “Devo preoccuparmi?”, seppur volesse apparire bonario e sbarazzino come suo solito, sembrava esserci una reale apprensione in quella domanda e Brittany sbatté le palpebre.
“Certo che no”, aveva sentito le guance imporporarsi, ma era Hunter che stava scrutando mentre, superando le coppie e ignorando Kitty che lo stava richiamando, usciva dalla portafinestra che Brittany stessa avrebbe voluto varcare poco prima.
Sospirò, la ragazza, ma si concentrò nuovamente sul patrigno e gli sorrise. “E poi tu sei molto più simpatico”, gli disse in tono più complice ma l’uomo, seppur le sorrise, scosse appena il capo.
“Non essere troppo dura con lui: so che sembra arrogante, ma è troppo chiuso in se stesso”, aveva commentato e sembrava davvero credere fermamente in quelle parole, probabilmente avendone una certezza che Brittany non poteva permettersi. “E’ dovuto crescere troppo presto, sai”, le aveva detto, abbassando la voce, ma la curiosità della giovane parve persino acuirsi.
“E’ troppo alto?”, chiese ancora più confusa.
“No”, a differenza delle altre volte, Neal non parve divertito per le sue risposte impulsive e fuori contesto: tanto che lei temette di aver detto qualcosa di davvero inappropriato. Era serio, Neal, come non mai mentre parlava in un sussurro. “E’ cresciuto solo con suo padre e ha passato tutta la sua vita qui, si può dire che sia stata l’Accademia la sua casa. Era solo un bambino, quando è morta sua madre”.
Un senso di gelo attanagliò il cuore di Brittany che si sentì persino incapace di respirare per un lungo istante: era stato fin troppo semplice e superficiale attribuire quella sua apparente prepotenza ad una personalità poco raccomandabile. Ma lei, più di tutti, avrebbe dovuto comprendere che nel suo sguardo si celasse una tristezza che lei stessa aveva conosciuto. Ma in due modi completamente diversi perché certamente né Hunter né la signora Clarington avrebbero mai chiesto di essere separati in quel modo. Cresciuto in quel contesto e con una particolare disciplina, doveva essere più che naturale per lui agire in modo severo, spesso ritenuto persino spietato o… meschino, come lo aveva definito lei stessa poco prima.
Impallidì, Brittany, e desiderò poter girare le lancette dell’orologio, desiderò non agire più in modo tanto infantile o risentito per quello che, probabilmente, era stato soltanto un consiglio che lui stesso non aveva potuto seguire, quando era solo un bambino.
“Gli farebbe bene avere un’amica allegra come te”, aveva sussurrato nuovamente Neal, il viso inclinato di un lato e un sorriso più dolce. “Puoi provare a dargli un’occasione?”.
Sospirò, Brittany, il senso di colpa sempre più intenso, unito al dispiacere. Sì, lo avrebbe sicuramente fatto ma, a quel punto, sarebbe stata la volontà di Hunter di concederle un perdono, ad essere determinante. Aveva avuto ragione, il ragazzo: a differenza sua, era riuscito a scorgere più di quanto mostrasse e se anche quel luogo non fosse il più adatto, probabilmente le avrebbe permesso di crescere.
Annuì e sorrise al patrigno. “Se Hunter me lo permetterà”.
“Ne sono sicuro”.
Avrebbe voluto essere altrettanto ottimistica ma, per tutto il loro ballo, rifletté sulla cosa più giusta da farsi.


~

Uscì in giardino e si guardò attorno: improvvisamente anche la gioia e la soddisfazione di un abito così principesco sembrava essere secondaria. Più che una principessa, quella sera aveva agito come una strega, ragionò tra sé, morsicandosi il labbro e cercando di individuarne la figura con aria preoccupata. Avrebbe tanto voluto potergli parlare prima del coprifuoco: non aveva idea di dove si trovassero i dormitori maschili e dubitava che sarebbe stato disposto ad infrangere le regole proprio per lei. Fu con un misto di sollievo e curiosità che lo scorse laddove si erano incontrati la sua prima sera all'Accademia: stava rimirando nuovamente il paesaggio, appoggiato alla balaustra del portico. Kitty era al suo fianco e parlava in tono agitato ed evidentemente arrabbiato.
Si morsicò il labbro, Brittany, temendo che potesse scorgerla e si appiattì contro la parete dell’edificio. Avrebbe dovuto attendere che Kitty avesse finito: non osava immaginare come avrebbe reagito a coglierla sul fatto in quel momento. Sbirciò in loro direzione e si soffermò su Hunter: si era slacciato la cravatta e aveva persino ripiegato i risvolti della giacca e della camicia con una trasandatezza che Brittany non gli avrebbe mai associato. Si era chinato verso Kitty, ma non sembrava né preoccupato né arrabbiato. Ma neppure felice come sarebbe dovuto essere, se si fosse trattato di un momento privato, tanto che Brittany era arrossita ed era parsa a disagio all’idea di interrompere una conversazione tra innamorati.
Cercò di concentrarsi sul cielo stellato, le braccia dietro la schiena: le parve di sentire uno scalpiccio di passi e la porta che dava sul cortile esterno fu sbattutaEbbe la tentazione di voltarsi nuovamente per accertarsi di ciò che stava accadendo: lo fece solo dopo qualche istante, quando scorse Hunter, girato di spalle, ancora appoggiato alla balaustra. Evidentemente Kitty era rientrata furiosamente, ma lui non sembrava avere intenzione di seguirla.
Il suo senso di colpa sembrò persino farsi più scalpitante all'idea che il cattivo umore di Hunter, influenzato da lei, avesse intaccato anche la sua relazione con Kitty.
“Puoi venire fuori”, lo sentì dire. Il tono composto e calmo ma Brittany trasalì e arrossì furiosamente: si morsicò il labbro, ma prese finalmente risoluzione a staccarsi dalla parete e avvicinarsi, lasciandosi scorgere nuovamente. Non si era neppure voltato, Hunter, ma salì i gradini che la separavano dal portico, le mani strette nervosamente in grembo e lo sguardo azzurro che lo scrutava di sottecchi.
“Non stavo spiando!”, esclamò goffamente, le mani sollevate e le guance imporporate. Solo allora Hunter si volse ad osservarla: le sopracciglia inarcate. “Cioè, volevo solo aspettare che lei andasse via”, aveva specificato, Brittany, quasi la silenziosa postura dell’altro denotasse poca convinzione. “Ok, un pochino”, concesse infine e Hunter roteò appena gli occhi, con aria impaziente.
“Che c’è, Pierce?”, le chiese, infine, in tono spiccio e Brittany si morse il labbro nuovamente. Avrebbe tanto voluto poter sentirsi sicura di sé e sapere che ciò che stava per dire non era puerile o fuori luogo. Le parole di Neal ancora le risuonavano nella mente e l’idea di averlo intristito, le procurava una contrazione dolorosa all’altezza del petto. Sospirò e cercò di raccogliere il proprio coraggio, mentre il silenzio indugiava tra loro prepotentemente.
“Io…”, il ragazzo si era staccato dalla balaustra, si era avvicinato e Brittany sentì la sua determinazione vacillare pericolosamente.
“Per favore, Pierce, non ho voglia di-”.
Era stato un gesto spontaneo e la mano della ragazza si era stretta al braccio la cui mano era conficcata svogliatamente nella tasca del pantalone. Sembrò trattenerlo, il mento sollevato e lo sguardo azzurro colmo di dispiacere e di reale pentimento.
La scrutò ancora più curiosamente, Hunter, la cui frase si perse nel silenzio ma attese.
Brittany seppe per istinto che, se anche lo avesse lasciato, non si sarebbe allontanato. Non fin quando almeno fosse riuscita a parlargli, pentendosi ancora una volta della sua poca dimestichezza nel trovare le giuste parole.
“Avevi ragione”, aveva sussurrato la ragazza, morsicandosi il labbro. “Questo posto non è adatto a me e sono stata un po’-”.
“Puerile?”, le chiese il ragazzo che parve ritrovare quel sorriso appena più divertito, il viso inclinato di un lato nello scrutarla dall’alto al basso.
Sospirò, Brittany: non le stava rendendo affatto tutto più semplice, ma non distolse lo sguardo e non si accigliò. Annuì, guardandolo ancora dritto negli occhi che non parvero baluginare in modo canzonatorio e neppure severo: probabilmente era la prima volta che potevano avere un reale dialogo e giungere ad un punto di reciproca comprensione. Senza pregiudizi e senza ostilità.
“Sì”, aveva ammesso e quel nodo che sentiva in gola sembrò lentamente affievolirsi. “Ma non voglio andarmene, non subito, anche se può sembrarti sciocco o inutile. Lo so che mia madre e Neal saranno felici comunque, ma forse lo sto facendo anche per me”.
L’aveva scrutata pensieroso, Hunter, il viso inclinato di un lato. “Ne sei davvero convinta?”, le aveva chiesto e sembrava aver perso quel guizzo di puro divertimento. Appariva realmente interessato ad una sua risposta. “Non credo di averti mai vista veramente felice qui dentro”.
Sentì uno strano brivido scivolarle lungo la spina dorsale, Brittany: non seppe esattamente cosa fosse. Se la realizzazione che lui l’avesse scrutata così a lungo e intensamente da poter formulare un giudizio che pareva tutt’altro che improvvisato, o il fatto che quelle parole rispecchiassero fin troppo la sua realtà e che nessun altro sembrava scorgere.
“Potrei esserlo”, aveva sussurrato, la voce più flebile nel continuare a sondare in quegli occhi verdi: si sorprese di non aver mai realizzato quanto fossero intensi. O quanto, in una reale conversazione, anziché agitarla e renderla furiosa, riuscissero persino a placarla. La sua natura così mite e composta poteva bilanciarsi alla sua più impulsiva e diretta. “… se sapessi che puoi cercare di capirmi e che mi dispiace per quello che ti ho detto prima”.
Dovette distogliere lo sguardo, la voce parve più flebile e il respiro più rado, ma sapeva che non sarebbe riuscita a trovare riposo, non finché non si fosse assicurata che lui non era più in collera. O ferito.
Sentiva il suo sguardo su di sé ma, infine, il ragazzo le sollevò lievemente il mento e Brittany trattenne il fiato. Indugiò in quella silenziosa contemplazione ma, dopo un lungo istante, annuì. La trattenne ancora un istante con quella lieve pressione.
“Se è questo che vuoi: conoscere meglio te stessa e metterti alla prova, non potrei mai giudicarlo sciocco o inutile”, aveva scostato la mano, il viso inclinato maggiormente di un lato. Lentamente le labbra si modellarono in un sorriso che fece istintivamente rilassare anche Brittany.
“Scuse accettate”.
“Bene”, sorrise la ragazza che rilasciò il respiro. Solo in quel momento sembrò accorgersi di starlo ancora trattenendo: scostò la mano dal suo braccio.
Un gesto che parve divertire il ragazzo. “Bene”, replicò a sua volta, una rapida inarcata di sopracciglia con la quale parve sfidarla a stizzirsi nuovamente.
Parve intuirlo, Brittany, perché arricciò appena il naso. “Bene”, rimarcò ulteriormente prima di scuotere il capo e schiarirsi la gola. “Capitano, Clarington, con il suo permesso, prendo congedo e le auguro buonanotte”, aveva assunto un tono ironicamente formale.
Vi era un sorriso ad incresparle le labbra nel voltarsi e lasciar ondeggiare la vaporosa gonna che il ragazzo osservò. Parve quasi ipnotizzato da quella piroetta e dal modo in cui i suoi capelli avevano schermato l’aria.
Si era chinato sulla sua nuca. “Buonanotte”, le aveva sussurrato, un reale sorriso nella voce, ma Brittany era rabbrividita al sentire il suo respiro caldo. Fu lieta che non potesse scorgere il rossore sul suo viso.
“Oh, Pierce”, si era voltata, la mano adagiata alla portafinestra, ma il ragazzo stava di nuovo appoggiato alla balaustra, l’aria indolente nell’osservarla di sottecchi. “Credo che da stasera riterrò sciocco costringerti ad indossare una divisa”.
Aveva boccheggiato la ragazza, gli occhi sgranati e le guance rosate ma il ragazzo si era nuovamente voltato verso il cielo e la conversazione poteva ritenersi conclusa.
Brittany era rientrata con la testa tra le nuvole, quasi ondeggiando con le mani dietro la schiena nel percorrere quei familiari corridoi ma sentendosi sospesa in tutt’altra dimensione.
Si adagiò alla porta della propria camera, dopo averla chiusa, un sospiro a sgorgarle dalle labbra. Miagolò in sua direzione, Lord Tubbington. Brittany piroettò su se stessa prima di stendersi, sommergendo il felino sotto il tulle della gonna.
Allungò la mano verso il comodino e trasse il libro tra le mani: lo sguardo indugiò sulle righe che aveva letto quel pomeriggio, prima di iniziare i preparativi della serata.
rumorosamente.

[…] Erano le parole che Belle probabilmente avrebbe voluto lasciar sgorgare molto prima, a giudicare dal modo in cui, finalmente, il maleficio sembrasse essersi affievolito. Ben lungi dal cogliere nuovamente i lineamenti più rigidi della Bestia, a testimonianza di un cuore che aveva ritenuto anch’esso prigioniero e inciso nella pietra; una nuova dolcezza ne aveva fatto risplendere lo sguardo. Ed era la dolce consapevolezza che, nei loro cuori, entrambi avevano anelato a quella reciproca comprensione e ad un nuovo inizio che rendesse tutto molto più etereo; le pagine di una favola che Belle ancora non aveva sfogliato, ma che avrebbe vissuto da quel momento in poi. […]

Mentre la tua corona da principe si rompe e cade,
il tuo castello è desolato e freddo.
Sei così lontano dalla persona che eri,
lasciati andare, lasciati andare,
perché ora tutti lo sappiamo.
(The Frog Prince – Keane).


To be continued...


1 Forse non dovrei scrivere commenti o potrebbe uscirne uno un po' #porNolan(o). Diciamo che personalmente apprezzo molto il taglio di capelli di Nolan, quando sono sollevati, ma riconosco che possano essere un bersaglio semplice per Puck. Bene, continuiamo :)
2 Se non erro, e in tal caso chiedo venia, i fratelli Grimm non avevano mai specificato il nome della Bestia, ma nella versione disneyiana, il nome è per l'appunto Adam. Magari già lo sapevate, io personalmente l'ho scoperto molto di recente :D
3 Chiedo scusa in presenza di eventuali fan Jarley ma se riuscite a tollerare una crackship quale l'Huntany, dubito che questa risulti più “scandalosa” ;)
4 La canzone di cui inserirò qualche verso è “The Frog Prince” dei Keane. Pur non essendo il brano più romantico, l’ho sempre trovato molto suggestivo e il testo credo si adatti perfettamente alla continua metafora tra mondo reale e fiabesco della fanfiction.
5 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale, cliccare qui: The Frog Prince - Album Version and lyrics
Se apprezzate il gruppo o siete particolarmente curiosi, vi consiglio anche questa performance dal vivo nella quale la voce di Tom e l'orchestra rendono il brano anche più suggestivo rispetto alla traccia del cd :) The Frog Prince (Live Version)


Personalmente uno dei miei capitoli preferiti almeno per il momento: spero che sia stato lo stesso anche per voi :)
In fondo, nessuna fanfiction che voglia fare paralleli al mondo delle fiabe, può mancare di un ballo, no? :)
Prima che mi dimentichi, non so per quale arcano motivo sia scomparsa la nota relativa all'abito di Brittany e non vorrei litigare ulteriormente con il programma per la formazione dell'html.  Spero la mia descrizione sia stata sufficiente ad aiutarvi ad immaginarlo, altrimenti, ecco la versione "ufficiale": abito di Brittany.
E ora, guardando al futuro, qualche spoiler del prossimo capitolo:

Vorrei che noi tre diventassimo una famiglia a tutti gli effetti”.
Sono di buon umore, Pierce, se mi dirai cosa nascondi, punirò solo te e non l'intera camerata”.
Hai pianto”. “Sto bene”. “No, affatto”.
 

Come sempre, ringrazio le mie “unicorn girls” che mi deliziano sempre dei loro commenti ed impressioni e rendono questo momento ancora più sentito. Un abbraccione stritolante a tutte! :*
Grazie anche a chi legge, sempre disponibile in caso di chiarimenti o semplicemente un confronto.

Buon weekend a tutti e anche buon Novembre :)
Kiki87




















   
 
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