CAPITOLO
5: GITE NOTTURNE E PROFEZIE
Clary si tirò su a
sedere sul letto, di nuovo, preda di una crisi di nervi. Ci mancava davvero
poco che si mettesse a sbuffare dalle narici stile toro impazzito; non poteva
credere a tutto quello che stava succedendo.
Avrebbe voluto
prendere in mano delle matite da disegno e mettersi a dare vita alla confusione
che affollava la sua mete. Così era davvero troppo e le venne da chiedersi se
anche Jace, Isabelle ed Alec stessero sentendo a loro volta i tamburi.
Si portò le mani alle
tempie, massaggiandole con le dita ad occhi chiusi.
Se avesse trascorso
così un’altra settimana, sarebbe impazzita del tutto.
Scrivere a Luke e
raccontargli che cosa stava succedendo? Era un possibilità.
Ok, forse no, se lo
avesse saputo, c’era una buona probabilità che si potesse precipitare a scuola
seduta stante e portarla via. No. Doveva aspettare; aspettare e vedere, proprio
come aveva detto Alec.
Dio, moriva di sonno
e non riusciva a dormire a causa di quei maledetti tamburi.
Infilò un paio di
pantaloni di una tuta e una felpa pesante. Dannazione, si sentiva il cervello a
pezzi.
Scese nella sala
comune, come al solito la temperatura di quella stanza era pari a quella di
un’era glaciale, ma si buttò a peso morto sul divano davanti al caminetto,
andando a finire dolorosamente contro qualcosa di duro che, per di più,
strillò, e lei fece altrettanto.
«Per la barba di
Merlino!».
«Per l’Angelo!».
Le due esclamazioni
si fusero insieme.
«Morgenstern!».
«Malfoy?! Che cavolo
ci fai qui?».
«Potrei farti la
stessa domanda».
«I vostri dormitori
fanno schifo, è questo il mio problema», rispose burbera lei.
La risposta del
ragazzo fu un grugnito svogliato.
Clary notò che teneva
tra le mani un grosso volume di Pozioni. Lo prese dalle mani di Malfoy e
cominciò a sfogliarlo. Non si sarebbe mai aspettata di trovarvi appunti su
appunti scritti in una grafia decisamente leggibile per appartenere ad un
ragazzo.
Quella di Simon era
pessima, quasi indecifrabile, mentre Luke… beh, lasciamo perdere. Faceva
eccezione Jace, che era perfetto in un modo decisamente irritante.
Girando le pagine,
lesse di complicate pozioni per ottenere gli effetti più controversi e strani
che si potessero desiderare.
Clary abbassò lo
sguardo su Malfoy, ancora sdraiato sul divano, e inarcò un sopracciglio, cosa
che, con sua somma gioia, aveva imparato a fare da poco. Prima aveva invidiato
moltissimo Magnus, Jace ed Isabelle, che ci riuscivano alla perfezione senza
tanti sforzi e senza smorfie orribili come quelle che le erano spuntate sul
viso ogni volta che aveva provato a farlo.
«Che c’è,
Morgenstern?».
«Magia nera?
Davvero?».
«Come diavolo fai a…
?».
«Ho visto i libri di
testo durante quella prima e beh… inquietante lezione con Piton e non era questo. Questi incantesimi sono
piuttosto… equivoci».
Il biondo sbuffò.
«Dio, adesso parli
come la Granger. Mi chiedo se il cappello parlante non abbia fatto male a
smistarti nella nostra casa».
«Francamente Malfoy,
la cosa non mi tocca in modo particolare. Non appena sarà sistemata la
situazione a casa mia, ci voglio tornare il più in fretta possibile».
Lui sbuffò.
«E adesso che diavolo
c’è?», chiese Clary irritata.
«Voi donne siete
insopportabili».
«E voi uomini siete
presuntuosi».
«Tu poi sei… ».
«Malfoy… piantala.
Potrei metterti a tappeto prima ancora che tu possa tirare fuori la bacchetta».
«E… di preciso,
Morgenstern… quale delle due?».
Clary all’inizio non
capì a cosa si stesse riferendo, poi le arrivò l’illuminazione e fulminò il
ragazzo con uno sguardo che poteva promettere solo una cosa: morte.
«Io me ne vado a
letto», scandì lentamente.
Sentì Malfoy
sghignazzare alle sue spalle, ma non si voltò. Salì le scale e tornò nel suo
dormitorio.
[…]
Jace era rimasto
sveglio tutta la notte. Alec come al solito aveva dormito beato, ma lui non era
riuscito a chiudere occhio. Pensava continuamente a quei tamburi, chiedendosi
cosa potessero significare e perché li avevano condotti in quel bagno.
Maledizione.
Era tutto
completamente insensato.
Sbuffò, rigirandosi
nel letto.
Niente. Non gli
veniva in mente assolutamente nulla.
Non aveva mai
studiato o letto niente in proposito a qualcosa di simile, ma poi… lui non
sapeva nemmeno di cosa si trattasse!
Parlare con Magnus
era fuori discussione, non si sarebbe fatto cavare una sola parola da quella
bocca che invece si sarebbe fatta cavare molto volentieri altro, dalla bocca di
Alec.
Scosse la testa
allontanando quel pensiero e si mise a sedere sul letto, le gambe fuori,
buttate da una parte, il petto nudo e le braccia ricoperte dai marchi
permanenti.
Infilò una maglietta
nera con le maniche lunghe, fuori stava appena albeggiando e lui non aveva idea
di come sarebbero andate le cose, adesso.
Se all’inizio non
aveva dato peso alle parole di Magnus e Silente, ora stava seriamente
cominciando a ricredersi e poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò di
quella prima mattina di lezione.
In quella torre, la
professoressa di Divinazione che aveva previsto che a lui e a Clary sarebbe
successo qualcosa, che erano in pericolo.
Lui, Jace Lightwood,
non credeva a quelle cose, ma cominciò a credersi. Come aveva detto anche
Clary; Silente non era un ciarlatano qualunque, se aveva assunto proprio quella
donna, un motivo doveva pur esserci.
Inspirò a fondo e
tirò fuori l’orario di quel giorno: tre ore di erboristeria con Amatis e poi
una di rune, prima di pranzo.
Tra le due materie
c’era un’ora buca e l’avrebbe usata per andare a parlare con quella Cooman.
Infilò il solito paio
di stivali in cuoio nero e scese in sala comune, arrampicandosi poi sulla scala
a pioli che portava al buco del ritratto e uscendo davanti alla Signora Grassa.
Percorse la strada il
più silenziosamente possibile, fino ad arrivare al bagno delle ragazze in cui
era finito il pomeriggio precedente con Alec, Isabelle e Clary.
Sfortunatamente,
trovò il singhiozzante fantasma di una ragazzina seduta sul termosifone a
piangere disperatamente e, non appena Jace entrò e lei lo vide, cominciò a
strillare come una forsennata, tanto che il ragazzo credette che avrebbe
svegliato tutto il castello e se la diede a gambe.
Come se non bastasse,
svoltato un corridoio, trovò l’orrenda gatta di Gazza, che aveva scoperto che
si chiamava Mrs. Purr (che razza di nome era, per altro?).
Saltò oltre l’animale
con agilità e corse ancor più in fretta, consapevole del fatto che quel dannato
custode sarebbe arrivato subito dopo la sua gatta e, in men che non si dica, fu
di nuovo nella sala comune di Grifondoro.
Per l’Angelo, era una
gabbia di matti quel posto. Come diavolo faceva un fantasma a piangere poi? Di
cosa erano fatti?
Jace dubitava
seriamente che avesse un qualche tipo di liquido in corpo, o magari stava solo
singhiozzando, ad ogni modo preferì non porsi altre domande.
Sapeva che, anche se
fosse tornato a letto, non sarebbe comunque riuscito a dormire, quindi preferì
restare seduto lì nel salotto davanti al camino e cercare di mettere insieme
tutti gli indizi che avevano raccolto fino a quel momento, anche se in realtà
pareva solo essere un’accozzaglia di informazioni che tra di loro non avevano
alcun filo conduttore.
La testa cominciò a
fargli male. Dannazione, tutta quella storia era frustrante.
Quando fece giorno, i
primi studenti scesero dai loro dormitori, riversandosi nella sala comune, lui
aspettò Izzy ed Alec e poi, insieme, si avviarono verso la Sala Grande.
Durante il tragitto,
Jace raccontò ai due di quella notte.
«Sei un vero
imbecille, Jace», decretò Isabelle dopo averlo squadrato dall’alto della sua
statura.
Lui le lanciò un’occhiata
omicida.
«Grazie, sorellina».
«Forse Iz avrà
utilizzato le parole sbagliate… », intervenne Alec.
«Come al solito… »,
borbottò il suo parabatai, interrompendolo.
« … ma devi ammettere
che quello che hai fatto non è stato poi così geniale».
«Ma piantala».
«Jace», lo riprese il
moro.
Lui sfoderò uno dei
soliti sorrisi che tirava fuori per svignarsela da un guaio in cui si era
appena cacciato.
«Senti biondino, sta
zitto e muovi il tuo scultoreo culo, ho fame», riprese parola Isabelle, con
fare alquanto scocciato.
Sul viso di Jace, ora
il sorriso era compiaciuto, mentre l’espressione di Alec esasperata. Non sapeva
proprio come lui ed Isabelle potessero essere fratelli e non riusciva a capire
come ancora lei e Jace fossero vivi entrambi.
In Sala Grande, si
sedettero ai soliti posti e, guardando verso la tavolata dei Serpeverde,
notarono che Clary era nuovamente seduta al fianco di Malfoy, anche se aveva un’espressione
piuttosto spiritata.
“Non ha dormito
neanche stanotte”, pensò Jace guardandola.
La ragazza, come se
avesse sentito che la stava fissando, levò lo sguardo e i loro occhi si
incrociarono.
Ok, aveva due
occhiaie spaventose, i capelli arruffati e la pelle di un pallore spettrale.
Il biondo finì di
masticare, mandò giù quello che aveva in bocca, e si avviò in direzione della
ragazza.
Da quando erano
arrivati ad Hogwarts, Jace non ci aveva fatto caso, ma ora notò che molte teste
femminili si voltarono a guardarlo mentre attraversava la sala.
Arrivò ad un lato di
Clary e richiamò la sua attenzione.
«Cosa c’è, Jace?».
«Ti posso parlare?».
La ragazza annuì e si
alzò dal tavolo, seguita da molti sguardi incuriositi.
I due Shadowhunters
camminarono fuori dalla Sala Grande e cominciarono ad avviarsi nel parco, verso
la serre in cui Amatis teneva le sue lezioni.
«Che cosa c’è,
allora?», chiese lei stringendosi le braccia al petto per tenersi al caldo.
“Come ha potuto non
portarsi una giacca, sapendo che bisogna attraversare il parco per arrivare
alla serra?”, pensò Jace.
Si sfilò allora il
suo giubbotto di pelle nera e lo posò sulle spalle della ragazza che lo guardò
e lo ringraziò.
Jace sorrise.
«Allora mi dici che
succede?».
«Perché non me lo
dici tu, Clary?».
«Che vuoi dire?».
«Che… beh, sembri
stare sempre peggio ogni giorno che passa».
Lei si aprì in un
mezzo sorriso.
«Non riesco a
dormire. Mai».
«Sono davvero i
tamburi a farti questo effetto?».
«I tamburi. Mia
madre. Valentine. Sebastian. È dura».
Lui annuì.
«Non puoi parlare con
qualche insegnante? O magari con l’infermiera della scuola, potrebbe avere
qualcosa da darti per aiutarti a dormire… ».
Clary scosse la
testa.
«No, non voglio
niente».
«Com’è che sei sempre
così testarda?».
La ragazza fece
spallucce, con fare divertito e Jace sorrise, un po’ esasperato.
«Su, la lezione
comincia tra poco».
[…]
Harry, Ron e Hermione
si avviarono verso l’aula di Pozioni, li attendevano due lunghe ore nella piacevole compagnia di Piton.
«Caspita Ron, che
faccia da funerale che hai stamattina».
«Due ore con Piton e
i Serpeverde, due ore di Storia della Magia e un’ora di Erbologia sempre con
Serpeverde. Ti stai davvero chiedendo perché ho una faccia da funerale,
Hermione?».
Stavolta, Harry non
poteva dare torto al suo amico; quella sarebbe stata una mattinata davvero
pesante.
Fin da subito
infatti, Piton cercò di rendergli la vita impossibile, facendo delle domande
impossibili e togliendo punti alla casa di Grifondoro. Come se non bastasse,
Malfoy fu spocchioso come sempre.
Il professore di
Pozioni, fece preparare loro un complicato intruglio che solo Hermione riuscì a
preparare alla perfezione.
Uscirono dai
sotterranei che dire sfiniti era probabilmente un eufemismo e Ron aveva assunto
un colorito pressoché cadaverico.
Con Rϋf non andò
tanto meglio: il professore di Storia della Magia fu mortalmente noioso e,
nonostante la lezione fosse in comune con Tassorosso, Harry dovette fare un
notevole sforzo pur di non addormentarsi.
Tirò fuori il tema a
metà di Trasfigurazione che la McGranitt gli aveva assegnato per il giorno
dopo, quando anche quello per lui fu troppo, tornò con la mente al giorno
prima; agli allenamenti degli Shadowhunters. Quella sì che era stata una cosa
interessante da vedere.
Sperò solo che
avrebbero potuto assistere a qualcun’altra di quelle lezioni.
[…]
Jace era arrivato
sulla torre in cui una sola volta era stato, quel primo giorno di scuola e tra
l’altro, posto da cui era scappato di gran carriera. Tornarci per chiedere a
quella donna strana delucidazioni su ciò che gli aveva detto riguardo all’imminente
pericolo che lui e Clary correvano, era fonte di irritazione per lui.
Ad ogni modo, doveva
farlo.
Salì la scala a pioli
e si ritrovò nel familiare spazio circolare, come sempre impestato dall’odore
fastidioso degli incensi.
La professoressa Cooman,
venne fuori dal suo ufficio come se avesse sentito la presenza del ragazzo.
«Cosa ti porta qui,
mio caro ragazzo?», chiese lei sempre accompagnata da quel tintinnio dovuto ai
vari braccialetti e cantenelle che portava sempre addosso, addobbata come un
albero di Natale.
«Volevo… parlarle»,
cominciò lui.
Per l’Angelo, stava
davvero chiedendo a quella ciarlatana di aiutarlo?
«Dimmi, caro».
«La prima lezione,
lei mi disse che io e la mia… amica, Clarissa Morgenstern, eravamo in pericolo.
Vorrei saperne di più».
La donna si rabbuiò e
Jace non seppe dire se fosse perché era preoccupata e in qualche modo la cosa
la turbasse, oppure perché si era ricordata di come lui l’aveva trattata quel
giorno. Sperò più che altro nella prima opzione, ma ne dubitava.
«Dammi la tua mano
ragazzo».
Lui si trattenne a
stento dall’alzare gli occhi al cielo, ma si costrinse a restare serio.
Impassibile, più che altro.
La professoressa
Cooman gli prese con forza la mano e si concentrò, o almeno parve farlo e
quando parlò, la sua voce era diversa, alterata… sinistra.
«Il pericolo arriverà…
stanotte».
Poi tutto cadde nel
silenzio.
NOTE:
Ciao a tutti!
Perdonatemi, il capitolo è più corto e sto pubblicando abbastanza tardi, ma l’ho
scritto oggi in pratica e… questo è ciò che ne è uscito.
Spero che vi sia
piaciuto ugualmente e nel prossimo capitolo mi farò perdonare… credo! XP
Ad ogni modo, ora vi
saluto perché il mio letto mi reclama e l’influenza mi sta spaccando la testa…
Alla prossima, un
abbraccio a tutti e spero che lascerete qualche recensione.
Buonanotte!