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Autore: Jasmine98    01/11/2013    4 recensioni
-No Zayn…- la voce della donna, interruppe la mi scrittura, alzai la testa dal foglio per trovarmi la professoressa davanti –Non voglio che tu faccia questo tema…- la guardai stranito.
Che cosa voleva?
-Ma cosa…-
-E’ dispiaciuto a tutti quello che è successo e…- la voce le si fermò in gola. –Io… vorrei che tu mi scrivessi come ti senti-
Scriverle come mi sentivo?
Come sperava che io riuscissi a spiegarlo a parole?
-Non credo di esserne in grado- spiegai, allontanando il foglio dalla mia vista.
Non mi sarei mai aperto così tanto.
-Ti farebbe sentire meglio…- Cercò di convincermi e io non ci vidi più: Ero stanco delle occhiate piene di pena, degli sguardi di compassione, delle parole futili e dei “Vedrai che starai meglio”.
Ma cosa ne potevano sapere loro, eh?
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ero tornato a scuola per diventare la “Storia triste” sulle labbra di tutti.

Sbuffai, muovendo freneticamente la gamba, mentre Louis alla mia destra mi guardava preoccupato giocherellando con la matita sul banco.

-Puoi stare fermo? Mi stai facendo saltare i nervi- Ringhiai, facendolo fermare, ma subito dopo mi sentii in colpa per averlo trattato così. Mi schiarii la voce –Scusami Lou… è solo che…-

-Non ti preoccupare Zayn… è tutto apposto.- mi sorrise, interrompendomi.

Era tutto apposto per davvero? A me sembravano tutte stronzate. Era una stronzata la frase “Il tempo è la cura di ogni male”, una stronzata di dimensioni epiche.
Perché di tempo ne era passato, ma io avevo un buco al petto che mi stava divorando più di prima.

Cercai il viso di Liam nella classe e non mi stupii di trovarlo a guardarmi insieme a Niall a pochi banchi più avanti del mio. Dovevano smetterla di guardarmi, tutti quanti.

Avrei voluto vedere loro al mio posto. Strinsi senza accorgermene la matita di Louis, finchè non sentì il rumore di legno rotto.

-Quella era la mia matita però…- cercò di tirarmi su il morale e io lo guardai dispiaciuto.–Zayn, perché non vai a casa?–

Mi girai a guardarlo, senza dire una parola. Non potevo tornare a casa, non ancora. Avrei dovuto andare avanti giusto? “Ricomincia a vivere” mi aveva detto mia madre con le lacrime agli occhi qualche giorno prima ed io mi ero fatto un esame di coscienza.

Si può essere dipendenti così tanto da una persona da sentire mancarti la terra sotto i piedi senza di essa?

-Sto bene- Dissi “Sto bene” ripetei a me stesso –Sto bene…- Louis lanciò un occhiata incerta a Harry, ma prima che qualcun altro potesse aggiungere nulla, La professoressa di italiano entrò in classe zittendo tutti.

-Buongiorno ragazzi- sorrise, fredda come il ghiaccio –Spero che voi siate pronti per il tema… prendete carta e penna e scrivete la traccia…- lasciò vagare lo sguardo nell’aula, finchè non si fermò a guardarmi, stupita, ma scosse la testa ricominciando a parlare. –La traccia è: Il pensiero di Hobbes e i contemporanei…” buon lavoro.-

Da quant’è che non aprivo un libro? Da quando avevo smesso di vivere?

-No Zayn…- la voce della donna, interruppe la mi scrittura, alzai la testa dal foglio per trovarmi la professoressa davanti –Non voglio che tu faccia questo tema…- la guardai stranito.

Che cosa voleva?

-Ma cosa…-

-E’ dispiaciuto a tutti quello che è successo e…- la voce le si fermò in gola. –Io… vorrei che tu mi scrivessi come ti senti-

Scriverle come mi sentivo? Come sperava che io riuscissi a spiegarlo a parole?

-Non credo di esserne in grado- spiegai, allontanando il foglio dalla mia vista.

Non mi sarei mai aperto così tanto.

-Ti farebbe sentire meglio…- Cercò di convincermi e io non ci vidi più: Ero stanco delle occhiate piene di pena, degli sguardi di compassione, delle parole futili e dei “Vedrai che starai meglio”.

Ma cosa ne potevano sapere loro, eh?

-Lei non sa un cazzo di me, non sa cosa significa, non è la mia psicologa e non mi ha mai conosciuto. Non può costringermi a fare qualcosa che non voglio. Non le scriverò niente di quello che spera!-

Cosa sperava di ottenere?

Ma non mi mandò dalla preside, non mi sgridò, non disse nulla in realtà. Si allontanò e si sedette alla cattedra, senza degnarmi di uno sguardo.

E non so cosa mi spinse ad accettare la sfida che mi lanciò, fatto sta che l’accettai.





Scrivi come ti senti: 

“ Quando ero più piccolo, ero convinto di non voler bene a nessuno. E non perché io non sapessi provare emozioni, semplicemente perché non mi sentivo dipendente nemmeno dai miei genitori.
Non ridevo alle battute divertenti e non provavo compassione per i senza tetto.
Niente, impassibile come il ghiaccio.
Ghiaccio che assomigliava incredibilmente ai suoi occhi. Comunque. Sono cresciuto da solo: Genitori assenti e parenti invisibili. Ho imparato da solo ad andare in bici, ho imparato da solo a contare e a prendere l’autobus. Non c’erano i miei genitori al primo giorno di scuola e nemmeno ai miei saggi di calcio, non ho una foto di quando ho perso il primo dentino e nemmeno di quando ho preso la mia prima "A" a scuola.
La solitudine è sempre stata il mio punto fermo, forse l’unico, della vita. Per questo, crescendo, ho preferito mettere un muro tra me e le altre persone. Perché le persone fanno stare male, ti deludono e poi ti lasciano da solo. Così ho trascorso i miei anni da bambino, con la consapevolezza che uno è meglio di ventimila.

Se solo avessi saputo che una volta entrato al liceo la mia vita sarebbe cambiata in modo così radicale, probabilmente avrei cambiato qualcosa della mia vita.
Cosa di preciso, ancora non lo so.

Conobbi Liam il primo giorno. Aveva una storia così incredibilmente simile alla mia che sarebbe stato impossibile odiarci. Semplicemente perché capivo come si sentisse e lui capiva come mi sentissi io. Louis, Harry e Niall vennero da se’, quando cominciai a frequentare feste, e con loro, anche le prime ragazze e la popolarità.

Così nacque anche la mia nomea da “Stronzo”, eh si, lo so che in un tema “Stronzo” non si dovrebbe scrivere, ma io sto cercando di spiegare come mi sento, e “stronzo” è l’aggettivo che mi ha sempre descritto meglio. Ero quello che portava a letto le ragazze e il giorno dopo le lasciava solo con il ricordo di una bella scopata e tante lacrime, ero quello che nemmeno si ricordava il loro nome, ero quello “Bello e impossibile” che, nonostante sapessero come le avrebbe trattate, da brave arrampicatrici sociali non si facevano problemi a venirci a letto.
E tutto andava bene così. Avevo sesso, popolarità e buoni amici.

Ma c’era qualcosa, qualcosa che a ripensarci bene forse era l’amore che mi era sempre mancato da bambino, che sentivo il bisogno di avere, qualcosa che ci ho messo così tanto a capire che quasi me ne vergogno.

Tutto cambiò quando incontrai lei.

Era dicembre. Me lo ricordo perché è sempre stato il suo mese preferito.
Mi diceva che dicembre era il mese perfetto perché potevi stare a casa davanti al camino a guardare la neve che scendeva su Londra e rendeva tutto più dolce.

Abbiamo guardato la neve davanti al camino per bene quattrocento sessantacinque volte.

Era dicembre e faceva freddo, mi ricordo anche questo perché, quando la incontrai, indossava un adorabile cappello di lana color panna che le metteva in risalto gli occhi.

Era dicembre, faceva freddo e io ero in ritardo per la lezione di Italiano.
La sua, professoressa, quella in cui ha spiegato l’amore per Catullo, ma il perché mi ricordi questo particolare glielo spigherò dopo. Correvo per i corridoi della scuola, cercando di non farmi beccare dalla preside. Ero appena uscito dagli allenamenti di nuoto e l’allenatore mi aveva trattenuto dieci minuti di troppo.

-“Sei un campione”- mi aveva detto, dandomi una pacca sulla spalla -“La scuola conta su di te”-.

Già, un sacco di persone hanno sempre contato su di me.
Anche lei quella sera contava su di me, ma io l’ho delusa, l’ho delusa nella peggiore maniera possibile.

Ha mai notato quanto i pavimenti della nostra scuola siano scivolosi? Io l’ho scoperto quella mattina.
Perché, se il bidello non avesse passato così tanta cera, non sarei scivolato finendo addosso a una piccola figura, facendola cadere a terra.

–Ce la fai a guardare dove vai?- mi strillò contro, senza degnarmi di uno sguardo e cercando di tirarsi su, ma senza riuscirci.

–Scusami- le avevo detto, leggermente imbarazzato prima di sorpassarla e entrare nella sua aula. Non mi ero nemmeno fermato per aiutarla, nemmeno l’avevo guardata.

Niente. Ero solo corso per non prendere un'altra nota per i troppi ritardi.

Così mi ero seduto col fiatone nell’unico banco libero e vuoto dell’aula e avevo cercato di seguire la lezione come meglio potevo.
Le confesso che in realtà ho giocato al telefono tutto il tempo.
Non proprio tutto.
Ho dovuto smettere ad un certo punto.
Ho dovuto smettere perché avevano bussato alla porta e tutti si erano girati a guardare una ragazza che, con le guance rosse e il capello di lana, sorrise imbarazzata presentandosi.

–Emh… Sono Stonem, mi hanno trasferito…- le aveva detto, e lei, professoressa, tra tutti i banchi vuoti della classe, l’aveva fatta sedere proprio vicino a me.

Strano mostro il destino, non trova?

–Si sieda vicino a Malik la infondo e cerchi di non farsi incantare da quel bel visino… Benvenuta tra noi signorina Stonem.-

Quindi in un certo senso, è stato grazie a lei che la mia vita ha preso una piega inaspettata.

-Impossibile, sei lo stronzo che mi ha fatta cadere in corridoio senza nemmeno aiutarmi ?- mi guardò stupita, arrabbiata e divertita allo stesso tempo.
Tre emozioni su quel viso angelico che io mi persi a osservare per cinque secondi buoni.
Non avevo mai visto un viso così. Non era semplicemente Bello, era spettacolare: Naso dritto e ben proporzionato, labbra piene, zigomi alti e due, enormi, freddi, apatici e profondi occhi azzurro ghiaccio.

–Vedi la fortuna?- la presi in giro, riprendendomi e facendole spazio sul banco.- Comunque mi chiamo Zayn- Lei sembrò pensare se cambiare posto o meno, ma poi si arrese-Io sono Effy- chissà perché.

Già chissà perché.

Ma tutto sembrò andare avanti come prima: La solita routine insomma.
Dico “Sembra” perché non mi accorsi subito di svegliarmi la mattina con una strana voglia di vedere il viso di Effy.

Arrivavo in classe cinque minuti prima apposta per poter prenotare il posto accanto a lei, mi avvilivo quando per qualche strano motivo non si presentava a scuola e diventavo un'altra persona quando mi rivolgeva la parola.

Accanto a lei, fin da subito, lo Zayn “Cattivo” spariva per lasciare spazio allo “Zayn vero”.

–Allora ancora mi odi?- le chiedevo ogni giorno scherzando e lei scoppiava a ridere, illuminando la stanza, illuminando anche a me.

–Si- mi rispondeva sempre, mentendo anche a se stessa dopo un po’.

Mi sentii il ragazzo più felice della terra quando la baciai per la prima volta.

Non successe subito. Dovetti prima aspettare due mesi per poterle rivolgere una conversazione normale e dovetti subirmi anche le occhiate stranite dei miei amici. La nostra conversazione fu su Catullo. ( le avevo detto che avrei spiegato il perchè ricordo la sua lezione, no?)

–Tu credi che l’amore sia possessivo come lui?- il mio mondo si era fermato, quando Effy mi aveva parlato guardandomi seria e mi sforzai di trovare una risposta più convincente possibile.

–Credo che l’amore cambi da persona a persona. Credo che se si ama veramente si debba capire quando arrivi il momento di lasciare che l’altro percorri la sua via, comunque. Perciò no. L’amore per me non è possesso, è… libertà-

Dio, quanto sono vere queste parole ora.

–Perché me lo chiedi?- le domandai e lei sorrise enigmatica ma non mi rispose.

In realtà imparai a leggere i suoi silenzi dopo. Imparai a cogliere le storie dai suoi occhi e non dalla sua bocca.

Tutto in Effy Stonem parlava.


Era il 17 febbraio quando la baciai.

Diciassette, come le volte in cui il suo sorriso ha preso il posto delle lacrime sul suo viso per merito mio.

Il Febbraio me lo ricordo perché è stato l’inizio e la fine di tutto.

Era il 17 Febbraio e io stavo correndo nel parco di Londra, quello davanti a casa mia.
Lo stesso parco che poi divenne il nostro posto preferito.
Correvo con la musica alle orecchie e mi stupì di trovarmi a pensare a lei in ogni momento.
Avevo deciso di non percorrere la strada solita, quindi invece di andare dritto, avevo girato a destra al bivio. Avrei allungato la corsa, ma qualcosa mi diceva che oggi dovevo fare così.
E, esattamente cento metri dopo, trovai Effy, seduta su una delle tante panchine del parco a leggere un libro in santa pace.

Ancora oggi sono convinto che se Dio esiste, ha sempre voluto che le cose andassero come sono andate.

-Ma non mi dire… sei bella, intelligente e ti piace anche leggere?- le miei parole la fecero sobbalzare, si portò una mano al petto e mi fulminò con lo sguardo.

–Ma non mi dire, sai anche fare una frase di senso compiuto?- mi scimmiottò, spostandosi però leggermente per farmi spazio sulla panchina.
–Come fai a correre se fumi così tanto?- mi chiese, seria, chiudendo il libro e poggiandoselo sulle gambe. –Non lo sai che il fumo uccide?- io alzai le spalle, prendendo il commento alla leggera.

L’amore uccide, non il fumo. L’amore uccide perché è imprevedibile, uccide perché riesce a farti sentire un dio e una merda in un secondo.

-Non mi interessa.- dissi, voltandomi a guardarla. –Ora ho un'altra cosa a cui pensare- lei corrugò la fronte con un espressione così tenera che nemmeno risposi alla sua domanda “Che cosa”, ma la baciai senza darle il tempo di parlare.

Dovevo, volevo, sognavo di toccare quella labbra. Ed erano proprio come mi aspettavo.
Erano rosee, morbide e delicate.
Erano la pace e l’inferno, erano il giorno e la notte, erano felicità.

Tutto il resto, tutto quello che successe dopo il bacio è abbastanza semplice da capire.

Ufficializzammo il tutto circa un mese dopo. Con lo stupore, la felicità e la delusione della gente.
Lo stupore, era dei miei genitori che quando la videro per la prima volta cominciarono a credere che io valessi qualcosa di più.
La felicità era dei miei amici, che non vedevano che tutto ciò succedesse –Finalmente!- Harry le sorrise, abbracciandola e Effy scoppiò a ridere.
E la delusione erano di tutte le ragazze che, volenti o nolenti, cominciarono ad odiarla, perché le aveva private di qualcosa che non avrebbero mai potuto avere: Me.

Fu la volta in cui la passai a prendere con la moto a casa, che Niall mi fece capire di essere cambiato.

Ero appena sceso, togliendole il casco e baciandola dolcemente sulle labbra piene.
Quella mattina era così bella che avrei voluto tenerla a casa con me per non farla vedere a nessuno.
Poi lei mi aveva salutato abbracciandomi e dicendomi di dover scappare per non arrivare in ritardo al compito di italiano e io avevo annuito sorridendo e mi ero beato del suo profumo di lavanda

–E’ il mio balsamo.- mi aveva spiegato, poi, qualche settimana, quando le accarezzavo i capelli, sdraiati sotto la grande quercia del parco, e mentre lei mi accarezzava il petto.

Non so se riuscì a sentire i battiti del mio cuore quella volta, ricordo solo che battevano a una velocità che non avevo mai pensato di poter sopportare.


-L’hai portata in moto?- Niall mi aveva bloccato, guardandomi con uno strano sorriso stampato in faccia

– E allora?- avevo alzato un sopracciglio stranito.

–Niente…dico solo che in moto non hai portato mai nemmeno noi…- e poi se ne era andato, così com’era arrivato.

Io, dal canto mio, mi ero fermato in mezzo al cortile confuso. Certo che li avevo portati in giro in moto! O forse no?

E’ stato là. In quei cinque secondi in cui mi sono fermato, che ho capito di essere cambiato.
Cambiato in senso positivo, s’intende.
E non mi ero mai sentito così felice in tutta la mia vita.

Svegliarsi con il sorriso, addormentarsi con il sorriso, nuotare con il sorriso e perfino prendere quattro con il sorriso.

Era quel tipo di relazione che si vede solo nei film, quella che tutti dicono che non esista.
Beh, io la stavo vivendo nel miglior modo possibile.

E credevo che sarebbe durato tutto per sempre, ma se fosse davvero stato così, ora non mi troverei con mille parole da scrivere davanti a un foglio di carta che probabilmente tra qualche anno sarà solo una delle tante scartoffie gettate nei cassonetti di una qualche discarica.
Ecco cosa sono destinate a diventare le mie emozioni: immondizia.
Ed ecco perché le ho sempre ripudiate, le emozioni dico, perché diventare spazzatura è illegale.

Vuole sapere cosa provai quando facemmo l’amore per la prima volta?
Mi sentii un uomo.
Un uomo per davvero. Non un uomo come quelli che si vedono in tv, tutti palestrati e con mille tatuaggi.
Perché un uomo per me è quello che non ha paura di urlare al cielo di amare la propria donna. ( cosa che feci, per ben ventiquattro volte), un uomo è quello che darebbe la vita per chi ama.
E io, io l’avrei fatto davvero.

Lo giuro.

Ora darei qualunque cosa per riaverla qui vicino a me.

Per esempio mi direbbe che non so scrivere e mi sgriderebbe, ridendo e poi baciandomi.
Prima mi tirerebbe dolcemente i capelli e poi sussurrerebbe che mi ama.

L’amore è passione, l’amore è ossessione, l’amore è buttarsi a capofitto e annegarci dentro.
L’amore è incubo e gioia.

Il mio amore per lei era Perfezione.
Perfezione con la “P” maiuscola.

E io con il tempo imparai ad amare ogni suo piccolo difetto. Tendeva a legarsi i capelli troppo spesso, si mordeva le unghie quando era nervosa e cercava sempre il mio sguardo quando si sentiva in imbarazzo.

Cercava il mio sguardo come io cercavo il suo.

Era il mio porto sicuro.

Guardavo lei e tutta la rabbia, la preoccupazione, la sofferenza annegava in quei suoi occhi azzurro cielo.

Una volta mi disse che i nostri figli avrebbero avuto il mio sorriso e i suoi occhi. Mi sarebbe piaciuto per davvero fare dei figli con lei.

E vaffanculo se eravamo piccoli, poco esperti o immaturi.

Mi aveva detto “TI amo” quel giorno e poi avevamo fatto l’amore sul mio letto, che ormai profumava di lavanda come lei.


Ma le cose belle sono tali perché durano poco.

Lei lo sapeva professoressa? Io l’ho scoperto a mie spese.

Successe Esattamente tre anni dopo. A Febbraio. Il 23 di preciso.

Se non sa com’è andata la storia prenda un qualunque giornale di quest’anno.
Lo leggerà scritto a lettere cubitali.

“Ragazza suicida si butta da un ponte” .

Si è uccisa. Si è uccisa perché il padre, lo stesso mostro che l’aveva abbandonata per diciassette anni, era tornato solo per vomitarle addosso tutta la sua frustrazione.
Mi raccontava di quando le diceva che la madre se ne era andata per colpa di sua, che lui aveva perso il lavoro per colpa sua, che tutto ciò che di male era a loro successo era per colpa sua.

E lei si suicidò lo stesso giorno in cui io non risposi alla sua chiamata perché ero a bere insieme ai miei amici.

Non avevo risposto perché il telefono era in macchina.
Non avevo risposto e lei si era uccisa.
Non avevo risposto e la mia vita era finita insieme alla sua.

Mi ha chiesto come mi sento.
Mi sento come uno che ha pensato di buttarsi dallo stesso ponte per trenta volte.

Trenta. Come i nei sulla pelle lattea di Effy.

Vuole sapere cosa si prova a sentire le vertigini tutto il giorno?
Vuole sapere come ci si sente a sapere che, se magari quella sera avessi risposto, l’amore della tua vita ora sarebbe qui accanto a te?

Ci si sente proprio una merda.

Come quando ti accorgi che tutto quello per cui hai sempre lottato in realtà è solo una stupida illusione.

Vuoto, vuoto come la voragine che mi solca il petto da tre mesi.

E dio, nemmeno l’ho salutata.

Non ricordo il nostro ultimo bacio è quello che mi tortura.
Non ricordo l’ultima volta che le ho detto ti amo.

E l’avrei dovuto fare tante volte di più
avrei dovuto dirle ti amo ogni giorno,
ad ogni ora,
ogni momento,
ogni secondo.

E sento che lei è quei con me, seduta alla mia destra, lo stesso posto in cui ora Louis cerca di non far notare la compassione che prova per me.

Ma nessuno capisce. Nessuno capisce come mi sento io. Come potrebbero? Loro non hanno conosciuto Effy come me.
Effy a loro non ha cambiato la vita, a me si.

E tra tutti, proprio come lei ha scelto il banco, proprio come quel giorno ho cambiato strada, tra tutti, il destino ha deciso di far soffrire me.

Non Harry, Non Niall, non Liam, me.

E dio, l’amavo così tanto che non credo di riuscire a respirare senza di lei.
Non posso respirare.
I colori non esistono, ne esistono le stagioni.
Esiste solo il nulla. Nulla, esattamente come me.
Non sono un uomo. Non più, non posso esserlo senza di lei.
Niente esiste senza di lei.

Vorrei potermi svegliare da questo incubo che sembra non volermi abbandonare, ma è impossibile cambiare la realtà.

Non avrei mai dovuto credere nelle favole, ne che la felicità possa durare in eterno.

L’unica cosa che avrei dovuto fare era rispondere a quel telefono.

“Ci sono Quattro chiamate perse” . Il problema è che non avevo perso solo quattro chiamate, avevo perso molto di più.
Me ne ero reso conto quando Effy non rispose più.

-Mi dispiace- mi aveva detto con uno sguardo impregnato di dolore il dottore.

Quello sguardo mi perseguita da mesi e non credo che riuscirò mai a dimenticarmi uno sguardo del genere. Certe cose non si dimenticano, mai.

Se potessi rivederla un ultima volta, la bacerei fino a farle venire il mal di labbra.
Le accarezzerei i capelli biondi e la stringerei a me.
Le accarezzerei i fianchi, quasi come a volerle contare le vertebre.
Le sussurrerei all’orecchio che l’amo e che non amerò mai nessuno come lei. La tratterei come un vaso fragile che temi possa cadere da un momento all’altro,
poggerei l’orecchio al suo seno per poter contare i suoi battiti, solo per accorgermi che hanno sempre battuto in sincronia con i miei e ci farei l’amore, ancora, ancora e ancora.
Solo per potermi beare un ultima volta dei suoi sospiri.

E cazzo, ci sono tante cose nella vita che non capisco. S’incontra una persona così dal nulla e quella ti cambia la vita, per sempre. Effy è stato tutto ciò di più bello che mi sia mai capitato e che mai mi capiterà.

Saremmo andati al college, lei avrebbe preso medicina, avremmo viaggiato, poi le avrei chiesto di sposarmi, avremmo fatto due bambini e avremmo litigato, avremmo fatto pace, avremmo fatto tante di quelle cose…

Perciò mi sento così. Come uno a quei improvvisamente è stato tolto il sole.
Come un pesce fuor d’acqua che deve imparare a respirare da solo.

Solo. Vede come si ripete nella mia vita questo termine?

Sarà che le persone che nascono sole, sono destinate a stare sole per sempre, non crede?



Zayn Malik."
  
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