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Autore: TheSecretLifeOfDaydreams    01/11/2013    1 recensioni
"Avevo aspettato impazientemente quel giorno per tre lunghi anni.
Non mi ero mai innamorata, fino a quando, in una calda giornata di settembre, non incrociai il loro sguardo. Cosa poteva essere, se non amore? Le farfalle nello stomaco ogni volta che ridevano, le lacrime quando cantavano, le fitte al cuore quando mi rendevo conto che loro erano felici anche senza di me, mentre io non potevo fare a meno di loro. Amore platonico, se posso azzardarmi a chiamarlo così. E’ un sentimento strano quello che provo per loro, un sentimento non corrisposto, o almeno non allo stesso modo. Un sentimento che fa sentire indiscutibilmente incompleti, ma che, per la prima volta in vita mia, mi ha fatto sentire viva.
Avevo sperato così ardentemente che un giorno anche il mio desiderio si potesse avverare. E in quel momento, senza nemmeno rendermene conto, inconsciamente, ciò stava per accadere.
Il concerto. "
Dove tutto è cominciato, dove tutto è finito. L'amore di una ragazza e un sogno che finalmente si realizza.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il coraggio di sognare
 
                                                                                                                                                                      “state molto attenti con i vostri sogni, perché corrono il rischio di avverarsi.”
 
         
 Lunedì, 20 maggio 2013.
Apro gli occhi timidamente, ancora stordita dai sogni notturni, e un sorriso involontario mi stende le labbra secche. Sollevo una mano sopra il viso per stiracchiarmi e mi sposto dall’altra parte del letto, sorpresa e sollevata di trovare il materasso freddo sotto i piedi nudi. Ancora troppo stanca per alzarmi, sempre avvolta nelle coperte, mi sollevo un attimo sui gomiti e mi guardo intorno. Lo sguardo, intrappolato tra quattro pareti bianche, ansioso, si lancia veloce verso la finestra semiaperta di fronte a me. Un attimo di confusione mi raggiunge quando, dove pensavo ci fosse ad accogliermi il solito traffico periferico di Roma, mi si prospetta uno spettacolo del tutto diverso: antichi palazzi di un marroncino un po’ sbiadito caratterizzano la dolce stradina sottostante, gerani e primule colorate scendono come cascate dai piccoli terrazzini sbilenchi, si sente il rumore di una moto in lontananza, i pochi passanti svaniscono di fretta lasciando solo l’ombra allungata sul marciapiede,  qualche rondine esce dalle grondaie dei tetti cantando allegramente, mentre la pioggia sottile cade silenziosamente offuscandomi la vista e i pensieri.
Impossibile. Dove sono finite le auto rumorose? La strada che conosco così bene, la fermata dell’autobus? Il giardino tanto curato di casa mia? Roma, dove sta? Sembra quasi che durante la notte sia passato un vento magico che abbia cambiato tutto, lasciando dietro di sé una strana aria di tranquillità. Scuoto la testa e corro verso la finestra. Mi affaccio, e l’altezza a cui mi trovo mi dà un leggero capogiro. Mi pizzico con forza la guancia, per essere certa di essere sveglia. Niente. Mi riguardo intorno, finché di colpo, capisco.
Non mi trovo nella mia piccola stanza, in una villetta nella periferia di Roma, e tantomeno non mi aspetta nessuna esaustiva giornata di scuola. Sono in una stanza di albergo, comoda e accogliente, e la città in cui mi trovo, che fino a poco fa sembrava sprizzare serenità e pace da ogni dettaglio, non è altro che la città dove i sogni, l’amore, l’arte; sono divenuti realtà: Verona.
Non ho sognato nulla stanotte, difficile da credere, era tutto vero. I ricordi, che avevo tentato di affogare la sera prima, vengono a galla lentamente, sbiaditi anch’essi: prima i pianti, cinque voci inconfondibili mischiate a urla di gioia, coriandoli. Il paradiso, e poi una lama affilata di dolore lacerarmi con forza il petto. La vista poco nitida a causa delle lacrime, la luna alta nel cielo, un sorriso, la felicità.
Realizzo tutto, e la mia anima diventa gelida, come le lenzuola.
Poi , il vuoto più totale.
 
La sera prima.
Avevo aspettato impazientemente quel giorno per tre lunghi anni.
Non mi ero mai innamorata, fino a quando, in una calda giornata di settembre, non incrociai il loro sguardo. Cosa poteva essere, se non amore? Le farfalle nello stomaco ogni volta che ridevano, le lacrime quando cantavano, le fitte al cuore quando mi rendevo conto che loro erano felici anche senza di me, mentre io non potevo fare a meno di loro. Amore platonico, se posso azzardarmi a chiamarlo così. E’ un sentimento strano quello che provo per loro, un sentimento non corrisposto, o almeno non allo stesso modo. Un sentimento che fa sentire indiscutibilmente incompleti, ma che, per la prima volta in vita mia, mi ha fatto sentire viva.
Avevo sperato così ardentemente che un giorno anche il mio desiderio si potesse avverare. E in quel momento, senza nemmeno rendermene conto, inconsciamente, ciò stava per accadere.
Il concerto.
La folla sembrava non finire mai. Gente, gente fino a dove lo sguardo riusciva a vedere, se non oltre. Ragazzine di ogni età correvano in fermento da una parte all’altra sventolando cartelloni colorati, altre cantavano in coro, altre ancora, probabilmente quelle senza biglietto, piangevano.
L’eccitazione generale metteva una tale allegria, che Verona sembrava fosse stata trasformata in una di quelle città che vengono descritte solo nelle favole.
In qualche modo, non so come, tra spinte e calci, sono riuscita ad entrare nell’arena. La prima sensazione è stata quella dello stupore: il luogo che mi circondava, era assolutamente magico.
Un antico teatro in pietra, di forma circolare, leggermente allungato, anche se per lo spettacolo era stato usato solamente metà dello spazio disponibile. Si vedeva un campanile in lontananza, poi gli alberi, poi il cielo. E persone ovunque. Anche dai balconi più lontani, la gente si era affacciata per assistere a quell’evento straordinario, tanto aspettato. Le scalinate di marmo erano gremite di gente, e dal basso vidi che qualcuno mi stava salutando. Piano piano, si stava riempiendo. Per la prima volta, mi sono sentita davvero circondata da persone che potevano capirmi: le mie sorelle. Perché in fondo, siamo tutte accomunate dallo stesso sogno, noi directioners.
La seconda sensazione è stata una felicità talmente grande che il mio petto faceva fatica a contenere: forse è stato proprio quello, il momento più felice in assoluto. Non dico il migliore, ma il più felice. Perché tutto era concreto e palpabile, e tutto ancora da vivere, da assaporare.
Mano nella mano con la mia migliore amica, siamo sfrecciate a tutta velocità verso i nostri posti: prima fila.
 
Penso di essere stata la ragazza più fortunata della terra, e ringrazierò sempre il cielo per avermi dato questa possibilità unica.
 
Mancava poco più di un’ora, e in quel lasso di tempo mi sono chiusa completamente in me stessa. Volevo solamente che la mia ragione di vita si facesse vedere, e al più presto. Me ne stavo zitta al mio posto, lo stomaco stretto in una morsa, e riuscivo a malapena a respirare. Il cielo, da che era di un azzurro intenso poche ore prima, ora stava diventando di un blu sbiadito; e la forma bianca della luna iniziava a farsi vedere, mentre il sole dall’altra parte la salutava. Grande e arancione, si nascondeva dietro l’arena, illuminando il palco con una luce offuscata che passava attraverso gli archetti di pietra posti ai lati del nostro teatro.
Proprio in quell’istante, è partita una musica dal ritmo accattivante.
Intenta a fissare il tramonto, mi sono girata lentamente verso il palco.
Mi aspettavo un countdown, o almeno un segnale,  qualcosa che mi facesse preparare moralmente.
Invece, è successo con rapidità.
Tutto intorno a me ha iniziato a girare, forse finalmente dalla parte giusta.
Il caos era indescrivibile.
Chi urlava, chi piangeva, chi si strappava i capelli.
E poi chi, come me, era ancora immobile come una statua.
Congelata.
O infiammata?
Non lo so.
Era un sogno? No, non stavolta.
Era tutto vero.
Ho dovuto aspettare una buona manciata di minuti, il tempo di qualche canzone, per rendermene conto e per risvegliarmi dal mio sonno.
Ho chiuso gli occhi, e poi gli ho riaperti.
E, non ci crederete, ma il mio sogno era là, reale, a pochi metri da me.
Potevo sentirlo, vederlo, ascoltarlo. Lo respiravo, come fosse ossigeno.
Tutti e cinque: Zayn, Louis, Niall, Harry e Liam.
Quei cinque ragazzi che tempo prima mi avevano fatto conoscere cosa significa amare, ora erano davanti a me, bellissimi e sorridenti. Felici come non mai, saltavano da una parte all’altra del palco cantando con fervore indescrivibile, pieni di energia e voglia di vivere.
Ho cantato tutte le canzoni, sorriso ad ogni lacrima, urlato ogni volta che uno di loro si avvicinava.
Poi è successo qualcosa che non mi sarei mai aspettata, ma che desideravo con tutta me stessa.
Le note di una chitarra suonavano in sottofondo, dolci e malinconiche, cinque voci unite, chiare e meravigliose impregnavano l’aria.
 
If you’re pretending from the start
Like this, with a tight grip
Then my kiss can mend your broken heart
I might miss
Everything you said to me
And I can lend your broken parts
That might fit, like this
And I will give you all my heart
So we can start it all over again’
 
Ed ecco, che è successo.
Lui era davanti a me. Io non capivo più nulla, ero persa nei suoi occhi, così caldi, profondi, così vicini e così veri: gli occhi color nocciola più belli che possano esistere. Ero come un cieco quando vede per la prima volta il sole, estasiato, sconvolto.
E lui, ha ricambiato lo sguardo.
Mi ha guardata, mi ha indicata, mi ha sorriso. Oh, il suo sorriso. Una curva perfetta, incorniciata da due labbra rosse e carnose.
Un insieme di emozioni mi tormentavano l’animo, il cuore batteva talmente forte che il mio petto faceva fatica a contenerlo, la felicità mi faceva sentire sollevata da terra.
In quel momento mi sono sentita infinito.
Forse è durato solo un istante, forse qualche minuto, forse tutta la canzone, non ne ho idea. So solo che è stato l’istante più bello della mia vita.
Dopo è successo tutto troppo velocemente.
Lui è sceso dal palco, mi si è avvicinato.
La mia mano che cercava la sua, la sua che cercava la mia.
Poi un tocco caldo, una scossa forte al braccio, un brivido percorrermi la schiena.
Una mano stretta in un’altra. 
Ho fatto in tempo a rendermi conto di ciò che era appena successo, che lui era già sparito. Erano tutti spariti.
Tutte le Directioners erano sparite. Ci stavo solo io, l’arena vuota, i coriandoli, la luna alta nel cielo.
Il silenzio.
 
Sei mesi dopo.
Sono passati quasi sei mesi dal concerto. Mi ricordo pochissimo, la mia mente ha rimosso la gran parte dei ricordi di quella serata, quindi ho deciso di scrivere tutto ciò per non dimenticare quel poco che è ancora in mio possesso.
Non so perché, ma da quel giorno mi sono rifiutata di rivedere i video del concerto, di risentire le loro canzoni, le foto. Mi ero promessa di non pensarci mai più. Ho realizzato il mio sogno, ma ho anche capito che i sentimenti che provavo per loro erano sì bellissimi e sconvolgenti, ma fin troppo malsani. È davvero un bene soffrire così tanto per qualcuno? Dalla mia mente contorta, è arrivata la risposta.
Così sono cambiata.
La mia vita adesso va avanti banalmente, forse è anche troppo monotona da quando non ci sta più il pensiero fisso per loro, ma alla fine non posso far altro che accettare tutto ciò.
Ora non mi definisco una Directioner. Ho tolto i poster dalla stanza, le loro immagini dal pc, - le canzoni dall’iPod ancora no, perché non ho il coraggio -.
Ho provato a farli uscire dalla mia vita.
Ma so per certo che, dal profondo del mio cuore, non se ne andranno mai. 
  
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