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Autore: rosa_bianca    05/11/2013    1 recensioni
E se la madre del temuto Fantasma dell'Opera, invece di consegnarlo ad un circo di zingari, avesse deciso di affidarlo ad un convento parigino?
E se, il caso volesse, quest'ultimo fosse proprio il Petit Picpus, rifugio di Valjean e Cosette?
Cosa succederebbe se, quello che sarebbe in un'altra vita un futuro Fantasma, venisse accudito dal nostro ladro di pane preferito?
Come si evolverebbero i fatti? Cosa accadrebbe nel noto 1832, anno della Ribellione di Giugno?
Leggete e scoprirete.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cosette, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5 Giugno 1832, Vespro

 
La barricata era pervasa da un insalubre odore di morte.
Diversi corpi giacevano a terra, sia di soldati che di rivoluzionari, le mattonelle della strada erano bagnate di sangue.
Gli Amici resistevano. Avevano perso diversi uomini, ma ce n’erano ancora abbastanza da convincerli che avrebbero potuto tenere testa alla Guardia per un altro po’. I soldati si erano ritirati, ma sapevano che sarebbero tornati. E presto.
“E’ qui!” esclamò Courfeyrac, seduto su un tetto basso vicino alla locanda. Indicava un uomo non più molto giovane, alto e robusto, che si appropinquava a raggiungere il loro lato della barricata. Portava l’uniforme della Guardia Nazionale.
Enjolras fece un cenno di assenso e gli si avvicinò.
“Sono stato alle loro postazioni. Vi dirò tutto ciò che posso.” Iniziò l’uomo, con un’aria abbastanza cospiratoria e senza perdere tempo in convenevoli.
“Andate avanti.” lo incitò schiettamente il capo, avido di notizie.
“Hanno molte armi, e migliori delle nostre. Purtroppo, il pericolo è dietro l’angolo.”
“Di questo non c’è bisogno di preoccuparsi. Appena verremo a conoscenza delle loro strategie, riusciremo a batterli.”
Marius, ancora dentro la taverna, sentì questo dialogo e, incuriosito, decise di uscire per ascoltare meglio. Sorrise a Cosette e varcò la porta.
Erik rimase in piedi davanti a lei. Si morse un labbro, indeciso sul da farsi. Voleva aiutare Marius, per il bene di sua sorella, ma voleva stare anche con lei, per consolarla.
“Vado.” sussurrò, e seguì i passi del giovane.
Tutti gli Amici erano riuniti in un cerchio scomposto tra Enjolras e l’uomo.
Erik era certo di averlo già visto. Un ricordo molto chiaro attraversò la sua mente, fulmineo.
 
“Andiamo via, Gavroche!”
“E direi! Quello è un coquer!”
 
L’uomo davanti alla carrozza di suo padre. Era lui, non poteva esserne più certo. L’unica cosa che cambiava… erano gli abiti. Si era travestito da soldato.
“Fermi tutti! È un poliziotto!” gridò allora Erik. Si scatenò il panico: l’uomo, colto di sorpresa, accese gli occhi di una fiamma irosa e si guardò intorno, pronto a scappare. Purtroppo per lui, tutti gli Amici furono svelti a circondarlo e a legargli le mani.
Enjolras si voltò e chiese al bambino, con voce grave e vibrante “Ne sei certo?”
“Sicurissimo. L’ho visto in tenuta da ispettore di polizia.”
Il ragazzo fece cenno a Combeferre e Bossuet, che erano i più forti, di portare dentro la spia. Questi si dimenava e cercava di ribellarsi;  ma non aveva certo la forza di due giovani come loro.
“Fate come volete per ora, mocciosi, ma prima o poi dovrete vedervela con la legge!”
Lo legarono ad uno dei pochi tavoli liberi.
Courfeyrac si separò dal gruppo per fare i complimenti ad Erik. “Sei stato bravo. Ti dobbiamo un grande grazie, ci hai salvati tutti.”
Il bambino sorrise, sinceramente soddisfatto.
“Ho solo fatto ciò che avrebbe fatto Gavroche.” rispose, senza tradire un’espressione malinconica. Il giovane sorrise comprensivo e gli diede una leggera pacca sulla spalla. Senza dire più nulla, se ne andò con passi lenti.
“Io dico che bisogna festeggiare!” esclamò con la sua voce potente Grantaire. Aveva una bottiglia in mano e, nel vederla, Enjolras si chiese dove potesse averla presa. Aveva messo un lucchetto a tutte le riserve alcoliche della locanda.
“Al ragazzino!” inneggiò, alzando la bottiglia verso Erik. “Hai visto, Combeferre, che ci è stato utile sul serio?”
L’interessato non rispose, limitandosi a scuotere leggermente la testa tristemente. “Non è posto per lui, qui.” ribatté grave.
“Solo gli stupidi non cambiano idea! Ci ha salvati tutti.” replicò l’altro.
Anche le donne erano uscite dalla locanda. Tutti i rivoluzionari erano appoggiati ai mobili della barricata, tranne qualcuno che si stava preoccupando di riparare dei fucili guasti.
Erik, anche, era adagiato su una vecchia cassettiera, accanto a Marius. Cosette gli rivolgeva degli sguardi fugaci, per poi tornare a parlare con le altre infermiere.
Grantaire passò la bottiglia, ancora mezza piena, al bambino. “Tieni, è tutta salute!”
Joly, udendo queste parole, trasalì. “Diversi recenti studi dimostrano che un bambino non dovrebbe-”
“E lascia stare! Guarda come sono venuto su io!” scherzò Grantaire.
“Per l’appunto.” commentò gelido Enjolras.
A quelle parole tutti si zittirono per qualche secondo. Il giovane con la bottiglia contrasse le labbra in una smorfia divertita e riprese a bere.
Erik era ormai abituato a quel genere di scene, e questa non lo sorprese particolarmente. Voltò la testa per sorridere a Cosette, la quale ricambiò con uno sguardo dolce.
“Beviamo insieme, ragazzi.” riprese Grantaire ad un tratto “E’ normale essere preoccupati. Aver paura di morire. Ma il vino basta per dimenticare tutti questi pensieri tristi. Bevete con me ai tempi andati!”
Gli studenti sospirarono. Tutti loro vivevano quelle ore in un costante terrore. Sapevano che sarebbe bastato un attimo, per porre fine alle loro vite.
Marius era preoccupato non tanto per sé stesso, quanto per Cosette. E sì, anche per suo fratello. In fondo, lei non sarebbe mai potuta essere felice, senza lui al suo fianco.
Le donne avevano paura. Se la barricata fosse stata presa, sarebbero morte tutte. Non avrebbero più veduto i loro parenti, né i loro mariti o i loro figli.
Cosette era tormentata dal pensiero di veder morire Marius per un colpo di fucile o Erik ucciso da una carabina. E, per l’ennesima volta in quelle ore, si stava torturando a sapere suo padre da solo, senza la minima idea di dove si trovassero i suoi figli.
Erik non aveva paura. La sua unica preoccupazione, per il momento, era di tenere al sicuro la sorella. Non sapeva come avrebbe potuto farlo, ma si disse che era il suo unico compito.
La bottiglia di Grantaire girava tra gli Amici, e anche tra le infermiere. I due Fauchelevent furono gli unici, insieme ad Enjolras, a non toccarla neanche. Ne furono portate altre, e un’ora passò nel silenzio, interrotto solo dai singhiozzi di coloro che avevano perso, quel giorno, le persone che amavano.
Ad un tratto una voce nel buio, dall’alto, urlò “Stanno arrivando!”.
Tutti voltarono di scatto il capo verso il principio della strada. Non vedevano nessuno, ma col silenzio potevano udire i passi di marcia dei soldati.
“Ognuno si armi!” gridò Combeferre, vedendo seminarsi il caos tra gli studenti. Le donne rientrarono nella locanda, e consegnarono quanti più fucili possibili.
“Presto!” incitava Bossuet, che era rimasto di guardia alla barricata.
Cosette strinse forte il fratello. “Erik…”
“Devo andare.”
Lo guardò disperata. “No, non devi.”
“Sono in pochissimi, non vedi? Hanno bisogno di me.”
Cosette si morse un labbro. “E Marius…”
“Lo terrò d’occhio, vedrai.”
La fanciulla improvvisò un sorriso amaro. Diminuì la stretta dell’abbraccio e si appoggiò stancamente ad una parete del Corinth.
Erik le rivolse uno sguardo confidente e sparì fuori dalla locanda. In realtà non aveva idea di come cavarsela. In più, era terribilmente sorpreso che Cosette l’avesse lasciato andare senza troppi sforzi. L’aveva capito, ormai, era totalmente stremata, pareva che qualcuno le avesse sottratto un po’ di luce negli occhi, di convinzione nelle parole, di forza nel respiro.
Erik non aveva nessuna arma; non c’era neanche una pistola per lui. Avevano preferito che Combeferre ne prendesse due, piuttosto.
Tentò di ragionare, di trovare un modo per procurarsi almeno una fionda, qualcosa che gli permettesse di aiutare.
Quando vide che i soldati erano già di fronte alla barricata, in ginocchio per sparare, si disse che non c’era più tempo per pensare.

 
 
5 Giugno 1832, Pomeriggio
 
Niente da fare, pensò Jean Valjean preoccupato. Ancora col giornale in mano, si appoggiò al muro freddo della strada.
Osservava quel pezzo di carta con irrequieta ostilità. Figuravano, scritte in piccoli caratteri, le zone della rivolta. Aveva pensato che erano sicuramente fulcro di grande attività, e per questo avrebbe avuto più probabilità di trovare i suoi figli. Dopotutto, cosa poteva fare se non tentare?
Tirando fuori una matita dal taschino, cancellò la riga che diceva “Rue de Bac”.
Niente, non li aveva trovati.
Prendendo un respiro profondo, si rimise in cammino. La prossima meta era Notre Dame.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Mi sento male a pensare che manca poco -pochissimo- alla fine. Ma vabbè, concentriamoci su altre cose più importanti… come per esempio, questo capitolo.
Non so perché, ma mi è piaciuto particolarmente scriverlo.
Allora, abbiamo un Javert spia che stavolta è Erik a smascherare (se lo avesse fatto Gavroche non sarebbe stata una fan fiction, ma una soap opera di cattivo gusto con tanto di resurrezioni varie XD).
Segue una sottospecie di ‘Drink with me’, rivisitata e corretta per l’occasione. Ma c’è poco tempo per festeggiare, perché arriva ben presto la Guardia.
Intanto, abbiamo un Valjean completamente sperduto. Per scrivere dei luoghi della rivolta indicati dal giornale, mi sono aiutata con il testo di Red&Black: At Notre Dame the sections are prepared! At rue de Bac they're straining at the leash! Students, workers, etc, etc…
Detto questo, ho esaurito gli argomenti. Al prossimo capitolo,
rosa_bianca
 
   
 
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