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Autore: sleepingwithghosts    05/11/2013    2 recensioni
(...) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare Jared, Shannon e Tomo?»
Una malsana idea nata subito dopo aver visto Artifact. Tre amiche che partono alla ricerca dei loro eroi, prendendo un volo last minute per Los Angeles e che finiranno per mangiare tante ciambelle, questo è sicuro. Ma li incontreranno? Ci riusciranno davvero? Che l'avventura abbia inizio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«The people that aren’t dreamers, the people that don’t try to walk the lesser beaten path, they don’t understand. But I do and I know what are you going through. And sometimes you just have to keep marching forward, even when you doubt. Even when you think it’s impossible, you keep doing the work, you keep showing up, you keep focusing, you keep doing and fighting for what you believe in. And that’s the most important thing. Stick around»

                                                                                                   Jared Leto.

 

 
Qualcosa di appuntito mi sta massacrando un fianco. Mi esce un lamento dalle labbra quando ancora ho gli occhi chiusi. Non ho nessuna voglia di svegliarmi, sento già il mal di testa che mi torturerà per le prossime ore. Ma anche quella maledetta cosa che mi schiaccia il fianco mi sta distruggendo. L’immagine che mi si para davanti alle palpebre scure è quella di Don Rodrigo tormentato nel sogno da un bubbone della peste. Sbuffo e sbarro gli occhi, poi mi volto verso destra per scoprire e uccidere la fonte del mio prematuro risveglio e noto che è il gomito di Frances. Impreco a bassa voce e mi sposto di qualche centimetro. Mi guardo in giro, anche se c’è troppa luce per i miei gusti, e noto solo un gran casino. Ci sono vestiti sparsi sul pavimento, tavoli pieni di cibo intatto, macchie di strani liquidi scuri sui tappeti e, particolare da non trascurare, persone che non ho mai visto in vita mia. Ad essere sincera solo in quel momento mi rendo conto che non ho la più pallida idea di dove sono, e mi alzo di scatto. Non dovevo farlo, ovviamente: le cervella mi sbattono sulla corteccia celebrale e mi sento tramortita, come se mi avessero tirato un pugno sul naso. Perfetto. Si prospetta una giornata splendida.

Mi strofino gli occhi con il dorso della mano e cerco di mettere in moto il cervello. Della caffeina mi sarebbe d’aiuto e anche un bagno, dato che sento la vescica che protesta, ma decido che se starò ferma e immobile riuscirò a resistere un altro po’. Molto lentamente comincio a ricomporre i pezzi della notte precedente: siamo state in una discoteca che abbiamo lasciato dopo nemmeno due ore a causa del caldo, e a quel punto eravamo già brille, ma non abbastanza, così ho intelligentemente chiesto a un ragazzo di comprarci dell’alcol e lui l’ha fatto, da brava persona; poi ci siamo spostate spiaggia, e c’era una luna bellissima. Qui comincia a diventare tutto offuscato, e qualcosa mi dice che sia a causa della bottiglia di vodka che mi sono fatta fuori.

«Shit», qualcuno impreca a bassa voce scavalcando i corpi che gli impediscono di andarsene. È una ragazza bionda, in reggiseno e pantaloncini di jeans. Quando si accorge che la guardo mi fa una smorfia che credo sia un tentativo di sorriso mattutino. «Sai dov’è la mia maglia?», mi chiede con un marcato accento americano che fatico a comprendere. Scuoto la testa. Non so neanche sicura di sapere come mi chiamo, al momento, figuriamoci se so dov’è finita la sua t-shirt in mezzo a tutta la confusione. «Well, nevermind. Bye», dice, e esce da una porta finestre dietro al divano su cui io sono distesa insieme a Rain e Frances, ancora perfettamente addormentate.

Luna bellissima. E poi? E poi quel Paul ci ha rubato i vestiti, e noi siamo rimaste fradice a camminare avanti e indietro sulla sabbia senza un telefono e un soldo. E poi? E poi… oh.

«Che cosa stai facendo?», borbotta Rain, gli occhi semichiusi.

«Ti sto svegliando. Abbiamo davvero incontrato Shannon questa notte o io mi sono fatta un sogno molto vivido?», chiedo, improvvisamente sveglissima.

«Ma che ore sono?»

«Non lo so».

«Dove siamo?»

«Non lo so. Puoi rispondere alla mia domanda, per favore?»

«Non lo so».

«Mi stai prendendo in giro?»

Ridacchia e si stropiccia gli occhi. «Com’è che mi chiamo? Ho un mal di testa terribile»

«Anche io, ma il tuo nome, a contrario di questa notte, me lo ricordo ancora. Rain».

«Giusto». Si mette a sedere. «Deborah».

«Sì, è ancora il mio nome», dico alzando gli occhi al cielo.

Sbuffa. «So che ti chiami Deborah, il mio era un “Deborah abbiamo incontrato Shannon Leto”»

Mi illumino. «Ah, è successo davvero, allora!». Guardo i corpi apparentemente senza vita sparsi per il pavimento ma del batterista non c’è traccia. «Tu lo vedi?»

Scuote la testa. «Se ne sarà andato».

«What the fuck are you two saying? What fucking language is that, latin or something?», esclama una voce maschile proveniente dal pavimento. Io e Rain rimaniamo mute, cercando di individuare la fonte parlante. Un ragazzo pallido si è alzato su un gomito e ci guarda con un’espressione addormentata e corrucciata. Noi continuiamo a non rispondere. «I don’t care, actually. Just shut the fuck up, I’m trying to sleep».

Guardo Rain e mi scappa una risatina. «Svegliamo Frances e andiamocene», sussurro.

Annuisce e poi da uno schiaffo leggero in faccia all’altra che, di colpo, si mette a sedere. «What?». Si guarda intorno e incontra le nostre facce divertite. «Cosa? Cosa succede?». Vorrei scoppiare a ridere, ma l’unica cosa che faccio è dirle di alzarsi e trascinarla fuori dalla stanza attraverso la stessa porta finestra da cui ho visto uscire la bionda spilungona, dato che non si regge in piedi. «Ma dove siamo?», chiede confusa.

Ci risiamo. «Bella domanda. Ti ricordo, in caso l’epidemia dei buchi neri della memoria avesse contagiato anche te, che siamo state derubate e non abbiamo nessuno dei nostri super tecnologici telefoni»

«Shannon», esala lei. «Abbiamo conosciuto Shannon!»

Annuisco. «Che è sparito, comunque». Sono irritata? Decisamente. Non è suo dovere aiutare delle povere echelon sperdute? La solita vocina mi dice che questa notte l’ha già fatto, più di una volta. Al più di una volta blocco i pensieri. Più di una volta? Frugo tra i ricordi annebbiati: Shannon che ci porta i vestiti, aiuto numero uno; Shannon che stacca Rain da un tizio che non ha buone intenzioni, aiuto due; Shannon che mi allunga una mano quando mentre ballando sono rovinosamente caduta a terra, aiuto tre.

«Sono caduta davanti a Shannon», sussurro più a me che altro, senza nessuna intenzione di essere sentita.

«Oh sì. Come sta il sedere?». Sussulto e mi giro verso la voce che ho appena sentito e che, ahimè, conosco. Shannon, i capelli spettinati e gli occhi gonfi, è proprio davanti a me. «Buongiorno», dice. Le mie guance si colorano di rosso. Datemi una badilata in testa e fatemi morire.

«Shannon Leto senza occhiali? Ma che cosa sta succedendo?», esclama Frances in italiano. Io e Rain scoppiamo a ridere davanti allo sguardo confuso di Shannon che ovviamente non ha capito.

«What?», domanda lui, un sorrisino sulle labbra.

«Nothing», risponde Rain. «Dormito bene?»

«Mh». Mh è la sua risposta. Che cosa diamine significa quel verso? Sorride. «Voi, dormito bene?»

Mi tornano in mente Don Rodrigo e il gomito di Frances e storgo il naso. «Da Dio», dico un tono ironico.

«Shannon, dove siamo?», chiede Frances che sembra essersi svegliata dal lungo letargo in cui era caduta.

«A casa di Antoine. Vi ricordate qualcosa della notte scorsa o avete annegato tutto nell’alcool?»

Una lampadina mi si illumina: il vero motivo di tutto il disastro in cui si era tramutata quella notte era il desiderio di annegare la sfiga collegata a non essere riuscite a incontrare i Mars, a causa del loro ritiro in cerca di ispirazione. «Ma tu non dovresti essere in ritiro spiritico o qualcosa del genere?», me ne esco io.

Lui mi guarda con un’espressione indecifrabile. «Ma tu qualche volta te ne stai un po’ zitta?»

Arrossisco. «Io…».

Fa un cenno con la mano. «Lascia perdere. Trovo la mia ispirazione nella gente, nel ritmo dei corpi che ballano tutti insieme, nei piedi che disordinatamente si pestano l’uno con l’altro, negli occhi che si cercano da un capo all’altro della stanza, nei bicchieri vuoti che cadono sul tappeto sordi. Ero alla ricerca di ispirazione ieri sera, ma poi mi siete capitate voi fra capo e collo e mi è toccato farvi da balia»

«Potevamo cavarcela da sole», dice Rain.

«Senza vestiti?», ribatte lui con un sorrisino.

Mi mordo il labbro. «Okay, hai vinto».

«Già», dice lui, pescando gli occhiali dal taschino della giacca.

«Già, ma visto che ti sei autoproclamato nostra balia è tuo dovere aiutarci», continuo. Tanto mi odia già, un tentativo vale la pena farlo.

«Cos’è che devo fare io?», dice bloccando il braccio a metà strada fra la tasca e il viso.

«Portarci a comprare dei telefoni nuovi. Per favore». Un po’ di gentilezza non guasta mai, in questi casi.

«Non se ne parla».

«Ti prego», dice Frances. Ha un’aria terribile, e Frances non ha mai un’aria terribile. Lei è quella perfetta. Mi chiedo quando di preciso abbia bevuto la notte scorsa, ma non so darmi una risposta. Purtroppo è molto probabile avessi in mano una tequila quando invece avrei dovuto fermare lei.

«Pensa se non chiamassi Constance per tre giorni. Impazzirebbe», rincara Rain. «Ci servono dei telefoni».

Shannon ci guarda tutte, rimanendo in silenzio per secondi che sembrano minuti e poi sbuffa. «Poi sparite dalla mia vita».

«Ti facevo più simpatico», mi lascio scappare ad alta voce, per fortuna in italiano. Mi becco un’occhiataccia dalle mia amiche. «Grazie», aggiungo in inglese, con un sorriso.

«Vi porto in motel». Detto questo ci da le spalle e si incammina.

«Da quanto parli così tanto?», mi chiede Frances.

Mi stringo nelle spalle. «Effetto Shannon Leto?»

«Effetto Vodka», ribatte Rain.

 

«”Ti facevo più simpatico”, ma come ti è uscita? Shannon è adorabile», dice Frances, gli occhi che le sbrilluccicano.

«Lo so che è adorabile. Ero sotto lo strascico dell’effetto della vodka e del sonno. Potete perdonarmi?», affermo esasperata. Shannon, come aveva promesso, era passato qualche ora più tardi a prenderci e ci aveva portato in un negozio di elettronica il cui proprietario era un suo caro amico che ci aveva fatto uno sconto esorbitante sull’acquisto dei nostri tre nuovi Iphone. Era stato difficile convincere Rain ad abbandonare il caro e vecchio Berry, ma poi ce l’avevo fatta.

«Per fortuna hai parlato in italiano», dice Rain.

Mi mordo il labbro. «Gli sto antipatica, vero? Sto antipatica al mio batterista preferito».

«Forse non siete compatibili», risponde Rain stringendosi nelle spalle.

Guardo Shannon camminare qualche passo davanti a me e divento un po’ triste. Forse non siamo compatibili, forse lui non mi sopporta, forse io me lo immaginavo diverso, ma non posso essergli grata per tutto quello che sta facendo per me, ancora una volta, come se con la sua musica non avesse già fatto abbastanza.

Accelero il passo e, quando gli sono accanto, lui si volta verso di me e alza un sopracciglio. «What?»

«Grazie».

«Per cosa?»

«Non lo so, di tutto. Per i vestiti questa notte, per i telefoni, per averci fatto da balia. Per tutto quanto. E lo so che non mi sopporti, ma un grazie rimane un grazie sincero anche quando a pronunciarlo è una persona che non ti piace», dico, torturandomi le mani, nervosa, e evitando per tutto il tempo il suo sguardo.

«Oh», lo sento dire, e quando mi volto a guardarlo si sta grattando la fronte. Si accorge che lo fisso e mi sorride. «Non è che non mi piaci, è che…».

«Non siamo compatibili», concludo io, più a me stessa che altro.

«Più o meno», sorride. Si avvicina e mi tocca la spalla con la sua. «Hai carattere, mi piaci».

Non mi vedo, ma so che il mio sorriso si  apre fino ad un rischio paralisi. «Anche tu mi piaci Shannon». Lui alza gli occhi al cielo e io mi sento una stupida e arrossisco all’istante, ma poi lo vedo ridacchiare e io ritorno dentro la mia bolla di felicità. Rimango al suo fianco fino a  quando svolta improvvisamente a destra entrando in un grande negozio di vestiti. «Devo prendermi un paio di jeans», dice avviandosi verso il bancone del negozio e cominciando a parlare con una giovane commessa che, immagino quando nota quanto sia bello l’uomo che ha davanti, comincia a parlare con un tono stridulo poco sopportabile. Alzo gli occhi al cielo: donne.

Giro per gli scaffali del negozio, mettendo gli occhi su diversi capi che in ogni caso non posso permettermi: non so che negozio sia questo, ma di sicuro non per delle diciannovenni squattrinate come me.

«Guardate questo vestito, è splendido», dice Frances, posandosi addosso un lungo abito rosso.

«Provalo», dice Shannon, spuntato affianco a me e Rain.

Frances rimane interdetta per un secondo e poi dice «Okay», avviandosi verso i camerini. Rimaniamo in silenzio religioso ad aspettare che scosti le tende e ci faccia vedere quanto perfetta sia in quel vestito. Quando finalmente lo fa, ci accorgiamo che l’abito le sta davvero da Dio. Se ne accorge sicuramente anche Shannon che, improvvisamente, raddrizza la schiena, come se gli avessero messo una scopa sul deretano.

«Le sta molto bene, non crede anche lei?», chiede la commessa, un sorriso in volto, rivolgendosi a Shannon. «Ma d'altronde è molto bella, proprio come il padre».

Silenzio di tomba.

E poi lo sento, lo sento salire, fino a che il primo singhiozzo mi esce dalle labbra contro la mia  volontà e non riesco più a trattenermi: scoppio a ridere. Rido così tanto che in pochi secondi sento affiorare le lacrime agli occhi e devo cominciare a camminare avanti e indietro per cercare di smettere. Anche le mie amiche ridono come me. La commessa, ha appena scambiato Shannon per il padre di Frances, questo l’abbiamo capito tutte a quanto pare. Shannon anche l’ha capito bene, ma, a contrario nostro, non ride, ma anzi si è fatto scuro in volto. «Io, suo padre? Sta scherzando, vero?»

«Beh, veramente no…», risponde lui, confusa. «Ma se mi sono sbagliata mi scuso, ovviamente».

«Sì, si è sbagliata», dice stizzito lui.

«Daddy, ci porti al Luna park questa sera?», domanda Rain tra un singhiozzo o l’altro. Shannon la guarda gelido e con un’uscita di scena degna della più grande diva di Hollywood – o di suo fratello Jared – lascia il negozio, una commessa sbalordita e noi con le lacrime agli occhi.

Appena Frances riesce a liberarsi dal vestito, e dopo esserci scusate con la gentile commessa, usciamo di corsa dal negozio, ma, guardandoci intorno, non vediamo tracce di Shannon. «Dov’è andato?», chiedo.

«Non lo so», risponde Rain.

Continuiamo a guardarci attorno ma di lui non c’è traccia, per cui, tristi, seguiamo la strada su cui ci ha abbandonato strascicando i piedi. Dopo qualche minuto, butto l’occhio dentro la vetrina di un negozio di strumenti musicali e fra le decine di chitarre appese al soffitto scorgo la testa di Shannon, gli occhiali sugli occhi, intento a picchiettare i piatti di una batteria con una bacchetta tenuta in una mano e con l’altra reggere un telefono vicino ad un orecchio. «Eccolo», dico indicandolo.

Entriamo nel negozio e ci avviciniamo. Quando ci scorge sbuffa sonoramente. «Jared, ti devo lasciare, le mie bambine mi hanno trovato», detto questo riattacca il telefono. «La smetterete mai di tormentarmi voi tre?»

«Siamo le tue bambine», ridacchio. Lui mi guarda in cagnesco e io mi ritrovo ad alzare le mani in segno di resa. «Okay okay».

«Shannon, potresti presentarcelo Jared, però», dice Frances.

«Volete conoscerlo?», chiede lui, alzando gli occhi dalla batteria che l’aveva distratto. Mi intenerisco: quante volte ha detto che Christine l’ha salvato da morte certa? Davvero tante, e ne ho appena avuta la prova.

«Pronto, Terra chiama Shannon, siamo delle echelon, è ovvio che vogliamo conoscere tuo fratello. E Tomo», risponde lei.

«Giusto», dice lui. «Va bene, ve lo presento».

«Davvero?!», domanda Rain. Come me si aspettava tutto tranne quello.

Annuisce. «Certo, ma prima voglio sapere qual è il vostro sogno», afferma con un sorrisino sulle labbra che non promette nulla di buono.

Ci guardiamo tutte e tre, sapendo che si riferisce alla frase che Frances aveva detto la sera prima, quella del “stiamo cercando il nostro sogno ma pensiamo di averlo trovato questa sera”, e non sappiamo che cosa rispondere. È da escludere dirgli che il nostro sogno era quello di conoscere lui, sarebbe troppo imbarazzante, anche se probabilmente lui ha già capito la verità ed è per quello che ce l’ha chiesto, è per quello che sorride in quel modo.

Quindi, dopo un lungo scambio di sguardi con le mie amiche mi volto verso di lui.  «Il mio sogno più grande è di diventare una scrittrice. Voglio raccontare la realtà, bella o brutta che sia, mettere su carta i pensieri che mi tormentano tutti i giorni, vivere vite diverse da quella che vivo qui, su questa terra, conoscermi meglio attraverso i personaggi dei miei racconti, reinventarmi, immaginarmi diversa. Voglio emozionare con le parole, far sentire le persone meno sole, voglio essere associata alla pioggia e a una tazza di tè. Voglio solo scrivere ed essere brava a farlo».

«Voglio vivere in una bella città, in una casa con delle vetrate in salotto, con una persona che amo, trovare un lavoro che mi renda soddisfatta di me stessa, che mi faccia arrivare a casa la sera stanca ma fiera di me. Voglio essere serena e capire chi sono davvero facendo un lungo viaggio, per rimanere meravigliata ancora una volta dalle persone, dai loro sbagli, dai loro pregi, da ciò che creano ogni giorno con la loro passione e da ciò che distruggono con lo stesso impeto. Voglio imparare a prendere delle decisioni per conto mio», dice Rain.

«Sogno di rendere le persone felici con quello che so fare meglio, quello per cui studierò e faticherò tanto. Sogno di salvare delle vite, che sia ricucendo loro un braccio, o tenendo la mano di una madre preoccupata per suo figlio per tutta la notte. Voglio che le persone abbiamo bisogno di me, e non per egoismo, non perché voglio essere al centro dell’attenzione, ma perché voglio essere utile, voglio poter dire che ho condiviso la mia vita con tante persone, persone a cui ho rubato un piccolo pezzo di anima e fatto mio, persone che ne hanno rubato tanti piccoli pezzi a me», dice invece Frances.

Shannon si toglie gli occhiali e ci guarda, una alla volta, e mi sembra che per la prima volta ci veda davvero per quello che siamo. Poi sorride. «Avete trovato queste cose in questa città?»

Mi mordo il labbro. «Abbiamo trovato te, che insieme a Jared e Tomo ci incoraggi ogni giorno a credere in noi, a credere che se il nostro sogno non ci spaventa, se il nostro sogno non è grande, apparentemente irragiungibile allora non è vero. Stay focused on the dreams, right?»

«Dai», dice facendo un cenno del capo. «Andiamo a prendere questo zucchero filato al Luna Park, ve lo siete meritato».

 

 

 

Questo capitolo parla di sogni, e ho voluto cominciarlo con una frase che Jared ha detto recentemente durante un VyRT Violet. Dietro tutte le risate, tutte le prese in giro, dietro a tutto quello che scrivo in questa fan fiction c’è l’amore e l’ammirazione che provo nei confronti di questi tre uomini, che il loro sogno lo stanno vivendo grazie a noi, ma che allo stesso tempo ci danno forza, ci spingono a fare quello in cui crediamo, ci aiutano a capire chi siamo. Sabato li ho visti in concerto per la seconda volta, a Milano, e mi sono resa conto veramente di quanto siano importanti per me. Quindi sì, un capitolo un po’ più serio nel finale ma che spero vi sia piaciuto lo stesso. A presto, Deb.

  
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