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Autore: GioGio00    03/11/2013    0 recensioni
Ginevra una ragazza timida e coraggiosa, bella e insicura... tutto questo esprime in poche parole la più infima parte della sua anima; ritrovatasi improvvisamente in un mondo a lei sconosciuto e troppo grande per una persona piccola come lei. Una regina, un antagonista, degli aiutanti e la coraggiosa protagonista legata al secondo da un sottilissimo filo che la porterà a scoprire la verità sulla sua infanzia.
ps. è la mia prima one-shot siate buoni!!! e fatemi sapere cosa ne pensate. Jo :)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un bosco, ecco tutto quello che circondava la ragazza, un bosco; era spettrale, i rami secchi accentuavano il pallore della neve ghiacciata che fungeva da specchio e l’oscurità che veniva rischiarata dalla luna era l’unica luce in quel luogo scuro e tenebroso; la bimba camminava a passo felpato verso una meta sconosciuta; le impronte erano gli unici riferimenti alla strada percorsa. Quel posto sembrava infinito. Ad un certo punto, un rumore di rami spezzati la fece trasalire, facendola scattare sull’ attenti come un soldato. I suoi occhi scrutavano impauriti, ma allo stesso tempo incuriositi, il paesaggio che le si prospettava davanti, un altro rumore sempre più vicino la terrorizzò facendola correre come mai prima d’ora; dopo qualche chilometro si fermò con il fiatone e la sua pelle candida e fredda era arrossata per la corsa, che tagliava come una lama il viso non coperto. Si guardò nuovamente intorno, ma non c’era nessuno, una mano le si appoggiò delicatamente sulla spalla e senza coraggio di voltarsi scappò sapendo che qualcuno o qualcosa la stesse seguendo, anche se,in cuor suo, sperava di sbagliare. Durante la corsa, la bambina inciampò su una radice elevata dal terreno e si ferì ad una caviglia. Era un taglio molto profondo da cui uscivano gocce e gocce di sangue, sarebbe stato meglio disinfettarlo ma non c’erano ne il tempo, ne gli utensili adatti per farlo. Dolorante e impaurita si alzò dal suolo strappandosi la parte del pigiama dove si trovava la ferita usando, il lembo di tessuto come laccio emostatico, tenendo la manica della maglietta tra i denti. Si rialzò e zoppicando e riuscì a camminare , anche se la gamba ferita le impediva di proseguire a passo spedito. La figura che la seguiva aveva un passo lento e leggiadro, come se la volesse torturare facendola camminare all’infinito; stremata si accasciò sulla neve e come una coperta, svenne su di essa.
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Ginevra ,si risvegliò dal suo breve ed ed agitato sonno ; le imposte sbattevano impetuose sui vetri che lasciavano intravedere i lampi e la pioggia farsi un tutt’uno con il vento. La ragazza, agitata e tremante, andò in bagno per lavare via le preoccupazioni; ella sognava ogni notte da circa un mese la stessa cosa. Da quando si era trasferita in quella cittadina si sentiva a disagio e osservata ventiquattro ore su ventiquattro, quando andava a scuola a piedi, aveva allucinazioni continue su ombre che la seguivano e ogni volta chiedeva spiegazioni al padre che prontamente rispondeva con cenno del capo sviando l’argomento. I suoi tentativi di chiedergli della scomparsa della madre andavano persi come polvere al vento, si sentiva frustrata, tutti le facevano le condoglianze, ma lei non voleva questo voleva la verità. La scusa dell’incidente in macchina, non l’aveva bevuta, sua madre non sapeva guidare, ma si teneva tutti i suoi sospetti per lei non avendo nessuno a cui confidarli. Quel giorno, Ginevra passeggiava per le vie di quella cittadella di periferia confinante con Dublino, senza una meta, senza un perché, voleva solo camminare, solo muovere i suoi arti inferiori vagando da parte a parte in queste vie desolate. Un cartello l’attirò particolarmente diceva: “mercato delle pulci: dalle 10.00 alle 22.00” prese quest’occasione e si avviò verso quella viuzza piena di bancarelle. Fece un giro comprando accessori quà e là fino ad arrivare all’ultima bancarella. Era un tavolino barcollante ricoperto da una tovaglia nera che faceva risaltare i libri in tutta la loro bellezza; il proprietario era un vecchietto un po’ curvo, con lunghi capelli bianchi, e dei baffetti dello stesso colore molto simpatici. -Buona sera signorina- disse l’anziano in tono dolce, -Buonasera- rispose cordiale la giovane. –Sà… la stavo aspettando-,-mi stava aspettando ??- ridisse le parole ad occhi sgranati e pieni di curiosità, -Già… non è da tutti i giorni incontrare una ragazza come lei- si guardò da capo a piedi non aveva nulla di strano; la sua salopette le contornava delicatamente i fianchi e la maglia a mezze maniche indaco non lasciava intravedere niente, Ginevra pensò fosse un vecchio delirante, ma gli rispose con cortesia – in che senso, mi scusi !?, dovrei essere così speciale da far dire quelle parole a una persona come lei; d’altro canto io non sono un alieno-,- o no miss Ghillespi i…i…io n…n…non intendevo q…q…questo…-,- lei come sa il mio cognome rispose prontamente prima che l’anziano finisse la sua frase ciancicata, -oh io conoscevo i suoi genitori erano ottimi compagni di viaggio per le mie avventure-, quali avventure?! Impossibile mia madre è scomparsa e noi non siamo mai venuti in uno stupido paesino del genere!!!- urlò la ragazza prima di girare i tacchi e andarsene; ma il signore la bloccò prontamente per il polso e ansimando le disse –tenga signorina lo prenda era di sua madre- disse porgendoli un libro, Ginevra lo prese con noncuranza e se ne andò senza rivolger parola all’uomo, non dando neanche una sbirciata al libro che costui le aveva rifilato.

 
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Tornò a casa senza salutare il padre, che come sempre stava a bere birra e a guardare il football alla tv, salì le scale velocemente e pesantemente e si chiuse in camera con un tonfo, girò il capo dal lato del comodino per osservare la foto della madre che la guardava affettuosamente, trattenne le lacrime sbattendo ripetutamente gli occhi, la vista si stava annebbiando ma lei non voleva, non voleva più soffrire chiedeva solo un po’ di felicità, ma la fortuna la guardava bendata. Ginevra si stese comoda sul suo morbido letto a pancia in giù, osservando con arguzia il libro appena regalatole; la copertina era marrone, con altorilievi formanti rami che si attorcigliavano tra loro dando origine a dei ghirigori astratti, ma che rendevano il tutto più antiquato, c’erano anche dei piccoli fiorellini di pesco dipinti a mano con innaturale perfezione, si poteva quasi sentire il profumo pizzicare il naso di quella meravigliosa fragranza tanto amata. La scritta del titolo era incisa in oro con una calligrafia rinascimentale, riportava “ Reflexes ”, nessun autore, nessuna casa editrice, come se non fosse mai stato pubblicato. Girò dall’altro lato e al posto della trama c’era uno specchio con una cornice a forma di rami in legno elastico che si intricavano in una combinazione. Si girò tra le mani l’oggetto, le sue dita morbide sfioravano la copertina come se avesse paura di romperla, come una porcellana preziosa, la sua mano andava a contatto con la copertina ruvida, e le dita con leggiadra eleganza seguivano i rami, cercando in una via d’uscita come un labirinto senza fine. Finito di ispezionare minuziosamente il libro, tentò di aprirlo con scarsi risultati, come se le pagine fossero incollate, eppure non c’era nessun lucchetto; di sicuro un bluff. Controllò e ricontrollo pensando che il vecchio si era solo preso gioco do lei; fin quando, sulla copertina, in basso al centro, trovò una piccola serratura a forma di quadrifoglio, “ecco risolto serve una chiave come ho fatto a non pensarci prima!” pensò dandosi una sberla in fronte per la sua stupidità. Appena vide quella serratura pensò al ciondolo della madre che le aveva lasciato all’insaputa del padre, aprì il cassetto del suo comodino segreto e ne tirò fuori una catenina con la punta a quadrifoglio; senza pensarci due volte infilò la chiave nella serratura che scattò al secondo giro. I rami si spostarono con movimento fluido fino a ritirarsi del tutto nel libro lasciando vedere il titolo per intero “Reflex of Shadows”, si aprì da solo rivelando… un bel niente “COSA?!?” pensò la ragazza irritata “che scherzo di pessimo gusto, non sono proprio dell’umore” richiuse il libro e preparandosi si coricò nel suo caldo piumone pronta per il suo incubo quotidiano, -buonanotte mamma- disse salutando la sua foto, prima di cadere nelle braccia di Morfeo.
 
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La mattina dopo come tutte del resto fu la solita, come se fosse tornata indietro nel tempo, ma quel giorno “purtroppo” ci fu scuola. Si preparò e con un sorriso forzato salutò il padre. Arrivò a piedi come ogni mattina, si pettino i capelli color carota con le dita per districare i nodi che si erano creati la notte, ma a nessuno sarebbe importato dei suoi capelli ne dei suoi occhi verdi con striature oro neppure delle sue piccole lentiggini che sporcavano il suo nasino e i suoi zigomi o della sua figura esile ed impacciata che camminava velocemente per il corridoio. Aveva fatto amicizia con qualche compagno di banco ma niente di che, anche se la sua personalità non rispecchiava per niente il suo modo di essere. Si incamminò in classe. Durante l’ora di storia, le cadde lo sguardo fuori dalla finestra, dove una figura incappucciata la fissava; la ragazza si girò per vedere se la professoressa la stava fissando ma quando si girò di nuovo non c’era più nessuno.
 
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La giornata passò in fretta tra lezioni e cambi d’aula, ed era ora di andare a casa. Non avendo voglia da ritornare, prese la strada più lunga nel bosco; girò all’incrocio trovandosi in mezzo alla natura, camminò a passo lento inoltrandosi sempre più a fondo. Arrivata nel bel mezzo si guardò attorno, “aspetta questa strada non me la ricordo” pensò sospettosa Ginevra, -oh no mi sono persa! stupida me e la mia voglia di camminare, dannazione!!!- urlò le ultime parole prima di dare un calcio ad un sasso, -tanto non ci volevo tornare a casa, però mi sono persa e se non mi ritrovano, rimango qui, e poi vengo divorata da un branco di cani alsaziani!” disse tutto velocemente “Ora devo orientarmi per ritornare in paese… allora il paesino è a nord del bosco quindi il muschio si trova… dannazione a me e alle mie distrazioni nell’ora di geografia!!!... sono spacciata”. Si sedette a terra con le mani sugli occhi; “mh vediamo se ho ancora la mia merendina di riserva” mentre apriva la sua tracolla una marea di libri uscì fuori, “ecco ora devo pure rifarceli entrare!” mentre li metteva a posto le cadde l’occhio su un libro, lo prese e notò che era quello della sera prima, sgranò gli occhi, chi poteva avercelo messo? Lei di certo no si ricordava di averlo lasciato sul comodino, lo rimise con gli altri nella cartella e si rialzò. Mentre era concentrata a decidere che strada prendere le si avvicinò una farfalla che si posò delicatamente sulla sua mano. Ginevra sentendo qualcosa alzò il braccio ritrovandosi una meravigliosa farfalla azzurra , la osservò perforandola con lo sguardo, era bellissima, le sue striature azzurre, bluette e celesti la rendevano magica. La farfalla volò non molto lontano e lentamente come se aspettasse solo che la giovane la seguisse e così fece; la seguì fino ad un albero enorme molto largo e spesso con una corteccia stagionata, doveva essere una quercia, la farfalla si fermò li e la ragazza si mise ad osservare bene l’albero, nel lato destro aveva un piccolo pomello… “ ma aspetta gli alberi non hanno pomelli ne tanto meno porte” prese l’oggetto tra le mani e girandolo in senso orario aprì la misteriosa ed insolita porta, rivelando un luogo scuro, “cosa ci si poteva aspettare da un albero non è mica come la borsetta di Hermione Granger”, attentamente ci mise un piede dentro, e per lo sbilanciamento cadde, “Non si poteva cadere negli alberi era scientificamente impossibile” eppure era come in quel libro Alice in Wonderland. Cadde per minuti interminabili fin’che non sentì un forte dolore all’osso sacro e tutto si fece buio.
 
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Riaprì gli occhi lentamente, si sentiva dolorante e le girava la testa, sentiva u liquido caldo bagnarle la testa ma si rimise in piedi traballante; si toccò la fronte stabilendo che si era tagliata ed usciva del sangue, ignorando le fitte alla testa si guardò in torno, non era più nel boschetto di paese, ma in una meravigliosa radura: l’erba argento sembrava piccoli vetri di uno specchio rotto, anche se la morbidezza con cui si presentava al tatto era tutt’altro che pungente quasi un cuscino; gli alberi erano argentati e al posto delle foglie vi erano candide nuvole, il sentiero era rosso come le rose; alzò lo sguardo e i cielo era come una coperta brillantinata con sfumature rosa, viola, e bluette. Camminando notò delle rose blu sparse qua e la dal quale fuoriuscivano piccole ninfe colorate, una le si avvicinò, la osservava con i suoi occhietti da gatto. Sbatteva le ali lentamente e con voce acuta e fredda disse, -Oaic, oi onos Aivlis -,-che?- Rispose la ragazza incredula. – Ciao io sono Silvia, la ninfa più piccola delle sette sorelle e tu?-,- Io sono Ginevra Ghillespy-,- O per l’amor dei draghi- rispose la ninfa spaventata, –Sei dei soprasuolo! Conosco il tuo cognome… per la barba dei troll! Tu sei la figlia di Elisabeth Willohw -,- Come conosci mia madre?-, esclamò Ginevra perplessa e allo stesso tempo incuriosita. – Lunga è la storia, adesso vieni! Ti porto al palazzo.- E dal nulla fece apparire un alpaca. –Adesso monta sul vicugna pacos alatus.- E dall’alpaca uscirono delle enormi ali azzurre “ da quando gli alpaca hanno le ali?” e salì incuriosita sull’animale che con uno scatto sulle zampe prese il volo.
 
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Dopo ore di volo arrivarono ad un grattacielo a vetri “ ma in un paese così fantasioso c’è un grattacielo?!?” atterrarono proprio all’ingresso, entrarono ed un magnifico atrio li si prospettò davanti: le pareti bianche e oro trasandate e ammuffite piene di rampicanti, al pavimento lucido a quadri neri e bianchi era crepato e sporco di polvere, sembrava la hall di un hotel deserto, il fuori non rispecchiava per niente. La ragazza osservava tutto quello che la circondava, -Aivlis asoc ic af anu olousarpos la ozzalap!!!!- si era appena avvicinata una ninfa, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri a serpente, -Atram atseuq olousarpos non as eralrap emoc ion e is elitneg-,- io sono marta io sono sorella di Silvia, la signora vorrebbe vederti, seguimi- disse non molto entusiasta, - non ti preoccupare, marta ha un carattere difficile ma solo perché un sopra suolo ha ucciso sua sorella portandola in un luogo chiamata area…21 ah no 51-,- ok questo si che è strano-, “ si come se tutto qui fosse normale. E salì.
 
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Arrivò ad una porta in cristallo, l’aprì e di fronte a sé trovò una bellissima ragazza i più o meno undici anni: i capelli bianchi e azzurri arrivavano fino ai piedi, gli occhi piccoli e glaciali infondevano sicurezza, era una silfide, bellissima e quasi invidiabile per una ragazzina ; la guardò amorevolmente e con voce regale disse,-voi dovete essere Ginevra vostra madre mi parlava continuamente di voi-, ma prima che potesse dire qualcosa l’elfo disse,- si la conoscevo ero la sua consigliera ma da quando Louin l’ha presa in ostaggio sono io che amministro il regno-,- ma se sono io la figlia non dovrei essere l’erede?-,- si ma tua madre non voleva farti scoprire il nostro mondo per non farti uccidere-,-da chi?-,-dagli ibridi o da Louin-,-Louin?, ma che razza di nome è?-,- è il nostro nemico, e visto che lei lo ha rinchiuso nella Relflexes of Shadows, la nostra foresta, lui si voleva vendicare uccidendoti e prendendo il libro, ma purtroppo il libro è scomparso nel tuo mondo e dobbiamo ritrovarlo prima di lui-, la ragazza aprì la borsa e ne guardò dentro “chissà se…” e prese il libro del vecchio, lo diede alla ragazza che sgranò gli occhi, -tu, t…tu hai il libro!-,- si me lo ha dato un vecchio mendicante che diceva di appartenere a mia madre…-,- o mio dio allora è tutto vero!-,-cosa è tutto vero?!?- chiese spazientita – devi vedere una cosa-
 
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Andarono nella cima, all’ultimo piano, dove un immensa sala l’attendeva per essere ispezionata: era tutta a vetri, la vista stratosferica di tutto il paese, era una sala regale con un leggio in mezzo, era semplice non come il resto dell’edificio. -bene ora metti il libro sul leggio, aprilo e leggi!- stava per andarsene quando Ginevra le disse, - non rimani con me?-,- no devi farlo da sola, ciao!-, salutò cordiale con la mano e se ne andò. Aprì il libro come quando era a casa, ma al posto delle pagine bianche vi erano scritte in oro in una lingua sconosciuta, forse celtica. Sfiorò le pagine e le scritte vennero assorbite dalle dita. La scia seguì le venature trasformandole in tatuaggi a ghirigori e scritte, in un momento sentì le mani bruciare ma non tolse il contatto; le sensazioni si espansero alla schiena e poi a tutto il corpo, quando arrivò alla testa urlò dal dolore gridava, chiedeva di smetterla, la vista si oscurò e chiese aiuto pregando di spegnere il fuoco che la bruciava. Durante queste sensazioni vide immagini e flashback tutti su un ragazzo con lei da piccola dove giocavano e lui le parlava in un'altra lingua mentre Ginevra rideva; tutti i suoi incubi riaffiorarono alla mente; l’ombra, la mano, il bosco e sua madre. Vide anche un flashback che la turbò: lei correva nella foresta, quella dei suoi incubi, aveva un armatura sporca di sangue, le ferite che ricoprivano il suo corpo dolorante erano aperte e profonde. Vide nelle sue mani un pugnale d’oro sporco di un liquido argento che colava anche dalle sue mani. La sua vista era migliorata cento volte vedeva tutto come se avesse un telescopio; sentiva i battiti del suo cuore aumentare e il suo respiro affannoso creare delle nuvolette, fino a quando una persona non l’atterrò, la fece girare e vide il ragazzo delle visioni, capelli marroni lisci, occhi azzurro ghiaccio pieni di malignità, che di perforavano come pallottole; la teneva ferma mentre con una lama celata, tentava di ferirle il petto; appena le rubò il pugnale e lo alzò per aria, la visione finì. E li svenne. *
 
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Si risvegliò in una stanza da letto normale, dove tre ninfe che la guardavano preoccupate -Io sono Beatrice, è un onore parlare con lei, ma mi dica come si sente?-,-meglio grazie-, notò che le ninfe guardavano preoccupate delle parti del suo corpo, - cosa c’è?- si guardò nei punti osservati e vide dei tatuaggi color oro in lingua celtica; li aveva sulle mani, le dita , sul petto, e sui piedi; erano luminosi quasi come oro vero, ma ora una domanda le sfiorava la mente “come me li sono fatta?, di solito queste cose succedono a Las vegas quando si è ubriachi!”, le diedero uno specchio e li notò che nel lato destro della fronte aveva lo stesso tatuaggio che arrivava fino allo zigomo, le ninfe vedendo il suo sguardo perplesso le dissero, -il libro ti ha marchiata, ora sei destinata-,-a cosa?-,-devi uccidere Louin-. Ad interrompere i suoi pensieri fu la consigliera, -vieni ti dobbiamo allenare, il giorno è vicino- dicendo questo le fece seno di seguirla. Arrivarono in una sala in pietra, mi disse che se la stanza era occupata il tempo si fermava per quelli fuori così da guadagnare più tempo, anche se era un palazzo moderno, all’interno era tutt’altra epoca. Ai muri erano appese armi di ogni genere, dalle armi bianche a quelle da fuoco, dalla mannaia all’ accetta, insomma un armamento “eh guarda te, sembrava un popolo così pacifico” pensò appena vide le armi. Ai lati c’erano dei burattini alti due metri, tutti di forma umana con dei bersagli al centro e in testa. Le fecero scegliere l’arma che avrebbe dovuto imparare ad usare con maggior destrezza come ogni guerriero; lei ragionandoci su scelse i coltelli. Da li capi che bisognava allenarsi seriamente e che in gioco c’era la vita di migliaia i persone.
 
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Dopo mesi di allenamento in quella stanza speciale, ne uscì trionfante come se si sentisse invincibile, si incamminò verso la sala principale si avvicinò alla consigliera e le disse, -sono pronta-, la ragazzina annuì e le disse di portare con se più armi che poteva, così fece. Armata fino all’osso si diresse all’entrata della Reflexes of Shadows, come diceva il cartello mezzo rotto; vi entrò e come una visione il suo incubo si stava avverando, la foresta era la stessa, c’era anche la neve, e si incamminò. Passarono minuti interminabili ma di questo fantomatico Louin nemmeno l’ombra, “ si sono presi gioco di me” pensò ma il suoi pensieri vennero interrotti appena vide una casetta, un altro flashback: lei da piccola e un ragazzo che la teneva in braccio, le faceva il solletico, smise appena vide la casetta –casa dolce casa piccola Gin- le disse sorridendoli, più che un sorriso sembrava un ghigno, aprì la porta ed entrò sistemandola sul divanetto. Intanto Ginevra ripercorreva il suo flashback seguendo i movimenti, come uno spettatore. –piccola Gin questa è casa mia, sai è per colpa tua se sono qui quindi ora devi darmi la cosa speciale che hai qui dentro- disse indicandoli il piccolo cuoricino, La bambina gli prese il dito con la manina spostandolo, -oh piccola Gin non devi ribellarti a me tanto la prenderò comunque-, la bambina osservava gli occhi di lui assetati di vendetta, mentre con una mano stringeva l’orsacchiotto. Lei lo sapeva cosa voleva era intelligente per una bambina della sua età; guardò lui e poi dietro, vide la sua salvezza la finestra aperta così appena si girò lei fece uno scatto e saltò fuori dalla finestra, e da lì il suo incubo notturno ricominciò. Ora tutto aveva un senso l’ombra, il bosco, la corsa era un ricordo; quindi anche la visione del libro doveva essere vera. Si risveglio dallo stato di trans e notò di essere dentro come se fosse stata in uno stato di sonnambulismo, il rumore di una porta chiudersi la fece trasalire, doveva mostrarsi forte, così prese un pugnale e si girò… niente, “sarà stato il vento” ma appena si girò fu sbattuta al muro, -ciao piccola Gin, da quanto tempo che non vieni a trovami-,- chi sei?-,-come non ti ricordi di me, così mi ferisci-,-meglio così non devo vederti-,-oh che carina, sei venuta a darmi quello che mi spetta- la osservò un attimo poi disse, -ma guarda un po’ sei stata marchiata, allora era vero il libro e la sua leggenda - la sua faccia era inquietante, i suoi occhi erano follia pura e la guardavano come se avesse un dolce davanti, -mai qualunque cosa tu voglia-,- oh ma io voglio i tuoi poteri cioè la tua anima-,-mai-,-ma sai tua madre è così sola, e sai che se non mi dai la tua anima io la ucciderò-,-MIA MADRE?!?-, senti delle urla soffocate dallo sgabuzzino, era li, sua madre era li, -già e vuoi sentire la cosa divertente…morirà per colpa tua ahahahhahahah- e fece una risata inquietante, - ma visto che non mi divertirei uccidendoti e basta ho deciso di sfidarti a duello per farti soffrire visto che la colpa è solo tua…-,-mia?-,- si non ti ricordi quella sera?... appena ti hanno trovata svenuta mi hanno chiuso qui per l’eternità e grazie a te io riuscirò a liberarmi, scegli l’arma piccola Gin-,-il pugnale-,-oh il classico pugnale, ok piccola Gin ogni tuo desiderio è un ordine- da quella parola sguainò il pugnale dalla copertura ed incominciarono a lottare. Il tintinnare dei pugnali che si scontravano erano gli unici rumori in quella notte. Fino a quando lui non le conficcò la spada nel fianco lei fece un piccolo urlo soffocato e con non poca grazia le perforò il petto; sangue argento fuoriusciva sporcando la sua arma la tirò fuori e corse via da quella casa “ devo farlo correre e stancarlo e poi il colpo di grazia”. E anche la visione del libro si stava avverando. Lei correva del sangue le macchiava le mani e il pugnale, tagli freschi e profondi, fino a quando qualcuno non l’atterrò, la girò tirando fuori la lama e alzandola verso il petto, - ora sei mia piccola Gin- disse e le perforò in mezzo al petto, prima di alzarsi le accarezzò una guancia e parlò al corpo ora color latte, freddo e senza battiti, -addio piccola Gin- disse baciandogli la fronte. Si alzò e incamminandosi lentamente pensava a ciò che aveva appena fatto, sentiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, rimorso? No impossibile lui non aveva un cuore, e pensando a queste cose non senti una persona dietro di lui, - ehi Louin!- il ragazzo provò una scintilla di felicità –Gin…- ma non finì la frase che si ritrovò cinque pugnali dritti nello stomaco, dalla sua ferita usciva sangue argento pure dalla bocca; cadde in ginocchio e Ginevra lo raggiunse, imitandolo gli diede un bacio sulla fronte e disse – addio piccolo Lou- e se ne andò lasciando il suo cadavere giacere li. Si avvicinò alla casetta recuperò la madre e le disse, - ora è tutto finito mamma andiamocene- e mano nella mano ritornarono a casa.
 
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Passò qualche mese e la famiglia era di nuovo riunita, scopri di avere dei poteri dati dai tatuaggi e dal suo sangue, tutto andava per il verso giusto, ora era la più popolare considerata la più giusta e la più invidiabile per quei tatuaggi di cui tutti chiedevano la provenienza. E ora la sua famiglia era al completo ma si sentiva strana come se mancasse qualcosa. Una notte dopo cena andò a letto, gli incubi erano finiti, così si addormentò pensano alla sua famiglia. Nel bel mezzo della notte sentì un rumore, si svegliò e vide la finestra aperta, “io non ho lasciato la finestra aperta “ pensò curiosa dando la colpa a suo padre o alla madre; si rimise sdraiata ma proprio quando stava per chiudere gli occhi e viaggiare nel mondo dei sogni, una mano li si poggiò sulla bocca e una voce che lei conosceva perfettamente disse, -Torna a dormire piccola Gin- e due occhi azzurro ghiaccio la perforarono con lo sguardo.
FINE
 
* Ogni nome o riferimento è puramente casuale, quindi prego i gentili lettori di non farmi causa *
  
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