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PAGINE RUBATE Ø1
Capitol City ha rubato tutti i bambini di Panem.
La signora Isaacs se ne
stava sul suo vecchio divano davanti alla televisione, le mani intrecciate tra
loro appoggiate sulle gambe troppo deboli per sorreggerla. Le tempie le
pulsavano terribilmente durante quelle ore in cui le era concessa la corrente
per vedere i suoi figli ai Giochi,
gli occhi si muovevano seguendo ogni gesto di Ariel e Lyosha,
che grazie al cielo stavano affrontando la cosa assieme.
Un singhiozzo le
salì lungo la gola mentre pensava ai suoi due figli prima della Mietitura –
ricordò quando entrambi andarono a richiedere delle tessere per il pane che non
arrivava a casa da due giorni, ormai, e la zuppa di cavoli e carote non
bastava.
Aspettava
silenziosamente che le bussassero alla porta, sapeva che lo avrebbero fatto.
Aveva già vissuto gli Hunger Games
come possibile vittima e aveva sperimentato la stessa paura che si era
impossessata dei suoi bambini – mancavano
meno sette tributi alla conclusione di quei giochi e probabilmente, l’inviato
di Caesar Flickerman stava
or ora attraversando il Distretto 8 per raggiungere la sua casupola assieme a
tutta la troupe televisiva e alla rappresentante del loro Distretto.
◊ ◊ ◊
Amaryllis Eglantine bussò alla porta della signora Janna
Isaacs, sfilandosi subito dopo il guanto di seta,
scoprendo la mano interamente tatuata con motivi floreali dorati, di fiori
viola era fatto anche il suo dolcevita senza maniche, i fianchi fasciati da un
semplice tubino nero che scendeva fino a sopra le ginocchia, ai piedi tacchi
vertiginosi legati con dei lacci alla caviglia.
Quando la madre dei
due tributi aprì la porta, la rappresentante del Distretto le sorrise
flebilmente, quasi di cortesia, una volta che la signora si spostò di lato
entrò nel salotto che, poté notare quasi con ribrezzo, fungeva anche da cucina
– e probabilmente qualcuno ci dormiva, là dentro.
«Direi che possiamo
cominciare» esordì Amaryllis, tastandosi l’elaborato
chignon di treccine, assicurandosi che non ne fosse caduta nessuna.
Sentì la donna
sospirare, l’inviato di Caesar si aggiustò la
cravatta, si schiarì la voce e poi sfoderò uno dei suoi sorrisi più eleganti,
piantandosi davanti al cameraman per incominciare dopo pochi secondi, scanditi
da qualcuno che fungeva da regista, o
qualcosa del genere.
«Ben trovati
telespettatori, siamo qui con la signora Janna Isaacs, madre dei tributi Ariel Isaacs
e Lyosha Isaacs, del
Distretto 8» fece una pausa, ricevendo un pollice in su da parte di quello
della troupe posto dietro quello che riprendeva l’inviato, «ci dica, signora:
dov’è il padre dei due fratelli?» domandò, voltandosi poi verso la donna.
«E’ morto» rispose
seccamente, tenendo il viso basso mentre sentiva gli occhi di Amaryllis su di sé, era seduta di fianco a lei nel sofà a
due piazze e poteva sentire nelle narici il suo profumo caramella, «in fabbrica
– sono cose che succedono» concluse, quasi pigolando.
«Certo, certo…» annuì l’intervistatore, passandosi una mano tra i
capelli laccati, «ora che ricordo, ce lo hanno raccontato anche Ariel e Lyosha; quindi la famiglia ora è composta da?...».
«Io e i miei due
figli, mio marito aveva una sorella ma è non si è più fatta vedere dopo la
morte di lui», spostandosi un ciuffo di capelli scuri dietro l’orecchio,
azzardò a sollevare il mento e quindi incontrare gli occhi del Capitolino,
trovandoli estremamente brillanti ma vuoti, come se non sapesse realmente cose
stesse facendo.
L’intervistatore
annuì come se la compatisse, il suo gesto sembrava talmente naturale che quasi
glielo fece credere, «quindi Janna – posso chiamarti
così, vero? – mi stai dicendo che vivi in questa casa con Ariel e Lyosha?».
La donna mosse il
capo, dandogli conferma della sua ipotesi – per qualche strana ragione, sentiva
che forse sarebbe riuscita ad
arrivare alla fine di tutto quel teatrino senza piangere davanti alla
telecamera.
«I due fratelli ci
hanno già raccontato un po’ del loro stile di vita, qui al Distretto 8, penso
tu abbia seguito la loro intervista, no?».
«Certamente» la voce
le uscì più chiara di quanto pensasse.
«Ma che ci dici tu,
dei tuoi figli? E’ sempre un parere importante, quello della propria madre».
Ancora, gli occhi di
Amaryllis ritornarono a fissarla, Janna
poteva quasi vedere le sue lunghe ciglia viola abbassarsi e rialzarsi al
movimento delle palpebre, sentì la sua gamba sfiorare la propria attraverso il
tessuto rovinato del proprio abito, troppo
strette – qui, pensò Janna, raddrizzandosi e
stringendo le spalle, quasi volesse ridursi ad un minuscolo puntino
nell’universo e sparire.
«Non è stato facile,
per me e Stev crescere un bambino che non poteva
parlare, insomma, immaginate di avere davanti una persona che non può ridere o
dire qualcosa, ma che pensa esattamente come tutti gli altri ed è come tutti
gli altri; abbiamo fatto molti sacrifici per avere a casa abbastanza materiale
per fargli imparare a scrivere, e quando finalmente ci riuscì, scoprimmo di
essere in attesa di una bambina».
Fece una pausa, sorridendo
al ricordo. «In qualche modo, Ariel riuscì ad instaurare un rapporto magnifico
con Lyosha, si sono capiti al volo: avevano deciso
assieme dei segni che sarebbero state le loro parole. Era bellissimo vederli a
tavola, gesticolanti, e poi sentire la risata di Ariel invadere tutta la
stanza, o vedere Lyosha sorridere davvero, non lo faceva spesso».
«E’ una storia molto
commovente» mormorò Amaryllis, quasi sovrappensiero,
tutti gli sguardi si rivolsero a lei e la donna dovette sorridere alla
telecamera, «continuate pure» disse, quasi scusandosi, muovendo la mano come
per scacciare una mosca.
L’attenzione ritornò
a Janna, «stavano sempre assieme, tranne a scuola, ma
si vedevano all’intervallo per dividersi la merenda che si portavano qualche
volta».
Era chiaro dove
volesse andare a parare la donna: Capitol
City aveva mandato al macello due fratelli fin troppo legati, e la morte di uno
dei due avrebbe provocato la distruzione dell’altro, inevitabilmente.
«Come ha detto Amaryllis Eglantine, è una storia molto commovente»,
l’inviato riprese in mano il discorso – forse era meglio andare dritti al sodo,
considerando che si trattava della madre di due
tributi, lasciarle il tempo di pensare poteva essere pericoloso, «ma ci preme
farti una domanda, Janna: pensi che uno dei tuoi
figli possa tornare a casa?».
Il cuore le si
fermò, il volto divenne pallido e gli occhi sgranati rimasero tali per qualche
secondo. Eccola, la domanda che si era sognata la notte: pensi che uno dei tuoi figli possa tornare a casa?. Contò fino a
dieci e riempì i polmoni di aria satura di quel profumo di caramella, «se c’è
anche solo una possibilità che uno dei miei figli ritorni, io prego che si
avveri» disse, sentendo crescere dentro di sé un fuoco che non aveva mai
avvertito prima d’ora, forse era rabbia,
rabbia nei confronti di Capitol City, sicuramente. La
stessa rabbia che le era salita addosso quando aveva saputo che l’incidente in
fabbrica era avvenuto per colpa dei controlli mancati.
«Lyosha
ha sempre avuto molto a cuore Ariel, e credo che farà di tutto per farla
sopravvivere fino alla fine – è quello che ha detto quando ci siamo salutati: “la farò tornare a casa per te”».
La voce le tremava.
«“Per te”? Sa per
caso spiegarci come mai ha detto questo, signora?»
«Perché è molto più
facile comunicare con Ariel che con Lyosha, tutto
qui». Aveva dato una risposta parecchio sintetica e, per quanto fosse vera,
c’era una buona dose di storia non raccontata – ma che la televisione non aveva
il diritto di sapere.
Capitol City non
doveva sapere che Janna Isaacs
aveva passato un momento di depressione – che in qualche modo persisteva
tutt’ora –, quando a comunicare con Lyosha era solo
Ariel; non doveva sapere che era arrivata ad alzare le mani sul suo primogenito
perché non rispondeva alle domande che faceva, ma gesticolava nella vana
speranza che la madre comprendesse; non doveva sapere quanto lei avesse
sacrificato per i suoi figli, i quali tornavano da scuola con gli appunti sulle
gambe che dovevano studiarsi prima di lavarsi, altrimenti sarebbero andati via
e loro non si potevano permettere dei quaderni; non doveva sapere nulla –
perché Capitol City le aveva rubato già i bambini, ma non poteva fare lo stesso
anche con i suoi segreti.
«Sono comunque i
miei figli, e non posso immaginare di vivere senza uno di loro» Janna abbassò lo sguardo, gli occhi gonfi di lacrime che
caddero pesanti sulle sue mani raccolte sopra le gambe, un sorriso forzato le
deformò il viso in una smorfia di dolore.
In un gesto quasi di
compassione, la mano tatuata di Amaryllis finì sulla
spalla della signora Isaacs, mentre lo sguardo
rimaneva puntato sulle sue scarpe, un petalo cadde dalla sua maglia per finire
sulla gonna, lo scacciò via con il movimento della mano libera. Forse, pensò la presentatrice, è ora che tu inizi ad immaginarlo.
◊ ◊ ◊
Coriolanus Snow stava seduto nella sua poltrona di
pelle, sulla giacca scura una rosa bianca – identica a quelle dei due bouquet
ai lati dell’ampia scrivania. Le mani fasciate da quanti scuri giocavano con un
petalo candido, tutto attorno a lui era un volteggiare di aromi.
Amaryllis entrò a seguito del permesso della segretaria. I suoi tributi erano
ancora vivi, ma questo non spiegava il motivo per cui il Presidente – in persona! – volesse contattarla. Aveva
fatto o detto qualcosa che non andava, alla Mietitura? Non aveva sorriso abbastanza?
Entrando, i capelli
sciolti sulle spalle fino al fondoschiena e indosso un semplice abito nero a
maniche lunghe e scollo a barca, fece un breve inchino a mani congiunte,
alzando poi lo sguardo a incontrare gli occhi del più anziano, «desiderava
vedermi?».
Un brivido le scese
lungo la schiena quando vide il capo di Snow chinarsi
verso la sedia posta di fronte a lui, all’altro lato della scrivania, «dobbiamo
parlare dei tributi del Distretto 8, Eglantine, capirai benissimo che è una
situazione delicata».
«E infatti lo
capisco, Presidente».
Coriolanus sospirò quasi pesantemente, raddrizzando le spalle e alzando i gomiti
dal tavolo, «ebbene, voglio che tu stia bene attenta a ciò che ti dirò – come pretendo che tu esegua i miei ordini
meticolosamente».
Non potendo fare
altro, la donna annuì.
◊ ◊ ◊
Le domande
successive furono sbrigative, e Janna si complimentò
con sé stessa per la bravura nell’aver mantenuto un autocontrollo
sufficientemente decente.
«Bene, abbiamo
finito» annunciò il presentatore, rivolgendosi un attimo verso la telecamera,
il “regista” continuava a gesticolare, mostrando i pollici in segno di vittoria.
«Janna, è stato un piacere» disse, tendendo una mano
verso la signora, la quale si pulì distrattamente il palmo madido di sudore sul
vestito per poi ricambiare la stretta di mano, «spero vivamente che uno dei
suoi figli torni a casa».
Ancora, il cuore
della signora Isaacs si fermò, il ciuffo bloccato
dietro l’orecchio ricadde in avanti e le
mani ripresero a sudare freddo, il corpo tremava – eppure rimaneva immobile,
ferma come un’asta di legno.
Uno dei suoi figli sarebbe morto.
«Non è vero» sibilò,
alzandosi di scatto e facendo sussultare Amaryllis,
«non è vero che lo speri – non è vero che ti dispiaci» si indicò, l’indice
premeva sul petto con tale forza da poterlo perforare, «a te e a Capitol City
non importa ciò che succede quando una famiglia si disfa per colpa dei Giochi!
Non importa cosa comporta la morte di un bambino, perché non sono i vostri
bambini! La Capitale ha rubato i miei figli, ha rubato i figli di tutti
quanti!».
La rappresentante
del Distretto sbiancò, alzandosi di scatto e appoggiando una mano sulla schiena
della signora, «Janna, per favore, calmat―».
«No che non mi
calmo!» urlò così forte da muovere il capo, il volto si dipinse di rosso dalla
rabbia, due lacrime caddero dagli angoli degli occhi e lo chignon si sciolse
sulle spalle, facendo cadere a terra la bacchetta con cui era tenuto, «venite a
casa mia a chiedermi di parlare dei miei figli quando probabilmente stanno
soffrendo la fame e hanno paura, mi consolate dicendo che almeno uno dei due,
forse, tornerà» guardava con occhi di fuoco il presentatore, sulla soglia della
porta, quasi desideroso di fuggire via. Il cameraman, dietro di lui, sembrava
riprendere tutto – sperava vivamente che Caesar e Claudius avessero ridato
la linea allo studio.
Janna si sentì mancare le
forze, barcollò sedendosi sul divano mentre altri due petali abbandonavano il
dolcevita di Amaryllis, che guardava la donna
accasciata contro il sedile, ormai in lacrime – distrutta.
«Signora Isaacs…» mugugnò debolmente la Capitolina, estraendo dalla
tasca del tubino un sacchettino giallognolo, contenente una polvere simile a
cenere.
Janna la interruppe,
alzando una mano, quasi in segno di resa, «andatevene, non vi voglio in casa
mia – sparite prima che vi cacci fuori con la scopa».
Il presentatore uscì
prima di tutti, quasi scappando, seguito dalla troupe che si misero a discutere
non molto lontano dall’abitazione, uno del gruppo si accese una sigaretta che
emanò denso fumo azzurro.
Amaryllis rimase immobile, la sua presenza non sembrava infastidire la donna,
perciò continuò, «il Sindaco mi ha chiesto di consegnarle questo, una sua
amica, una certa Villalobos, lo ha informato della
sua condizione e voleva aiutarla. E’ un calmante, la aiuterà a fare sogni
tranquilli».
Janna alzò lo sguardo,
fissando il medicinale, indecisa se
prenderlo o no. Il suo braccio si mosse quasi involontariamente e le dita
strinsero la busta.
«Starà meglio,
vedrà» le disse, abbassando la mano circondata da rampicanti dorate, le sorrise
ancora e poi uscì dalla casa, chiudendosi la porta alle spalle –
allontanandosi, riuscì a percepire il pianto quasi soffocato della madre
attraverso le pareti sottile e traforate.
◊ ◊ ◊
La lama volò sulla
gola di Ariel, il sangue sgorgò dal taglio e il corpo della piccola si
afflosciò a terra.
Dietro le spalle della
signora Villalobos, si sentì una tazza di ceramica
andare in pezzi, girandosi, vide Janna bianca in viso
– le mani tremanti nella stessa posizione con cui teneva la tazza, la bocca
socchiusa come se non riuscisse a respirare.
Gli occhi si
chiusero e le spalle caddero all’indietro, appoggiandosi alla poltrona grigio
scuro. La donna si gettò sull’amica, battendole le mani sulle guance come per
rinsavirla, ma niente non si svegliava.
Dietro di lei, si annunciava il vincitore degli Hunger
Games: Lyosha.
«Janna,
svegliati! Lyosha ha vinto! Lyosha
torna a casa!». Ma nulla.
Si sedette a terra,
guardando il corpo inerme della signora Isaacs, notò
che in mano teneva qualcosa, una bustina gialla.
◊ ◊ ◊
«E’ chiaro?» la voce
del Presidente le risuonò nelle orecchie.
Amaryllis annuì, abbassando gli occhi, «sì, signore».
Un movimento della
mano da parte di Snow le indicò che poteva andare,
senza aspettare altro si alzò, fece un breve inchino e girò le spalle per
andare verso le porte aperte un attimo prima da due servitori. Tenne le spalle
dritte e lo sguardo fisso verso la fine del corridoio dalla quale finestra
riusciva a vedere i palazzi di Capitol City e, ancora
più in la, le montagne. Sospirò, scendendo le scale tenendosi al corrimano,
fermandosi poi di colpo sentendo le gambe tremare, si piegò verso il basso,
flettendo le ginocchia e mettendosi la mano sulle labbra, un singhiozzo le uscì
dalle labbra e gli occhi si socchiusero, le lunghe ciglia viola si bagnarono di
lacrime.
Se la madre dei due fratelli dirà qualcosa
che possa mettere in cattiva luce Capitol City, le aveva detto Snow, dovrai ucciderla.
«Una leggenda
africana parla del perché i ghepardi hanno quelle "lunghe strisce"
nere
che dagli occhi solcano
il loro muso; parla di una madre, una Madre Ghepardo che perse i suoi cuccioli,
e pianse, pianse per
notti e giorni, e così da allora il ghepardo ha quelle "lacrime" che
segnano il viso.»
[GIORGIA SPURIO]
NOTE
D’AUTRICE ◊ «viviamo e respiriamo
parole»
Yeah buddy.
Siamo qui con il primo SPIN-OFF che ho deciso di pubblicare in coda a Die on the front page, just like the stars – l’intervista delle famiglie dei ultimi otto
tributi a cui ho dovuto lavorare di molta
fantasia dato che sul web non ho trovato nulla. Esattamente, nulla.
Quindi ho pensato più o meno come potrebbe essere e spero sia abbastanza chiaro
il tutto (: nel caso voi conosceste la verità(?) e fosse diversa dalla mia,
prendete la mia versione come licenza poetica, ecco. ♡
Mi sono presa la libertà di fare una situazione così “grave” perché,
comunque, siamo a distanza di tre anni dalla rivolta e immagino che comunque,
cose come la ribellione, sono comunque ponderate – e, insomma, ok.
Per la cronaca, Janna si pronuncia Gianna.
Quindi sì, Snow ammazza la mamma di Isaacs, ho fatto questa scelta basandomi sempre su quello
che succede nella trilogia e spero concordiate con me, sì ♡
Davvero, non mi ricordo che cosa volevo scrivere in queste
note, che erano tantissime cose. Volevo solo farvi notare la nuova grafica con
il banner iniziale fatto apposta per le pagine
rubate, e se ve lo state chiedendo, sì: il tipo in mezzo ai fiori è Lyosha e il motivo di questo sarà spiegato nelle prossime pg (:
Ho parlato troppo, esatto.
Alla
prossima!
radioactive,
• a n
g o l o s p a m •
a.
I’m frozen to the
bones. { HUNGER GAMES – long – nuovi tributi, 73rd edizione
} yingsu