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Autore: Fireflie    20/04/2008    1 recensioni
"Giocherella con l’accendino, la fiamma nasce e muore con regolarità, con volere preciso dell’uomo che apre e richiude senza tregua per alcuni minuti il coperchio del suo Sterling."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beta: Eowie.

Note: ● Alla mia lovvata Sara per il suo compleanno. Spero ti possa piacere, lovva, sappi che ho lottato tenacemente contro il blocco per te! *_*

● L’accendino a cui faccio riferimento nella fic lo potete ammirare qua e qua. Io lo trovo perfetto. *_*



Carving Its Way Through The Hot Evening


È seduto ad uno dei tavolini esterni della veranda di un bar.
Ha scelto un posto in cui la protezione dell’ombrellone viene meno, e ha appoggiato la schiena contro la palizzata di legno verniciato di bianco, odorando il profumo dei gerani rossi e perfetti nei vasi di terracotta e godendo dell’indolente tranquillità di quel piccolo paese.
Si accende una sigaretta, e aspira una lenta, profonda boccata di fumo, gli occhi si alzano verso il cielo mentre soffia fuori quel primo respiro – il migliore: carico dell’essenza del tabacco, con un vago sentore di catrame sul fondo.
Giocherella con l’accendino, la fiamma nasce e muore con regolarità, con volere preciso dell’uomo che apre e richiude senza tregua per alcuni minuti il coperchio del suo Sterling. Lo aveva acquistato qualche anno prima, in uno dei suoi tanti viaggi in Oriente, e da allora era sempre stato con lui, era il suo portafortuna, quell’accendino – del 1940, in argento, manifattura giapponese con inciso uno scorcio di vita rurale e una veduta del monte Fuji.
Le nuvole sopra di lui sono soffici e lontani batuffoli di cotone. Mentre le osserva pensa alla sua infanzia, quando aveva poco più che una manciata d’anni e indossava pantaloncini corti che lasciavano scoperte le ginocchia sbucciate, quando correva per i prati verdi di quello stesso paese, rotolando giù per le colline ripide e profumate di fiori e, una volta che la discesa si era conclusa, restava a fissare il cielo, cercando di trovare una forma alle nuvole.
Ora, da adulto, non riesce più a vedere alcuna forma nella nuvole. Sono solo ammassi di aria e acqua e gas condensati. Eppure c’era un tempo in cui quelle stesse nuvole, bianche contro l’immensa azzurrità che è il cielo, erano conigli e cavalli che correvano liberi, case e alberi e libertà.
Con lo sguardo puntato su quella massa d’aria azzurra, guarda verso il passato sapendo di perdere tempo.
Tira un altro fiato dalla sigaretta. L’assenza del filtro gli fa finire in bocca un pezzo di tabacco che rimuove con un gesto annoiato della mano, sporgendo leggermente la lingua sul labbro inferiore – scintillio rosa contro il taglio violaceo del labbro spaccato.

Una cameriera dal viso stinto, confuso, i capelli schiariti in un biondo volgare e le labbra troppo rosse, spunta dalla portafinestra con in mano un vassoio vuoto e si dirige verso di lui. Porgendosi in avanti, lasciando intravedere il paradiso del suo decolleté, chiede all’uomo se desidera qualcosa da bere.
L’uomo fissa la donna negli occhi per qualche secondo, poi fa vagare il suo sguardo sul viso, sul mento con la fossetta fino al neo finto disegnato a lato del labbro superiore, per poi far scendere lo sguardo sul seno lasciato a prendere aria dalla generosa scollatura della sua divisa rosa.
La donna è lusingata da quello sguardo, lo può notare da come le sue labbra si increspano in un sorriso soddisfatto.
Lui ordina un caffè, con tono brusco, secco, solo per vederla scomparire all’interno del bar, per non dover sopportare ulteriormente la sua presenza ingombrante e vistosa.

Quando il sole inizia a calare, il locale comincia a popolarsi di clienti. Arrivano, accaldati e sudati, in sella a biciclette dai colori violenti, con i costumi da bagno addosso e le pelli inondate di sole e profumate di lago, che portano via con la loro presenza la tranquillità e la solitudine di quei pomeriggi pigri passati all’insegna del nulla.
Si siedono tutti intorno a lui, ai tavolini di fronte e affianco al suo, l’aria si riempie del vociare allegro dei bambini, dei loro gridi divertiti, mentre gli adulti, distinti e sempre alla moda, iniziano a parlare tra di loro, conversando anche con estranei, confidando loro i propri piani per quella vacanza estiva, discorrendo con individui che una volta trascorso il periodo di villeggiatura non rivedranno più. Questi chiacchieroni instancabili danno all’uomo l’impressione che siano tutti chiusi nel proprio guscio di falsità, una protezione invisibile che scatta appena aprano bocca, per farli sembrare migliori, perfetti, mentre sotto la superficie annegano i segreti.

La cameriera torna fuori, sul vassoio che fino a poco prima era vuoto ora c’è la sua tazza di caffè – spessa porcellana bianca, semplice, robusta, sobria.
Nel posare la tazza sul tavolino di fronte a lui si inarca eccessivamente in avanti, offendo all’uomo lo stesso spettacolo di prima. Lui non la degna di un’occhiata questa volta – tutta roba già vista – e ringrazia malamente, tirando la tazza versa di sé.
L’aroma del caffè è forte, sale e si disperde nell’aria; il suo profumo non è adatto all’estate, il caffè sa di inverno e di giornate piovose trascorse sotto una coperta calda di fronte al camino acceso, il caffè sa di casa, sa di familiarità, sa di tante cose che l’estate non è.
L’uomo si porta la tazza alle labbra e il primo sorso gli brucia leggermente le labbra, si ritrae di scatto evitando di deglutire il liquido che ha in bocca, ma lasciandolo sciogliere sul palato, adattandosi a quel calore eccessivo.
Un ragazzo con una polo rosa dal colletto aperto e l’aria sportiva, intrepida, si avvicina a lui e gli chiede se può prendere una delle sedie. Faccia pure, risponde l’uomo, con un sorriso vago che accentua la linea netta e profonda della cicatrice sul suo mento. Il ragazzo fissa quella cicatrice, un briciolo di sfacciataggine nel suo sguardo. L’insolenza della giovinezza, pensa l’uomo.
Poi, sorseggiando lentamente il suo caffè, resta a guardare il ragazzo, mentre elenca gli orari dei vari treni ad un gruppetto di persone con cui è arrivato.
Quel ragazzo dalla pelle abbronzata e scura come bronzo fuso, deve essere una di quelle persone che organizza tutto fin nei minimi dettagli, pensa l’uomo, anche quando fermarsi per fare una pausa durante un escursione nel bosco. Lui, invece, è sempre stato uno che se l’è presa comoda nella vita, che ha lasciato le cose succedere, lasciandosi coinvolgere e trascinare dagli eventi, che non ha mai dato importanza al tempo – che è scorso via, veloce e leggero come l’acqua sul letto di un torrente.

Il sole è quasi tramontato completamente quando le prime luci vengono accese nel bar e sulla strada. Il cielo è tinto di arancione e rosa carico, e conferisce un riflesso rosso al liquido scuro nella tazza dell’uomo, rendendolo molto simile a sangue, in cui le nuvole si aggirano furtive, chiare come ossa.
L’uomo si accende un’altra sigaretta, e lascia qualche moneta sul tavolo; poi ingolla l’ultimo sorso di caffè e si alza liberando il tavolino – nel naso ancora il profumo dei gerani alle sue spalle.
Con la mano destra afferra il cappello beige a tesa larga e se lo mette con un gesto elegante, calibrato. Infila il pacchetto di sigarette nella tasca della camicia bianca ed esce dal locale, scendendo le scale della veranda e disperdendosi nella calda aria della sera, nell’oscurità depositata sul lago.



Fine

   
 
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