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Autore: Hisfreckles    01/11/2013    4 recensioni
Una notte fredda e più buia del solito, una ragazza
che ha perso tutte le speranze e un ragazzo pronto ad aiutarla,
ci riuscirà o sarà troppo tardi?
[Modern!AU] [Everlark]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Continuo a rigirarmi nel letto nell’inutile tentativo di interrompere i pensieri che mi affollano la mente, assordanti e fastidiosi. Prim è crollata subito dopo essersi rimessa a letto, fortunatamente troppo stanca per fare domande. Perché ne ero certa: Prim avrebbe fatto domande, domande a cui non avrei saputo, potuto, rispondere, non senza farla preoccupare. Un altro problema sarebbe stato trovare al più presto un nuovo lavoro … o fare la spesa nei prossimi giorni. Avremmo dovuto stringe i denti per un po’. Lo so, è inutile stare a rimarginarci su, ma non riesco a spegnere il cervello.
«Le cose non si sistemeranno da sole, tanto vale rimboccarsi le maniche e trovare qualcosa per cui andare avanti.»
Le sue parole rimbombano nel silenzio della casa. Mi giro sull’altro fianco con uno sbuffo spazientito. La figura di Prim, nell’oscurità, è appena visibile, le coperte che si alzano e si abbassano a ritmo del suo respiro profondo e regolare. Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi mentre il rumore della pioggia lentamente mi culla in un sonno profondo.
 
«Katniss! Katniss!»
Prim mi scuote una spalla e ripete il mio nome con insistenza. Voglio che la smetta, che mi lasci dormire, glielo dico, ma tutto quello che esce dalla mia bocca è un mugolio incomprensibile.
«Katniss, è tardi svegliati!» continua imperterrita. Spalanco gli occhi a quelle parole mentre mi alzo a sedere, all’improvviso completamente sveglia. I miei muscoli si rilassano quando mi rendo conto che è inutile agitarsi, non ho piani per il giorno. Mi libero dalle coperte pesanti e poggio i piedi per terra, anche se sono coperti da uno spesso paio di calzini riesco comunque a sentire il pavimento freddo sotto di essi. Il nostro appartamento è quello che è: niente riscaldamento, niente acqua calda - se a meno che non la si riscaldi -, una cucina/soggiorno non molto grande e due stanze da letto, una che condivido con mia sorella, l’altra occupata da nostra madre e dal fantasma di nostro padre. Nessuno si lamenta però, abbiamo visto situazioni molto peggiori.
Entro in cucina dove Prim, già pronta per la uscire, sta prendendo il pranzo che consumerà a scuola. Allungo una mano verso il cesto di frutta che è al centro del piccolo tavolo rotondo e prendo una mela, prima di appoggiarmi al ripiano della cucina.
«Ho la giornata libera» la informo. Addento la mela e la mastico con calma «Vuoi che ti accompagni a scuola? »
Si ferma e si gira per guardami, il sorriso sulla labbra.
«No grazie, Rory mi da un passaggio»
Annuisco leggermente. Rory è il fratello di Gale, lui e Prim hanno la stessa età e frequentano la stessa scuola, la stessa che abbiamo frequentato io e Gale.
Finisce di incartare il suo panino mentre io butto quello che rimane della mela, e prepariamo insieme la colazione: tè per me e mia madre, latte per lei. Una volta finito, Prim va a svegliare nostra madre e la accompagna in soggiorno, dove di solito mangiamo. So che la malattia non dipende da lei, ci sono periodi in cui sembra stare bene: mangia, si occupa della casa, cerca persino di trovare lavoro. Poi, all’improvviso, torna al suo stato catatonico lasciando a me il dovere di portare avanti la famiglia.
«Oggi a scuola iniziano i provini per il musical scolastico» dice Prim per spezzare il silenzio, appena prima di portare alla bocca un altro cucchiaio di cereali, «Io e Rory pensavamo di presentarci»
«Sarebbe una splendida idea, Prim» rispondo, genuinamente entusiasta. Prim alza lo sguardo e regala sia a me sia a nostra madre un sorriso felice, di quelli che non mancano mai sul suo volto.
Riprendiamo a mangiare in silenzio, il ticchettio dei cucchiaini contro la ceramica, l’unico rumore, fin quando il suono del campanello non ci interrompe. Sicuramente sarà Rory. Mi alzo per andare ad aprire intanto che Prim va a prendere il suo zaino.
«Ehi Rory, Prim arriva subito!» lo saluto una volta aperta la porta.
Mi ricorda tanto Gale alla sua età, è impressionante come si assomiglino: gli stessi occhi grigi, gli stessi capelli scuri, l’unica cosa che li distingue sono le piccole lentiggini che gli ricoprono il naso.
Io e Prim non siamo così simili, lei, con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri è la fotocopia di mia madre, io invece ho i capelli corvini e la pelle olivastra, proprio come mio padre.
«Katniss!» replica lui «Gale mi ha chiesto di dirti che ti sta aspettando giù» continua dopo un attimo. Come ogni volta che ha un giorno libero, Gale mi aspetta per andare in città insieme. Faccio appena in tempo a ringraziarlo per avermelo riferito, che Prim fa il suo arrivo.
«Aspetta un secondo, Prim» fa come le dico, incuriosita, mentre io rientro in camera dove la giacca è ancora abbandonata sulla sedia della scrivania dove l’ho lasciata il giorno prima. Prendo il fagottino nascosto nella tasca e glielo porto. La sua espressione è a metà tra lo stupore e la curiosità.
«Se ti viene fame prima del provino» le spiego, il sorriso intrecciato a ogni parola, mentre con quel piccolo regalo le auguro buona fortuna. Torniamo alla porta, Rory ci sta aspettando poggiato alla parete del pianerottolo.
«Fai la brava» mi raccomando. Prim sorride, «Anche tu» dice prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Torno nella mia stanza quasi di corsa, infilo una maglia nera, dei pantaloni comodi e gli stivali di pelle, subito dopo aver legato i capelli in una treccia. Mia madre è ancora in soggiorno, gli occhi bassi mentre lavora a maglia. Continuo a pensare che non le devo nulla ma le parole escono dalla mia bocca prima che possa ripensarci.
«Mamma, esco con Gale»
Lei alza gli occhi, un sorriso assente si forma sul viso stanco nel momento in cui annuisce leggermente e mi augura buon divertimento.
Esco, percorro velocemente il pianerottolo spoglio, e scendo le scale fino al portone fatiscente. Gale mi sta aspettando seduto sulle scale, gli avambracci poggiati sulle ginocchia, il capo chino e lo sguardo fisso sulle sue mani. Mi avvicino a lui senza fare rumore e mi lascio cadere pesantemente sullo stesso scalino su cui è seduto.
«Catnip» dice a mo’ di saluto. Il mio viso si rilassa e lascia spazio a un sorriso sincero. Gale mi chiama così fin da quando erano bambini e non sapevo pronunciare bene il suo nome.
«Gale» rispondo a mia volta , scuotendo la testa rassegnata al fatto che non mi chiamerà mai con il mio vero nome.  
«Ti va una passeggiata nei boschi?» gli chiedo «Ho bisogno di un po’ d’aria»
Sento il suo sguardo indugiare sul mio volto ma faccio finta di nulla.
«Niente lavoro?»
Mi alzo con un secco «No», questa volta riesco a vedere chiaramente la sua espressione poco convinta.
 «Allora, vieni o resti lì?»
Imbocchiamo la strada che ci avrebbe condotto nei boschi, parlando di cose di poca importanza.
I boschi di cui mi riferivo si trovano a qualche miglia di distanza dalla periferia della città in cui abitiamo. Ci avevo fatto numerose gite con mio padre. E’ un posto tranquillo, ignorato dalla maggior parte dei cittadini, che probabilmente vedono quel luogo come un pericolo e sicuramente avrebbero preferito vederci costruiti dei bei grattacieli. Ma loro non capiscono la bellezza di quel luogo: il sole che filtra tra gli alberi, il lago che si scorge in lontananza e il silenzio interrotto unicamente dal canto degli uccelli e dal fruscio delle foglie. Era l’unico posto in cui riuscivo a sentirmi libera, l’unico posto in cui riuscivo ancora a sentire la presenza di mio padre. Avevo mostrato il bosco a Gale qualche anno fa ed era diventata un’abitudine andarci ogni qualvolta avesse un po’ di tempo.
Il posto esatto in cui mi portava mio padre è abbastanza lontano da casa, dobbiamo attraversare tutto il quartiere e poi camminare per qualche altro miglio prima di arrivare.
Scavalchiamo lo steccato che separa l’inizio della pineta dall’interstatale deserta e ci inoltriamo tra gli alberi, in silenzio, i piedi che scivolano leggermente sullo strato superficiale di fango. Respiro profondamente l’odore fresco della terra bagnata, avevo dimenticato avesse piovuto quella notte.
«Te l’ha detto Prim?» nella sua voce si cela malamente una risata, il viso ancora sorridente quando si gira per guardarmi.
«Si» sbuffo una risata poco convinta, immaginando Prim e Rory alle prese con prove e costumi, anche se in fondo so che sarebbero bravissimi. Prim ha sempre amato il teatro e l’anno scorso ha convinto Rory a entrare nel club con lei. Io e Gale, anche se ci portiamo due anni, non ci siamo mai immersi così tanto nella scuola, anzi meno rimanevamo tra quelle mura e meglio era, ma noi non siamo affatto come Rory e Prim. Loro sono socievoli e sempre circondati da persone, io e Gale eravamo schivi e circondati da poche persone e del tutto sbagliate, o almeno lo ero io. Sospiro. Fortunatamente ho lasciato il liceo tre anni fa.
«Non se la caveranno male» ammetto alla fine.
«No, Prim non se la caverà male, » obietta «ma Rory non sa cantare “tanti auguri a te”, figuriamoci un intero musical!»
Continuiamo a camminare lungo il sentiero, inoltrandoci sempre di più tra gli alberi. So di essere più silenziosa di quanto non lo sia già di mio, e so che Gale se n’è accorto. Proprio in quel momento si ferma, pianta i piedi per terra e con una mano mi afferra un braccio facendomi girare verso di lui.
«Cos’hai? »
«Quell’imbecille della Jackson mi ha licenziato» sbotto. Non avevo intenzione di tenerglielo nascosto ancora per molto e non avevo intenzione di mentirgli, non ne sono neanche capace, lo avrebbe scoperto comunque.
«Cosa?»
«A quanto pare le cose vanno male e ‘dovevano sacrificare qualcuno’» scimmiotto la sua voce, seccata. Adocchio una roccia, al riparo di un vecchio albero che costeggia il sentiero, e mi ci siedo. Gale fa lo stesso, il suo braccio contro la mia spalla mi regala subito un po’ di piacevole calore.
La neve si è sciolta ma fa ancora molto freddo, mi stringo nella giacca a vento nascondendo le mani ghiacciate nelle tasche.
«Forse da Thom cercano ancora qualcuno …»
Gale me ne aveva parlato qualche settimana fa, dopo l’ennesimo straordinario non pagato. Continuava a ripetermi ogni santissima volta che non potevo farmi sfruttare così, che sarei dovuta andarmene e trovare un altro lavoro, ma io lasciavo correre perché davvero avevo bisogno di quel lavoro. Ora era l’unica cosa che potevo fare.
 «Dovrei chiedere» rifletto ad alta voce, con un cenno del capo.
«Non hanno fatto un annuncio pubblico e Thom continua a lamentarsi di tutto il lavoro che non dovrebbe fare, quindi credo che il posto sia ancora libero»  
Rido appena mentre un pensiero mi torna alla mente.
«Perché ridi?» mi domanda, il sorriso che ha contagiato il suo volto, anche se non ha idea del perché stia ridendo.
«Thom ce l’ha ancora con me?»
Si lascia sfuggire una risata, una volta capito dove voglio andare a parare. Ho perso il conto di tutte le volte che ho respinto Thom da quando eravamo al liceo, fino a quando non gli ho semplicemente detto che non m’interessava.
«Ancora piange tutte le sere» scherza lui.
Torniamo in città subito dopo. Anche se cerchiamo di accelerare il passo, ci mettiamo quasi un’ora ad arrivare davanti all’edificio -una di quelle classiche tavole calde un po’ trasandate: l’insegna al neon con il nome del locale ‘The Hob’ scritto a grandi lettere luminescenti, le vetrine da cui s’intravedono i divanetti di pelle e tutto il resto- nella parte est del quartiere, non troppo lontano da casa mia, ma neanche troppo lontano dal centro.
Io e Gale ci scambiamo un’occhiata prima di entrare.  Il suono del campanellino accompagna la porta guadagnando l’attenzione dei pochi presenti.
Il locale non è molto grande. Diversi divanetti con annessi tavolini si susseguono sulla destra e sulla sinistra della porta, dando direttamente sulla strada, di fronte, invece, numerosi sgabelli sono accostati ad un lungo bancone, dietro di esso una finestra si apre sulla cucina.
«Ehi Gale!» esclama Thom da uno dei tavoli, scrive un’ultima cosa sul suo taccuino e si avvicina a noi.
Scambia con Gale una di quelle strette di mano da ragazzi e mi saluta sorridente.
«Che cosa posso fare per voi?» chiede, mentre si sposta verso alcuni tavoli vicino la cucina, «Potete sedervi dove volete, arrivo subito.»
«In realtà volevamo parlare con Sae, è qui?» lo interrompo. Sae è la proprietaria del locale, io e Gale la conosciamo da quando eravamo bambini e ogni Martedì , il giorno in cui i nostri genitori ci davano qualche spicciolo, passavamo a comprare due piccoli muffin prima di andare a scuola.
Thom non fa domande, ma dalla sua espressione capisco che la cosa lo incuriosisce.
«Sae, vogliono te!» urla a gran voce. Una signora anziana si affaccia dalla cucina pulendosi le mani sul grembiule non più così bianco. Ci fa segno di seguirla sul retro.
«Di cosa avete bisogno, ragazzi?»
«Thom mi ha detto che state cercando un’altra cameriera» comincia Gale ma la donna lo interrompe immediatamente.
«Oh, Thom dice un sacco di cose, ragazzo. Siamo a posto così per adesso.» fa per andarsene. Non posso lasciarla che se ne vada senza neanche averci provato. Mi paro davanti a lei per impedire che se ne vada, poi parlo:
«Andiamo Sae, io ho bisogno di questo lavoro e tu hai bisogno di paio di mani in più per sbattere fuori Thom quando ricomincerà a lamentarsi, quindi ...
»
Sae sembra pensaci su un attimo, dapprima quasi incerta.
Sospira rassegnata, poi annuisce puntandomi il suo tozzo indice contro.
«Ti voglio qui domani mattina alle sei, se fai tardi, sei fuori» dice, poi se ne va piantando Gale e me lì. Non pensavo fosse così facile.
«Beh» comincia Gale «congratulazioni per il nuovo lavoro signorina Everdeen!»




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Salve gente!
eccomi tornata (per vostra sfortuna) con il terzo capitolo. In realtà ce l'avevo pronto da un po' ma ho continuato a modificarlo fino ad arrivare ad un risultato alquanto accettabile (spero).
Che ve ne pare?
Ho fatto qualche pasticcio con il correttore automatico quindi se c'è qualcosa che non ha nessun senso, (quasi sicuramente) non è colpa mia!
Se volete lasciare qualche recensione giuro che non vi mangio, anzi tutt'altro, soprattutto se avete cose brutte da dire uu
(...per favore fatemi sapere cosa ne pensate, i'm begging yooou)
PS. ringraziamo tutti la Je che mi ha dovuto sopportare e che mi dovrà sopportare per un altro bel po' se continuo di questo passo.
  
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