Halloween - Rituali
Le urla graffiano le pareti, e nell'aria c'è sempre quell'odore: odore di zucchero e sudore e alcool da due soldi.
Sherlock ha otto anni, un costume da investigatore e una paura che mangia ogni cosa. É raggomitolato contro la porta, le braccia avvolte attorno alle ginocchia con abbastanza forza da sbiancare le nocche, e, forse, da tenere tutti i pezzi insieme. Non potrà mai dimenticare quell'odore: è quello che sente ogni volta che i suoi genitori gridano e litigano, ogni volta che suo padre beve troppo e si trasforma e i suoi occhi diventano piatti e crudeli come quelli di una lucertola. Ogni volta che trascina la mamma in soggiorno, sputandole addosso tutto il suo disprezzo, e le sue mani sono abbastanza forti e cattive da fare male.
Sherlock si porta la mano all'occhio, e sussulta; sotto le dita, la carne è gonfia e violacea. Mycroft è in collegio, e questa volta non può difenderlo, né avvolgerlo nelle sue braccia larghe per dirgli che va tutto bene. Questa volta, ci sono solo lui, e le urla.
Dovevamo andare a fare dolcetto o scherzetto. Dovevamo divertirci.
È sempre stato un bambino timido: vede con troppa lucidità il reticolo di incastri nascosto sotto la pelle del mondo, il filo cremisi che annoda sguardi e vite e morti nella stessa grande trama. Vede con troppa facilità ciò che anche molti adulti ignorano. Per questo, quello della passeggiata di Halloween è diventato una sorta di rito per sua madre e per lui: un momento per sentirsi una famiglia comune, per sorridere agli altri bambini e ingozzarsi di dolci al cioccolato ridendo sulle scale di casa. Solo loro. Solo loro, con i loro occhi fragili e impietosi, con la loro energia fatta di luce e di rabbia.
Ma oggi suo padre è tornato prima dal lavoro, una bottiglia di gin tra le dita e il volto frammischiato di un'ombra sporca.
Dovevamo divertirci.
E ora Sherlock è seduto lì, e ci sono solo i sussurri segreti che il mondo gli bisbiglia da sempre.
Mio padre. Rabbia. Frustrazione. Insicurezza mascherata da violenza.
Mia madre. Grande sbaglio da giovane. Forza d'animo mescolata ad amarezza.
E per una volta, vorrebbe solo rinunciare a quella chiarezza atroce, ed essere un bambino normale.
Quando apre gli occhi, lo stesso odore è nella bocca e nelle narici e nel cuore. Sherlock scatta a sedere, ed è come se gli anni non fossero mai trascorsi.
No. Non di nuovo.
Un respiro. Due. Ne bastano tre, e c'è un altro profumo: un profumo di buono e di casa, che scaccia piano i fantasmi. La fragranza di tè e di tende pulite e di legno bruciato.
-Ah, ti sei svegliato.- interviene una voce, e un istante dopo la sagoma solida e dorata di John appare di fronte alla sua poltrona. -Cominciavo a temere lo stato comatoso.-
Sherlock si guarda intorno, la mente che marchia a fuoco i dettagli. Lo schienale liso contro le sue spalle. Il cielo scuro acceso dal chiarore di febbre di Londra. L'orologio sula mensola.
-Ho...ho dormito per tre ore?!- esclama, inarcando le sopracciglia.
-Bè, visto che non hai dormito per nulla negli ultimi tre giorni, non mi sembra esattamente bizzarro.- gli lancia qualcosa, un involto di lana nera che riconosce subito dopo come il suo cappotto. -Coraggio, adesso: mettiti questo e usciamo.-
Il sopracciglio si solleva ancora. -Ma è la sera di Halloween.-
-Vero. E io ho voglia di dolci.-
-Quindi vuoi andare a fare dolcetto o scherzetto?- chiede, lentamente. Il volto illeggibile.
John scrolla le spalle. -Veramente pensavo di più al Londis dell'altro isolato. Allora, mi fai compagnia?-
Sherlock esita solo un istante, sospeso sull'orlo vertiginoso del passato, prima di afferrare la giacca e mettersi in piedi. Perché gli esseri umani hanno bisogno di rituali, e quando alcuni muoiono, altri nascono.
E tu, dopo tutto, sei un essere umano.
-Credo di essere praticamente obbligato- risponde, infilandosi i guanti -altrimenti chi controllerebbe che tu non incorra in un caso di indigestione acuta da orsetti di cioccolato?-
-Vuol dire che ti corromperò con le rotelle di liquirizia...- borbotta John, incastrando il braccio sotto il suo.
Il sorriso di Sherlock è leggero, ma c'è. Le grida nella grande casa e il bambino spaventato non se ne sono andati, e non lo faranno mai; e tuttavia l'odore è cambiato e, forse, senza le sue ferite potranno anche cominciare a rimarginarsi.
Non sono più un bambino. Sono qualcosa di diverso.
Sono con John.
E questo basta.