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Autore: Agapanto Blu    06/11/2013    6 recensioni
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.
Quando Mathieu decide di rivelare al padre la sua omosessualità spera in un aiuto per risolvere la confusione e la paura nella sua testa, nonostante i suoi non ci siano mai stati per lui. L'ultima cosa che il ragazzo si aspetta è di essere cacciato per questo e iscritto alla Chess Academy, una scuola maschile molto esclusiva in Inghilterra.
Ma è qui che arriva il peggio, perché nella scuola esistono due soli colori, o bianco o nero, e le vie di mezzo vengono brutalmente soppresse.
Mathieu non vuole questo, non vuole essere un sovversivo e non vuole lottare, certo non vuole l'oppressione che sente addosso e spesso pensa di chinare la testa e smettere di resistere.
Sarebbe facile, quindi perché non farlo? Semplice: perché gli occhi di Gregory, ragazzo spigliato e decisamente ribelle, sono troppo azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Scolastico
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Capitolo 20: Vieni a letto con me
 
Quando richiudemmo la finestra, dopo che tutti fummo sul tetto, sentimmo netto il suono della porta che veniva sfondata e della brandina del letto che cigolava violentemente mentre veniva fatta a pezzi. Ci mettemmo in cinque a tenere bloccato l’abbaino rotto mentre gli altri si muovevano a prendere i copertoni, che erano stati messi dalla scuola per la neve ma che ancora non erano stati tolti, così da metterli a bloccare la fessura.
Anche da lì fuori, l’urlo della Williams ci arrivò nitido quando le fu riferito che non potevano salire a prenderci, anche perché il passaggio era stretto e noi potevamo vantare la posizione strategicamente dominante. Inoltre, se uno solo di noi fosse caduto, lei avrebbe passato l’Inferno e di certo non era quello che voleva.
“Crepate pure di fame!” ci urlò, al culmine della rabbia, prima di far sigillare l’abbaino dall’interno tanto per farci capire chi avesse il coltello dalla parte del manico.
Sorrisi di fronte a quella follia e scossi la testa. Tenevo una mano premuta sul fianco che avevo sbattuto contro il corrimano, le mie costole stavano singhiozzando per il dolore atroce e perciò io ero ben deciso a rimanere un momento fermo, seduto, e a non fare sciocchezze che avrebbero potuto farmi precipitare da un’altezza considerevole.
“Ok…” commentò Ryan, un po’ confuso, guardandomi, “Ora che si fa?”
Con il mento, stando attento a non prendere respiri troppo profondi e a non muovere troppo il busto, gli indicai la torretta.
“Il collegamento con la scuola è stato murato, ma le finestre no.” gli feci notare, “Dovrebbero esserci dentro dei borsoni. Credo ci sia acqua, qualcosa da mangiare e probabilmente dei medicinali, se Alfred ha fatto bene. Giuro che se c’è una scatola di aspirine la requisisco per me stesso e al diavolo voi altri.”
Accompagnai le mie parole con una smorfia, tanto per ribadire il concetto, e poi mi lasciai cadere all’indietro sdraiandomi di schiena con lentezza. Avevo male, d’accordo, ma avevo intenzione di godermi appieno la soddisfazione che stavo provando in quel momento e perciò mi presi un attimo per riprendere fiato e calmare il dolore.
Mentre Ryan, un po’ barcollante, camminava sulle tegole per raggiungere la torretta, Gregory si sedette vicino a me, in silenzio.
Attorno a noi c’erano settant’otto ragazzi sul tetto di un palazzo di sei piani, in bilico su vecchie tegole che potevano tranquillamente rompersi da un momento all’altro ma felici come mai prima. Qualcuno alzava il viso al cielo godendosi il sole come se non l’avesse mai visto prima e qualcuno si rannicchiava su se stesso con espressione confusa come se non riuscisse a credere di essere davvero fuori, qualcuno se ne stava in piedi a braccia larghe e rideva come un pazzo mentre qualcuno si aggrappava spasmodicamente ad un qualsiasi appiglio apparisse solido nonostante il sorriso sulle labbra. Tutti eravamo spaventati, non potevamo prevedere cosa avrebbe fatto la Williams, ma eravamo anche tutti presi da una sensazione di libertà assurda, forse anche stupida visto che di fatto eravamo ancora prigionieri sul tetto. Ma era ciò che avevamo fatto ad averci resi liberi. Poco importava dove fossimo, noi avevamo preso la nostra occasione al volo, avevamo chiuso a chiave i professori nelle classi, li avevamo strattonati e imprigionati come tante volte loro avevano fatto con noi, e ne avevamo ignorato le grida. Per una volta, il coltello dalla parte del manico l’avevamo noi. Poteva mettersi a piovere, nevicare, grandinare, e noi saremmo comunque scoppiati a ridere perché sapevamo che qualche metro sotto di noi la Williams si stava mangiando il fegato per la rabbia.
“Mi dispiace.” Voltai, sorpreso, la testa verso Gregory e lui mi rivolse un sorriso mesto indicandomi con un cenno del mento le costole che tenevo strette con una mano, “Non volevo farti male.”
Ci misi un attimo a connettere, ma poi sorrisi e scossi la testa.
“Lascia stare.” lo rassicurai, incapace di farmi guastare il buonumore. Era mattina presto quindi il sole colpiva Gregory in viso, ma poiché lui era voltato verso di me la luce gli creava tante ombreggiature sul viso, come una foto un po’ sfocata. A tratti, aveva la pelle che rifletteva la luce come brillasse, mentre altre zone erano coperte da ombre leggere. L’occhio destro, più illuminato, appariva di un azzurro luminosissimo, mentre quello sinistro, in ombra, sembrava il blu scuro del mare aperto. Le labbra erano mezze luminose e mezze no, come una promessa peccaminosa che dicesse di poter essere tutto e il contrario di tutto, ogni cosa io volessi. “L’hai fatto per difendermi.” ricordai al biondo, cercando di deglutire, per risolvere la secchezza della gola, senza però uccidere le mie costole, “Non fartene una colpa, ok? Quantomeno tu non volevi…”
Lanciai un’occhiata significativa alla manica della mia camicia su cui si aprivano nette cinque macchiette rosse, lì dove la pressione delle unghie della Williams aveva aperto piccoli taglietti, e Gregory si rabbuiò, stringendo le sue famose labbra in una linea sottile e arrabbiata che mi fece desiderare di baciarlo ancora di più. E il mio inguine si tese in modo preoccupante, in risposta a quella visione.
“Avrei dovuto buttarla giù dalle scale…” bofonchiò il mio biondino, offeso, e io sorrisi.
Con un pensiero malefico in testa, decisi di tirarmi su, ma a metà del movimento mi ritrovai piegato su me stesso da un dolore atroce al petto.
“Mathieu?! Mathieu, che hai?!” Gregory era sgomento, infatti prima ancora che potessi rispondere si voltò all’indietro e iniziò a chiamare Ryan.
No, Ryan no, poi come faccio a sbarazzarmi di lui?! Io avevo un progetto, per ora!
Il moro, invece, arrivò subito.
“Che succede?!” chiese ma, tale e quale al suo amico, non attese risposta e si inginocchiò accanto a me, dall’altro lato rispetto a Gregory e iniziò a studiarmi.
“Si è tirato su e poi ha iniziato ad aver male, ma si teneva il petto già da prima.” riassunse il mio caro biondino. Spione!
Ryan iniziò a tastarmi piano i fianchi facendo passare le dita sotto le mie braccia, ma poi si rivolse a Greg.
“Aiutami a fargliele alzare.” ordinò mentre, di suo, mi afferrava con una mano per il polso e con l’altra all’altezza del gomito e mi costringeva a stendere gli arti davanti a me. “Pronto?” mi chiese.
“Fa differenza?” borbottai, offeso, e lui sorrise appena mentre, in sincrono con Greg, provava ad alzarmi le braccia tese verso l’alto.
Una lama di dolore puro mi tagliò in due all’altezza del petto, squartò i miei polmoni aprendoli come volantini pubblicitari, e io gridai per il male. Urlai proprio, con tutto il fiato che avevo in gola, attirando su di me gli sguardi di tutti.
Greg e Ryan si affrettarono a mollarmi e io mi portai subito le mani alle costole, imprecando di dolore dietro gli occhi pieni di lacrime.
“Cazzo…” mormorò Ryan, stringendomi una spalla con la mano.
Cazzo lo sapevo dire anche io, Ry!” ringhiò Greg, “Quello che devi dire tu è che cos’ha!”
Strinsi la lingua tra i denti nel tentativo di non singhiozzare per il male atroce, poi alzai gli occhi sul moro che, però, fissava l’altro suo amico come se io non esistessi.
“Credo si sia rotto di nuovo una delle costole sulla sinistra del petto.” ammise Ryan, mesto, “Non sono ancora a posto e la saldatura era fragile, probabilmente il colpo contro il corrimano è stato abbastanza forte da spaccarne di nuovo una.”
No, non di nuovo! Non riuscivo a crederci, non volevo crederci. Una costola rotta voleva dire di nuovo dolori allucinanti ad ogni movimento, stilettate tanto forti da farmi quasi piangere ad ogni dannato respiro, per non parlare delle grida di dolore ad ogni fottutissimo colpo di tosse. Quel dolore era atroce e più volte durante gli accessi di essa mi ero sorpreso a singhiozzare e a implorare a gran voce Ryan o Gregory, chiunque mi fosse accanto, di fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di farlo smettere. All’inizio mi avevano riempito di antidolorifici finché ne avevamo avuti e poi, in assenza di essi e privati della possibilità di ricevere qualsiasi oggetto per ordine della Williams, Walt e Ryan avevano deciso di dar fondo ai sonniferi di cui disponevamo, perfino quelli più pesanti, ma erano pochi ed erano bastati per appena qualche giorno poi era diventato un Inferno. Avevo passato notti in bianco perché non riuscivo a stare sdraiato in nessuna posizione senza avere la sensazione di stare cadendo a pezzi e una volta, dopo una settimana quasi senza sonno, nel delirio pieno di sofferenza del dormiveglia, avevo supplicato Greg di ammazzarmi. Deglutire, cibo o acqua indifferentemente, era una tortura e Ryan aveva dovuto darmi delle purghe e farmi dei clisteri perché potessi andare in bagno. Mi ero sentito inutile, un peso, e le mie debolezze mi avevano fatto vergognare fin nelle mie ossa sbriciolate. E adesso ricominciava tutto da capo per un maledettissimo corrimano!
“No…” sussurrai, scuotendo la testa, e non dovetti aggiungere altro perché i miei amici capissero. Mi erano stati vicini, avevano visto la mia lotta rovinosa con quel male e sapevano che la sola idea di doverlo combattere di nuovo mi spaventava e spezzava.
“Ehi, ehi, ehi!” provò a bloccarmi Gregory, passandomi un braccio dietro le spalle con delicatezza e stringendomi un gomito con l’altra mano, “Siamo qui, d’accordo? Staremo con te anche ‘stavolta e passerà in fretta, vedrai…”
“È solo una, Mathieu, al massimo due nella stessa zona.” mi rassicurò Ryan.
Io non dissi niente, non volevo smontare il suo sogno di gloria, ma un gemito tradì il mio pensiero.
“Forse è meglio se lo porto nella torretta.” commentò Greg, come se non esistessi, guardando l’amico, “Se gli viene una fitta mentre è in piedi, rischia di volare di sotto.”
Ryan annuì, senza neanche pensare di chiedermi la mia opinione, e io mi ritrovai costretto ad alzarmi. Mi chiesi, distrattamente, come avessi fatto ad arrampicarmi sul tetto senza sentire il dolore, ma quel Gregory alla mia destra pose la domanda al posto mio e Ry scrollò le spalle mentre, con attenzione, mi sosteneva a sinistra.
“Credo sia stata l’adrenalina.” intervenne Walt, spostandosi per farci passare e fissandomi con preoccupazione, “La paura della fuga ha stimolato l’adrenalina e forse anche le endorfine e così il cervello ha ignorato il dolore per concentrarsi sul pericolo più imminente. Una volta al sicuro e con l’adrenalina esaurita, il male è tornato.”
Questo sì che mi rassicura. Preside Williams, non è che avrebbe voglia di saltarmi alle spalle facendomi ‘Buh’? Magari serve…
Gregory e Ryan mi fecero scavalcare con delicatezza la finestra della piccola torretta circolare che stava sul tetto e poi mi fecero sedere piano sul pavimento coperto da tanta polvere e qualche calcinaccio. Era una stanza circolare di forse tre metri di diametro, alta sì e no altrettanto, con due piccole finestre ad arco ogivale poste l’una di fronte all’altra e con il soffitto di legno vecchio e ingrigito dal tempo.
“Va’ pure a occuparti degli altri.” disse Greg a Ry, sedendosi piano vicino a me, “Io resto con lui, tu cerca di tenerli insieme e di impedire che qualche idiota caschi di sotto.”
Ryan annuì, sorridendo mesto, e mi guardò. Mentre ricambiavo l’occhiata con un’espressione afflitta, mi posò una mano su una guancia, in una lunga carezza resa ancora più delicata dal movimento lento del pollice sul mio zigomo.
In un attimo sgusciò via, abbassandosi alle spalle il drappo di stoffa nera che una volta doveva essere una pregiata tenda.
“È fortunato che io sia sicuro della sua eterosessualità.” Mi voltai con la testa, sorpreso, verso Gregory e lo trovai intento a fulminare la finestra dalla quale il suo amico era sparito. “Se non fossi più che certo che sta con mia sorella, lo starei già buttando di sotto.”
Per un attimo non realizzai, poi sgranai gli occhi.
“Greg!” provai a protestare, nonostante le fitte al petto, “Ryan non…”
“Ryan ti ha accarezzato in un modo che non mi è piaciuto per niente.” mi interruppe il biondo, scuotendo la testa. Prima che potessi aggiungere altro, passò piano il dorso delle dita sulla mia guancia, languidamente, e ruotò piano la mano quando fu certo che così le punte delle sue tre dita più lunghe mi sfiorassero la linea di apertura delle labbra. Fu lento e crudele, lì sulla mia bocca, e poi passò oltre per mettere il palmo a coppa sull’altro lato del mio viso mentre il suo si avvicinava sempre di più.
“Neanche a me è piaciuto tanto…” sussurrai, incapace di reagire a quello sguardo predatore, “Non…” tentai di deglutire nonostante il dolore, “Non quanto questo modo, almeno…”
Gregory sorrise, soddisfatto, e mi premiò con un bacio casto sulle labbra, poi usò la mano sul mio viso per farmi posare la testa sulla sua spalla e infilò l’altro braccio a cingere le mie, dietro il collo.
“Sarà più facile dell’altra volta.” mormorò, pianissimo, tornando all’argomento principale, prima della nostra digressione erotica, “Riuscirai a dormire senza sonniferi sdraiandoti su un fianco e…”
“E dovrò trovarmi un lecchino che mi imbocchi, che raccolga tutto ciò che mi cade, che mi vesta e mi svesta e che mi accompagni pure a cagare.” ringhiai, disperato per la situazione e offeso per i miei progetti in fumo.
Avevo a malapena assaggiato di nuovo la possibilità di respirare senza dolore, di essere abbracciato, di essere autonomo nelle cose più basilari della mia vita, e invece ero da capo.
“Vorrà dire che lo farò io.” assentì Gregory, sorridendo in modo strano. Tirai su la testa e lo fissai, confuso, ma lui avvicinò davvero troppo il viso al mio perché potessi ragionare razionalmente.
“Ti imboccherò.” sussurrò, suadente, passando la punta dell’indice sul mio labbro inferiore. Il gusto d’arancia scivolò dentro come veleno, stordendomi e intossicandomi, stuzzicando la dipendenza che ormai avevo sviluppato da lui.
“Se mai…” la punta dell’indice scappò dalle mie labbra, scivolò giù per il mento e poi lungo il collo, “…ti dovesse cadere qualcosa,…” il dito corse lungo la fila dei bottoni della mia camicia, indugiando sulla zona dello stomaco, “…io mi inginocchierò davanti a te…” la punta dell’unghia scese ancora di più, malefica, fino alla zona lombare per mettersi a giochicchiare con i punti della zip dei pantaloni, “…per raccoglierlo.”
Salvatemi!
“Ti vestirò…” Gregory allungò le gambe, attorcigliandole un po’ alle mie, e portò la bocca accanto al mio orecchio, senza spostare la mano dal cavallo dei miei pantaloni, “…e ti svestirò.”
Anzi, no, non salvatemi…
“E ti accompagnerò anche in bagno…” Le labbra di Gregory iniziarono a giocare con il mio lobo destro, facendomi perdere definitivamente la ragione. “…anche quando dovrai farti la doccia…”
“Non…” Ragione, devo ritrovare la mia ragione. “Non ho parlato della doccia…io…” ansimai, gli occhi semichiusi e la bocca semiaperta, in un’espressione d’abbandono totale a quel biondo malefico accanto a me.
Era pazzo, decisamente. O forse lo ero io visto che ognuna delle sue parole mi era parsa un’allusione a…qualcos’altro. E l’avevo fermato! Quale persona sana di mente lo avrebbe fermato?!
Nel tentativo di riprendere un po’ di dignità, girai la testa di lato portando via il mio orecchio al gioco crudele della bocca di Gregory, ma lui si limitò ad indietreggiare un po’ con il viso, continuando a sorridere, senza mai togliere la mano che non mi cingeva le spalle dal mio inguine ma appoggiandola bellamente sull’interno di una delle mie cosce, come se nulla fosse, dando deliberatamente fuoco ad alcuni dei pochi neuroni che mi erano rimasti.
“Non mi sembrava il caso di parlare del tuo fondoschiena,” ribatté, placido, “ma se proprio ci tieni…”
“No.” lo bloccai, in un’ammissione divertita accompagnata dal sorriso che era riuscito a strapparmi.
Gregory sorrise a sua volta, molto meno malizioso di prima, e tolse la mano dalla sua posizione strategica per metterla invece sulla mia pancia. Sembrava soddisfatto del suo operato, come se già avesse finito il suo dovere, e la cosa mi fece impensierire.
Gregory mi era stato così vicino in quelle settimane da aver fatto aumentare a dismisura il sentimento che provavo per lui e al quale ancora non volevo dare un nome, forse solo per una mera questione scaramantica. Il mio biondino non mi aveva abbandonato una volta, nonostante i miei sfoghi e anche le brutte parole che a volte gli avevo tirato addosso esasperato dal dolore, mi aveva protetto dai professori e aveva dormito sul pavimento per rimanere accanto al mio letto così tante notti che faticavo a ricordare quante fossero.
Di contro, avevo bene in mente la prima volta che si era presentato nella nostra stanza per assicurarsi che dormissi…
 
Faceva male, tanto male, un dolore atroce, e nel buio continuavo a tremare. Mi mordevo le labbra a sangue pur di non gemere né piangere per non svegliare Ryan, che aveva passato già due notti sveglio con me.
I medicinali erano finiti tre giorni prima, ma non mi ero ancora abituato al dolore atroce che era ogni minima cosa senza l’intorpidimento dei sensi.
Stritolai l’angolo della fodera del cuscino con una mano mentre, piano, cercavo con l’altra di asciugare le lacrime sulle mie guance.
Era così difficile anche solo l’idea di dover respirare ancora, il ricordo del dolore dell’inalata precedente era terribile ma poi al momento successivo impallidiva davanti alla sofferenza vera e propria. Il battito del cuore, accelerato dal male e dai brutti pensieri, colpiva ritmicamente la parte lesa, come un boia crudele che continuasse a frustare un prigioniero ormai allo stremo.
Mi sfuggì un singhiozzo e morsi ancora di più le labbra, finché sentii un liquido salato scivolarmi in bocca.
Fu allora che, tra le ombre, sentii la porta aprirsi e intravidi una figura scivolare nella nostra camera. Aprii la bocca per parlare, ma ebbi paura di fare un guaio. Nella mia mente, vidi King alzare il bastone per colpirmi ancora, nel sonno, e peggiorare la situazione. L’idea mi fece singhiozzare ancora, complici la stanchezza accumulata di giorni e il dolore fisico, ma un voce conosciuta mi scaldò un po’.
“Shhh… Mathieu, sono io… Tranquillo…” Sentire Greg, in quel momento, bastò a far rallentare il mio battito.
Con mia grande sorpresa, il biondino si sedette lentamente sul pavimento, accanto al mio letto, e allungò una mano sul materasso fino a trovare quella con cui stritolavo il cuscino.
“Lascia.” mi ordinò, piano, mentre si sdraiava e piegava l’altro braccio a fargli da guanciale, “Stringi me.”
Non me lo feci ripetere due volte e intrecciai, reso più sicuro dal buio e dalla notte, le dita alle sue, ringraziando il cielo che i letti fossero bassi e non lo costringessero a storcere troppo il braccio.
“Più forte.” mi intimò, dolce, “Fammi sentire quanto vuoi combattere.”
E lo feci, strinsi quelle dita fino a farmi male, ma sorrisi nel mio dolore sempre più grande, perché avevo un protettore speciale a farmi la guardia.
 
Prima di poterci pensare davvero, posai la fronte su quella di Gregory, strofinando il naso contro il suo, e solo dopo un attimo osai aprire gli occhi e, perso definitivamente in quel blu meraviglioso, pronunciai le parole che avevo iniziato a pensare durante quella lunga convalescenza.
 “Vieni a letto con me…”




Posate quelle armi, per favore! Ma perché ogni volta che finisco un capitolo in modo...(NdVoi: Brusco?!, maledetto?!, crudele?!, sadico?!) ...artistico!... dobbiamo finire con le minacce di morte nei miei confronti? (NdVoi: ARTISTICO?!?!?!?!?!)
Allora, lo so che come finale è un po' deludente (vorreste sapere cosa succederà, eh?!), però mi permetto di farvi notare che Mat non è al massimo della sua forma, no no, quindi chissà cosa succederà! v.v
Detto questo, passiamo ad altro, tipo l'importante AVVISO che devo darvi.

ATTENZIONE: la prossima settimana io sarò in Inghilterra, come sa chi legge Sulle Ali dei Violati, perciò TUTTE le pubblicazioni dovranno essere SPOSTATE.
Miei Lettori Sovrani, poiché io credo nel "vox popoli, vox dei" ("voce del popolo, voce di dio"): quando preferite l'aggiornamenti di Chess Academy che dovrebbe essere Mercoledì prossimo? Le opzioni sono o questo SABATO 9 o DOMENICA 17. Come al solito, potete dirmi la vostra opinione anche per messaggio privato o (se riuscite a "brincarmi") sul forum, se non siete recensori. Però, come sempre, vi ricordo che i tempi di pubblicazione di questa storia sono A MIA ASSOLUTA DISCREZIONE (che non dipende da capricci, ma solo dai miei tempi e dalle mie possibilità di scrittura) perciò NON È DETTO che possa seguire la vostra decisione.

Bene, sono contenta che abbiamo chiarito! XD
Fatemi sapere cosa preferireste, sono a buon punto con la stesura quindi potrei riuscire a pubblicare già Sabato se voi preferite così.
Detto questo, ci avviciniamo alla fine, gente! Ormai mancheranno un 4-5 capitoli, forse anche meno, ma non sono sicura :)
A presto,
ciao ciao!
Agapanto Blu
  
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