Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: saraviktoria    04/11/2013    2 recensioni
Dal prologo:
"oddio, chi lo vorrebbe morto?"
"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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chiedo umilmente perdono per aver interrotto di botto il capitolo precedente... ma mettere tutto in un capitolo sarebbe stato troppo, e non ho trovato un altro punto in cui spezzarlo. 
ad ogni modo, non so se Ben parli veramente francese. so solo che un po' di  tempo fa avevo visto un video amatoriale in cui diceva "je suis tres heureux d'etre ici", o qualcosa del genere.... quindi ho immaginato che, almeno a livello scolastico, qualcosa sappia.
buona lettura,
baci
SaraViktoria

34-mademoiselle Chantal …. O dovrei dire … come ti ha chiamata? Axenne?

Quel giorno stavo lavando l'ingresso. Sembrava non vedesse il sapone da secoli.

"Axenne!" chiamò Andrè. Ancora non mi ero abituata a sentirmi chiamare così, tanto che lì per lì mi chiesi con chi ce l'avesse, dato che abitavamo soli.

"oui, j'arrive " urlai in risposta. Mi sistemai i vestiti -avevo dovuto comprarne di nuovi, dato che in città non vedevano di buon occhio jeans e camice eleganti- e corsi sul retro. Davanti a quello che mi ero abituata a chiamare zio, stava un ragazzo, con i capelli scuri e gli occhi neri

"cosa ci fai qua?" chiesi, fregandomene del fatto che avrei dovuto parlare solo francese. Andrè mormorò qualcosa, trascinandoci dentro. Chiuse tutte le finestre e accese la luce, prima di sedersi sul divano, rammendando un paio di stivali

"Mademoiselle Chantal … o dovrei dire … come ti ha chiamato? Axenne?"

"sì" risposi, facendo una smorfia.

"come stai?"
"Barnes, cosa ci fai qui?" stava meglio con i capelli più corti, notai: assomigliava di meno a un mocio.

"rispondi prima tu"

"come vuoi che stia? Sono rinchiusa in questa specie di casa, con dei cavalli come amici e qualche vecchietta che mi insegna a fare la maglia!" ripresi fiato, era bello  potersi sfogare "ora tocca a te"

"allora, se vuoi l'ordine preciso … " feci un gesto impaziente "bene, sono appena tornato dalle premiere di Killing Bono a Londra e Dublino" mi passò una rivista di gossip "se vuoi tenerti aggiornata". Gli diedi una rapida scorsa. Oltre  a qualche articoletto scemo, c'era una serie di foto del ragazzo che mi stava davanti.  Da una parte,  a Londra, con uno smoking nero, cravatta a righe, insieme al ragazzo che avevo visto con lui a Dublino. Qualche pagina dopo,foto diverse ma sempre con le stesse persone, e con indosso un vestito grigio. Chiusi la rivista, in attesa del resto della spiegazione. Che non pensasse di avermi fermato!

"e poi" continuò "ho chiamato Anne, è a Città del Messico e sta bene" mi anticipò "mi ha dato il nome di questo posto, che tra l'altro immaginavo più grande" anch'io, aggiunsi mentalmente "e sono venuto"

"fin lì ci arrivavo anche da sola" risposi, sarcastica "quello che volevo sapere è il perché"

Rimase un attimo a pensarci, forse stava decidendo se rispondermi o meno.

"volevo vederti" disse, semplicemente. Forse avrei dovuto dimostrare un minimo di sensibilità. Senza forse, avrei dovuto farlo. Ma il tatto non è mai stato il mio forte.

"potevi guardare una foto"

"non posso baciare una foto"

"non puoi baciare neanche me" ribattei, come se fosse ovvio. Ma ancora non aveva capito?

"per questo sono qui"

"ti ho già baciato. Due volte" ricordai, sottolineando le parole con le mani "direi che basta e avanza"

"ma quello non conta!" si lamentò "io voglio un bacio vero, senza seguito" storsi il naso. E poi ero io quella complicata? "le due volte che ci siamo baciati poi siamo finiti a letto insieme" spiegò, stizzito.  Mi alzai dalla poltrona, cercando qualcosa

"cosa stai facendo?" chiese interessato

"cerco qualcosa da tirarti in testa" scherzai, appoggiandomi al mobile. Era una specie di credenza, in legno antico lavorato. Era il mobile migliore di quella casa.

"cosa te lo fa fare?" chiese d'un tratto, tanto che non capii a cosa si riferiva "intendo, stare qui, fare tutto quello che hai fatto per finire qui … " non mi pareva fosse molto chiaro, ma credevo di aver capito.

"vuoi la verità? Non lo so nemmeno io, ma amo il mio lavoro" feci una pausa, era complicato da spiegare "l'avrai capito, io non sono quel genere di ragazza casa, famiglia e chiesa. Anche solo l'idea di mettere su famiglia mi ha sempre fatto venire i brividi. Le ragazzine immaginano una bella casa, un marito che le baci la sera, stare sul divano a guardare la televisione con i figli, preparare la cena … a me non è mai interessato. Anzi, quando me lo chiedevano rispondevo male" non che adesso sia più gentile "quando abbiamo finito il liceo, mia sorella si è iscritta all'università, mentre io non avevo ancora le idee chiare. E i miei genitori non approvavano, anche se non me lo hanno mai fatto pesare. Avevo degli amici che parlavano di arruolarsi nelle forze di terra canadesi, ma non ero sicura di farcela, vivendo con i miei" mi fermai di nuovo. Non lo avevo mai detto a nessuno, nemmeno ai miei genitori "così, guardandomi intorno, ho visto il bando per le selezioni all'accademia della Marina americana"

"ma non bisogna avere la cittadinanza?"

"io SONO americana. Mia madre è nata negli Stati Uniti" risposi "mi sono iscritta -si faceva già tutto online- e dopo qualche mese  sono entrata all'accademia. Il resto lo sai" mormoro, restia a raccontarglielo.

"mi manca una cosa, scusa se te lo chiedo. Ma come sei passata dalla Marina alla CIA?"

"ci sono molti ex militari, nei nostri uffici" uffici che speravo di rivedere il più presto possibile. "il direttore aveva seguito il mio caso alla televisione ed è venuto a vedere qualche udienza. Dopo avermi sentito rispondere male a un avvocato mi ha chiesto di trasferirmi alla CIA. Ti prego, dimmi che sai cosa sta succedendo fuori di qui" implorai.

"perché, non leggi i giornali?"

"tu non conosci i francesi. Non sanno essere neutrali. Qui si parla solo di attentati agli americani"

"sono stato dalle parti del porto, dopo che siete partite, e non ho scoperto niente di buono " e non riuscii a trattenermi

"ma bravo! Ti sei messo a fare il piccolo detective?" sbottai acida. Gli risposi male, oltre agli ovvi motivi, perché io ero rinchiusa in quella maledetta città, mentre lui poteva andarsene in giro come voleva.

"ascoltami, prima di fare battutine. La Rose "

"Roosevelt" corressi, mordendomi le labbra. Neanche un nome si ricordava

"beh, la nave, è partita due giorni dopo il fattaccio" risi, di fronte a quel termine. Era proprio inglese "ha fatto i bagagli in fretta e furia, da quello che ho sentito dire in giro. Non so se Anne te lo ha detto, ma l'ammiraglio è stato ucciso mentre si trovava ancora a terra"

"no, non lo sapevo" ammisi

"e quindi il caso sarebbe dovuto essere della polizia di Belfast. Ma a quanto pare qualcuno ha fatto spostare il corpo sul … non so come si chiama … dove atterrano gli aerei" fece dei gesti insulsi con le mani

"è il ponte di volo. Ma vai avanti" lo rimbeccai. Avevo bisogno di sapere

"l'hanno portato lì. E dato che la nave è territorio americano, hanno avuto il permesso di tornare in America" assurdo. Chi poteva essere stato?

"qualcuno ha parlato della mia squadra?" mi informai. Mi sembrava una vita fa. Che avevo messo su la squadra, subito dopo il mio compleanno. Invece era passato quasi un mese.

"la gente del porto, soprattutto i pescatori, dicono che alcune persone non facenti parte dell'equipaggio sono state viste che si allontanavano dal porto. E alcuni membri dell'equipaggio, li ho sentiti parlare sul molo, sospettano siate state voi" liquidò il tutto con una mano, come se non fosse importante

"lo sai che se queste voci non cessano io dovrò rimanere qui a vita?"

"COSA?!?"

"parle plus bas!" esclamò Andrè

"ha detto … " iniziai

"ho capito, parlo francese" rispose, stupendomi. Stavo per fargli un'altra battutina, ma mi fermai non appena vidi la sua faccia.

"cosa c'è?" chiesi, vedendo che non si riprendeva

"tu devi rimanere qui per delle voci?" si fermò un attimo a pensare "e anche Anne?" aggiunse, forse per coerenza.

"in America le voci hanno più valore dei fatti. Sono già stata processata per un'inchiesta nata su una portaerei, sarebbe una coincidenza fin troppo evidente. La gente non mi vede di buon occhio. E gli americani non dimenticano facilmente." mormorai, esausta. Non ne potevo più. Di quella vita, di essere me. Avrei voluto essere un altro, per un giorno. Un giorno solo sarebbe bastato. Anche Barnes, giusto per capire cosa gli passava per la testa.

Dopo un po' - era rimasto a guardarmi come un ebete - Andrè insisté per cacciarci di casa. Presi la via dei boschi, dove non c'era mai nessuno.

c'era calma, quella calma innaturale che non puoi trovare in città, interrotta soltanto dal rumore di qualche animale e dal fruscio degli alberi.
"perché non possiamo rimanere in quella specie di casa?"

"perché qui sono tutti pettegoli, Barnes" spiegai "e se Andrè tenesse le finestre chiuse la gente farebbe troppe domande"

"ah, allora è questo che ti ha detto!" esclamò, battendosi la fronte con una mano "credevo stesse proponendo di buttarmi dalla finestra"

"potevo proporlo io" pensai ad alta voce, fermandomi. Eravamo arrivati in una sorta di  radura, dove il cielo non si vedeva per via degli alberi. Mi sedetti per terra

"e questi vestiti?"

"i jeans non sono visti di buon occhio" risposi, con un'alzata di spalle, indicando il prendisole azzurro che mi copriva a malapena le ginocchia.

"ti dona" commentò

"stai zitto" lo rimbeccai, minacciosa. Si sdraiò sull'erba, trascinandomi con sé

"questo posto ha il suo fascino, devi ammetterlo"

"qualunque cosa ha 'un suo fascino ' finché non sei costretto a starci. Perfino tu" mormorai, sincera. Ci fossi andata in vacanza, avrei adorato quel piccolo comune. Dovendoci stare per forza, lo odiavo con tutto il cuore.

"ti ringrazio. Credo sia il primo complimento che mi fai"

"ehi!"  Gli tirai una botta sul petto "ho detto che sei bravo a letto!"

"non me lo hai mai detto" ops, forse l'avevo solo pensato

"beh, te lo sto dicendo adesso" cercai di spuntarla, spostando la mano soddisfatta.

 

   
 
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