Un paio di precisazioni per la comprensione del testo! Salve a tutti. Innanzitutto grazie per aver aperto questa fan fiction, che è la prima fan fiction (non storia originale) che io abbia scritto da tre anni a questa parte e, ovviamente, la prima riguardante Shingeki No Kyojin. Spero vorrete lasciare una recensione, sia essa positva, negativa o neutrale (l'importante è che sia costruttiva). Mi scuso in anteprima se troverete nomi diversi dalla traduzione ufficiale italiana: seguo le scanlation, che spesso differiscono dalla traduzione ufficiale.
Passiamo quindi alle spiegazioni! Per comprendere al meglio questa storia dovete essere arrivati almeno al capitolo 49 del manga, e seguire alcune teorie che mi si sono inculcate nella testa da un po' di tempo a questa parte; sono 'campate per aria', e probabilmente si scoprirà che sono erronee, ma spero comunque di aver azzeccato in qualcosa (sarebbero soddisfazioni!). Ecco quel che c'è da sapere:
1) Annie, Reiner e Bertl ( cuoricino) provengono dallo stesso villaggio, un villaggio di Titan Shifter molto lontano dalle mura.
2) L'abbattimento del Muro Maria è servito a permettere a degli infiltrati di penetrare all'interno delle mura.
3) Qualcosa è andato storto e Bertl e Reiner stanno correntemente cercando di rimediare al danno che hanno causato al villaggio anni prima.
Vi lascio alla storia, dunque. Buona lettura!
P.S.: Scusate il cambio di formattazione del paragrafo a un certo punto della storia, devo imparare a smanettare con OpenOffice, e per gli eventuali errori; sistemerò domani mattina, ero ansiosa di postare la fic!
Legenda
(...) = Pensieri di Bertholdt Fuber
'...' = dialoghi
Lei esiste
'Annie.'
Armin fissava Bertholdt, il volto contratto in un'espressione di disperata follia. Sorrideva a malapena, cercando di mascherare la bugia che stava inventando sul momento, riempendo le proprie parole di odio e rancore.
'La stiamo torturando.'
Bertholdt sentì qualcosa chiudersi dentro di sé; era una sensazione che aveva già provato in precedenza, ma mai con quell'intensità. Tentò di concentrarsi su Armin, sulle parole che stava pronunciando, ma la realtà della situazione continuava a sfuggirgli.
Sentì la sua mente ritirarsi, gli istinti da titano prendere rapidamente il controllo del suo corpo. A frenare la trasformazione fu l'immagine improvvisa del volto di Annie che andò a formarsi nella sua mente.
(Annie Annie imprigionata Annie torturata Annie che si allena per diventare più forte Annie sotto la neve)
(Annie, sotto la neve)
Quel ricordo sembrò inghiottire tutti gli altri, e all'improvviso l'intero mondo fu sul punto di scomparire; Bertholdt vedeva.
*
Era inverno inoltrato; in quel periodo dell'anno, il loro villaggio veniva sempre coperto dalla neve. Il paesaggio era confuso e ostile, e il suo corpo irrigidito e intorpidito dal freddo, ma nel cuore sentiva una calda, folle gioia riscaldarlo. Il suo sguardo si era spostato dal volto tranquillo di Hans Leonhardt a quello del ragazzo che sarebbe stato il suo compagno nell'Impresa a cui il Generale Leonhardt li aveva appena destinati: Reiner Braun, di un anno più vecchio di lui, più basso e meglio formato di Bertholdt. Il suo volto, in genere cupo e serioso, era tradito da un emozione forte quanto quella di Bertl.
(Siamo noi, siamo noi)
Reiner si voltò a ricambiare il suo sguardo. Bertl si chiese se nei suoi occhi fosse visibile la stessa vibrante determinazione che riempiva quelli di Reiner.
(Il generale ci ha scelti saremo noi)
I denti di Bertholdt smisero di battere mentre il suo volto si distendeva in un sorriso aperto e sincero verso il compagno.
(Saremo io a Reiner a riscattare il nostro popolo, distruggeremo il Muro, stermineremo la razza umana)
Reiner ricambiò il suo sorriso.
*
In quel periodo dell'anno, il loro villaggio veniva sempre coperto dalla neve, ma in quel particolare anno la neve sembrava essere consapevole di non poter congelare gli animi dell'intero villaggio e infuriava violenta. Bertholdt alzò il braccio per proteggersi da un'improvvisa folata di vento gelido, e lo stesso fece Reiner. Stavano tornando alle rispettive abitazioni, incapaci di scambiare una sola parola, complice la bufera e l'emozione confusa che affollava le loro menti.
Reiner alzò lo sguardo per controllare che stessero andando nella direzione giusta, ma rallentò all'improvviso e alzò un braccio, indicando di fronte a sé.
'Ehi, Bertholdt...quella non è
la figlia del Generale?'
Bertholdt guardò nella
direzione indicata da Reiner. Una piccola figura era ferma a qualche
metro da loro, accucciata a terra, avvolta in un mantello chiaro. La
neve le arrivava fino ai gomiti.
Bertholdt deglutì, sentendo la determinazione scemare velocemente.
Conosceva Reiner da sei anni, fin da quando l'abilità del Titan Shifter era stata impiantata nei suoi geni, fin da quando erano cominciati i duri allenamenti che erano la normalità per tutti gli abitanti del loro villaggio. Gli allenamenti erano spartani, e i Generali rudi, più inclini alla violenza che alla disciplina, ma solo così maggior parte di loro era in grado di avere una preparazione guerrigliera eccellente e sviluppare le proprie capacità di Titan Shifting. A nessuno era consentito liberare il proprio titano prima della fine dell'addestramento, ma c'erano casi in cui i ragazzi impazzivano e rilasciavano la propria forma da Titano prima del tempo; questo errore costava spesso la vita. C'erano anche casi in cui alcuni elementi non dimostravano nessuna inclinazione allo Shifting, e venivano impiegati come contadini o cacciatori per il villaggio.
E poi, ovviamente, c'erano le eccezioni. Eccezioni come Reiner, il cui corpo era stato tanto temprato dall'addestramento da influenzare il suo Titano, ed eccezioni come Bertholdt stesso, la cui forma titanica era anomala e inusuale ed era arrivata solo molto, molto dopo l'inizio dell'addestramento. Ed eccezioni come Annie Leonhardt.
Bertholdt conosceva ogni minima espressione di Annie; non che vi fosse molto da imparare, dato che Annie era una ragazzina che definire glaciale sarebbe sembrato eufemistico. Come figlia del Generale Leonhardt, uno dei più grandi strateghi che il villaggio avesse conosciuto, chiunque si aspettava molto da Annie, e lei non aveva mai deluso una sola aspettativa. Se il villaggio voleva che Annie non piangesse, Annie non avrebbe pianto; se il Generale pretendeva che sua figlia si allenasse con lui anche dopo che a tutti gli altri ragazzi era stato consentito il riposo, Annie lo avrebbe fatto.
Ma c'erano volte in cui sul volto impassibile di Annie passava un velo di disperata solitudine, e Bertholdt l'aveva vista innumerevoli volte nel corso degli anni passati ad allenarsi con lei in squadra. Ere in quelle le occasioni in cui Bertl non poteva fare a meno di guardarla, sperando che lei ricambiasse il suo sguardo; ma non era mai successo. Nonostante avesse undici anni, la preparazione di battaglia di un veterano e l'approvazione dell'intera comunità, Annie era la persona più sola che Bertl conoscesse...
'Sì, è lei.', confermò alzando la voce per far sì che Reiner lo sentisse.
'Perchè se ne sta qui fuori con questa tempesta?'
Non sapendo cosa rispondere, Bertl si avvicinò ad Annie. Quest'ultima alzò lo sguardo solo quando gli fu troppo vicino per ignorarlo ulteriormente. Bertl si abbassò per guardarla in viso.
I capelli erano legati, come sempre – Bertl non aveva mai capito se si trattasse di praticità o di un piccolo, insignificante atto di vanità -, e sulla sua testa si era depositato un piccolo cumulo di neve, che cadde giù quando lei alzò gli occhi apatici verso di lui.
Il freddo gli era entrato nelle ossa, gli aveva stretto la gola. Bertholdt poteva risentire la voce di Hans Leonhardt annunciare che Bertholdt Fuber e Reiner Braun sarebbero stati gli ambasciatori della loro divina missione e per la prima volta in undici anni di vita, guardando come la vita fosse stata strappata dagli occhi di Annie
(è bella, è bellissima, non sapevo fosse così bella ma ora lo so)
si chiese se era valsa la pena di crescere credendo in tutto ciò che gli avevano insegnato.
'Congratulazioni.'
La voce di Annie era piatta, in totale contrasto con ciò che avrebbe dovuto comunicare. Bertholdt abbassò lo sguardo sul terreno scomparso sotto la neve, sulle gambe scoperte di Annie, viola per il freddo.
'Mi dispiace.', mormorò Bertl. Non sapeva esattamente per cosa gli dispiacesse, ma sentiva che fosse la giusta cosa da dire. Gli vennero in mente tutti gli allenamenti a cui Annie era stata sottoposta, tutte le pressioni e le aspettative. Gli venne in mente cosa sarebbe successo se fosse stato cresciuto in quel modo e la possibilità che aveva aspettato per tutta una vita gli fosse stata soffiata da un coetaneo con nemmeno troppo talento...
'Non dispiacerti.'
Annie sembrava sul punto di cadere addormentata. Si stava accucciando sempre più in basso, mentre la voce era sempre di più un sussurro. In un misto di orrore e compassione, Bertholdt si rese conto che Annie stava piangendo. Bertl guardò dietro di sé, incapace di guardare ulteriormente in direzione della ragazza. Reiner era in piedi dietro di lui, lo sguardo preoccupato. Un urlo interruppe quel silenzio intervallato solo dai singhiozzi di Annie.
'ANNIEEEEE!'
Una figura
si faceva largo nella bufera, incespicando. Reiner e Bertholdt si
guardarono, improvvisamente orripilati: entrambi avevano riconosciuto
la voce e il profilo del padre di Annie, ma nessuno dei due aveva mai
sentito quella sfumatura di disperazione nei suoi discorsi. Il
generale era un uomo rigido, forte e freddo, che non sembrava neanche
in grado di farsi prendere dalle emozioni, e ora stava urlando
furioso nella neve, in cerca di sua figlia. Farsi trovare lì
sarebbe stato come farsi scoprire con le mani sporche di sangue e un
cadavere ai propri piedi. Bertholdt vide le labbra di Reiner aprirsi
per sillabare 'Andiamocene'.
Il ragazzo si voltò verso
Annie, il cui volto ormai sprofondava nella neve e il cui corpo era
scosso da singulti disperati.
'Annie, tuo
padre...'
'Vattene...'
'Alzati, Annie, vieni con
noi...'
'Bertholdt', la voce di Reiner era terrorizzata.
'Annie,
ti prego...'
Bertholdt allungò una mano verso la cappa
di Annie, al che lei alzò la testa. Le lacrime le scorrevano
sul volto, non copiosamente, ma regolari, quasi...perfette. Di nuovo,
Bertl si sentì mancare.
(non posso lasciarla andare)
'Bertl, andiamocene.'
(ha
un'espressione così triste)
'ANDATEVENE!'
(cosa ti hanno fatto, cosa ti stanno facendo)
'ANNIE!'
(cosa
vogliono farti)
La mano di Reiner lo afferrò
per il cappuccio e lo tirò su con violenza, facendogli quasi
perdere l'equilibrio. Sentì le proprie gambe muoversi
automaticamente mentre scappava nella direzione opposta rispetto al
generale Leonhardt, inseguendo la figura di Reiner. Si voltò,
indeciso, una sola volta, ed ebbe la fugace visione di Annie stretta
tra le braccia del padre, immobile e lenta come una bambola di pezza.
Fu solo un attimo, ma bastò a rendere reale l'urlo che seguì
quella scena.
'PROMETTIMI CHE TORNERAI!'
*
All'inizio fu difficile
anche solo abituarsi a guardare, ma Bertholdt sapeva di non avere
molto tempo, e si affrettò a sviluppare i nervi ottici. Quando
fu finalmente in grado di vedere con chiarezza la scena che gli stava
di fronte, sentì il cuore – il suo vero cuore –
saltare un battito.
Non aveva mai visto così tante persone
in vita sua, né così tanti edifici ammassati insieme.
(sembrano così piccoli)
Era sempre stato chiaro che la
sua forma titanica fosse qualcosa di esagerato, fuori dalla norma,
quasi apocalittico, ma non essendosi mai potuto trasformare
completamente, non aveva idea di quanto sembrasse
apocalittico. Potè sentire vagamente qualcuno iniziare a
urlare, quelli coi riflessi più rapidi scappare, allontanarsi
dalle mura. Forse quelli si sarebbero salvati. Forse.
Alzò
la gamba all'indietro. Un movimento come tanti, semplice da eseguire.
Dietro di sé, i titani arrancavano nella sua direzione, lenti
e stupidi ma in grado di percepire l'odore di umano impossibile da
mascherare. Mentalmente, mandò tutta la forza che era in grado
di prelevare dal proprio corpo verso la gamba destra e lì la
bloccò.
La gamba si abbassò verso il portone,
impossibile da fermare, portatrice di morte.
L'intero suo corpo
titanico fu scosso quando il piede si abbattè sulla porta del
distretto di Shiganshima, la parte più esterna del Muro Maria.
Bertholdt ebbe una rapida visione degli effetti del suo calcio;
calcinacci, intere parti di edifici e corpi di persone spaventate
venivano sbalzate via dal colpo d'aria provocato dal suo calcio. Non
aveva più dubbi, ora. Non era bello veder morire così
tante persone, ma come aveva sempre ripetuto il generale Leonhardt,
qualcuno doveva sporcarsi le mani di sangue. Bertholdt aveva sempre
pensato a quelle parole come al più grande onore di cui
qualcuno del suo villaggio poteva ricoprirsi.
Aveva l'orribile
impressione di non aver più avuto dubbi a causa
dell'improvvisa scomparsa di Annie Leonhardt.
Si sforzò di
visualizzare il proprio corpo umano strapparsi dal collo del proprio
titano; in una frazione di secondo era fuori, aggrappato ai muscoli
esposti del proprio titano che andò scomparendo in pochi
attimi. La parte più difficile del piano sarebbe arrivata ora;
si mise a correre, evitando di rimanere schiacciato tra i piedi dei
Titani che già si avvicinavano alle mura, pregando che la
forte concentrazione di umani nel distretto di Shigansima impedisse
loro di avvertire la sua presenza.
Reiner era a una cinquantina
di metri da lui, nascosto tra un gruppo di cavalli. Bertholdt tirò
un sospiro di sollievo: i Titani non mostravano interesse per gli
animali, e l'odore di Reiner sarebbe stato praticamente
impercettibile, ma aveva comunque temuto di ritrovarsi solo.
(di fallire)
'Bel lavoro.', sorrise Reiner
una volta che Bertl lo ebbe raggiunto. Bertholdt rispose con una
smorfia nervosa. Stava sudando copiosamente.
'Quanto dovremo
aspettare?'
'Spero il meno possibile. Controlla se arriva il
segnale.'
Uno di loro si sarebbe
mischiato tra i Titani. L'idea era suicida, folle e estremamente
rischiosa, ma in linea con i canoni della missione. In teoria, il
terzo membro della missione sarebbe dovuto essere Berik, un uomo del
villaggio già in grado di controllare la propria forma
titanica; ma Berik era stato attaccato e mangiato da un titano sotto
ai loro occhi poco prima dell'inizio della missione, e il villaggio
aveva provveduto a reintegrare il gruppo con un membro la cui
identità era sconosciuta ad entrambi.
Poi, Bertholdt e
Reiner la videro.
Persino nella sua forma titanica, lo sguardo
era quello di chi è stata cresciuta con l'unico proposito di
odiare il mondo e sottostare agli ordini. Il corpo era agile,
flessuoso, adulto: nulla avrebbe mai fatto intuire che al proprio
interno si trovasse poco più di una bambina, ma d'altronde
nulla avrebbe mai fatto pensare che all'interno potesse esserci
qualcuno. Camminava lentamente, al pari con gli altri titani. Ogni
volta che uno dei Titani normali cercava di avvicinarsi a lei,
attirato dal profumo di umano, lo allontava e stordiva con le veloci,
micidiali mosse che Bertholdt aveva osservato tante volte durante gli
allenamenti, e anche dopo.
'Annie!'
Incurante della presenza degli altri titani normali, Bertholdt si sporse verso la figura del titano-Annie, disperato. Avrebbe dovuto capirlo nel momento in cui era scomparsa del villaggio,
(l'hanno portata dove potevano costringerla e torturarla e l'hanno allontanata da suo padre l'hanno allontanata da me)
avrebbe dovuto pretendere di sapere chi sarebbe stato il terzo elemento della loro missione. Reiner lo trascinava in basso, urlando il suo nome e implorandolo di calmarsi, ma Bertholdt non era in grado di ascoltarlo. Quando avevano trovato Annie accasciata in mezzo alla neve, quando la mattina dopo lei non si era presentata al richiamo mattutino, Bertholdt aveva creduto che fosse andata perduta per sempre, che il padre avesse dovuto ucciderla, che per un qualche scherzo del destino Annie-la-sempre-perfetta avesse rilasciato il proprio titano e si fosse così aggiudicata un posto sulla lista del boia. Ma mai, mai sarebbe stato in grado di accettare che il generale Leonhardt avesse sacrificato la sua unica, amata figlia per una missione che nove volte su dieci si sarebbe conclusa come un
(suicidio)
E all'improvviso, Bertholdt smise di opporre resistenza. Tutto sembrava avere un senso, tutto combaciava. Erano nati per morire, tutti loro; dentro e fuori dalle mura. Annie non voleva le sue scuse perchè non gliene doveva; Annie era solo una delle tante vittime di quell'assurdo, odioso piano...
(come
Reiner)
(come me)
Bertholdt
non fece in tempo a salutare l'amico, ad augurargli buona fortuna.
Nell'attimo in cui Annie superava la breccia nel Muro Maria, Reiner
si morse con violenza il polso e il suo corpo mutò rapidamente
in quello di un titano di statura di poco superiore alla media, ma
dalla pelle estremamente spessa e dura. Reiner corse via, verso la
breccia, dentro la breccia, aldilà della breccia. Persino a
quella distanza, Bertholdt potè sentire lo schianto provocato
dall'abbattimento del vero Muro Maria, un suono il cui sogno aveva
accomunato e unito tutti gli abitanti del suo villaggio; il suono
della morte, della condanna.
Avrebbe dovuto afferrare uno dei due
cavalli sellati e saltargli in sella per tornare al proprio
villaggio, una volta che Reiner fosse tornato.
(ma tanto siamo entrambi già morti, non è così?)
Smise di porsi domande, si asciugò il sudore della fronte, saltò su uno dei due cavalli sellati e lo indirizzò verso la breccia nel muro.
*
L'inferno
era arrivato a Shiganshima, e portava il suo nome. Bertholdt si fece
strada tra interi palazzi crollati, tra cadaveri mutilati e mezzi
mangiati, tra macchie di sangue che andavano a ricoprire interamente
la strada battuta. I titani stavano attraversando la seconda breccia,
impazienti di poter assaggiare altra carne umana. Non c'era traccia
del Titano-Annie.
Bertholdt fece correre il proprio cavallo fino
alla breccia nel Muro Maria, rimanendo a distanza di sicurezza dai
titani. Reiner non sarebbe mai tornato indietro; se ne rendeva conto
solo in quel momento. Non era il terzo membro della missione l'unico
a rischio: erano tutti in pericolo di morte. L'unico con più
probabilità di salvezza era lui stesso, e lo avevano lasciato
in vita solo per poterlo riutilizzare come arma, ancora e
ancora...
Un titano si avvicinava da un vicolo laterale;
Bertholdt strinse i piedi contro i fianchi del cavallo, incitandolo
ad aumentare il passo. Le possibilità erano due soltanto:
uscire da Shinganshima e tornare al villaggio o attraversare la
breccia.
(Reiner è bloccato lì, e Annie potrebbe essere lì da qualche parte)
Bertholdt
girò a destra. La breccia era immensa, e i titani ci stavano
ancora passando attraverso. Due di essi si scontrarono tra di loro e
caddero al suolo, goffi e letali; Bertholdt fu a malapena in grado di
scansarli: il cavallo si innervosì e il ragazzo venne sbalzato
via dalla sella.
Sentiva in bocca il sapore caldo del sangue. Si
rese conto di non avere neanche il tempo di fermarsi a constatare la
portata della propria ferita, e si rialzò pronto a correre
verso il fiume che attraversva tutte le mura, lungo il quale la gente
veniva caricata in barconi e portata verso il Muro Rose. Se Reiner
era vivo, se Annie era viva, entrambi si sarebbero diretti lì.
(ma se non fossero vivi)
(se fossi rimasto solo)
Bertholdt
scacciò nervoso le lacrime traditrici. A una decina di metri
da lui, una donna fu sollevata di peso dalla mano di un titano;
urlava e scalciava, implorava di essere lasciata andare. Ci fu uno
schianto, seguito dal più glaciale e assoluto dei silenzi.
Bertholdt si accasciò al solo a vomitare.
(sono stato io)
Soldati della Guarnigione atterravano ovunque, cercando di salvare i civili. La maggior parte di loro seguiva chi avrebbe dovuto salvare nell'inferno caldo dello stomaco dei titani.
(sono stato io a fare questo)
Bertholdt si rialzò a fatica. Un dolore mai provato prima gli attanagliava la pancia, costringendolo a stare piegato; era sicuro di avere un paio di costole rotte, più svariati graffi e tagli in tutto il corpo. Del sangue gli colava dalla testa, riducendogli la visuale. Sentì che non valeva più la pena di combattere; non valeva più la pena di uccidere.
'Bertholdt.'
Bertholdt alzò la testa verso la voce che lo aveva chiamato. Annie aveva il volto sporco di sangue, un livido sotto l'occhio destro, i vestiti stracciati. Il volto ammaccato e contuso di Bertholdt si dischiuse nel più patetico, sincero dei sorrisi.
'Sei
viva', sussurrò. 'Sei viva', la mano tesa verso di lei,
desiderosa di accertarsi che Annie fosse reale, non solo frutto della
sua mente. Le sfiorò le dita. Non l'aveva mai toccata prima.
'Annie, ti amo.'
Cadde.
*
Quando
si era svegliato, Reiner era accanto a lui, e viaggiavano su una
delle barche dirette al Muro Rose. Ancora una volta, nei suoi occhi
Bertholdt aveva potuto vedere riflesso l'orrore che era presente nei
propri. Non furono in grado di parlare per molto tempo, tra di loro o
con chiunque tentasse di aiutarli. Le istituzioni avevano bisogno di
un sacco di manodopera e lavoratori, per cui entrambi vennero
impiegati come raccoglitori.
A volte, guardando i volti delle
donne, degli uomini e dei bambini a cui aveva tolto tutto, Bertholdt
sentiva lacrime calde scorrergli sul volto. Le lacrime scomparirono
col tempo, con il progressivo essere esposto agli orrori della
società in cui lui e Reiner
(il mio compagno, mio fratello)
erano costretti a vivere. Voci di bambini urlanti, di sera, nei vicoli; vecchi che cadevano sotto al sole cocente, durante il raccolto; la carestia, le malattie, la miseria. Era passato un anno quando Bertholdt si rese conto di non provare più nessun sentimento di rimpianto, né di rimorso per quanto aveva fatto o per ciò che aveva lasciato indietro.
(tutti meritiamo di morire)
Un
giorno, Annie si presentò da lui e Reiner. Parlò
soprattutto con Reiner, mentre Bertholdt se ne stava in un angolo a
sistemare i loro vestiti e a pelare le patate. Una solo occhiata
bastò a fargli capire che la Annie che aveva creduto di vedere
poco prima di collassare era stata frutto della sua immaginazione. Ma
il tocco era stato così reale, così caldo.
Stava
ancora osservandosi le dita, quando Reiner gli posò una mano
sulla spalla.
'Dobbiamo
arruolarci.'
'Sì.'
Era il discorso più
lungo che avessero avuto da due anni a quella parte.
*
Furono
assegnati alla Divisione 104.
La vita dentro il campo militare
non era molto diversa da quella all'interno delle mura. Le regole
erano ferree, e gli istruttori rigidi, ma la compagnia era ottima.
Quel posto gli ricordava casa.
Nonostante avesse
ricominciato a sorridere, e Reiner si stesse facendo una buona nomina
tra i compagni di corso, c'erano notti in cui chiudere gli occhi
sembrava impossibile. Poteva riconoscere ogni respiro, e ogni respiro
raccontava una storia. “La mia sorellina, schiacciata da un
titano”, “Mio nonno, morto tra le fatiche del lavoro”,
“Mia madre, divorata sotto i miei occhi”.
E per
ognuno di loro, Bertholdt spese una lacrima.
Un
giorno, mentre cedeva Reiner a un ragazzo chiamato Eren per aiutarlo
negli allenamenti, Bertholdt si trovò di fronte Annie. Nei due
anni che erano passati dall'inizio del corso, si erano scambiati solo
parole di circostanza.
Fu lei a prendere parola.
'Hai bisogno di un partner?'
Bertholdt si limitò ad annuire. Annie alzò le mani chiuse a pugno verso il proprio volto, in un atteggiamento che integrava difesa e attacco. Bertholdt conosceva quella posizione. Gliel'aveva insegnata il padre di Annie.
Fu uno scontro non troppo esaltante, ma fu quasi in grado di tenerle testa. Spossato, Bertholdt si ritrovò disteso ad osservare il cielo. Tre uccelli volavano verso l'esterno, leggeri. Là sopra non avrebbero trovato nessun muro.
'Grazie', mormorò istintivamente, rivolto ad Annie. 'Per avermi permesso di sfiorarti, quella volta.'
Annie alzò lo sguardo verso un punto non definito, assorta nei suoi pensieri. Dopo pochi secondi, si voltò verso Bertholdt. Non sorrideva, ma i suoi occhi sembravano vivi per la prima volta da quando Bertholdt poteva ricordare.
'Grazie a te', rispose. 'Per avermi detto che mi ami.'
*
La sua mente esplose.
(NON ESISTONO I CATTIVI NON ESISTONO I BUONI ESISTI SOLO TU E LE AZIONI CHE SEI COSTRETTO A COMPIERE)
(ESISTE ANNIE)
Afferrò l'arma al suo fianco. Un attimo dopo che lo sguardo folle di Armin si spegnesse, un attimo prima che il comandante Erwin gli squarciasse il petto, il volto di Annie fu chiaro nella sua mente.
Ed era bello, ed era l'unica cosa che contasse al mondo.
'FIGLI DI PUTTANA! LO GIURO, VI AMMAZZERO' TUTTI!'