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Autore: Matt_Stewartson77    05/11/2013    0 recensioni
benché il genere che io abbia scelto sia horror, questa storia lo è soltanto in parte, perchè comprende tratti drammatici, azione. l'idea mi è venuta leggendo "Carrie", di Stephen King. la trama è molto simile, e in effetti la mia storia è più o meno un seguito di essa.
una ragazza insieme a sua madre, è costretta dalla sua dote a trasferisi continuamente. in questa nuova città, Granire Falls, riesce quasi a raggiungere il suo ideale di vita. riuscirà ad avere una migliore amica, conquisterà il cuore di un ragazzo, ad avere una vita. ma nulla è come sembra...
spero che quest'idea vi piaccia, e spero che i fan di Stephen King (come lo sono io stesso) non credano che sia una copia spudorata di Carrie, ma soltanto uno stimolo per accrescere alla mia storia.
leggete per scorpire di più.
spero
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tre
 
«Com’è andato il primo giorno, tesoro?».
      Mia madre era già seduto a tavola, con i piatti pronti e caldi già pronti. Lanciai lo zaino sul divano, baciai sulla guancia mia madre, e mi sedetti a tavola, afferrando forchetta e coltello. Sentivo il suo sguardo indagatorio su di me.
      Mi strinsi nelle spalle. «Niente di speciale».
      «Sicura?».
      «Non ho fatto niente di strano se è questo che ti preoccupa, mamma». Alzai gl’occhi al celo, e addentai la mia fetta di carne affamata. Ero talmente timidi, che durante l’intervallo avevo preso una semplice mela per sfamarmi, addentandola, seduta all’ultimo tavolo della mensa, osservandomi in giro. Si erano già formati dei gruppetti. Sia il mio salvatore che il mio nuovo nemico erano seduti con un gruppo di cinque no sei persone. Avevo notato, invece, che la ragazza coi capelli rossi e corti era seduta da sola. Quando alzò lo sguardo, e vide che la fissavo, mi salutò con la mano, sorridendomi. Avevo cercato di ricambiare, ma non ero tanto certa che il risultato era stato come l’avevo sperato.
      «Bene», commentò mamma con un sorriso.
 
Dopo aver finito di pranzare, mi rintanai nella mia camera. Gettai lo zaino sul letto, e mi ci stesi di fianco. Anche se ne avessi avuti, non avrei toccato un solo libro pe fare dei compiti. Non avevo niente in particolare che me lo scatenasse, ma quel giorno ero completamente persa nella mia mente, come rare volte mi capitava.
      Pensavo che quella era la dodicesima camera che avevo, in tutta la mia vita. Di certo non era una cosa normale per altre persone, ma ormai avevo cambiato così tante case che non mi importava più se la mia camera fosse verde o rosa, se desse una bella vista sul mare, o non avesse neanche la finestra. Mi ci abituavo e basta. Lo facevo per mia madre: per lei era già abbastanza faticoso avere me come figlia, e non era proprio il caso che mi mettessi a fare i capricci per stupidaggini. La comprendevo, ma non a pieno. Lo sapevo.
      La sua vita era difficile, ma non era niente in confronto alla mia, e non lo facevo per vantarmene. Ma non era lei quella che doveva restare perennemente concentrata durante tutta la giornata per non essere derisa, o indicata come fossi uno scoop, o allontanata come fossi un extraterrestre. Forse lo ero, ma non volevo esserlo, non volevo accettarlo.
      Ormai avevo fatto e perso così tante amicizie per via del mio “potere”, che non tentavo di farmene nemmeno più. Non ne avevo bisogno. Avevo la mamma. Mi bastava. E poi, per quale scopo farmele? Stare male giorni e giorni pensando a come mi avevano insultata o come erano scappati da me? Basta dolore del genere, non ne volevo provare più.
      Mi voltai verso la finestra. Arrivare alla mia nuova casa da scuola era stato facile, e rapido, ma prima di uscire avevo incrociato di nuovo gl’occhi misteriosi e ipnotizzanti del mio salvatore. Oltre a Hight che mi aveva salutata, salendo in quella che doveva essere la sua macchina, e lo sguardo di lui, nessuno mi aveva più calcolata, nemmeno McLaggen. E questo era un bene, un gran bene.
      Sospirai, e col pensiero immaginai la finestra che si apriva. Non avevo ancora finito di pensarlo, che lo fece. L’aria fredda di ottobre invase la mia camera.
  
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