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Autore: sweetlove    04/11/2013    4 recensioni
Trunks, Marron, il loro amore e una famiglia che cresce... tutto racchiuso in attimi.
Da 'Cielo e mare':
[...in quel momento, era pura acqua di mare, liquida e cristallina, dove si rispecchiava un cielo sereno. E un sole immenso, i loro bambini, la loro opera più bella.]
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marron, Trunks | Coppie: Marron/Trunks
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un solo cielo sopra lo stesso mare'
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Moments of life


Brividi



Marron non era un tipo di donna dalla lacrima facile.
Tutti la ricordavano piccola, spesso frignona e attaccata alle gambe dei genitori ma, chi non aveva avuto l'onore di vederla sbocciare in una splendida ragazza e poi ancora in una donna bella e forte, non poteva sapere che roccia era diventata.
Nel corso degli ultimi anni aveva pianto poche volte: di gioia quando era venuta al mondo la sua creatura, di dolore, quello vero, quando aveva temuto di perderla, per non contare il male subito durante la breve ma intensa separazione dal compagno a causa di uno spiacevole equivoco.
Eppure, quella sera, la roccia sembrava stesse per sgretolarsi.
Un fiume di lacrime scendeva inarrestabile lungo le guance arrossate per andare a cadere sul cuscino e sul lenzuolo azzurro, quella sera troppo freddo.
Era sola, ormai da un'ora, e se conosceva bene Trunks sapeva che non l'avrebbe rivisto riaprire quella porta e infilarsi a letto.
Nonostante fosse la prima volta che lo vedeva in quelle condizioni, sapeva che ciò che aleggiava nell'aria era ben più di una scaramuccia. 
Probabilmente, a causa del tono di voce piuttosto alto, il giorno seguente avrebbe subito un interrogatorio da parte dei parenti, che erano arrivati puntuali ben due giorni prima della data cerchiata di rosso sul calendario. 
Tutto quello che voleva evitare…
Cosa era successo? Perché si erano urlati contro in quel modo, quando la serata sembrava esser tranquilla, dopo una cena serena e qualche chiacchiera?
Era partito tutto da una stupidaggine: il colore dei palloncini scelto da Bra per la festa.
Aveva visto la sua espressione mutare.
"Quale festa?" Aveva domandato, con aria cupa.
"Quella di nostra figlia…" Marron aveva alzato le spalle, era ovvio che avrebbero festeggiato il primo compleanno di Hope "…si stanno impegnando tutti moltissimo per renderla perfetta."
Trunks aveva sospirato.
"Perfetta? Cosa c'è di perfetto in quella ricorrenza…?"
L'aveva fissato come se avesse bestemmiato. 
"E' il primo anno di tua figlia, come puoi dire una cosa simile?"
Gli occhi si erano posati sul codino biondo che spuntava dalle sponde del lettino, in fondo alla stanza. Era ancora sveglia, Hope, e giocava tranquilla col suo coniglio di pezza.
"Non voglio festeggiare, punto e basta!"
Il lilla, dallo sguardo disgustato e infastidito, aveva voltato il capo dall'altra parte.
"In questa casa si festeggia persino il compleanno del gatto! Come potremmo non festeggiare la bambina?! Sei forse uscito di testa?!" Era sbottata, sconvolta e incredula.
"Allora facciamo così, voi festeggiate, io tornerò quando tutto sarà finito!"
L'aveva visto alzarsi dal letto e dirigersi verso la finestra. Lo faceva sempre quando era nervoso, stanco o arrabbiato, ma non era mai successo che lo fosse con lei, con loro.
"Ma perché Trunks?" Anche lei si era alzata e l'aveva raggiunto. 
"Perché sì… non mi va e basta, Marron. Adesso non parliamone più!"
"E invece ne parliamo, Trunks! Non è da te comportarti così…"
"Ti ho detto che non ne voglio parlare!"
Quel tono, con lei, non l'aveva mai usato.
"Sei un bambino! Ti metti a fare il duro per una festa!" Iniziava ad averne abbastanza, la bionda, di quell'insolito comportamento.
"Un bambino, eh? Sarei un bambino semplicemente perché voglio far sparire dal calendario quella giornata?!" Trunks aveva preso i vestiti appoggiati poco prima sulla sedia lì accanto, furioso, e aveva aperto la finestra con uno scatto.
"Spiegami almeno perché!"
"Perché non mi piace festeggiare l'anniversario della morte di qualcuno! Voi fatelo pure, io non ci sarò!"
Era sparito così, con un balzo e quell'ultima frase, urlata contro di lei quasi con disprezzo.
Marron era rimasta con la bocca socchiusa a fissare l'orizzonte, mentre l'aria gelida di quella sera d'inverno la investiva causandole mille brividi.
Hope aveva pianto per un pezzo prima di calmarsi e addormentarsi.
Poi aveva pianto lei, e non riusciva a smettere.
Trunks aveva posto riparo a quel triste avvenimento dopo appena due settimane. Perché continuare a ricordare? 
Si trattava pur sempre della nascita della loro bambina, un momento meraviglioso, quello in cui ne aveva sentito per la prima volta i vagiti. Prima di rivedere l'aldilà. Ma l'aveva fatto col cuore pieno di gioia e d'amore, nonostante non fosse programmato quel passaggio a miglior vita. 
Trecentosessantaquattro giorni erano trascorsi ma evidentemente a dimenticare erano stati tutti tranne lui.
E quella sera, quell'aggressione, ne era la dimostrazione. E faceva male… troppo male. Perché la colpa di ciò che era accaduto non era sua, né di sua figlia…


Aveva vagato per ore nel buio della notte, dapprima volando, poi era atterrato tra gli alberi del parco e aveva iniziato a camminare, con lo sguardo basso, semplicemente fissandosi i piedi.
Aveva rischiato di calpestare un barbone, che riposava sul suo giaciglio fatto di cartoni, accanto a un fuoco di fortuna, fatto con un mucchietto di foglie secche e carte racimolate dal cestino dell'immondizia poco distante. Non si era fermato, aveva tirato dritto, anche quando aveva assistito ad una performance di un noto banchiere e una prostituta, sul ciglio della strada, nella macchina di lusso con il quale la mattina dopo avrebbe accompagnato moglie e figli. Nemmeno ribrezzo aveva provato. 
Semplicemente il vuoto, vuoto era quello che sentiva nello stomaco, nel petto. 
Non ce la faceva a tornare sui suoi passi, a tornare a casa da lei, da loro. Non dopo quella crisi e quelle urla, poche ore prima.
Che se ne facevano di lui? Di un uomo che nemmeno riusciva a buttarsi alle spalle quella brutta storia, nonostante tutto fosse ormai risolto.
Che vita avrebbe dato a sua figlia, se non era nemmeno capace di sorriderle e augurarle buon compleanno. Quello era il primo, la mezzanotte era trascorsa da ore, ma quando avrebbe avuto sei, sette, dieci anni… cosa avrebbe pensato di un padre che spariva per non festeggiare e spegnere le candeline con lei?
Solo allora si era fermato e aveva stretto i pugni.
Un'ondata di dolore tornò a risalirgli dall'interno delle viscere fino al petto, al cuore. Credeva di averlo fatto sparire col ritorno della sua Marron ma eccolo di nuovo, vivo, pungente, tremendo. Proprio come quel giorno, come in quell'ospedale, davanti a quel vetro. 
Aveva disprezzato la sua bambina, le aveva dato la colpa di ciò che era accaduto.
Poi, quando aveva capito di aver sbagliato, la colpa l'aveva gettata su se stesso. Se non l'avesse messa incinta, nulla sarebbe accaduto.
E si era ripetuto quella frase almeno venti volte nell'arco della giornata. Mentre camminava avanti e indietro, di notte, nella sua stanza con quell'esserino tra le braccia. Mentre si rigirava un biberon vuoto tra le mani. Mentre si coricava e non la trovava accanto. Mentre la immaginava sotto terra.
Un altro brivido lo riscosse da quel terrificante pensiero.
'Sotto terra…'.
Non era mai stato al cimitero, nemmeno il giorno del suo funerale. Per non vedere la sua lapide non era nemmeno andato a far visita ai nonni, gli amati nonni.
Aveva sentito, una sera, suo suocero scherzare con una punta d'amarezza su questa cosa.
"Chissà se qualcuno sapesse che la tomba di Marron è vuota…"
Quella frase gli aveva fatto accapponare la pelle. Era rimasto immobile, con Hope in braccio, e aveva finto indifferenza tenendo lo sguardo puntato sul televisore.
Si era reso conto di non riuscire a capacitarsi, non ancora, di quello che era successo.
Erano insieme, dormivano assieme ogni notte, poteva stringerla, accarezzarla… ma era comunque successo. Un Drago di un pianeta lontano aveva posto rimedio, ma non aveva fatto sparire dalla faccia della terra quel giorno, che tutti, in fermento, si stavano apprestando a cerchiare di rosso. Una festa… 
Non sarebbe riuscito a fingersi felice.
Hope non aveva colpe, lo sapeva. Ma lui sì… e pensare il contrario, per i trecentosessantacinque giorni appena trascorsi, era stato impossibile, perché non aveva fatto che tentare di rimuovere, di cancellare dalla memoria quella giornata, nonostante fosse la stessa in cui aveva per la prima volta incontrato lo sguardo di quella figlia che gli riempiva il petto di gioia e d'amore.
Scosse la testa violentemente, tentando di combattere quell'altra ondata di dolore. Senza rendersene conto si alzò in volo ancora una volta, senza una direzione, senza controllo.
Ancora tre ore e sarebbe sorto il sole. Per la prima volta dopo tanto tempo lei si sarebbe svegliata da sola.


"Buongiorno!" 
Tre sguardi azzurri e due bruni si erano posati su una Hope sorridente e gioiosa, che batteva le mani tra le braccia materne.
"Buon compleanno principessa!" Il nonno l'aveva subito afferrata, aprendo il corteo di baci e abbracci.
Nessuno, per fortuna, si era accorto degli occhi ancora arrossati e lucidi della bionda, che si era appartata in cucina per ingoiare due pasticche contro il mal di testa e un caffè amaro e forte.
Nessuno tranne la figura che, schioccato un bacio sui capelli dorati della piccola, aveva seguito la genitrice senza farsi notare.
"Marron… è tutto a posto?" 
Goten fissò le sue spalle. Era appoggiata al lavandino e sembrava assorta.
"Alla grande…"
"Cos'è successo? Dov'è Trunks?"
Nel sentire pronunciare quel nome, Marron si sentì mancare il fiato. Già… dov'era? Perché non era lì a coccolare la loro bambina come tutti gli altri?
"Non lo so. Se n'è andato ieri sera e non si è fatto vivo."
"Avete litigato?"
Il moro inclinò la testa di lato, osservando il profilo delicato dell'amica, che si era appena voltata con un sospiro.
"Credo di sì, non l'ho ancora capito. Sembrava un pazzo… non voleva che festeggiassimo il compleanno di Hope…"
Entrambi parlavano quasi sussurrando, non volevano far sentire quei discorsi agli altri, anche se erano troppo concentrati a far ridere la nipotina.
"Senti… se ne parlassimo fuori? Qui sembrano avere le orecchie anche i muri!"
Goten le fece un sorriso incoraggiante. Non ne ottenne uno indietro ma quell'alzata di spalle e quei passi incerti verso la porta d'ingresso gli fecero capire che era ben disposta a quel dialogo.


"E quindi avete discusso perché non vuole che si faccia questa festa per la piccola…" Goten girò la sua cioccolata col cucchiaino. Ci aveva aggiunto due bustine di zucchero come al solito e gli venne in mente la solita faccia dell'amico, rassegnata. Se fosse stato lì l'avrebbe di sicuro preso in giro.
"Già. Non mi ha mai parlato in quel modo. Sembrava un altro, te lo giuro…"
Le si fecero di nuovo gli occhi lucidi ma tentò di trattenersi. 
"E' strano. Ma non così tanto. Sai… oggi è un anno che è successo quel…"
"Sì, lo so che sono morta esattamente un anno fa, Goten. Ma che posso farci? E' comunque storia vecchia, no?"
"Certo, lo è… ma evidentemente lui non è ancora capace di dimenticare."
La bionda lo fissò mentre portava alla bocca quel liquido denso e scuro. La sua tazza invece non era nemmeno stata toccata.
"Cosa intendi? Non ne abbiamo mai parlato da quando sono resuscitata. Credevo che anche per lui fosse un capitolo chiuso. Una parentesi, ecco…"
"Chiamala parentesi!" Scottatosi con la cioccolata, il moro tornò ad appoggiare la tazza sul tavolo di legno e la guardò quasi sbalordito "Marron, nessuno ti ha raccontato di quei diciotto giorni?"
La giovane non ricordava di aver mai visto Goten così serio, sembrava un altro.
"No. Per tutti sembrava un argomento tabù da non toccare. E neanche io ho mai indagato. Sai… non volevo dare importanza al tempo in cui sono stata lontana da loro… capisci?"
"Certo, ti capisco. Non te ne do una colpa, infatti. Ma in quella casa, quel periodo, c'era l'inferno."
Quelle parole bastarono per farla rabbrividire.
"C-come?"
"Te lo giuro… Trunks è il mio migliore amico, anzi, un fratello e nemmeno a me piace ricordare le condizioni in cui era. Un morto che cammina, per non dire di peggio."
Marron cercò di capire se stesse scherzando.
"Spiegati meglio…"
"Cosa vuoi che ti dica? Non mangiava, non usciva dalla sua stanza se non per occuparsi di Hope. E non permetteva a nessuno di toccarla. Era un altro, a ripensarci quasi mi vengono i brividi. L'avevamo dato per perso…"
Sentire Goten, l'eterno bambino, parlare in modo tanto profondo e serio le fece solo immaginare ciò che doveva aver visto, mentre lei era nell'aldilà.
"Non mi prendi in giro, vero?" Non si era accorta che gli occhi le si erano di nuovo riempiti di lacrime.
"Non posso scherzare su queste cose, Marron…" Lo vide sospirare e fare un sorriso amaro "…per questo non mi sento di giudicare Trunks per ciò che ha fatto ieri sera. Cerca di capirlo, non dargli contro…"
"Sai dirmi dove si trova?" 
Il moro sollevò un sopracciglio.
"Come?"
"La sua aura! Riesci a percepirla, a localizzarla? Devo trovarlo!" 
Solo allora Goten capì le intenzioni di quella che ormai considerava un'amica.
"Ah… beh, dammi un momento…" Le fece l'occhiolino e prese a concentrarsi, non senza pensare con una punta di sorpresa che quella era la prima uscita da solo con lei e il primo dialogo così profondo e sincero. Sperava almeno di essere stato d'aiuto, voleva solo che lei e Trunks fossero felici e da buon amico qual era avrebbe cercato fino all'ultimo di portare pace tra loro. E di essere lo zio migliore del mondo per quella piccola peste dal codino biondo.


Aveva aperto gli occhi e subito si era trovato a strizzarli, i raggi di sole, nonostante fosse pieno inverno, quella mattina erano arrabbiati e battevano proprio su quell'ala del cimitero, nel quale, poche ore prima, si era ritrovato a vagare.
Stropicciò le palpebre ancora assonnate e lottò contro un brivido di freddo. Non aveva portato con sé la giacca, quando era uscito come una furia dalla finestra, e l'umidità, durante il sonno, gli era entrata fin dentro le ossa.
Gli ci volle un minuto per capire e ricordare cosa ci facesse in quel posto a quell'ora deserto. Poi, come un flash, gli era tornato alla mente l'attimo in cui aveva fracassato qualcosa, causandosi una ferita profonda alla mano destra, che si era lacerata ancor di più quando, a mani nude, aveva preso a scavare nella terra ghiacciata.
D'istinto si guardò gli arti superiori. Era pieno di terra, le mani erano tutte un graffio, lo squarcio aveva smesso di sanguinare ma era dannatamente profondo. 
Che aveva fatto? Doveva essere impazzito. Il ricordo di quei momenti, di quei giorni… doveva averlo fatto ammattire.
Aveva volato ed era atterrato davanti alla tomba dei suoi amati nonni, coloro che l'avevano praticamente cresciuto. Aveva accarezzato il marmo bianco e poi aveva preso a camminare nel buio in mezzo a quei sentieri, illuminati solo dalle piccole torce elettriche delle varie lapidi. Aveva letto qualche nome inciso nella pietra, qualcuno talmente vecchio da essere quasi illeggibile. Aveva visto qualche numero, tra cui l'età di un ultracentenario e di un bambino di appena tre mesi. La mente era volata a Hope e aveva pregato che non accadesse mai nulla del genere.
E poi si era trovato davanti ciò che, inconsciamente, stava cercando.
Eccolo lì, il suo dolore più grande. Una lastra di marmo, una dannatissima lastra di marmo con scritto un nome, qualche numero. E neanche un fiore. 
Nessuno di loro le aveva portato un omaggio, nell'ultimo anno. Anzi, c'era ancora in un vaso qualche resto dei mazzi depositati il giorno del funerale. Lo dedusse dal grigio sbiadito della carta e del nastro, visto che non aveva presenziato al rito. In quei momenti era in ospedale, a litigare con un uomo in camice per farsi consegnare la sua bambina al più presto. Ma nemmeno avere quel fagotto tra le braccia aveva dato pace a quel cuore ormai spezzato. Finchè, grazie ad una navicella, era riuscito a riavere Marron con sè.
Ma nonostante tutto aveva ancora un conto in sospeso con quella fossa.
La mano si era mossa da sola, mentre il resto del corpo tremava convulsamente. Un pugno guidato dal dolore e dalla rabbia si era scagliato su quell'oggetto, che si era frantumato all'istante.
Aveva il fiatone ma la rabbia non era scemata. Così, accecato, aveva preso a scavare come un cane, tirando fuori quella forza aliena che gli aveva permesso, nel giro di cinque minuti, di arrivare a due metri di profondità e di sfiorare qualcosa di liscio.
Un altro pugno, il legno che si sfondava, le schegge che cadevano silenziose sull'imbottitura. Non c'era nulla in quella bara maledetta, la sua mano tastava solo il raso liscio.
Solo allora era tornato in sé, aveva ritratto l'arto e si era passato le mani sul volto, scoprendovi delle lacrime, le stesse, forse, versate un anno prima.
Aveva ricoperto quella fossa così come l'aveva scavata, a mani nude. 
Si era seduto lì accanto con le mani tra i capelli, riflettendo sulla stupidaggine appena commessa. Un pazzo, un povero pazzo era diventato, un folle che per rendersi conto di esserlo si ritrovava a profanare tombe.
Ma la sua era solo voglia di certezza, di capire una volta per tutte che quel sarcofago era vuoto, che la sua preziosa Marron era viva, che lui stesso aveva richiamato in vita quell'esistenza preziosa.
Aveva pianto come un bambino, pensando di tornare subito da lei, di chiederle perdono per quel colpo di testa, di chiedere perdono a Hope per aver solo pensato di non volerla vedere mai più spegnere quelle candeline. Ma non appena si era rimesso in piedi era crollato su sé stesso, sfinito, e si era addormentato lì, ancora sporco di fango e sangue.
E così si trovava in quel momento, riuscendo a rendersi conto di quanto facesse schifo ora che il sole illuminava lo scempio commesso.
Guardò l'orologio del piccolo campanile poco lontano, segnava le sette e trenta, forse aveva meno di mezz'ora per sparire da lì, ma prima di presentarsi davanti a lei doveva ricomporsi. 
Si guardò intorno, cercando qualcosa per pulirsi, e vide una fontana, con tanti secchi appesi. Servivano a riempire i vasi di acqua pulita, ma potevano benissimo essere usati come doccia improvvisata.
Ne riempì uno e se lo rovesciò addosso, non senza un momento d'esitazione. Quell'acqua sembrava pronta a diventare ghiaccio tanto era fredda, ma strinse i denti e ripeté l'operazione. 
A casa si sarebbe infilato nella vasca, con del sapone, ma almeno ci sarebbe arrivato senza tutta quella terra addosso.
Si accorse che, ai suoi piedi, l'acqua era rosata. La ferita aveva ripreso a sanguinare ma non era poi tanto dolorosa. Rabbrividì, pronto a spiccare il volo, quando un rumore lo fece bloccare. Erano dei passi.
'Merda…' Pensò, guardandosi intorno per cercare un riparo. Se il custode l'avesse beccato lì, in quelle condizioni e accanto a una tomba distrutta e con la terra rivoltata, sarebbe scoppiato uno scandalo. Già vedeva il titolo di copertina: l'ex Presidente della Capsule Corporation Trunks Brief beccato a profanare tombe.
Ma non ebbe il tempo di far volare oltre la fantasia, poiché, con una punta d'incredulità, vide comparire niente meno che la sua Marron, che si guardava intorno alla ricerca di qualcosa, o meglio, qualcuno, e anche abbastanza spaesata.
Come faceva a sapere che era lì non gliene importava granché, anche se un'idea ce l'aveva, ma al momento gli interessava solo riabbracciarla e cercare di farsi perdonare in qualche modo.
"Marron…" Disse, con voce incerta a causa dei brividi di freddo, ma riuscì lo stesso a farsi sentire.
Gli occhi blu della giovane incrociarono quelli del lilla e rimasero così per degli interminabili secondi. Poi lo sguardo di Marron si fece via via più dubbioso e, sì, anche sconvolto.
"Che… che ti è successo?" Gli chiese, con un filo di voce, osservando le condizioni in cui versava. Bagnato fradicio e con un aspetto orribile.
Trunks non rispose… non aveva una scusa pronta da darle. Dirle la verità sarebbe stato troppo dispendioso, dato che aveva l'urgenza di abbracciarla.
"Non importa…" Disse soltanto, avvicinandosi e guardandola. Che stupido. Un matto senza cervello, se l'era presa con lei. Lei, la sua vita, il suo amore. Colei per la cui morte si era annullato. 
"Trunks… sei ferito…"
Una mano si mosse verso la sua, prendendola e Marron osservò quello squarcio grondante, non senza spavento.
"Sto bene, tranquilla."
"Ma perdi sangue! Come te lo sei fatto?" 
I loro occhi si incontrarono di nuovo. Trunks si accorse delle occhiaie e del gonfiore di quelle palpebre. Aveva pianto probabilmente per una notte intera, e la colpa era solo sua.
D'istinto portò la mano sana sul suo volto, carezzandolo come fosse stato di vetro, con una delicatezza tale da farla rabbrividire, che non aveva mai usato. Sembrava avesse paura di romperla o di vederla sparire, magari inghiottita dalla terra sotto i loro piedi.
"Trunks…" Disse ancora, in un sussurro, prima che lui l'attirasse a sé, contro il suo petto gelido e madido, e la stringesse forte, tanto da farle mancare il respiro per un attimo.
"Mi dispiace. Scusami…" Le disse, chiudendo gli occhi e sperando con tutto sé stesso nel suo perdono.
Marron se ne fregò di quella maglia bagnata e dell'odore di terra che emanava. Era il suo Trunks, il suo amore, e aveva desiderato stringerlo più di ogni cosa in quella lunga notte.
"Sono un idiota. Puoi perdonarmi? Non accadrà più…" 
Il giovane pensava che non esistessero sufficienti parole per farle capire quanto stesse soffrendo per come si era comportato. Continuava a stringerla, mentre lei gli teneva ancora la mano, sporcandosi le dita sottili con quel sangue che continuava a gocciolare sull'erba umida.
"Non c'è nulla di cui tu debba scusarti…" Marron si strinse più forte al suo collo, quasi per paura di vederlo volare via come la sera precedente.
"Invece sì, sono stato…"
"No, va bene così. Davvero, amore… va bene così. Voglio solo che torni a casa e che non scappi più via in quel modo."
Sollevò lo sguardo, fissandolo intensamente per qualche istante. 
"Non potrei. Non sai quanto mi sei mancata, stanotte…"
"E perché non sei tornato?"
"Ecco… mi sono addormentato qui. Lo so, è assurdo, non so nemmeno io…"
Un dito andò a posarsi sulle sue labbra. Segno inequivocabile che lei non voleva altre spiegazioni. Desiderava solo andare a casa e chiudere definitivamente quel capitolo.
"Andiamo?" Gli chiese, sorridendo.
Trunks ricambiò quel sorriso. Ma quanto l'amava? Era davvero sua? Era davvero viva?
Gli tornò alla mente l'istante in cui aveva infilato la mano in quella cassa di legno. In quella cassa vuota.
Il contenuto lo stringeva e non avrebbe mai smesso di esser grato a quel Drago.
Non rispose, solo l'attirò di nuovo a sé e la baciò dolcemente, cancellando definitivamente ogni ombra e ogni paura.


Hope battè le manine paffute imitando la folla radunatasi attorno al tavolo.
Quella torta bianca e rosa era talmente bella che tagliarla era quasi un peccato.
La candelina era ancora fumante, l'avevano spenta insieme i suoi genitori, lei era ancora troppo piccola per riuscirci.
E tutti battevano le mani insieme a lei, che rideva gioiosa e schizzava la panna con la quale si era inzaccherata le dita.
"Buon compleanno piccolina! A quest'ora venivi al mondo!" 
Bulma portò via il dolce per poterlo finalmente servire, lasciando che gli invitati tornassero a diradarsi nella grande sala.
Trunks e Marron rimasero lì, dietro a quel tavolo, assieme alla loro bambina.
Il lilla non aveva dato grandi spiegazioni su quella ferita, ora accuratamente bendata, né sulla sua assenza la notte precedente. Tantomeno sul suo rientro in condizioni pietose. 
Ma aveva l'aria serena nonostante fosse, come lei, molto stanco.
"E' una bella festa non trovi?"
La bionda, pulite le mani di Hope, si volse a guardarlo mentre si toglieva uno schizzo bianco dalla guancia.
"Sì, e lei sembra contenta… Ha ricevuto una marea di giocattoli."
"Io credo sia più contenta di avere noi due qui, insieme a lei…"
Trunks sorrise alle sue due donne. Era vero, dannatamente vero.
Decise di riaprire per l'ultima volta quella parentesi, immaginando per un attimo di essere da solo a spegnere quella candelina con Hope. 
La chiuse immediatamente, tornando a pensare a quanto fosse fortunato ad aver di nuovo Marron con sé, a quanto fosse stato bello il regalo fatto a Hope, quasi un anno prima, nel riportarle a casa sua madre affinché potesse allevarla con lui.
"Però… anche da solo saresti stato un bravo padre…"
E come sempre Marron riusciva a leggergli nella mente, riusciva a decifrare i suoi pensieri meglio di un mago, meglio di Kaioshin in persona. Perché? Se lo sarebbe chiesto per l'intera esistenza, ma sarebbe stato sempre un interrogativo irrisolto.
"Non credo…"
"Hope ti adora, è pazza di te, io potrei anche non esistere e non se ne accorgerebbe!" 
La bionda pronunciò quelle parole senza smettere di sorridere. Erano vere, erano note a tutti le scintille che Hope aveva negli occhi azzurri ogni volta che vedeva suo padre.
"Non esagerare!" Trunks si grattò la nuca, imbarazzato.
"E' vero. Ah, ha deciso di farti un regalo sai?"
"Un regalo? Lei a me? Non credevo ne fosse capace!" Strizzò un occhio, divertito, aspettando di ricevere qualcosa, magari un pacchetto. Invece vide Marron sussurrare qualcosa nell'orecchio della piccola, che smise di giocare con una ciocca bionda di sua madre e lo fissò intensamente.
"…Allora?" Trunks, impaziente, guardò prima Hope e poi di nuovo Marron.
"Papà!"
E in quel momento, mentre il cuore gli esplodeva nel petto, si ritrovò a pensare una cosa sola: avrebbe rifatto tutto, pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro, pur di sentire quella prima parola un'altra volta.


Nota dell'autrice

Non so se definirla macabra, con un tantino di angst e un finale fluff. Ditemi voi… io l'ho scritta e i miei dubbi, come su ogni capitolo steso, ce lì ho. Aspetto i vostri commenti per questo penultimo capitolo.
Vi ringrazio ancora per le recensioni! Siete davvero fantastici… GRAZIE!

Sweetlove

 

 

   
 
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