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Autore: Amelie 1693    02/11/2013    0 recensioni
Amélie e Peter: due quattordicenni. Sophie, la sorellina di Peter, che diventa la debolezza che li separerà per sempre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« La situazione non è delle migliori, Sophie continua ad isolarsi e a parlare raramente .»
Non si può fare nulla? Amélie avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma non ne ebbe il coraggio. Rimase sdraiata ad osservare quella pennellata di un celeste scuro che tanto detestava, spaventata da una risposta che sapeva, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare. In quell’istante sarebbe stata leale, avrebbe detto a Peter che era la cosa migliore da fare. Lo avrebbe incoraggiato a facilitare la scelta dei suoi genitori. Sapeva anche, però, che nell’esatto secondo successivo se ne sarebbe pentita e avrebbe cercato inutilmente di soffocare quel blocco che, nei momenti decisivi, le stritolava il respiro. Così, ogni volta che Peter ritornava sull’argomento, lei seguiva attentamente ogni parola e restava in silenzio, mentalmente calcolava i giorni che poteva ancora sfruttare per ridere fino ad avere il mal di pancia. Non alzava gli occhi da terra fino a quando non era sicura di poter sfoderare un volto perfettamente impassibile. Era la sua arma migliore. Qualche volta annuiva nella speranza che quei minuti potessero essere abbattuti più velocemente, ma nella maggior parte dei casi Peter sigillava di colpo la sua voce. Quasi come avesse capito tutto e volesse interrompere quella tortura silenziosa. Dopo circa un anno che si conoscevano, entrambi avevano imparato ad interpretare i silenzi dell’uno e dell’altra. Immaginavano mentalmente i pensieri, le riflessioni e le incertezze che percorrevano la testa fino ad arrivare alle punte dei capelli e alle mani. Le mani che molto spesso sostituiscono gli occhi, che con gli anni hanno imparato a mentire. Tese, morbide, tremolanti. Ogni paura si rifletteva nelle loro dita: allampanate di Peter, minute e delicate di Amélie.
Il vento le spingeva i riccioli nel vuoto e le accarezzava la pelle diafana, mentre lei cercava di lavare via ogni segno di turbamento dalle sue labbra. Le inumidì con la saliva. Abbassò lentamente le palpebre aspettando che Peter le chiedesse di sorridere. Perché faceva così ogni volta che lei si allontanava da lui, anche solo chiudendo gli occhi.

Attendeva il momento in cui avrebbe regalato a Peter un altro sorriso falso, che successivamente sarebbe stato invitato ad entrare nel cassetto da dimenticare. Il cassetto “Non lo so e non lo voglio sapere.”. Quello sempre pieno fino all’orlo, lo stesso che stringeva a sé gli sguardi, gli aggettivi possessivi e i punti finali che Amélie avrebbe tanto voluto cancellare. Il cassetto dalla chiave sempre persa. Era lì che, tutte le azioni e i particolari che non le piacevano, finivano. Assoggettati da una strana capacità di allontanarsene che la caratterizzava, fino a farla sembrare cinica o addirittura egocentrica.
Peter da seduto si sdraiò sospirando intensamente, liberandosi di un masso che lo appesantiva. Ingoiò la saliva che aveva in bocca e si decise a parlare.

« Amélie? »                                                         
« Uhm… »
« Domani Sophie deve fare un controllo. »
Eccolo, quel vento arido che le bruciava la gola. Non voleva essere egoista, non lo voleva. Ma, come tutti i quattordicenni, aveva quell’istinto di sopravvivenza sempre accesso, che le consigliava ogni volta di scappare.
Paura eccessiva di perdere. Cosa? Un oggetto, una consonante che le sfuggiva, una persona.
Non aveva ancora detto a Peter che, precisamente tre settimane prima, aveva sentito i suoi genitori parlare di un probabile trasferimento al nord per poter migliorare la condizione di Sophie.
Ripensandoci, in quel periodo, erano molti i pensieri che aveva trattenuto per sé.
« Bene, allora ci vedremo tra qualche giorno. »
« Si, ma… »
Peter non riuscì a completare la frase e Amélie non volle pensarci.
Lo faceva sempre. Iniziava una frase e, tre volte su quattro, non la terminava. Nessuno dei due sottolineava i timori dell’altro. Lei non lo incitava mai a proseguire e lui non le chiedeva mai di salutarsi a vicenda. Sapeva che odiava i saluti. Li trovava inutili, se una persona vuole bene ad un’altra non le dice mai veramente “Ciao”. O almeno così pensava.
 
Si erano affidati l’uno all’altra. Un po’ come si fa quando si sta per cadere, ci si aggrappa all’altro. Con tutte le forze che si hanno.
Non dovevano essere lì in quel momento. Lo sapevano tutti e due. Stavano solo declinando verso un baratro che prima o poi li avrebbe inghiottiti e sputati altrove. Peter sapeva del trasloco. Peter sapeva tutto ma non aveva il coraggio di parlare. Non lo aveva mai avuto. Fin dall’inizio era Amélie che s’insinuava nei suoi bui e gli tendeva la mano. Non era mai stato capace di riempire un bicchiere intero di verità, riflessioni, o semplicemente realtà. Restava sempre quel quarto di acqua mancante ad ostacolare quella che piano a piano era diventata amicizia.
Amélie ogni volta tentava di far sorridere Sophie, si accontentava di un sorriso per demolire la paura di uno scontato addio.
Sophie, dalla sua parte, la osservava curiosamente, ma non con gli occhi. Odiava guardare con occhi, li teneva sempre bassi o concentrati su qualche strano spigolo di un mobile. Non le andava mai di comunicare, forse era questa l’unica cosa che accomunava Peter a lei. Per il resto, non sarebbero mai stati scambiati per fratello e sorella. Lei era minuta e bassina, con due occhi ghiaccio sempre nascosti. Pet aveva capelli rossi e occhi verdi. Lentiggini sparse sul piccolo naso, forse non proprio adatto alla forma ovale del suo volto. Era alto, non troppo però. Di media altezza. Era diverso. Come quando tra un cesto di peluche si sceglie quello particolare, quello a cui non è perfettamente cucito il braccio o che ha una macchia sul piede. Quello di cui non bisogna scegliere il nome. C’è già, nascosto tra i difetti e i pregi. Come Peter. Lui era lo stesso Peter di Wendy. Lo stesso che l’avrebbe aiutata a credere in qualcosa di più di quello che esiste, il medesimo che le avrebbe promesso che si sarebbero incontrati ancora, senza mai incontrarsi più. Amélie lo amava per questo, le avrebbe mentito, ma senza voce. Era troppo evidente per un qualcosa di così stretto ai polsi.

« Non preoccuparti per me, piuttosto pensa a tua sorella, ne ha bisogno e lo sai. »
Amélie interruppe il vuoto che si era creato attorno a loro, insieme alle migliaia di indecisioni che le attraversavano la lingua. Si girò verso Peter e pazientemente aspettò che lui elaborasse la risposta giusta. 
Non c’è una risposta giusta, pensò subito lei. Lo aveva incastrato in una ragnatela di parole da cui era impossibile uscirne senza colpe. Voleva che lui avesse delle colpe, ma non di certo perché lui fosse colpevole. Voleva sentirsi meglio. Avere un motivo per allontanarsi. Voleva, un giorno, guardarsi indietro potendo dire che lei aveva scelto bene. Scelto. Che cosa ridicola!
Lei non aveva scelto nulla. Era stato solo un insieme di circostanze che li aveva portati esattamente su quello spiazzo di erba dove erano. Un sorriso mancato, una strada diversa.
Un “No!” detto e un “Si!” trattenuto. Come uno spettacolo: ogni piccolo dettaglio lo avevano osservato da lontano, come se non potesse influire su di loro. Accorgendosi, alla fine, di aver contribuito a bruciare quel che già poco era rimasto. 
In questo mercoledì nuvoloso cosa é rimasto?
 Pensò Amélie.  Gettò gli occhi a terra, privandosi dello sguardo di Peter rivolto al cielo.
Trattenne il respiro.


Ad un tratto incontrò la mano di Peter che si abbracciava alla sua.
Pet iniziò a stringergliela forte.
Panico. Ecco cos’era. Quei pensieri erano solo panico che incominciava a contaminarla dall’interno.


Il calore delle lacrime trattenute aveva dipinto le sue guance di un rosso accesso. Era indecisa se stringere la mano di Pet o lasciarla cadere sul prato. Decise di staccarsi. Si alzò lentamente da terra e si sistemò la gonna, dopodiché disse a Peter che doveva tornare a casa. Non le avrebbe impedito di andarsene e questo le permetteva di mostrare una ferrea determinazione. Tanto ferrea da inciampare in qualsiasi movimento che lui le avrebbe rivolto. Ma lei si accontentava. Riempiva le sue tasche di tremolii e  frasi mancate nella speranza che un giorno potesse usufruirne. Era consapevole che lui non avrebbe mosso un piede da lì. Peter assaporava dolcemente i passi di Amélie, che la disegnavano, sempre più, come un lontano puntino nero in quello spiazzo deserto. Gustava lentamente l’arrivederci che non le avrebbe mai detto. E così fu. Piano a piano Amélie divenne una misera briciola contenuta nel recipiente dei “ricordi”. Un mondo sotto il notturno op. 72 n°1 di Chopin.
Non lo chiamò.
Lui le mandò una lettera vuota con solo il suo nome scritto per intero: Peter Della Fonte. Nient’altro. Sophie sarebbe stata accolta con tutta la gentilezza e l’affetto possibile in quel centro. Sindrome di Asperger. Così l’avevano definita.

Amélie decise di cambiare strada e taglio di capelli.             
  
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