Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: tagliarsi_con_gli_origami    03/11/2013    8 recensioni
Harry Styles vive in una villetta a schiera di Richmond con sua sorella Gemma.
Louis Tomlinson è un ex calciatore dalla carriera stroncata da un infortunio, e si muove a malapena nel disordine cronico del suo attico in centro a Londra.
Harry e Louis si incontrano in un bagno a Covent Garden.
Potrebbe essere l'inizio di qualcosa, se Harry non fosse già legato all'unica donna della sua vita, Darcy, la sua bambina di sei mesi.
Harry e Louis si incontrano in un bagno. Forse finirà così, perchè Louis di bambini non vuole nemmeno sentir parlare.
Harry e Louis si incontrano in un bagno, in un vialetto, ad un barbecue, nel mezzo di due vite che forse non dovevano nemmeno scontrarsi.
Impronte di mani diverse sulla parete bianca di una cameretta per bambini.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A "Harold", il Giappone che è sempre una gioia,
e il video di Story Of My Life che riesco a vedere anche io, Cristo Santo :)


Chewingum, Champagne
e Disco Inferno.





Sciogli i lacci al tuo tesoro avvinghiato,
Dai requie al disciplinato soldatino,
Libera la tua anima rinchiusa in sé, frenata;
Dona, condividi, perdi; sperimenta la totale unione,
Se no moriremo entrambi soli e mai sbocciati.
(Inno al Vergine, David Kammerer)


Louis ingoia il secondo chewingum della partita. Questa volta quasi si strozza perché stava prendendo il respiro per urlare.
Robbins rotola a terra colpito alla caviglia da un tacchetto del terzino dell'altra squadra. Si lamenta, rotola, si tiene stretta la gamba con quell'espressione fra il dolore e la voglia di rigore.
Conosce la sensazione.
L'arbitro fischia il fallo evidente, ma concede una punizione dalla posizione meno comoda per calciare che potesse trovare.
Impreca fra sé, pensando che Robbins poteva almeno lanciarsi nella direzione verso cui calcia meglio.
Simon lo ha voluto in panchina accanto all'allenatore Dickson, serio e giallastro per la chemio, ma con una strana, ipnotica energia folle negli occhi grigi. Fuma e si lamenta, digrignando i denti nel viso squadrato. 
Lo ricorda ancora sbronzo alla festa per la vittoria del campionato. Sua moglie Martha e suo figlio Josh, che ha vomitato le tartine al caviale sulla torta a tre piani ricoperta di pasta di zucchero dorata. Lou è stato contento, perché tutto quell'oro era fin troppo pacchiano anche per lui.
Chissà cosa penseranno sul loro divano con i cuscini con le margherite, guardandolo prendere a spallate un malato di cancro per farsi fotografare dai paparazzi con modelle dagli evidenti disordini alimentari e complessi edipici irrisolti.
Forse lo odiano già, anche lì seduto.
O forse se ne fregano, perché di quella partita, in realtà, non interessa a nessuno.
Non a Bert, Martha e Josh Dickson, che hanno le loro cellule cancerogene che fagocitano quelle sane ogni maledetto secondo da combattere. Non a Simon, che fa solo in modo che Louis sia visibile da bordo campo, dalla curva dei Rovers e anche dalla maggior parte di quella avversaria, perché ci sono sempre fans del mito nascosti in mezzo ai fans del giocatore.
Forse interessa a lui, ma si sente troppo marcio e raccomandato, nonché in soggezione mortale verso l'uomo che lo ha allenato per tre anni, per mettersi a gesticolare che Raley non sta rispettando lo schema perché è troppo in profondità nella metà campo avversaria.
“Quel coglione di Raley va troppo giù” borbotta l'allenatore martoriandosi le pellicine dell'indice destro. 
Il vice si alza e gesticola, urlando
“RALEY, pezzo di coglione menomato, rallenta!” sorridono tutti e tre, anche se Riley ricambia gli insulti con un'occhiata al vetriolo che preannuncia un omicidio preterintenzionale negli spogliatoi. Sorridono di una familiarità un po' ruvida che sa di erba, fango e sudore che precipita sugli occhi. Di quella vista appannata e dolorante degli ultimi minuti del secondo tempo, delle corse per inerzia da una parte all'altra del campo, con le mandibole serrate e i pensieri zen che invocano semplicemente la sopravvivenza, nemmeno più la vittoria.
Le ossa fragili del ginocchio di Lou pulsano di protesta e adrenalina, e fa quasi male incrociare le caviglie per fermare quel tremolio spastico dei polpacci che vogliono solo correre.
L'arbitro fischia, Robbins tenta un calcio di punizione che diventa un cross nell'area avversaria, e Timothy Smith, l'irlandese dai capelli rossi e le lentiggini grandi come una moneta da dieci pence, incastra un goal di testa all'incrocio dei pali.
1-0.
Non è una gioia epilettica la sua, una voglia di spaccare il mondo, correre per il prato e ingoiare a bocca aperta il tifo e le ovazioni della curva. Diventa una morbidezza fra le costole, un prurito nello stomaco e nel petto, stretto attorno al miocardio che si dimena. Una gioia più cauta e meno esibizionista. Da allenatore anziché da capocannoniere.
Dickson lo fissa senza guardarlo, con la coda dell'occhio dalle iridi di un castano scurissimo. Uno sguardo inquietante incastonato nel volto magro, ma allegro. Un luccichio entusiasta, ottimista, più avvolgente di qualsiasi sorriso.
Tranne, forse, quello di Harry.
Harold Edward Styles di Holmes Chapel dovrebbe prendere il porto d'armi per quel sorriso.
E Louis ne è sicuro, davvero, perché quello stesso sorriso lo sta fissando dagli spalti, Darcy avvolta in un impermeabile rosa tipico di Harry, Gemma che ancora non ha deciso se fissarlo ostile o sorridere, e Niall che agita in aria le braccia nell'ibridazione fra un saluto e la ola che percorre velocemente tutta la curva del Rovers.
Tre fischi.
È finita.
È vinta, forse.
Giornalisti, foto, dichiarazioni, conferenze stampa. Il vecchio allenatore, il nuovo allenatore.
Domande.
Riflessi dei neon sulle lenti degli occhiali. Microfoni, nomi di quotidiani.
Web Magazine.
Domande tendenziose. Pettegolezzi, sorrisini. Silenzi.
Harry a dieci metri.
Twitter. Facebook. Lui e Eleanor stanno davvero insieme?
Era davvero lui, ieri sera, a quel festino sesso e droga con le modelle di...
Si parla a volte anche di calcio. Forse.
Harry, Darcy, Gemma e Niall.
“Cosa potete dirci sui piani per il futuro della squadra? Quali competenze può mettere in campo un ex giocatore così giovane?”
Forse dovrebbe rispondere lui, ma Simon ha già confezionato una risposta soddisfacente.
Sorridono, lo studiano, lo fotografano, lo fissano. Sicuramente qualcuno scriverà che era distratto, assente, che non poteva importargliene di meno della conferenza stampa.
Che è un ragazzino, un manichino, una bella faccia da sbandierare alle cene dei finanziatori.
Uno da album di figurine dei calciatori, che sta bene col vestito scuro. I suoi occhi risaltano in video, dicono.
Riesce solo ad alzarsi, alla fine, quando le sedie grattano sul pavimento e i giornalisti si mescolano come formiche impazzite, sciamano fuori in disordinati gruppi che sussurrano pettegolezzi.
Lo feriscono più di ogni articolo denigratorio che leggerà la mattina dopo, più del disappunto e della poca fiducia. Chiacchiere oziose da aperitivo che lo tratteggiano goffamente, dicono di lui qualcosa che non esiste, ma che comunque diverte.
Solo un personaggio di cui parlare fra un salatino e un sorso di birra.
Simon si avvicina per farsi fotografare, Eleanor si morde il labbro fissandolo dispiaciuta, di quella partecipazione affettuosa che Lou sente di non meritare, ma per cui è grato. Un'intesa strana, fatta di piccole verità scomode che lei conosce e accetta, custodisce, asseconda. Silenzi e complicità sottocutanea. Niente a che vedere con l'amore, e tutto con l'affetto di chi condivide segreti senza dover ringraziare.
Esce fuori mentre lo stadio ormai si è quasi interamente svuotato. Tre persone sedute sulla prima fila di sedie degli spalti.
Harry che ride con il poliziotto che cerca di convincerli ad uscire.
Harry è quella persona. Quella che non direbbe mai “siamo con Louis Tomlinson”, ma che riesce a tenere banco con chiunque in qualsiasi momento.
Harry che lo guarda, con i rimasugli di quel sorriso incastrati nelle fossette.
Harry che aspetta.
Harry che lo sfida a lasciarli sbattere fuori.
Harry che ormai lo conosce, più di quanto gli piacerebbe ammettere.
“Ehm, stanno aspettando me” 
Il poliziotto in tenuta antisommossa si volta con un sopracciglio sollevato sotto il caschetto
“Evviva. E tu sei?” Louis arrossisce di quella violenza da adolescente colto in fallo a fissare il seno della compagna di classe.
“Louis. Il nuovo allenatore” l'altro lo fissa, un istante, due, e poi sgrana gli occhi
“Oh cazzo ma sicuro. Tomlinson, cazzo scusa amico...” e se ne va, borbottando fra sé che forse sarebbe stato meglio chiedergli un autografo o una foto.
“Hei” Harry scende e scale per andargli incontro, con i suoi stivaletti tutti consumati e troppo grandi “Avete vinto davvero. È folle...” ride, lui che preferisce l'hockey sul ghiaccio e con un pallone mira solo alle finestre aperte al primo piano dei palazzi.
Louis si gratta la nuca, rimasugli di imbarazzi che si accavallano nella sua espressione
“Già...” Niall e Gemma li raggiungono, con l'irlandese che non la smette di descrivere minuziosamente ogni azione.
Lei non commenta, ma sembra meno ostile.
Un punto per Louis.
Darcy intrattiene lunghi discorsi con il nulla, sbavando sulla spalla di Gemma. 
Alla fine lo osserva, occhi verdi enormi che lo scrutano nella sua divisa da allenatore. 
Si sporge con le braccia verso di lui, la giacca a vento rosa acceso, affascinata dalla cerniera della giacca di Lou con appesi un sacco di gingilli portafortuna 
“Ma-ma” Louis spalanca lo sguardo mentre lei biascica di nuovo “ma-ma”
Harry sghignazza e Gemma appoggia Darcy sulla sua spalla, a metà fra il braccio e lo sterno.
“Ma-ma. Maaaa. Ma.”
“Reggila mammina” lo prende in giro Niall mentre Louis la prende in braccio, le dita che si intrufolano subito fra le pieghe di plastica della giacca impermeabile. Gorgheggia, bofonchia parole a caso, tira, e cerca di strappare la cerniera. Lo studia con le sopracciglia corrugate e pensierose.
Somiglia così tanto ad Harry che quasi non sembra avere anche una madre.
“Chi ca-” lo sguardo di Gemma ha sempre la stessa tagliente vena minacciosa. Anche a Doncaster “-volo gliel'ha insegnato?” è imbarazzato e teso, le braccia che gli fanno già male lo sforzo di non stringerla troppo, o essere troppo morbido.
Harry lo guarda con un sorriso storto, troppo allegro per nascere spontaneo da quella tremolante imitazione di abbraccio. Sua figlia ciondola sul baratro di una presa inadeguata, e Louis potrebbe essere responsabile di un incidente irrimediabile. Eppure lui continua a guardarli e a ridacchiare come un idiota di quei suoi sforzi imbarazzati di non lasciarla cadere a terra. 
Colpisce l'amico con una spallata, e lo indica con un cenno
“Niall”
Louis vorrebbe solo usare Darcy come arma contundente ed ucciderlo. Ma lei non è una bambola che piange per finta, e loro non sono nella macabra e qualitativamente mediocre pubblicità di una compagnia assicurativa.
“Brutto figlio di-” 
“Ma-ma” Darcy non smette di chiamarlo 'mamma' e l'altro non smette di ridere, sollevando i palmi delle mani come per proteggersi
“Dovevo riempire tre ore di viaggio!”
L'aria è satura di quella naturale idiozia post-partita. Negli spogliatoi, sul pullman che li riporterà a casa, per strada, quella sera, a bearsi dell'attenzione dei passanti, i giocatori della squadra si lasceranno sommergere da quella scarica di adrenalina e soddisfazione, la tensione che scivola e cade, lasciandoli leggeri davanti ad una birra proibita.
Louis resta in piedi a godere di quella sensazione. Sentire che i pettegolezzi dei giornalisti diventano un mormorio soffuso e indecifrabile, per le sue orecchie e la sua coscienza.
Sentire che forse non è davvero un buono a nulla, perché se riesce a tenere Darcy in braccio senza che si sfracelli a terra fra arti rotti ed emorragie interne, allora può anche allenare una squadra, ed essere bravo, capace, preparato.
Può riuscirci.
Se Harry lo fissa ancora con uno sguardo soddisfatto e tranquillo, fiero, allegro, partecipe, vero, significa che non è così incompetente, e piccolo, e non abbastanza qualificato.
Significa tutto.
“Ma-ma” Darcy gli crolla sulla spalla, la testa incuneata nell'incavo del suo collo. 
Borotalco, vaniglia, cannella.
Riccioli che gli fanno il solletico alla mandibola.
Qualcosa di morbido, qualcosa di familiare.
Inadeguatezze che consolano, e arricchiscono.
Allenatori in prova e genitori che arrancano.
Genitori.
È quasi spaventoso.

***

Gli lascia sempre la gola secca il sesso con Louis Tomlinson. Ha sempre la sensazione di vederlo andare via, ad un certo punto, come se non fosse mai arrivato davvero. Non fosse mai stato lì completamente.
Ma questa volta non è la sensazione di sentirselo scivolare dalle mani, è una certezza epidermica e silenziosa, pruriginosa sulla spina dorsale. È Lou che ha parlato troppo, lo ha stretto troppo, lo ha baciato più a lungo, con la malinconica foga che contraddistingue gli addii. 
Lo osserva stiracchiarsi goffamente, stancamente, fra le lenzuola che odorano di ammorbidente.
Gli addii non li ha mai saputi gestire.
Forse imparerà.
Imparano tutti, con Harry.
Un primato deprimente.
Ma Louis ha sempre quella strana capacità circense di sorprenderlo, di guardarlo in un modo diverso, di sbieco, o dritto negli occhi, con una serietà quasi sorridente. Grave e penosa, ma avvolgente
“E' una vacanza...” ricade sul materasso con un tonfo e un sospiro. Si volta a sfiorargli i tatuaggi sull'avambraccio.
Things i can't.
“Tutto questo è così...” un brivido che forse è freddo, forse paura, forse solitudine. “Non te lo immagini nemmeno come mi sento, adesso, con te che sei qui, e Niall che fa il cazzone con Simon, e Darcy che non ho idea di dove sia, ma sicuramente tua sorella sì...” si puntella sul gomito, vagando distrattamente in serpentine di centimetri di pelle. Appoggia l'indice sulla farfalla scura al centro del suo torace “Ma non puoi prendere la macchina alle tre di notte per venire qui tutte le settimane...non funziona così” 
Non posso, o non puoi tu?
Lo osserva giostrarsi a disagio in quelle parole. È un discorso che non vorrebbe fare, eppure si sforza, perché forse pensa sia giusto, alla fine, metterlo di fronte all'impossibilità della cosa.
Ma Harry sa, da quando ha infilato la chiave nel quadro, la notte prima, a Londra, sa.
“Hazza, cazzo, tu hai una figlia, una famiglia! Cosa c'entra una villetta a schiera a Richmond con me? Con uno che dimentica il bollitore sul fornello e allaga una casa? Con un coglione con gli occhiali da sole e il terrore delle rughe attorno agli occhi?”
Un idiota esibizionista, un calciatore superficiale, un manichino degli sponsor, un ragazzino spaventato che sapeva calciare bene un pallone, ma non sa come essere un semplice volto? Un testimonial? “Sono poco più di un pupazzo parlante con un contratto di tre anni per fare il fotomodello, invece che l'allenatore” sorride, con un'amarezza che non ha niente a che vedere con la rassegnazione. È solo dolore, e delusione.
Paura.
“Non gliene frega niente di me, e a me non frega niente di loro. E sto bene, è giusto. Nessuno si fa male” ma qualcosa che fa male c'è, e si conficca prepotentemente contro lo sterno di Harry.
Fa male che Louis scelga qualcuno di cui non gli importa niente, ma non lui.
Sbuffa, si alza. Afferra qualcosa, non sa neanche cosa, sul comodino, e lo lancia. Contro il muro, come un adolescente pieno di ormoni.
Si sente stupido, e ridicolo, e perso.
Perso.
Louis si tira indietro di scatto, uno spavento che è più che altro il riflesso condizionato per sfuggire alla rabbia.
“Chi non ama non soffre no? Cos'è? Un corso di Filosofia Orientale per Stronzi comprata per corrispondenza?” non era mai andata così. Lou lo sa, lo percepisce nell'aria.
Harry Styles che non accetta un rifiuto, che non lascia scappare qualcuno.
Forse pensava sarebbe stato facile scaricarlo.
Forse, semplicemente, difficile solo per Lou.
Essere un ex calciatore fallito con il terrore delle responsabilità, e un'incapacità cronica di ammettere di aver bisogno degli altri. Che cliché.
Infila rabbiosamente la maglietta, il buco slabbrato sul collo che si strappa. 
Un suono raggelante in quel silenzio ferito.
“Lou, cazzo, io lo so questo! Non fai altro che dirlo da mesi! Non vai bene per noi...” inspira, passandosi una mano fra i capelli annodati, riccioli arruffati, un gesto che lo ha sempre calmato; nascondere il viso per un attimo, chiudere gli occhi e respirare. Ma non in quel momento. 
In quel momento vorrebbe solo prendere a calci il culo delizioso di Louis Tomlinson.
Espira, saltellando per infilare i jeans scuri squarciati sulle ginocchia 
“IO non vado bene per ME! Ok? Nessuno di noi va bene per Darcy! A stento sappiamo cosa facciamo la maggior parte delle volte! Ma è così che va, è così che abbiamo scelto di affrontare le cose...” Louis si muove, il lenzuolo che scivola via. Harry deglutisce, perché alla fine è sempre lui, ed è nudo, e non è un dettaglio da sottovalutare, nemmeno in tutta quella frustrazione, e quella rabbia incandescente che si sente scorrere fino nelle punte dei piedi.
È sempre Lou. 
Il motivo per cui tutto è com'è. Per cui Harry è com'è.
Sospira, quasi sorride di una stupidità a doppio senso, di decisioni tossiche e incerte, folli ed eclatanti. Di quegli errori che scoperchiano fragilità. Di sé e di lui. Di un plurale che non ha il coraggio di immaginare 
“Ho caricato in macchina una figlia di nove mesi, mia sorella incazzata, e Niall, che è Niall, chiuso in un abitacolo, di notte, strafatto di Coca Cola e M&M's, per tre ore e mezza, perché io voglio stare qui” lascia cadere le braccia afferrando il cellulare scarico sul comodino “un giorno, due, una volta al mese, per sempre, non lo so” lo guarda trattenendo quelle ultime parole come l'ultimo respiro di energia che lo tiene in piedi, perché l'altro non ha pronunciato una sillaba, una sola, e Harry ha solo bisogno che lui lo dica, che vuole essere lì, non importa quando, per quanto o come, per lui.
Per qualcosa di sfilacciato e incerto, stupido e avventato. Reale.
Vero.
Ma Lou resta in silenzio, e fermo, e gelido, e lontano, e solo.
E Harry può solo uscire, passi che diventano falcate, che diventano una corsa a occhi bendati fino all'ascensore.
Solo.

***

Deve solo smettere di guardarsi intorno e aspettarlo.
Solo accettare di averlo spinto abbastanza lontano da impedirgli di ritrovare la strada del ritorno.
Convincersi, semplicemente, di aver fatto la cosa giusta.
Per chi, ancora deve trovare il modo di spiegarlo a se stesso.
Ma non importa davvero, non gli è mai importato di quanto fosse corretto, o giusto, o potesse ferire, il suo comportamento.
L'unica cosa sensata che abbia fatto per gli altri, è stata lasciar andare Harry Styles e la sua incasinata e avvolgente vita da padre single.
Manca ogni fottuto secondo, anche il suo odore, anche la mescolanza di suoni che è la sua risata. Anche la china dei suoi tatuaggi.
Ma Louis non è un padre, è un allenatore finto, una bella faccia e sorrisi tirati e falsi da fare a comando. 
Louis non è un padre.
Non è un fidanzato, un marito, qualcuno da amare. Da rincorrere, da incoraggiare. Da aspettare.
Solo un ginocchio fottuto e i modi pretenziosi di una primadonna egocentrica.
Simon ha voluto un altro party. Ancora giornalisti, paparazzi, fotografi, domande e stupide risposte.
Ma i ragazzi della squadra si divertono, sono su di giri, gli passano accanto con pacche sulle spalle e bicchieri di Champagne che tintinnano l'uno contro l'altro. C'è una vibrante energia fiera, elettrizzato entusiasmo. Un vento leggero di sguardi ammiccanti e prospettive.
Billy Morrison gli fa scorrere una mano sulla spalla, e stringe leggermente
“Coach” sorride, il flute che dondola leggermente fra le dita “E' bello rivederti in giro...” si allontana, senza nemmeno dare il tempo a Louis di rispondere, di realizzare, di assaporare.
Forse è bello davvero. Forse non fa così schifo come allenatore.
Forse no.
Harry.
Perché continua a guardarsi intorno in cerca di Harry?
Harry non verrà.
E forse perché è Louis a dover andare. A fermarlo, forse, forse solo a dirgli che è vero, ha ragione, non potrà essere tutto quello che vuole, ma può provare.
Con lui può provare.
Passa accanto a Simon, senza nemmeno curarsi di dirgli che sta andando via.
Non gli interessa di Simon.
Harry.
Riesce anche a correre su quel prato umido, senza calze, con le sue scarpe eleganti e i pantaloni ripiegati alle caviglie. La sua maglietta a maniche corte sotto la giacca. Il freddo che s'intrufola sotto la stoffa, sulla pelle, brividi lungo la schiena.
Anticipazione.
Harry.
Harry?
Harry è in piedi appoggiato alla portiera, le mani infilate nelle tasche del giubbotto di jeans imbottito, Gemma culla Darcy sul sedile posteriore della loro utilitaria, e Niall esibisce uno dei suoi sorrisi meglio riusciti ad un'affascinata Cheryl, salutando invitato in ogni angolo del giardino.
Fa un freddo glaciale nel South Yorkshire, eppure sono lì.
Niall lo vede, sollevando una mano per salutarlo, e si avvicina.
Harry resta immobile, la portiera chiusa che lo sostiene, e fissa ostinatamente qualsiasi cosa tranne Lou.
Potrebbe fissare persino le tette di Cheryl, pur di non guardare Lou.
“Amico, hei” Niall si avvicina, e gli parla sottovoce “Posso tenere buona Gemma al massimo dieci minuti, prima che vada fuori di testa e si metta al volante per guidare fino a casa, perciò datti una mossa bello, e vedi di dire quello che devi dire, una volta tanto, perché era incazzato come un pitone quando è arrivato a casa tua, eppure è venuto lo stesso” saluta con un cenno Louis che chiacchiera amabilmente con una moglie a caso di qualche investitore.
E Lou sa che si trova in bilico su quel momento, quello in cui dovrà scrollarsi di dosso tutte le stronzate, le paure, l'orgoglio sminuzzato e masticato. Scrollarsi di dosso Harry, e Louis, e cominciare ad essere qualcuno. Qualcosa. Non chiunque. Una persona precisa.
Inspira, espira.
Sospira.
Trattiene il respiro.
E avverte Harry in ogni singolo tremolio spaventato. 
Un passo e un altro ancora, esattamente come nel suo giardino, quella sera, con le scarpe da vela, esattamente come quella stupida notte da ubriaco, con Gemma che lo ascoltava vomitare con una punta di perplessa soddisfazione.
Esattamente come ogni giorno in quei mesi, tre, troppo pochi, forse, per innamorarsi di qualcuno.
Un'eternità.
Un passo dopo l'altro verso Harry.
L'altro lo guarda a malapena, sforzandosi di rimanere immobile e impassibile. Ma non è mai stato bravo ad ignorarlo, Harold Edward Styles di Holmes Chapel.
“Lo so. Lascia perdere. Sono un coglione. Siamo due coglioni, all'ultimo stadio. Facciamo pena, cazzo. Abbiamo quasi trentanni e ci rincorriamo come ragazzini. Sono un ragazzino Harold, lo sono!” si passa una mano fra i capelli, i tatuaggi sui polsi che sbucano dall'orlo della giacca, che colorano quell'imbarazzo di inchiostro di china e ricordi.
Sospira di nuovo, con la lingua accartocciata sul palato e un inspiegabile bisogno di alcool. Ma Niall ha ragione: hanno dieci minuti. 
Dieci minuti prima che Gemma scelga al posto loro nell'inerzia infastidita di quella conversazione. Nel silenzio teso e testardo di Harry, nel suo balbettare sconnesso.
“Io non lo so come starci senza di te, do' fuoco alle cose, e non reggo più nemmeno la Corona...ma questo non vuol dire che non potrò imparare. Solo che-” 
Harry sbotta di nuovo, una rabbia che lo scuote leggermente, perché inaspettata. Una rabbia che gli solletica lo stomaco di piacere. Un piacere infelice, poco confortevole, frustrante, che preme contro le costole.
“Senti Boo, è tardi, puzzo, non ho nemmeno il coraggio di guardarmi allo specchio, perché Darcy ha vomitato da qualche parte, e ho il terrore che 'qualche parte' sia la mia maglietta, ma voglio stare seduto in mezzo a pazzi invasati che urlano slogan servendosi di parole inesistenti nella lingua inglese, a guardarti mentre fai quello che ami fare, in qualche modo. Malgrado tutto, ammaccato e difettoso come sei, loro ti vogliono...e anche io” chiude gli occhi, quasi nel totale silenzio, in un'inaspettata resa.
E Lou non ha davvero più spazio e tempo per lasciar correre quelle parole.
“Hazza”
“Tu parli come se fosse difficile solo per te, tutto questo schifo delirante di gente che ti vuole sexy e irraggiungibile per fare il testimonial di una squadra di calcio, e io che sono io, un disagiato del cazzo con una figlia che non ho idea di come tirare su decentemente. Non fa schifo solo per te, Louis Fottuta Principessa Sul Pisello Tomlinson!”
“Harry” 
“Ma io voglio questo, cazzo, lo voglio, perché stare con te è assurdo e masochistico, e probabilmente uno dei due prima o poi ucciderà l'altro in preda ad un raptus di follia, ma io pensavo che sarei riuscito ad amare solo mia figlia, ormai, dopo tutte le cazzate, il sesso senza senso, e i bagni a Covent Garden. E invece no. E invece penso proprio di no. E fa fottutamente paura. Ma io sono qui, adesso, cazzo, perché voglio starci.”
Ero io che dovevo parlare con te, farti sentire tutto, e dire tutto, e lasciare che tutto scorresse via, finalmente. E invece sei di nuovo tu, Harry Styles, fottuto idiota, a prenderti tutto di me. 
“E onestamente adesso il problema è dove cazzo vuoi stare tu”
Qui.
Lì.
Chissenefrega.
Dammi solo i centimetri da contare.
“HAROLD EDWARD STYLES” la sua voce assume quella tonalità squillante tipica del panico e dell'isteria, ma non gli interessa. Lui è lì, con quegli occhi sgranati e la sua enorme bocca spalancata per la sorpresa, e Louis sa solo che c'è qualcosa di pateticamente giusto in quel momento. Malgrado la nebbia, il freddo, lo sguardo ostile di Gemma, le mogli dei finanziatori che non sarebbero affatto contenti di sapere che il loro preziosissimo ragazzo immagine è un omosessuale per niente represso, e Simon, Cheryl, Louis, e la squadra. I suoi ragazzi e l'attesa.
Doncaster e Richmond.
Harry e Darcy.
Quello che era ieri, e quello che, forse, ha deciso di essere.
Si avvicina e lo bacia, non con delicatezza, o con la depressa angoscia di ogni addio, né con la romanzesca poesia delle scene d'amore. Solo come un bacio che è familiarità e incontro, un saluto, un armistizio, qualcosa da dirsi.
“Mi fai arrapare da morire quando vai fuori di testa così”
Harry sorride, davvero, con tutte le fossette sulle guance e gli occhi.
E 'fanculo anche alle rughe d'espressione, sorride per davvero anche Lou.
C'è un'ombra d'imbarazzo, perché sono in piedi davanti a metà degli invitati, e Louis sarà anche una primadonna egocentrica, ma quel momento non deve scorrere incompreso fra la gente. Non può consumarsi per il troppo uso fra le dita di chi non sa maneggiarlo.
A stento loro sanno tenerlo in mano senza frantumarlo, rovinarlo, raderlo al suolo. A stento, davvero, perché sono anche tropo bravi a far sbattere ogni istante contro tutti i muri.
Disco Inferno a volume illegale negli amplificatori accompagna la loro lenta e cadenzata uscita di scena.
Sarebbe la quinta di destra, se fossero su un palco, in un roboante teatro.
Ma sono solo su un prato umido, a trascinare scarpe troppo costose o troppo grandi.
Trascinarle in un angolo a caso, un posto a caso, a tremare un po' più vicini, su una panchina a caso di una strada a caso. 
Doncaster.
Ma potrebbe essere Richmond, o la Patagonia.
Istanbul o Accra.
L'iperspazio.
Harry tira fuori una birra dalla tasca interna della giacca e la stappa contro lo schienale della panchina.
Si stringe nelle spalle
“Io non guido fino a Richmond stanotte” il modo in cui lo dice, il tono gutturale, che raschia contro la gola e la spina dorsale di Lou, somiglia ad una promessa stupida.
Stupida e rassicurante.
Tempo.
Anche solo ore di tempo.
Louis accetta la birra gelida e ne butta giù un sorso. Ruvida giù per la gola quasi paralitica.
“A me i bambini stanno sulle palle Styles...” Harry fa schioccare la lingua che brulica ancora di bollicine
“A Darcy stanno sulle palle tutti quelli che non sono me, Gemma, Niall, Zayn, Perrie, Sophia e Liam quindi...” 
Lou ridacchia, la birra che gli scalda il palato e il petto. È solo una birra, solo cinque gradi scarsi d'alcool in corpo, eppure sente il terreno sotto i piedi allontanarsi dalle suole
“Siamo anime gemelle...”
“Sei una primadonna frignona anche tu, effettivamente...” 
C'è uno strano equilibrio, una strana morbidezza, una strana lunghezza d'onda confortevole.
Louis non sa dirlo, ma potrebbe essere davvero la sensazione che si prova quando si smette di correre in cerchio.
“Saranno i tre anni più lunghi della storia del mondo, lo sai vero? Cazzate, ritardi, treni, autobus, ritiri con la squadra, deliri e imbottigliamenti sull'autostrada. E io che dovrò disdire, e tu avrai un matrimonio, una comunione, un funerale. Darcy e la varicella, tua sorella che non può farle da babysitter, influenza, nebbia, neve...”
Harry ridacchia, e si avvicina. Morde delicatamente il lobo del suo orecchio.
Convent Garden. Un bagno a caso. A due orinatoi dal suo.
“Oops” ride sulla pelle del suo zigomo
“Ciao” 
Louis forse non è un padre, non è un marito, un vero allenatore. 
E tre anni sono lunghi, e Doncaster non è Londra, e Harry è Harry, e il tempo, lo spazio, il caso, le decisioni, la solitudine e il terrore.
L'indecisione e l'incertezza, le insicurezze del caos.
Forse nessuno di loro due è pronto.
O adulto, o forte abbastanza.
Solo inadeguatezze che si incontrano, e provano ad essere genitori decenti. 
Things i can.















Note: Innanzitutto scusate perchè questo capitolo non è nemmeno lontanamente degno del tempo che lo avete aspettato e di quello che ci metterete a leggerlo.
Tantomeno è degno di essere un ultimo capitolo-prima-dell'epilogo, ma meglio non potevo fare.
Mi spiace perchè oggi è una bella giornata, esce il video, siamo tutti mediamente felici senza motivo, e sicuramente vi aspettavate qualcosa di meglio, ma va così, spero che almeno l'Epilogo abbia vagamente senso :)
E niente, io vi ringrazio sempre per tutto l'amore che vortica attorno a questa storia, e spero sempre che le mie impressioni sugli obrobri che mi vengono fuori siano un po' esagerate ahahaah
Alla prossima con l'Epilogo dove potrò sbizzarrirmi in dediche smielate e frignare adeguatamente dietro a questa minilong che finisce e tutto il cucuzzaro :D
With love da Harold e Boo, da Darcy e da me <3

 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: tagliarsi_con_gli_origami