Preludio
La
pioggia era caduta senza interruzione in quegli ultimi due giorni. L’umidità
aveva raggiunto picchi che non si erano mai registrati negli ultimi dieci anni.
Le pozzanghere stavano cominciando ad asciugarsi e la temperatura si era
mitigata. Ai lati della sudicia strada di periferia, ai piedi dei muri che
s’innalzavano scrostati e semidistrutti vi era quella che pareva la sporcizia
lasciata ad accumularsi per sfamare i considerevoli gruppi di barboni che
abitavano quei vicoli bui.
Lattine
e avanzi di cibo popolavano l’asfalto, non riuscivi a fare un passo senza
inciampare in una buca o in un rialzamento irregolare di quello che in tempi
ormai sepolti era di un nero accecante, tempi in cui l’ormai nivea strada
veniva percorsa da decine di auto.
Un
luogo desolato e silenzioso, neppure il rumore di un sasso scalciato da qualche
gatto randagio, nulla che facesse pensare alla presenza di esseri viventi.
Si.
Perché questo era il loro rifugio.
Erano
abituati a nascondersi, ad infilarsi in quei vicoli senza uscirne per giorni, era
la loro unica speranza di sopravvivere.
Ma
quella notte era diverso, quella notte i randagi avvertivano l’odore del loro
sangue, le pelose orecchie a punta appiattite contro il cranio e il naso
rivolto al cielo plumbeo, il loro istinto di cacciatori sentiva l’odore di una
possibile preda, ferita e sanguinante.
Al
termine del vicolo dove sorgeva una decadente costruzione in pietra,
testimonianza dei tempi in cui ancora gli esseri umani si sporcavano le mani
con i lavori che negli ultimi decenni avevano allegramente scaricato sulle
spalle dei robot, vi erano innumerevoli spazi creati dalle assi crollate e dai
muri che avevano ceduto al logorio del tempo.
Luoghi
in cui risultava anche troppo facile nascondersi.
E
Chris lo sapeva benissimo. Ma questa volta non era stato lui ad insistere per correre
al riparo, nel posto che ormai era divenuta la loro unica casa. Non si
vergognava di ciò che aveva fatto, anzi, il turbine di sentimenti che in quel
preciso momento lo animava era un ardente misto fra esaltazione, eccitazione e
baldanza. Aveva scoperto di essere abile nell’uso di quel, all’apparenza,
minuscolo oggetto che teneva gelosamente nascosto nella lisa tasca posteriore
dei jeans.
Era
riuscito a proteggere la persona più importante al mondo, colei che gli era
essenziale per essere felice nel suo universo personale.
“Nulla
è e sarà mai più importante che proteggere lei, da tutto” nell’ultima mezzora
si era ripetuto quella frase almeno un centinaio di volte, e non aveva nessuna
intenzione di dimenticarla.
Lentamente
socchiuse le palpebre, posando lo sguardo sulla ragazzina che dormiva poggiata
alle sue cosce, sorrise per l’ennesima volta in quella serata, ma non con uno
dei soliti sprezzanti ghigni.
Lei
aveva dodici anni, quattro meno di lui, ma fin da piccola aveva sempre cercato
di non essere da meno del fratello maggiore in tutto ciò che Chris decidesse di
fare. Stava rannicchiata contro di lui, il respiro che gli scaldava le gambe
attraverso la logora stoffa dei jeans. Solo in quel momento il ragazzo si rese
conto che la temperatura era calata d’improvviso, come spesso accadeva in quell’agglomerato
disordinato di palazzoni del ventesimo secolo. L’attenzione gli cadde sulla propria
giacca che aveva sistemato a mo’ di coperta sul corpo addormentato della
sorella e i muscoli del volto gli si contrassero in uno spasmo di muto furore.
Il
sangue che gli incrostava il volto gli tendeva fastidiosamente la pelle, ma a
lui non interessava, quella era l’ultima violenza che gli avrebbero inflitto.
In un istintivo moto di protezione fece scivolare una mano a coprire meglio
Sarah e l’altra ad accarezzarle il volto tranquillo e rilassato perso in chissà
quali sogni. Ma subito le ritrasse entrambe, anch’esse erano ricoperte di
sangue ormai coagulato “nulla di quel bastardo la toccherà mai più, neppure il
suo cazzo di sangue”. Le unghie gli si conficcarono nei palmo da quanto stretti
stringeva i pugni carmini “l’ho ucciso per te!” pensava soddisfatto, mentre il
suo corpo s’irrigidiva scosso da un brivido che lui volle attribuire al freddo.
La
piccola mano di lei gli strinse dolcemente il ginocchio: «Ce la caveremo Chris…lui
era cattivo…ha ucciso la mamma…» la sua voce era molto più bassa di quanto lui
l’avesse mai sentita, sembrava triste e questo lo fece infuriare “che cazzo se
ne frega di quella troia??” pensava “non è certo per lei che l’ho fatto!”. La
ragazzina davanti al silenzioso broncio del fratello reagì con un abbraccio che
lo costrinse a voltarsi verso di lei, le braccia nude lo cingevano senza per
altro soffocarlo: «Non fare quella faccia fratellino.. Ti voglio bene..» il
tono era tornato ad essere quello di sempre, allegro e sorridente, e Chris
voleva che rimanesse tale.
La
strinse a se soffocando un singhiozzo mentre le scene di qualche ora prima gli
affollavano impietose la mente. Strinse la presa attorno all’esile corpo di
Sarah, mentre i bei capelli neri della sorella cercavano di liberarsi dalle sue
dita, che come artigli la trattenevano contro di sé.
Solo
qualche ora prima lei stava piangendo disperata sul cadavere della madre,
massacrata di botte, la donna teneva in mano uno dei tanti vestitini che era
abituata a comprare a Sarah dopo che la piccola aveva subito l’ennesima scarica
di botte dal padre. Come se quello potesse servire a farsi perdonare il fatto
che mai era intervenuta per proteggere i figli dalla violenza dell’uomo che la
costringeva a battere sulle strade di quella città di merda . Ma quella sera non
era andata affatto come al solito, quando si era accorto di aver ammazzato la
donna che lo aveva sempre mantenuto, aveva deciso di iniziare al lavoro più
antico del mondo la figlia E chi meglio di se stesso per cominciare ad
abituarla alla vita che avrebbe vissuto? Si era detto quel vecchio porco
bastardo.
Finché
metteva le mani addosso alla madre a Chris non importava nulla , anche quando
l’aveva vista crollare a terra non si era minimamente preoccupato.
Ma
non Sarah
Lei
era il suo angelo e quando aveva visto quelle luride mani toccarla si era
scagliato come una furia contro il mostro che non aveva mai voluto chiamare
padre. Le labbra spaccate e i lividi che ora gli dolevano stringendo a sé Sarah
erano la prova di quel primo tentativo di allontanarlo da lei.
Ma
fra le urla terrorizzata della sorella e il rumore secco dei vestiti che le
venivano strappati di dosso qualcosa nel
suo cervello si era spezzato . Aveva infilato la mano destra nella tasca
posteriore dei jeans consunti e ne aveva estratto il coltellino svizzero che
spesso l’aveva aiutato nelle risse che lo coinvolgevano per la strada. Non si
era fermato neppure un secondo a pensare, aveva fatto scattare la lama e
l’aveva piantata fra le scapole dell’uomo che aveva fatto della loro vita un
incubo.
Una
due…cinque, dieci volte.
Non
voleva fermarsi, desiderava che morisse, che non gli rimanesse neppure una
goccia del sangue che disgraziatamente scorreva anche nelle sue stesse vene. Persino
quando quell’ammasso rantolante di sangue e grasso era crollato sul pavimento,
aveva continuato ad infierire sul suo corpo.
Solo
la voce di Sarah l’aveva risvegliato dall’estasi dell’omicidio.
«Chris, dobbiamo andare via subito…».
L’aveva preso per mano come tante volte aveva
fatto lui ed erano corsi via.
Erano scappati dallo scenario che in cuor suo
Chris aveva tante volte sperato di poter vedere.
Ora erano liberi.
E lui stava piangendo sulla spalla minuta della
sorella che invece avrebbe dovuto proteggere. Promise a se stesso che non
avrebbe pianto mai più in tutta la sua vita.
Sarah non avrebbe più visto una singola lacrima
sul suo volto.
«Andiamo da Max» sussurrò lei e Chris non poté
far altro che annuire.