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Autore: y3llowsoul    03/11/2013    1 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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34. Uomini e macchine

 

There’s a road I have to follow, a place I have to go.

Well, no one told me just how to get there,

but when I get there I’ll know

cause I’m taking it.

(Whitney Houston, Step by Step)

 

Juan Juarez fischiò quando vide la macchina. Una Ford Modello A del 1931. Che bella. Per ora.

Non era stato difficile scoprire quale macchina appartenesse al bersaglio. Aveva ricevuto una foto e le indicazioni sul suo posto di lavoro e una copia del conto d'acquisto della macchina dai suoi committenti. Non c'erano informazioni inaccessibili. Aveva solo dovuto aspettare finché la macchina interessata non fosse passata a velocità da lumaca e in modo guardingo nel parcheggio dell'università.

Juan osservò il bersaglio scendere dall'automobile ed entrare in università dopo alcune brevi conversazioni con gli studenti. Aspettò ancora un po' per essere certo che le lezioni fossero cominciate per la maggior parte della gente. Fortunatamente era mattina presto, quelle erano le prime lezioni a cominciare e così non c'era quasi nessuno tranne gli studenti e i professori che avevano i corsi. E se c’erano altri, si trovavano in biblioteca e non nel campus o in una zona da cui potessero vedere l'auto d'epoca. Fortunatamente la macchina era un po' distante dal centro del campus.

Juan aveva riflettuto su se fosse meglio colpire nel trambusto o quando non c'era nessuno. Perché nel secondo caso naturalmente avrebbe attirato l'attenzione delle poche persone in strada ancora di più. Però una Ford Modello A del 1931 attirava l'attenzione anche nel trambusto, soprattutto quando una persona armeggiava intorno a essa senza essere ovviamente autorizzata.

Dunque avrebbe eseguito la sua missione in quel momento, lì, dove nessuno lo avrebbe visto. Si guardò intorno casualmente per un'ultima volta e poi cominciò il suo lavoro.

 

- - -

 

«Okay, grazie, David». Megan attaccò e rivolse la sua attenzione ai fascicoli sul suo grembo.

Nonostante Don, accanto a lei sul sedile del conducente, si fosse concentrato molto poco sul traffico pur di comprendere ogni parola almeno della parte di dialogo che poteva sentire e perciò fosse certo di conoscere già la risposta, fece lo stesso la domanda. «Hanno trovato qualcosa?»

Megan scosse la testa che continuava a tenere abbassata sui fascicoli.

«No. O meglio, ci sono alcuni infermieri che si sono comportati in modo sospetto, ma tranne un piccolo spacciatore di droga non hanno trovato niente».

Don prese fiato, ma Megan non gli lasciò la parola: «E no, Don, lo spacciatore di droga non ha nulla a che fare con la scomparsa di Charlie».

Don tacque per qualche attimo. «E i fascicoli?» chiese poi. Lasciando l’appartamento che una volta era stato di Anna Silverstein erano andati direttamente alla questura competente e lì avevano, dopo una certa resistenza e più di una chiamata tra polizia e FBI, finalmente ricevuto qualche copia degli atti investigativi sull'omicidio della Silverstein. Il caso era ancora aperto per cui i due agenti dell’FBI erano rimasti alquanto sorpresi dal fatto che l'appartamento fosse stato sbloccato così velocemente. Ma forse avevano semplicemente abbandonato ogni speranza di trovare nuove tracce.

La sera tardi avevano preso una stanza in un motel di poco conto; era stata la soluzione più semplice e comunque sarebbe stata una cosa temporanea.

Avevano cercato di analizzare per bene il caso, ma alla fine tutti e due avevano capito di essere troppo stanchi per concentrarsi e così avevano deciso di rimandare tutto al giorno dopo.

Ora si stavano dirigendo verso l’abitazione del ragazzo della Silverstein. Non avevano ancora tentato di raggiungere i suoi genitori, ma speravano che non sarebbe stato necessario.

«Ecco», Megan cominciò a riassumere le loro informazioni dell'omicidio. «Anna Silverstein è stata pugnalata lunedì, il 23 aprile, tra le cinque e sei del pomeriggio nella cucina del suo appartamento. È stata trovata dal suo ragazzo che doveva prenderla per un appuntamento alle sette di sera. È stato lui a chiamare la polizia. L'autopsia ha confermato che l’arma del delitto è un coltello da cucina appartenente alla vittima, come sospettato. Non hanno trovato impronte digitali sul coltello e nessuna traccia del colpevole».

«I colleghi hanno qualche sospetto?»

Megan sfogliò i documenti. «No... Sembra che abbiano interrogato il ragazzo a lungo, ma aveva un alibi e non ha fornito indizi utili alle indagini. Oltre a questo brancolano completamente nel buio. Non conoscono neanche il movente. Per quanto il suo portafoglio sia stato rubato, gli estratti conto fanno pensare che non si sia trattato di più di cento dollari. Per il resto, niente. L'appartamento non è stato rovistato, non c'era segno di violenza sessuale e il suo ragazzo e i suoi genitori dicono che non aveva degli nemici. Il dipartimento di polizia non può sospettare di altri che di uno scassinatore non identificato».

«Deve aver qualcosa da fare con Charlie» disse Don a bassa voce.

Megan non disse niente. Aveva paura che Don si stesse lasciando trasportare troppo da quella faccenda, ma allo stesso tempo non poteva che dargli ragione: sembrava davvero che Anna Silverstein fosse stata uccisa a causa del suo presunto resoconto ai sequestratori di Charlie. Perché un omicidio per rapina era – malgrado il portafoglio rubato – estremamente improbabile: sembrava piuttosto essere una manovra diversiva. Naturalmente era possibile che la Silverstein avesse semplicemente sorpreso uno scassinatore che poi aveva perso il controllo, ma contro questa teoria parlavano sia l'area residenziale non molto cara e allo stesso tempo non molto accessibile della vittima sia il fatto che lo scassinatore sembrava non aver cercato niente nell'appartamento.

Eppure era molto sospetto che entrambi i crimini – l'omicidio di Anna Silverstein e il sequestro di Charlie – avessero avuto luogo proprio lo stesso giorno, sebbene a centinaia di chilometri di distanza. Questo diventava ancora più sospetto tenendo conto che, secondo la loro testimone, Anna aveva sorvegliato Charlie nella clinica. La domanda era: perché l'aveva fatto? Qual era il suo rapporto con i sequestratori di Charlie? Era solo una coincidenza? Era estremamente improbabile. Ma che altro c’era dietro? Anna Silverstein apparteneva alla cerchia dei sequestratori? Ma se era così, perché era stata uccisa? C'erano delle rivalità tra i sequestratori? Oppure lei non era stata un membro effettivo, ma solo una spia pagata? Oppure aveva trovato delle informazioni sui sequestratori di Charlie e li aveva ricattati?

E le risposte avrebbero aiutato loro a trovare Charlie?

 

Finalmente arrivarono all'appartamento del ragazzo di Anna, un certo Pete Thorpe. Un uomo assai attraente di 29 anni (almeno il fascicolo dell'omicidio della sua ragazza recava quest'età) aprì loro la porta. Era di altezza media, allenato, aveva i capelli un po' troppo lunghi e non del tutto alla moda, proprio come il suo appartamento. Dopo essersi identificati, l’uomo li guidò per l'appartamento nel quale – tenuto conto dell'ordine e l'arredamento – viveva da solo e offrì loro di sedersi sul suo divano nero, fin troppo adatto ad uno scapolo.

«Signor Thorpe, siamo qui perché speriamo possa aiutarci nel caso di sequestro di Charles Eppes» cominciò Don. Osservò l'uomo di fronte con concentrazione mentre diceva il nome di suo fratello. Thorpe mostrava un qualche tipo di reazione? Conosceva il nome? Anna Silverstein gli aveva raccontato qualcosa su di lui? Se l'aveva fatto, aveva usato il nome Charlie oppure quello che la clinica gli aveva dato? Perché finora, Don non aveva potuto trovare alcuna reazione sospetta, ma forse, forse avrebbe avuto più successo a breve.

«Charles – » ripeté Thorpe e sembrava davvero confuso. Ovviamente aveva supposto che la visita dei due agenti federali avesse qualcosa da fare con la morte della sua ragazza. «E come potrei aiutarvi io con questa faccenda?»

«Era uno dei pazienti della sua ragazza. Forse lo conosce anche col nome Michael».

Thorpe sembrava ancora non sapere di che cosa si trattasse. «Mi dispiace... non so di che cosa state parlando».

La cosa peggiore era che Don gli credeva. Thorpe sembrava sincero. A giudicare dall'espressione confusa, non doveva essere un genio, ma non poteva neanche dire che fosse un bugiardo. E questo significava che erano di nuovo arrivati ad un vicolo cieco.

Solo Megan non sembrò darsi per vinta. «Abbiamo scoperto che questo paziente è stato sorvegliato dalla sua ragazza. Le ha mai menzionato qualcosa del genere?»

Thorpe scosse il capo. «No. Non ha mai parlato del suo lavoro di una volta. E ci conoscevamo solo da un mese». A giudicare dall'espressione trasognata dei suoi occhi, quel mese doveva essere stato bellissimo.

«Va bene». Megan si massaggiò la fronte, ma sembrava decisa di non abbandonare la speranza troppo presto. «La sua ragazza ha mai menzionato una qualche... fonte di guadagno?»

Don poteva solo provare ammirazione verso la sua collega. Perché anche se lui non aveva avuto abbastanza sangue freddo per farselo venire in mente, sapeva a che cosa stava mirando Megan: se Anna non aveva detto niente di Charlie o di Michael al suo ragazzo e se lui non ne sapeva niente, era facile supporre che l'infermiera non l'avesse osservato per motivi personali. In questo caso era probabile che avesse ricevuto l'incarico dai sequestratori di Charlie e che in cambio fosse stata pagata. Naturalmente era anche possibile che fosse stata ricattata dai suoi sequestratori oppure che avessero usato un altro mezzo per farle pressione, ma il fatto che sembrava essersi creata una nuova vita in poco tempo faceva piuttosto pensare ai soldi.

Thorpe rifletteva con concentrazione sulla domanda; almeno la sua fronte aggrottatissima ne era un'indicazione distinta. «Beh'» disse, «ha menzionato qualcosa del genere. Qualcosa come il fatto che riceveva dei soldi senza far niente tranne telefonare una volta la settimana. Non l'ho davvero capito e allora le ho chiesto di spiegarsi, ma non so...» ci riflette ancora su. «Non mi ha dato una risposta precisa» notò poi. «Ha semplicemente cambiato il soggetto».

Don era di nuovo in allerta. «Con chi ha fatto queste telefonate? Ha il nome o il numero?»

«No, erano sul suo cellulare».

Se Don ricordava bene, non c'era stata menzione di un cellulare nel rapporto della polizia. «E dove si trova questo cellulare? Da lei? O dai suoi genitori?»

«No, l'ha buttato via; proprio per questo gliel'ho chiesto e poi mi ha raccontato di questa... questa "fonte di guadagno". Ha detto che non aveva più bisogno dei soldi».

«Ha buttato via il cellulare?»

«Ve l'ho appena detto, no?»

Don si morse il labbro inferiore. Riuscì appena a mantenere la sua frustrazione sotto controllo. Un secondo prima avevano una nuova pista, una molto promettente – quel numero avrebbe potuto guidarli direttamente da Charlie – e adesso l'avevano di nuovo persa.

Ma forse... forse la Silverstein era stata abbastanza imprudente da annotare il numero da qualche parte nel suo appartamento? In questo caso avrebbero solo dovuto frugare tra le sue cose. Ci avrebbero messo tempo, sì, ma se c'era solo una minima possibilità di trovare il numero–

«Qual'è il suo numero?» la domanda di Megan interruppe il treno di pensieri di Don.

«Di Anna?»

«Sì. Se ha buttato via il suo cellulare, forse qualcuno l'ha trovato e portato nell'ufficio degli oggetti smarriti o l'ha preso con sé. In ogni caso c'è la possibilità che il numero sia ancora memorizzato».

Don deglutì. Sì, c'era questa possibilità, ma c'era anche la possibilità che il cellulare si trovasse già in una qualche discarica, spento e con la batteria scarica, così da non riuscire più a trasmettere un segnale. Ma dovevano sperare, dovevano sperare...

Thorpe diede loro il numero e si congedarono velocemente. La contatteremo nel caso se ci saranno altre domande. Speravano che non sarebbe stato necessario, che avrebbero finalmente fatto un passo avanti.

 

Quando salirono in macchina, Megan aveva già digitato il numero del cellulare di Anna. I due aspettarono, tesi, nella macchina parcheggiata. Megan non aveva acceso l'altoparlante per non scoraggiare subito la persona all'altro capo della linea, ma Don si era appoggiato così vicino a lei che avrebbe potuto sentire perfettamente la conversazione. Per tutti e due era chiaro che Megan sarebbe stata più adatta a portare avanti la chiamata.

Se poi ci sarebbe stata una conversazione. Era già il quarto squillo. Nessuno risponde, nessuno...

«Sì?»

Il cuore di Don quasi smise di battere per il sollievo. Era la voce di un uomo, bassa e rauca.

«Buongiorno, mi chiamo Megan Reeves. Con chi sto parlando?» disse Megan con il suo tono più affascinante.

Questo però non sembrò aver alcun effetto dall'altra parte. «Harry». La risposta arrivò breve e nonostante tutto piena di diffidenza.

«Harry – e poi?»

«Niente "poi". Per te solo Harry. Che cosa vuoi?»

Megan cercò con grande successo di non lasciarsi confondere dalla sua scortesia. «Vorrei parlare un po' con lei, Harry. Dove si trova attualmente?»

«Che cosa vuoi?» ripeté Harry.

Megan rifletté febbrilmente. Non doveva dire niente che portasse il suo interlocutore a chiudere la chiamata. Finora però sembrava essere stata fortunata: malgrado la sua laconicità, l’uomo non sembrava voler terminare la conversazione. «Vorrei dare una breve occhiata al suo cellulare, Harry, questo è tutto».

La diffidenza divenne maggiore. «Perché? Chi sei?»

Megan si decise per la verità. Almeno parzialmente. «Ho urgente bisogno di un numero che probabilmente è salvato su questo cellulare. Suppongo che l'abbia trovato da qualche parte, giusto?»

«Vuoi riprendertelo?»

«No, Harry, voglio solo dargli un'occhiata. L'ha trovato di recente?»

Una piccola esitazione. Poi: «Sì».

Megan mandò un sospiro di sollievo. «Va bene. Allora potrei venire da lei adesso per guardarlo? Dove si trova attualmente?»

«Nel Parco di Livingston. All'entrata dello zoo».

«Va bene. Per favore, rimanga lì. Saremo da lei in un attimo».

Megan riattaccò. Per un attimo lei e Don si poggiarono contro gli schienali dei sedili prima che la risolutezza avesse di nuovo il sopravvento: in qualche minuto, con una probabilità quasi certa, avrebbero avuto il numero di telefono di uno dei sequestratori di Charlie.

- - -

L’aspetto di Larry era stanco più o meno quanto quello di Amita quando si congedarono davanti alla CalSci. La notte era già calata, ma comunque non vivevano secondo il ritmo di sole e luna da già una settimana. La notte non era neanche un periodo di riposo per loro.

Facevano progressi troppo lenti. L'analisi curvelet richiedeva una quantità enorme di tempo perché le due telecamere di video sorveglianza, quella davanti alla CalSci e quella nel negozio di automobili, mostravano loro dei piexel appena utilizzabili. Nel frattempo avevano dei visi, sì, ma era ancora troppo poco per fare un qualsiasi confronto con le banche-dati.

Malgrado la stanchezza, Larry non riusciva a liberarsi di quella sensazione nervosa che provava se la sua testa non era occupata con processi ed equazioni complicatissimi. E attualmente la sua testa era relativamente vuota e grazie all'aria notturna fresca anche abbastanza chiara da realizzare che non facevano progressi. E che questo non poteva significare nulla di buono per Charlie.

Fermò gli occhi per un attimo. Di nuovo si chiese che cosa sarebbe successo se avessero fallito, se non avessero trovato Charlie. Ma riuscì a bandire la domanda dalla sua coscienza abbastanza velocemente da non permettersi, fortunatamente, di darsi una risposta.

Si sedette nella sua macchina tentando di non lasciarsi sprofondare troppo nel cuscino molle. Era abbastanza stanco e doveva ancora fare la via per casa in sicurezza.

Di solito non guidava mai la macchina – o, come la chiamava lui, "l'opera d'arte" – a una velocità eccessiva; solo lungo la strada che scendeva la piccola collina dove si trovava la CalSci aveva osato andare a quasi quaranta chilometri all’ora – e anche questo solo per risparmiare sui freni. Li usava sempre solo un po', un pochino–

Ma ora sembrava che stesse esagerando con quel "un po'". "L’opera d’arte" accelerò, il tachimetro mostrò a Larry che andava già a cinquanta chilometri all’ora. Non era mai andato così veloce con la sua macchina.

Deve essere la stanchezza, pensò fra di sé, benché ora la stanchezza fosse del tutto svanita. Più risoluto di prima fece una frenata. La macchina non reagì. L'automobile andò avanti senza rallentare. Premette il pedale con tutta la forza.

Non successe nulla.

 

  
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