"Giocherella con l’accendino, la fiamma nasce e muore con regolarità, con volere preciso dell’uomo che apre e richiude senza tregua per alcuni minuti il coperchio del suo Sterling."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Note: ● Alla mia
lovvata Sara
per il suo compleanno. Spero ti possa piacere, lovva, sappi che ho
lottato tenacemente contro il blocco per te! *_*
● L’accendino
a cui faccio riferimento nella fic lo potete ammirare qua
e qua.
Io lo trovo perfetto. *_*
Carving Its Way Through The Hot Evening
È seduto ad
uno dei tavolini esterni della veranda di un bar. Ha scelto un posto in
cui la protezione dell’ombrellone viene meno, e ha appoggiato
la schiena contro la palizzata di legno verniciato di bianco, odorando
il profumo dei gerani rossi e perfetti nei vasi di terracotta e godendo
dell’indolente tranquillità di quel piccolo paese. Si accende una
sigaretta, e aspira una lenta, profonda boccata di fumo, gli occhi si
alzano verso il cielo mentre soffia fuori quel primo respiro
– il migliore: carico dell’essenza del tabacco, con
un vago sentore di catrame sul fondo. Giocherella con
l’accendino, la fiamma nasce e muore con
regolarità, con volere preciso dell’uomo che apre
e richiude senza tregua per alcuni minuti il coperchio del suo
Sterling. Lo aveva acquistato qualche anno prima, in uno dei suoi tanti
viaggi in Oriente, e da allora era sempre stato con lui, era il suo
portafortuna, quell’accendino – del 1940, in
argento, manifattura giapponese con inciso uno scorcio di vita rurale e
una veduta del monte Fuji. Le nuvole sopra di lui
sono soffici e lontani batuffoli di cotone. Mentre le osserva pensa
alla sua infanzia, quando aveva poco più che una manciata
d’anni e indossava pantaloncini corti che lasciavano scoperte
le ginocchia sbucciate, quando correva per i prati verdi di quello
stesso paese, rotolando giù per le colline ripide e
profumate di fiori e, una volta che la discesa si era conclusa, restava
a fissare il cielo, cercando di trovare una forma alle nuvole. Ora, da adulto, non
riesce più a vedere alcuna forma nella nuvole. Sono solo
ammassi di aria e acqua e gas condensati. Eppure c’era un
tempo in cui quelle stesse nuvole, bianche contro l’immensa
azzurrità che è il cielo, erano conigli e cavalli
che correvano liberi, case e alberi e libertà. Con lo sguardo puntato
su quella massa d’aria azzurra, guarda verso il passato
sapendo di perdere tempo. Tira un altro fiato
dalla sigaretta. L’assenza del filtro gli fa finire in bocca
un pezzo di tabacco che rimuove con un gesto annoiato della mano,
sporgendo leggermente la lingua sul labbro inferiore –
scintillio rosa contro il taglio violaceo del labbro spaccato.
Una cameriera dal viso
stinto, confuso, i capelli schiariti in un biondo volgare e le labbra
troppo rosse, spunta dalla portafinestra con in mano un vassoio vuoto e
si dirige verso di lui. Porgendosi in avanti, lasciando intravedere il
paradiso del suo decolleté, chiede all’uomo se
desidera qualcosa da bere. L’uomo fissa
la donna negli occhi per qualche secondo, poi fa vagare il suo sguardo
sul viso, sul mento con la fossetta fino al neo finto disegnato a lato
del labbro superiore, per poi far scendere lo sguardo sul seno lasciato
a prendere aria dalla generosa scollatura della sua divisa rosa. La donna è
lusingata da quello sguardo, lo può notare da come le sue
labbra si increspano in un sorriso soddisfatto. Lui ordina un
caffè, con tono brusco, secco, solo per vederla scomparire
all’interno del bar, per non dover sopportare ulteriormente
la sua presenza ingombrante e vistosa.
Quando il sole inizia
a calare, il locale comincia a popolarsi di clienti. Arrivano,
accaldati e sudati, in sella a biciclette dai colori violenti, con i
costumi da bagno addosso e le pelli inondate di sole e profumate di
lago, che portano via con la loro presenza la tranquillità e
la solitudine di quei pomeriggi pigri passati all’insegna del
nulla. Si siedono tutti
intorno a lui, ai tavolini di fronte e affianco al suo,
l’aria si riempie del vociare allegro dei bambini, dei loro
gridi divertiti, mentre gli adulti, distinti e sempre alla moda,
iniziano a parlare tra di loro, conversando anche con estranei,
confidando loro i propri piani per quella vacanza estiva, discorrendo
con individui che una volta trascorso il periodo di villeggiatura non
rivedranno più. Questi chiacchieroni instancabili danno
all’uomo l’impressione che siano tutti chiusi nel
proprio guscio di falsità, una protezione invisibile che
scatta appena aprano bocca, per farli sembrare migliori, perfetti,
mentre sotto la superficie annegano i segreti.
La cameriera torna
fuori, sul vassoio che fino a poco prima era vuoto ora
c’è la sua tazza di caffè –
spessa porcellana bianca, semplice, robusta, sobria. Nel posare la tazza
sul tavolino di fronte a lui si inarca eccessivamente in avanti,
offendo all’uomo lo stesso spettacolo di prima. Lui non la
degna di un’occhiata questa volta – tutta roba
già vista – e ringrazia malamente, tirando la
tazza versa di sé. L’aroma del
caffè è forte, sale e si disperde
nell’aria; il suo profumo non è adatto
all’estate, il caffè sa di inverno e di giornate
piovose trascorse sotto una coperta calda di fronte al camino acceso,
il caffè sa di casa, sa di familiarità, sa di
tante cose che l’estate non è. L’uomo si
porta la tazza alle labbra e il primo sorso gli brucia leggermente le
labbra, si ritrae di scatto evitando di deglutire il liquido che ha in
bocca, ma lasciandolo sciogliere sul palato, adattandosi a quel calore
eccessivo. Un ragazzo con una
polo rosa dal colletto aperto e l’aria sportiva, intrepida,
si avvicina a lui e gli chiede se può prendere una delle
sedie. Faccia pure, risponde
l’uomo, con un sorriso vago che accentua la linea netta e
profonda della cicatrice sul suo mento. Il ragazzo fissa quella
cicatrice, un briciolo di sfacciataggine nel suo sguardo.
L’insolenza della giovinezza, pensa l’uomo. Poi, sorseggiando
lentamente il suo caffè, resta a guardare il ragazzo, mentre
elenca gli orari dei vari treni ad un gruppetto di persone con cui
è arrivato. Quel ragazzo dalla
pelle abbronzata e scura come bronzo fuso, deve essere una di quelle
persone che organizza tutto fin nei minimi dettagli, pensa
l’uomo, anche quando fermarsi per fare una pausa durante un
escursione nel bosco. Lui, invece, è sempre stato uno che se
l’è presa comoda nella vita, che ha lasciato le
cose succedere, lasciandosi coinvolgere e trascinare dagli eventi, che
non ha mai dato importanza al tempo – che è scorso
via, veloce e leggero come l’acqua sul letto di un torrente.
Il sole è
quasi tramontato completamente quando le prime luci vengono accese nel
bar e sulla strada. Il cielo è tinto di arancione e rosa
carico, e conferisce un riflesso rosso al liquido scuro nella tazza
dell’uomo, rendendolo molto simile a sangue, in cui le nuvole
si aggirano furtive, chiare come ossa. L’uomo si
accende un’altra sigaretta, e lascia qualche moneta sul
tavolo; poi ingolla l’ultimo sorso di caffè e si
alza liberando il tavolino – nel naso ancora il profumo dei
gerani alle sue spalle. Con la mano destra
afferra il cappello beige a tesa larga e se lo mette con un gesto
elegante, calibrato. Infila il pacchetto di sigarette nella tasca della
camicia bianca ed esce dal locale, scendendo le scale della veranda e
disperdendosi nella calda aria della sera,
nell’oscurità depositata sul lago.