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Autore: _Princess_    20/04/2008    28 recensioni
“Per favore, mi scusi…” Una delle guardie si voltò e le rivolse uno sguardo interrogativo. “Ha visto una bambina?” gli chiese Nicole, sull’orlo delle lacrime. “È piccola, alta così,” e misurò circa un metro da terra con la mano. “Bionda…”
La guardia cambiò rapidamente espressione: sembrava quasi divertito. Nicole non condivideva il sentimento.
“Ha un vestitino rosso, per caso?” indagò l'uomo.
“Sì!” Nicole trasse un sospiro di sollievo, cominciando a riacquisire il controllo delle proprie emozioni. “L’ha vista?”
La guardia lanciò una rapida occhiata alla propria sinistra e le rivolse uno sguardo penetrante.
“Signorina, credo che l’intera arena l’abbia vista.” Disse, e si voltò ad additare il palco. E là, proprio al centro dello stage, tranquilla come se nulla fosse – come se non ci fosse stata tutta quella gente a guardarla a bocca aperta – c’era Emily, con il suo ragno di peluche in mano, e stava andando dritta dritta verso Bill.
Oh, merda.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Aveva dimenticato tutto, dalla prima all’ultima cosa che da ragazzina ripassava sempre con le sue amiche prima di uscire con un ragazzo.

Quella sera che i ragazzi erano addirittura quattro, e non si trattava nemmeno di ragazzi qualunque, Nicole aveva la sensazione di stare ricominciando da capo con tutta la sua vita: era ansiosa come al primo appuntamento importante ed almeno altrettanto impacciata.

Il suo vestito (lo stesso che aveva indossato una settimana esatta prima, quando era stata ospite dei ragazzi in discoteca) non rendeva giustizia alle splendide Blahnik che calzava perfettamente ai piedi. Era piuttosto carino, a vedersi, ma un abito acquistato per cinquanta euro in saldo al centro commerciale non era fatto per accompagnarsi ad accessori di lusso come quelle scarpe.

Si studiò accigliata nello specchio del bagno e non riusciva a vedere alcunché di soddisfacente: i capelli erano statici e flosci, così dritti che nemmeno un miracolo avrebbe potuto donare loro qualche onda vivace, e il raso nero la faceva sembrare troppo pallida, ma non poteva farci niente. Non aveva portato con sé alcun tipo di trucco, erano anni che non usava make up ed affini, e non sapeva più cosa fare per non sembrare così dannatamente inadeguata.

Controllò l’ora: la festa doveva essere già iniziata, ma loro avrebbero fatto la loro comparsa solo tra un quarto d’ora. Gustav, Georg e Tom erano passati a prendere Emily dieci minuti prima, ma Nicole ancora non era pronta, e temeva che, a questo punto, non lo sarebbe mai stata veramente.

Ripensò a quanto in fretta si fosse esaurita la giornata. L’arrivo in Francia, la trasferta in hotel, e poi i lavori di montaggio delle strutture, il soundcheck e infine la parte più complicata e faticosa: la preparazione per il party.

Ben riuscita, devo dire, ironizzò Nicole con se stessa, incapace di credere che l’avrebbero veramente portata alla festa così.

In quella qualcuno bussò alla porta.

“Nicole, sono Bill.”

Arresasi davanti all’evidenza, Nicole sospirò afflitta e andò ad accoglierlo.

“Ciao.” Mormorò a capo chino.

“Ciao,” ricambiò lui. “Ti ho portato la tua salva-identità, Emily l’ha scordata da me poco fa.”

Non mancò di squadrare Nicole con interesse, ma non appena lei sollevò lo sguardo su ciò che le stava porgendo (la mascherina di pizzo nero che aveva acquistato quella mattina, dalle vaghe sembianze di farfalla), sembrò quasi urtato.

“Non sei ancora pronta?” esclamò, basito. “Sei peggio di me!”

“Io sono pronta.” Rispose lei, sulla difensiva, strappandogli la mascherina di mano. Bill emise un flebile gemito spazientito.

“Nicole, senza offesa, ma sei un vero disastro.” Sbuffò. “Avresti il coraggio di presentarti così alla tua serata?”

“Primo, non è la mia serata,” puntualizzò lei. “Secondo, è inutile perdersi in prediche, non ho un bel niente con cui rendermi presentabile, non mi sono portata dietro nemmeno un mascara. Figuriamoci, l’ultimo che ho comprato deve avere ormai almeno tre anni, quindi anche volendo non –”

Bill le aveva chiuso la bocca con una mano e ora rideva divertito.

“Mi consola sapere che c’è qualcun altro che si lascia prendere dalla logorrea, di tanto in tanto,” commentò, con un’espressione da folletto che, Nicole ne era sicurissima, aveva acceso un po’ di colore sulle sue guance. “Hai qualche cosa da portarti dietro? Borsette o…”

Nicole fece segno di no con la testa.

“Solo la giacca,” disse, indicando imbarazzata la semplicissima giacca di velluto che stava appesa nell’ingresso. “Ma…”

Senza dire altro Bill prese la giacca, le afferrò un polso, estrasse la scheda magnetica dalla fessura nel muro e si portò via Nicole in modo non esattamente delicato.

“Bill,” Lei lo seguì suo malgrado attraverso il corridoio, attonita. “Dove diamine stiamo andando?”

“In camera mia.”

Nicole quasi inciampò nella moquette dallo shock.

Cosa?”

“Mi devo occupare di te.” Fece lui, sbrigativo, ma questo contribuì solo ad aumentare esponenzialmente lo smarrimento di Nicole.

Cosa?”

Lo stesso sogghigno elfico di poco prima le venne in risposta.

“Abbi fede.”

 

***

 

Erano in ritardo di un paio di minuti (cosa già prodigiosa di suo, dato che in genere Georg e Bill facevano a gara per chi faceva più tardi), ma a Gustav non dispiaceva più di tanto. Non lo entusiasmava molto l’idea della festa in maschera, anche se sapeva benissimo che molti dei presenti non sarebbero stati affatto mascherati, esattamente come lui ed il resto della band.

Se mi avessero proposto di mettermi qualche stupido travestimento, ci sarebbe scappato il morto.

Tre dei Tokio Hotel erano riuniti dell’ingresso dell’hotel con un paio di guardie del corpo a testa più quelle di Bill, David, Dunja ed un altro paio di collaboratori, in paziente attesa di Bill e Nicole, ma non era certo una novità.

Emily era esuberanza ed allegria allo stato puro, si pavoneggiava nel bel mezzo della hall nel suo assurdo costume da diavoletto, facendo roteare il povero Wilhelm in aria, tenendolo per una sottile zampetta.

Si era scelta quel costume lei personalmente, aveva detto Nicole, e non c’era stato verso di farle cambiare idea verso qualcosa di più femminile, come una gonnellina rosa ed un paio di alucce da fata, ma Emily era una bambina atipica, ormai lo sapevano bene tutti quanti, e comunque il rosso le donava moltissimo e faceva un bel contrasto con i suoi boccoli biondi ed il suo visetto angelico.

Era curioso di vedere Nicole, adesso. Anche se sapeva che non avrebbe indossato nulla di particolare, Gustav era comunque molto interessato alla presentazione. Era vero che lei non era il suo tipo e che, nonostante la bella amicizia che avevano instaurato, c’erano scarsissime possibilità che loro due si trovassero reciprocamente attratti romanticamente l’uno dall’altra, ma Tom non era il solo a saper apprezzare una bella ragazza per quello che era.

Erano le nove e venti quando l’attesa fu finalmente appagata: quando tutti cominciavano a domandarsi se non fosse il caso di salire ad avvisarli del ritardo, le porte dell’ascensore si aprirono e, finalmente, ne uscì Bill, vestito di tutto punto come suo solito, in nero da capo a piedi, i capelli privi del solito style, e sorrideva piuttosto soddisfatto. All’interno si poteva scorgere il profilo di Nicole.

Gustav non poté impedirsi di lasciarsi sfiorare da un dubbio a suo parere legittimo: prima il bacio a Dublino, poi le foto sul Sun, poi questo.

Poteva davvero essere tutto quanto un fraintendimento?

“Dai, stupida, vieni fuori.” Disse Bill, rivolgendosi all’interno del vano dell’ascensore, ma non venne risposta, così lui dovette allungare una mano e trascinare fuori un’imbarazzatissima Nicole, anch’essa vestita completamente di nero, una giacchetta in una mano ed il viso seminascosto da una mascherina che contornava dolcemente i suoi occhi truccati di nero, evidenziandone il colore e seguendone perfettamente la forma a mandorla. I capelli erano raccolti, tenuti fermi da una specie di bastoncino di metallo, salvo un paio di ciocche sottili che le pendevano ai lati del viso.

Per un lungo, doveroso istante, tutti i presenti trattennero il respiro.

 

***

 

Avrebbe voluto poter dire che era splendida, che era luminosa a raggiante, e soprattutto felice di esserlo, ma non era affatto così.

Più Georg guardava Nicole, più si convinceva che non si sarebbe affatto divertita nelle ore a seguire.

Era rimasta zitta per tutto il brevissimo tragitto che avevano percorso attraverso lussuosi corridoi dell’hotel che conducevano fino all’edificio attiguo, un palazzo costruito appositamente per feste e ricevimenti, e anche ora che erano entrati ad avevano preso posto al loro tavolo con soppalco riservato, non sembrava che il suo umore fosse migliorato.

La osservava in silenzio, ed era bella, sì, ma non come avrebbe voluto lui: sorrideva, ma in modo tirato ed insincero, forzato, e a Georg questo non piaceva. Si intravedeva del trucco nero sotto la mascherina, e probabilmente anche in quel rosa che delicatamente le tingeva le guance, ma dietro a tutta quella finzione, non si intravedeva Nicole.

Erano alla festa da ormai mezz’ora, avevano già ordinato da bere e ad Emily era stata servita un coppa di gelato alla vaniglia ricoperto di cioccolato e zuccherini che l’aveva letteralmente fatta impazzire. Gustav e Tom si stavano vicendevolmente intrattenendo con una conversazione non proprio intelligente sulla preparazione di certi cocktail. Gli unici che sembravano estranei all’ambiente circostante erano Nicole, Georg stesso e Bill, che pareva a mezza via tra l’annoiato e il nervoso.

Invitala a ballare, ripeteva, ormai da diversi minuti, la voce nella testa di Georg. Cosa cazzo aspetti, Hagen?

Non aspettava niente, aveva solo paura di dire o fare le cose sbagliate al momento sbagliato, anche se, come i recenti avvenimenti avevano comprovato, un po’ di avventatezza poteva anche venire premiata.

Datti una mossa, razza di idiota, prima che –

Proprio in quell’attimo Bill si alzò in piedi risoluto e porse a Nicole la propria mano con un sorriso ammiccante.

Mademoiselle, posso avere l’onore di questo ballo?”

E sotto agli occhi di Georg, dopo una breve titubanza, mademoiselle gli concesse quell’onore.

 

***

 

La stasi che sembrava aver preso il dominio della serata non piaceva affatto a Bill.

Aveva atteso a lungo che quell’imbranato di Georg si svegliasse e facesse qualunque cosa, ma lui se n’era rimasto affondato nel divanetto, cupo come un cielo che preannuncia tempesta, senza muovere un muscolo.

Alla fine Bill si era stancato ed aveva deciso di prendere in mano la situazione, così eccolo lì, a ballare – o almeno a tentare di farlo – con Nicole assieme ad un altro centinaio di persone che nemmeno sembravano far caso a loro.

“Stai molto bene stasera.” Le disse, celando la provocazione dietro ad un complimento. Lei nemmeno lo guardò.

“No, non sto affatto bene,” mormorò, quasi atona. “Ma preferirei fare finta di niente, entro i limiti del possibile.”

“Magari ballare ti distrarrà un po’.”

“E se ci fossero dei paparazzi nascosti in giro?”

Non c’era vero interesse o vera preoccupazione nelle sue parole, ma solo l’evidente sforzo di proseguire una conversazione che già da sé aveva ben poco da dire.

“Per questo hai la maschera,” Bill accennò al suo viso. “Resteresti comunque la Ragazza Misteriosa che ha sedotto ed abbandonato Bill Kaulitz.”

Questa volta a Nicole fu impossibile non reagire debitamente.

“Io cosa?”

Codina di paglia?, ridacchiò Bill tra sé e sé.

“Nicole, era una battuta!” la rassicurò immediatamente. “Pietosa, ma lo era.”

Lei gli concesse un accenno di sorriso riconoscente, che però lasciò Bill un poco amareggiato. Era sfuggente, chiusa, e non c’era modo di rallegrarla minimamente. O, per meglio dire, un modo c’era, ma occorreva una doppia collaborazione che per ora proprio non sembrava voler decollare.

“Sei veramente in forma stasera.” Gli disse Nicole, mentre dondolava leggera assieme a lui sulle note di una canzone lenta del tutto ignota.

“Sì?” Arricciò appena le labbra. “Allora anch’io fingo bene.”

Quella dichiarazione toccò Nicole più in profondità del previsto. Lei fece per staccarsi da lui, ma Bill la trattenne.

“Così non mi aiuti, sai?”

Au contraire, Nicole,” replicò Bill, giocando a fare l’enigmatico. “È proprio per questo che ti ho trascinata in pista, anche se era chiaro come il sole che non ne avevi la minima voglia.”

“Mi hai invitata a ballare perché volevi aiutarmi?”

Oui.”

“Non ti seguo.”

A Bill venne un po’ da ridere, ma preferì mantenere la dovuta serietà che l’imminente argomento richiedeva.

“Credo che tu dovresti dirglielo.” Lo disse con la massima calma e disinvoltura, cercando di registrare ogni più insignificante variazione nell’espressione di Nicole, la quale voltò la testa di lato, fissando il pavimento oltre la spalla di Bill, con la massima indifferenza.

“Dirgli cosa?”

Bill soppresse un’esclamazione trionfante.

Ci sei cascata in pieno, mia cara.

“La domanda giusta sarebbe stata: ‘Dire cosa a chi?’,” puntualizzò soave, facendola irrigidire all’istante. “Comunque sia,” proseguì subito. “Non credo dovresti andartene senza dire a Georg cosa provi per lui.”

Nicole insistette a voler fare la parte dell’ignara e gli rivolse qualche battito di ciglia che avrebbe dovuto sembrare perplesso.

“Cosa ti fa pensare che io provi qualcosa per Georg?”

Bill fece spallucce con modestia.

“Io non lo penso,” chiarì. “Si vede.”

“Mi stai sul serio spingendo a confessare a Georg un mio ipotetico sentimento nei suoi confronti?” soffiò Nicole, incredula, ormai del tutto dimentica del ballo e della musica da seguire.

Bill assentì.

“Precisamente.”

“Credevo di piacerti…”

“E mi piaci, infatti,” fece lui con ovvietà. “Altrimenti non ti aiuterei.”

A giudicare dall’atteggiamento di Nicole, non doveva essere stato granché persuasivo, ma non aveva molta importanza. Che lei ci credesse o meno, lui la voleva aiutare.

“Georg è abituato ad avere le ragazze che strisciano ai suoi piedi,” le spiegò. “Sono loro che invitano – anzi, supplicano – lui, di solito, e se devo essere sincero temo che tu l’abbia sconvolto non poco.”

“Io?”  esclamò Nicole, sdegnata.

“Tu, certo, chi altri? Come ho detto, Georg è abituato a scappare dalle ragazze, non a rincorrerle, e io non capisco perché tu ti ostini a negare con tanto spreco di energie qualcosa che potrebbe farti felice.” Bill le pose le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi. “Fidati, Nicole, quando non hai nulla da perdere, il rimorso è meglio del rimpianto. Sii egoista per una volta, pensa anche a te stessa, non può farti che bene.”

Ed era ovvio che lei fosse stupita da quel ragionamento così profondo che, Bill doveva riconoscerlo, era ben poco da lui, ma sembrò funzionare, perché Nicole annuì.

“Lo so.”

“E allora, dimmi un po’,” Bill la scrutò da vicino, sollevando le sopracciglia. “Cosa diavolo ci fai ancora qui?”

 

***

 

Georg non si sentiva così esausto – sia fisicamente che psicologicamente – da mesi e mesi, e non c’era verso di riuscire a distrarsi, a quella dannata festa.

Aveva lasciato Gustav e Tom al tavolo con Emily per andarsi a cercare qualcosa di più forte da bere di quel blandissimo Irish Coffee che gli avevano portato, ma tutto ciò che era riuscito a rimediare era una Heineken altrettanto blanda, che si stava bevendo in un angolo del salone in fermento, cercando con lo sguardo qualcosa che non voleva vedere.

Non riusciva a non pensare a Nicole, finita chissà dove con Bill, a fare chissà cosa. Su quest’ultimo punto in particolare Georg si era fatto una serie di idee, maturate tra un sorso di birra e l’altro, e non ce n’era mezza che non gli facesse venire voglia di prendere a pugni il muro, anche se per tutto questo non poteva far altro che gridare ‘Mea culpa’.

“Oh, pardon!”

Una ragazza francese lo aveva accidentalmente urtato mentre cercava di farsi strada tra la folla, e ora gli sorrideva dispiaciuta, un bicchiere di champagne in mano.

Era magra come un giunco, alta almeno cinque centimetri più di lui, e, nonostante avesse un bel viso, la sua espressione sembrava vacua, spenta, quasi finta, come il vistoso trucco luccicante tutto sfumature di rosa e lilla che aveva sul viso al posto della maschera. Non si poteva dire che fosse benvestita, più che altro perché non poteva nemmeno dirsi vestita: Georg reputò che le due strisce di tessuto che le fasciavano petto e fianchi dovessero essere una qualche rappresentazione in chiave minimalista di un top e una minigonna (già piuttosto assurdi da indossare una sera di fine febbraio), ed erano per giunta di un’atroce tonalità accesa di rosa che faceva quasi male agli occhi.

Che fosse bella era al di fuori di ogni ragionevole dubbio, ma era come se portasse appiccicata in fronte un’etichetta con scritto sopra ‘sono un’oca’. Il che era già abbastanza sgradevole di per sé, anche tralasciando la nauseabonda tossina al profumo di rose di cui sembrava essere impregnata.

“Non c’è problema.” Rispose lui, senza nemmeno sforzarsi di cambiare lingua, cercando di liquidarla in più galantemente possibile. Non aveva voglia di quel genere di compagnia – per la verità, non aveva voglia di alcun genere di compagnia – ma lei non sembrava in grado di recepire il messaggio.

“Tu vuoi un poco di champagne, sì?” gli chiese in tedesco, ravviandosi con una mano la chioma biondo platino.

No, io non voglio ‘un poco di champagne’, Brigitte Bardot, voglio essere lasciato in pace.

“No, grazie.”

“Mio nome è Jeanne,” gli disse, porgendogli la mano ossuta, che lui si ritrovò a stringere in automatico, peraltro con l’impressione di avere fra le dita un fascio di fragili spaghetti di soia. “Tu sei Georg di Tokio Hotel.” Aggiunse poi, come se a lui servissero delucidazioni circa la propria identità.

Gli erano sempre piaciute le francesi, ma, per qualche motivo, l’accento di questa gli procurava un fastidio innato, soprattutto quando faceva ricadere l’intonazione sull’ultima sillaba del suo nome, per di più con quel sorriso così palesemente posticcio.

Lasciami in pace, baguette insipida…

Ma, ovviamente, Jeanne sembrava intenzionata a tutto fuorché lasciarlo in pace. Allungò una mano verso di lui e gli sfiorò il braccio con una confidenza eccessiva, considerando il fatto che si conoscevano – se così si poteva dire – da più o meno dieci secondi.

“Tu mi piace tanto.” Mormorò leziosa, muovendo un passo verso di lui.

Tu no, rispose lui nella propria testa, arretrando d’istinto, quindi smettila di molestarmi.

“Solo un bacio.” Disse lei avvicinandosi ancora, con un tono che, per essere fine, Georg avrebbe solo potuto definire lascivo. Lui non mosse più un muscolo.

“Solo un bacio.”

Tre parole così stupide.

“Solo un bacio.”

Così aveva detto Bill, quando aveva rivelato di aver baciato Nicole, come se un bacio fosse sempre e solo un bacio, come se non potesse esserci nient’altro che un incontro fisico, in un gesto così. Come se un bacio altro non fosse che una stretta di mano alternativa.

“Solo un bacio.”

E anche se quella Jeanne non gli piaceva, anche se non aveva il minimo senso che lei fosse lì a pretendere baci da lui, Georg si sentiva così accecato da quel sentimento soffocante – qualunque esso fosse – da non desiderare altro che cercare di seppellire quel ricordo con un qualunque mezzo fuorviante.

Ho fatto tutto quello che potevo per farti capire, Nicole…

La ragazza gli avvolse le braccia attorno al collo e lo bloccò contro il muro.

Tutto quello che potevo…

Lui la lasciò fare.

Mi arrendo.

In quell’istante, lì, in quell’angolo della sala gremita di persone, l’unico mezzo fuorviante che avesse a portata di mano era Jeanne, che chiedeva di essere baciata, e lui, così avventatamente, così stupidamente, in un modo così squallidamente vuoto, decise di accontentarla.

 

***

 

Nicole si guardava febbrilmente intorno, ma trovare una persona in mezzo a quel brulichio di persone era come cercare un ago in un pagliaio. Aveva addirittura perso Bill in mezzo alla folla.

Si sentiva smarrita, ma il suo sguardo non smise di vagare, cercando. Alla sua sinistra, un nutrito gruppo di giovani uomini con maschere variopinte le lanciava delle occhiatine sfuggenti, e pochi metri davanti a lei, una coppietta si stava abbandonando a delle effusioni piuttosto esplicite. Nicole stava per passare oltre, ma si bloccò prima di riuscire a muovere un passo, perché quelle mani sui capelli della ragazza erano così familiari da toglierle il respiro, e così anche il volto del ragazzo, quando questi sollevò la testa per guardare al di sopra della spalla della ragazza.

Due occhi verdi le si puntarono addosso sconvolti, raggelandola.

Gli mancavi proprio tanto, eh?, sibilò il suo perfido raziocinio.

Nicole avrebbe voluto essere inghiottita seduta stante in una voragine buia. Il cuore le pulsava in fondo alla gola, così intensamente da farle girare la testa, e le sue gambe non volevano saperne di obbedire all’ordine di portarla via di lì. Tutto svanì, tranne quegli occhi ed un’irrazionale desiderio di dissolversi nel nulla.

Georg lasciò andare la ragazza e fissò Nicole, frastornato e visibilmente turbato.

Lei ebbe come un flash nella propria mente: vide quella scena ritratta in qualche fotografia e pubblicata su un giornale scandalistico, con tanto di titolo clamoroso in cima: ‘Georg Listing from Tokio Hotel and his brand-new prey kissing at a party in Marseille.’

La ragazza era meravigliosa, con gambe lunghissime ed un fisico che solo una modella avrebbe potuto avere. Nicole si sentì immensamente sciocca a starsene lì impalata a guardare, incapace di muoversi o anche solo pensare, ma cominciava a capire come doveva essersi sentito Georg quando aveva visto quelle immagini sul Sun.

Georg si divincolò rapidamente dalle mani della sconosciuta, che cercavano di trattenerlo, ma Nicole non voleva interrompere niente. Senza aspettare che lui riuscisse ad arrivare a lei, si voltò e fece per andarsene via, ma in quell’esatto istante si scontrò contro qualcuno, ed un paio di esili mani la afferrò bloccò.

“Nicole, eccoti qui!”

La voce di Bill – così dolce e rassicurante – fu come un appiglio a cui aggrapparsi in quell’attimo di confusione totale. Nicole si abbandonò inerme contro il suo petto e si lasciò avvolgere con sollievo dalle sue braccia premurose.

“Hey,” Bill la squadrò perplesso, cercando di farsi sentire al di sopra di Mr Brightside dei Killers, che suonava dalle casse sparse qua e là per la sala. “Cos’è successo?”

‘It started out with a kiss, how did it end up like this?’

Lei guardò altrove.

Non farmelo dire…

“Nicole, è successo qualcosa?”

‘It was only a kiss…’

Con un fil di voce, lei negò.

“Niente. Andiamo via, per favore.”

‘It was only a kiss…’

 

***

 

Georg non ebbe la forza di muoversi davanti a Nicole e Bill, che stavano uscendo l’una accanto dell’altro, la mano di lui appena appoggiata alla base della schiena di lei, proprio come una delle tante coppie che c’erano in giro. Avrebbe voluto andare da lei e spiegarle – forse scusarsi, chiarire – ma cosa, poi? E perché?

Cosa avrebbe dovuto importare a Nicole se lui aveva baciato un’emerita sconosciuta?

Niente.

Faceva qualche differenza, per lei, se Georg Moritz Hagen Listing si intratteneva con la prima venuta?

Nessuna.

Poteva forse lui avere la presunzione di dire che la cosa l’avesse toccata?

No.

No, perché prima ancora che tutto quel ragionamento avesse avuto inizio nella sua mente, Bill era spuntato dal nulla, e Nicole lo aveva guardato con una tale sollievo nello sguardo che nessuno avrebbe osato intervenire. Il quadro era completo, non restava altro da aggiungere, se non la parola ‘fine’ e l’ovazione conclusiva.

Restò a fissare la mano di Bill che si stringeva al fianco di Nicole, completamente impotente.

Bill si chinò verso di lei, sussurrandole qualcosa all’orecchio, e Georg si sentì trafiggere dal dardo della gelosia ancora una volta.

Finisce così, allora, pensò, amareggiato. È qui che cala il sipario e il pubblico applaude…

E Gustav aveva avuto ragione, quel giorno, dopo quella partita a pingpong in cui Bill lo aveva clamorosamente stracciato.

“Dovresti imparare ad ingoiare le sconfitte, Georg.”

Ma lo shock nello sguardo di Nicole, allora? Era stata tutt’altro che felice di vederlo darsi da fare con quella Jeanne, non si poteva negare. Non era qualcosa che lui aveva visto perché voleva vederla. Era stata reale, vera.

Non puoi lasciar correre anche stavolta, si disse, determinato.

E così fece quello che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio: ingoiò l’amarezza di vederla assieme a Bill, mando giù il prurito che sentiva salirgli alle mani e la voglia di andarsene e basta, solo per non vedere. Piantò in asso Jeanne senza mezza parola, ma questa non parve preoccuparsene troppo, o forse era semplicemente lui che non sentiva niente all’infuori di un acuto sibilo nelle orecchie. A passo lento ma deciso, avanzò verso il centro della sala, attraverso le persone che ballavano, e raggiunse Bill e Nicole.

“Nicole…”

Lei si voltò, gli occhi lucidi ma imperscrutabili, quasi ostili.

“Hai già finito con lei?” domandò, gelida.

“Non ho nemmeno cominciato.” Replicò lui, rigido.

“A me sembravano degli ottimi preliminari.”

“Che cosa ti aspettavi, posso saperlo?” esplose Georg. “Mi respingi, e io dovrei starmene tutta la vita a piangermi addosso perché tu hai preferito lui a me? Non è una novità, sai?”

“Io ti cosa?”

‘Mi dispiace Georg’…” la citò lui, ricordando il loro piccolo momento in ascensore. “Per cosa ti stavi scusando, se non per questo?”

“Io… Non lo so.”

“Io sì.”

“Tu non sai un bel niente!”

“Allora spiegami, cazzo!”

Le loro urla avevano attirato l’attenzione di buona parte dei presenti, che avevano abbandonato le rispettive occupazioni davanti all’irrinunciabile prospettiva di farsi gli affari altrui, soprattutto visto che gli altrui erano metà della formazione dei Tokio Hotel e una ragazza mascherata dai capelli rossi che probabilmente alcuni di loro avevano già ricondotto alla stessa del Sun.

Sorprendentemente, fu Bill ad avere la prontezza di spirito di avanzare un saggio suggerimento.

“Forse è meglio che voi due andiate a parlare in un posto più tranquillo.”

Georg a stento credeva alle proprie orecchie: Bill Kaulitz aveva appena consigliato a lui e a Nicole di restare soli a parlare, e senza nemmeno mostrare troppo fastidio, ma a quel punto non gli interessava più trovare un senso ad ogni cosa, perché si era reso conto che quell’intera storia aveva effettivamente ben poco senso, se osservata da un punto di vista troppo ristretto. C’erano un’infinità di cose che gli ci erano voluti secoli per capire, altre che ancora non aveva compreso, e altre ancora che probabilmente sarebbero rimaste misteri in eterno, ma ora come ora, presentandosi l’occasione, un minimo di luce la voleva fare.

Seguendo il consiglio di Bill, lui e Nicole lasciarono il caotico salone e presero a camminare per i corridoi, rifuggendo la gente che sembrava essere arrivata ovunque. Dovettero raggiungere la hall dell’hotel per trovare un po’ di quiete, ma, anche lì, gli sguardi indiscreti non mancavano.

Presero allora l’ascensore, visto che sembrava essere un luogo propizio per la conversazione, e selezionarono l’ultimo piano, il tutto senza fiatare.

Si appoggiarono con la schiena alle pareti, l’uno di fronte all’altra, senza fiatare e senza osare guardarsi. Fu Nicole, alla fine, a rompere il ghiaccio.

“E così siamo di nuovo qui,” gli lanciò un’occhiata obliqua.

“Allora, cosa vogliamo fare?” chiese Georg, profondamente a disagio mentre lei gli sembrava allontanarsi ogni secondo di più..

Come si può essere così distanti in uno spazio tanto ristretto?

“Tu cosa vuoi fare?” domandò lei pacata.

“Voglio capire,” dichiarò lui asciutto. “Capire perché riusciamo ad affrontare certi discorsi solo mentre siamo chiusi in un ascensore, perché i giornali pubblicano foto tue e di Bill in atteggiamenti compromettenti, perché passi la serata con lui e poi fai tante storie nel vedermi con un’altra…” una pausa per respirare. “Perché sinceramente tutto questo mi confonde.”

“Quelle foto sono un colossale equivoco!” sbottò lei con uno scatto che le fece sciogliere buona parte dei capelli sulle spalle. “Lo abbiamo già spiegato tutti e due. Credevo che a Brenda fosse successo qualcosa di serio, Bill mi stava rassicurando!” Stava quasi ansimando e la sua voce si era fatta roca. “E non ho passato la serata con lui,” aggiunse poi. “Abbiamo parlato, di cose molto serie. Anche di te, se la cosa ti può interessare.”

Georg si tirò su e le si piantò davanti, incollerito. Non solo i progressi tra lei e Bill erano stati tali da permettere loro di entrare tanto in confidenza, ma addirittura parlavano liberamente di lui alle sue spalle.

“Ed era necessario che parlaste a stretto contatto?”

“Stavamo ballando!”

“Quando io voglio parlare con qualcuno, non lo invito a ballare.”

Nicole scoppiò in una risatina sprezzante.

“Sì, questo l’ho notato.”

E a te cosa importa?, ringhiò Georg, esasperato da quel tira e molla continuo che non arrivava mai ad un punto, d’incontro o di rottura definitiva che fosse.

Le sue dita si strinsero sulle braccia nude di Nicole, mentre i suoi occhi la facevano immobilizzare.

“Che cosa vuoi, Nicole?” la interrogò con una pazienza fittizia. “Dimmelo, perché io non capisco più niente! Ti perdi dietro a Bill, e poi vieni a farmi certe scenate non appena cerco di non pensare a te per un minuto! Cosa cazzo vuoi da me, si può sapere?”

Lei respirava a fondo, il petto che si muoveva lentamente ogni volta, ma sosteneva il suo sguardo con determinazione.

“Vuoi davvero sapere cosa ci stavamo dicendo io e Bill?” Era arrabbiata, furiosa, o forse ferita, o forse entrambe le cose. “Bene! Mi ha chiesto di ballare perché tu non sembravi intenzionato a farlo e, visto che gli piaccio, ha deciso di approfittarne.”

“Buono a sapersi.” La interruppe lui bruscamente, lasciando la propria presa su di lei.

“E mentre ballavamo mi ha detto che avrei dovuto pensare a me stessa e stare con chi volevo veramente, almeno per una volta, e io…” Deglutì, tirando su con il naso mentre stringeva i denti e sospirava. “Io sono venuta a cercare te.”

Una lacrima tinta di nero le scivolò lungo la guancia ed il collo, scomparendole tra i capelli, ormai del tutto sciolti.

Georg impiegò diversi secondi ad elaborare ciò che aveva sentito.

Aveva rovinato tutto? Quel suo gesto così stupido aveva rovinato tutto prima ancora che qualcosa potesse nascere?

Nicole lo fissava, singhiozzando sommessamente, le mani serrate in due pugni frementi.

Invocando mutamente il suo perdono, Georg sollevò lentamente le mani e le tolse la maschera con gentilezza. Quando la abbassò, dietro di essa trovò Nicole – la vera Nicole – piena di timori ed incertezze, dominata da preoccupazioni troppo più grandi di lei, ed era quella la Nicole di cui si era innamorato, la sua Nicole, quella che stava morendo dalla voglia di stringere a sé per non vedere la paura nei suoi occhi spalancati.

Georg smise di pensare e riflettere, mandò a quel paese tutti i vari ragionamenti che si era fatto da diversi giorni a quella parte e prese il volto rigato di nero di Nicole tra le proprie mani, mentre un brivido elettrico percorreva entrambi.

E adesso – adesso che il trucco era rovinato e l’acconciatura disfatta, adesso che la maschera era caduta e non c’era più quel muro ostinato a farle da scudo – adesso sì che era bella.

“Che coglione che sono...”

Ma a Nicole sembrava non importare più del suo errore, né del diverbio appena affrontato, né della francese, né di qualunque altra cosa. Gli sorrise da dietro le lacrime che ancora non avevano smesso di scendere e gli poggiò le mani sul torace, ed un invito più esplicito Georg non lo aveva mai visto.

Sorridendole in risposta – dubbioso, insicuro, esitante, ma così desideroso di farlo – chinò il capo verso di lei e, senza riuscire ad aspettare oltre, il cuore che gli martellava come impazzito nel petto e la testa che vorticava, le si avvicinò piano.

Le dita di Nicole afferrarono saldamente il collo della camicia di Georg, e lui si sentì attirare verso di lei, e dopo tutto quel trambusto e quelle incomprensioni, dopo le lunghe e logoranti attese piene di ‘se’, ‘ma’ e ‘forse’, accostò lentamente le proprie labbra alle sue e, finalmente, la baciò.

 

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Note: capitolo pubblicato prima del dovuto dietro a gentile minacc- ehm, richiesta di Muny_4Ever, che ha la febbre e le serve qualcosa per distrarsi. ;)

Che dire, se non le solite cose? Grazie di aver letto e a chi commenterà, etc… Ma stavolta commentare è d’obbligo, mi pare, no? Allora, che ne dite? Sembra che un paio di teste dure abbiano cozzato, finalmente! ^^ Qualche scintilla è scoccata, quindi vi preannuncio fuoco e fiamme, e non aggiungo altro. ;) La canzone citata è, come già annunciato all'interno della narrazione, la bellissima Mr Brightside dei Killers, le cui parti citate vi traduco qui: "è iniziato tutto con un bacio, come ha fatto ad andare finire così così?/era solo un bacio/era solo un bacio..."

Alla prossima!

P.S. 400 recensioni! Ragazzi, vi adoro, grazie di tutto quanto, anche solo per aver cliccato e letto qualche riga, siete un pubblico fantastico! ^^

   
 
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