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Autore: fireflies045    04/11/2013    1 recensioni
*DAL CAPITOLO 2*
I capelli che le arrivavano fino a mezza schiena dello stesso colore del mio ombrello, rosso.
Rosso è il colore dell'amore, della passione, ma anche il colore del sangue, della rabbia e della vergogna. Rosso. Così tanti significati in un solo semplice colore.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 1.

“Charlotte, alzati dal letto! Non puoi fare tardi il primo giorno di scuola qui a Mullingar!” continuava a gridare mia madre da un lato della casa, forse dalla cucina, il suo piccolo regno del quale lei era la regina.
Cara mamma, vai tu a scuola senza voce, dove tutti ti guardano e pensano che sei diversa perché non parli, non puoi parlare!
Quel 31 dicembre 2011 tu eri a casa a festeggiare l’entrata del 2012 con tutta la nostra famiglia mentre io tornavo dalla discoteca con i miei amici e, senza nemmeno rendermene conto, la lamiera dello sportello mi attraversava la coscia destra da lato a lato, non riuscivo a muovermi, sanguinavo e avevo battuto la testa: un camion ci era venuto contro e dopo poco persi i sensi.
Nessuno di noi aveva bevuto quella sera.
Dopo tre settimane in coma mi risvegliai e realizzai che non riuscivo più a parlare ma, il giorno dopo scoprii che ero quella messa meglio dei quattro presenti nell’auto quella sera, compresa me: Mike, il guidatore, era morto sul colpo, a Juliet, seduta al suo fianco, avevano amputato il braccio destro e Jack, seduto accanto a me sui sedili posteriori, era rimasto sulla sedia a rotelle.
Quelle immagini erano ancora fresche nella mia mente, non volevano cancellasri come un file del computer ed io non potevo farci niente.
Le avrei rimosse anche con la forza, ma non potevo.
 
Avevo appena varcato il cancello della scuola e già avevo gli occhi di tutti puntati addosso.
Odio essere al centro dell’attenzione, sono stata fatta per stare sullo sfondo e lì dovevo restare, io ero solo una comparsa di un film chiamato “Vita” del quale non sarò mai la protagonista.
Al mio passaggio i ragazzi si davano gomitate e occhiate d’intesa, mentre le ragazze mi guardavano male e si chiedevano “Chi è quella?” e come risposta ci fu un coro di “Non lo so!” e di “Non ne ho la più pallida idea!”.
Continuai a camminare, entrai e notai che la nuova scuola era quasi identica a quella di Belfast, dove andavo prima. Un lungo corridoio con una fila immensa di armadietti personalizzati sulla destra e varie porte sulla sinistra. Avanzavo e leggevo sulle varie porte quale materia si studiava al suo interno: chimica, letteratura, scienza, biologia, filosofia… ma della segreteria nessuna traccia. La porta dell’aula di filosofia si spalancò e ne uscì un’anziana signora con capelli neri tinti e indossava una camicia e una gonna blu dal ginocchio. Aveva una decina di libri in mano, una borsa che le penzolava all’altezza del gomito e manteneva un paio di fogli tra le labbra. Dopo qualche millesimo di secondo questi le caddero. Mi calai e li raccolsi, mi avvicinai alla professoressa e presi alcuni libri per alleggerirla altrimenti non sarebbero caduti solo quelli ma anche lei!
“Grazie” disse prima di squadrarmi da capo a piede “devi essere la ragazza nuova, quella che non può parlare, vero?” Annuii. “Hai già ritirato i libri e l’orario scolastico?” Scossi energicamente il capo. “Ti accompagno in segreteria per ritirarli” concluse con un sorriso che le andava da orecchio a orecchio e mi prese sotto braccio.
Mi era già simpatica quella professoressa, l’Irlanda mi era già simpatica.
Non so, forse era l’aria, forse era solo perché Mullingar era la città in cui ho sempre voluto vivere.
Il verde, i trifogli, la birra, le leggende popolari… non esiste nulla di più bello dell’Irlanda a livello naturale e culturale!
Arrivammo davanti una porta alla quale bussò e, poco dopo, entrammo.
“Jiles, è arrivata la signorina Foster, muoviti a darle i libri e l’orario che le lezioni sono cominciare già da un pezzo!” ordinò ad un signore che poteva avere si e no 45 anni, con capelli rossi e lentiggini sulle guance il quale si alzò e andò a prendere i libri in un armadietto blu.
 
“Vado in classe, i tuoi nuovi compagni sono indomabili! Hai capito dov’è l’aula di filosofia?” mi chiese dopo avermi accompagnato al mio armadietto.
Annuii: la terza porta sul corridoio principale.
Mi accarezzò il viso come se fossi una cosa preziosa, poi mi disse “Un giorno vorrei conoscere la tua voce… Sei bellissima e immagino che la tua voce sia altrettanto…” e se ne andò.
Non ho mai incontrato una professoressa così dolce e imbranata ma, allo stesso tempo, tosta e decisa.
Il mio armadietto era bianco, senza alcun disegno, senza alcuna scritta o oggetti incollati sopra. Nulla. Bianco come il nulla. E io ho paura del nulla, del bianco, perché il bianco non è un colore, il bianco è l’equivalente esistente del nulla.
Dovevo rimediare al più presto.
Intanto posai i libri al suo interno e andai verso l’aula di filosofia.
Arrivata davanti la porta mi bloccai con la mano chiusa a pugno a mezz’aria con l’intento di bussare e poi scappare, tornare a casa e nascondermi al sicuro sotto le coperte, ma poi mi feci coraggio e bussai, senza scappare.
Mi rispose un coro di “Avanti!”
Quando entrai la professoressa disse “Ecco ragazzi, lei è la nuova arrivata, Charlotte, la ragazza di cui vi ho parlato fin ora. Abbiate un po’ di pazienza con lei! Charlotte, siediti qui davanti, accanto a Genevieve.”
Genevieve aveva capelli nero corvino mossi e si vedeva che erano naturali e non tinti come quelli della professoressa, occhi verdi e un jeans verde, strappato leggermente sulle ginocchia, fasciava le sue gambe magre.
A mio parere poteva avere tutti i ragazzi della scuola ai suoi piedi tanta la bellezza.
Mi sedetti accanto a lei e mi disse “Benvenuta allo zoo! La professoressa di filosofia ci ha parlato tanto di te, io sono Genevieve Benson, ma chiamami solo Genny…” si bloccò e, imbarazzata, calò il capo. “Scusami…” sussurrò.
Non fa niente Genny, non fa niente, ci sono abituata alle persone che si dimenticano del fatto che non posso parlare, avrei voluto tanto dirle.
“Charlotte, ti va di presentarti a tutta la classe?” interruppe i miei pensieri la professoressa.
Annuii, mi alzai e mi avviai verso la lavagna nera sulla quale scrissi, con un gessetto rosso “Mi chiamo Charlotte e sono muta.”
 
  
 

 
  
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