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Autore: Beatrix    07/11/2013    2 recensioni
[Dal capitolo 2]
- Noi esistiamo anche per questo.
Gli occhi chiari e arrossati di Maxime, incontrarono quelli tristi di James.
- Non privarci di questa cosa, Shepard… Tu ci hai dato ciò che nessuno poteva darci: la speranza. Lasciaci ricambiare anche solo per un momento ciò che tu ogni giorno fai per noi, te ne prego… Dacci solo questa piccola possibilità - aggiunse, mentre lei nascondeva il viso nuovamente tra le ginocchia e stringeva forte la sua mano, in un gesto di assenso, sconfitta da tutto e tutti.

Il mio primo ingresso nella sezione di Mass Effect, che seguo ormai da un annetto: principalmente è una missing moments, con le dovute eccezioni. Ambientata esclusivamente in Mass Effect 3, tratta come tema principale la romance con Thane, sullo sfondo generale della guerra intergalattica e la preparazione ad essa... Ma in un modo un po' diverso. Personaggi principali: James, Steve e Shepard.
Hope you like it. ;)
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 – Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare.

 
 


L’accolse con il braccio destro, quando lei – dopo essersi calmata e aver taciuto i singhiozzi – era crollata addosso alla sua spalla. Si era mosso non appena aveva sentito il suo tocco, accoccolandola al suo petto per un attimo e stringendola debolmente, un sospiro profondo e preoccupato.
 
Osservò i suoi capelli neri e spettinati, prima di passarle la mano sul braccio delicatamente.
 
Si era tenuto sempre informato sul Comandante Shepard, da poco dopo che si era arruolato nella Marina dell’Alleanza fino a quell’incontro: la sua era inizialmente pura curiosità venata da ironia, immaginando quanto timore potesse mettere al nemico quel corpicino che arrivava a metro e settanta, ad essere generosi.
Poi aveva visto realmente di cosa fosse capace. E, diamine, gli si era quasi slogata la mandibola.
 
Lui non aveva poteri biotici. Era un soldato come tanti altri, felice come un bambino nell’avere un arsenale a disposizione e tronfio nel mostrarlo, ma un poco la invidiava.
Erano anche quelli, a estendere quell’alone di misticità ed epicità alle sue battaglie. In particolare, si esaltava come un ultras allo stadio, quando la vedeva partire in carica biotica – quella era la sua special preferita: aveva in tutto e per tutto la minacciosità di un Krogan, e lui rideva sincero nel vedere quella pallina da pinball impazzita vagare sul campo di battaglia, mentre loro erano impegnati a far sì che potesse farlo.
Non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, ma avrebbe voluto averli ed il motivo era uno in particolare: poter prendere a testate la gente senza farsi male. Quando gliel’aveva confessato, lei si era lasciata andare in una risata liberatoria – in quel degli arresti domiciliari a cui era stata sottoposta.
 
Si erano conosciuti lì. Non era il suo carceriere, ma spesso andava a farle visita. I protocolli erano rigidi a riguardo, ma ogni tanto era riuscito a corrompere i colleghi con i suoi modi.
Verso la fine, aveva praticamente assunto lui il ruolo di guardia, tanto che Shepard molte volte gli aveva chiesto se non avesse niente di meglio da fare.
Lui rideva a quelle domande, per poi rispondere semplicemente che il suo posto era lì, e la sua pena era quella di starlo ad ascoltare.
 
James credeva fermamente in lei. Per lui era un mito – razionalmente parlando – un modello, una figura degna di ammirazione e rispetto.
Ma la cosa più importante è che si fidava di lei in tutto e per tutto.
La voglia di sapere, chiedere di più, ascoltarla, gli traboccava fuori da ogni sua cellula, ma le telecamere erano lì per un motivo e di certo, se avesse calcato la mano, non sarebbe più potuto andare e venire quando voleva.
Allora aveva optato per una sorta di osmosi: attraverso mezzi termini, era riuscito a discutere e farsi un’idea un po’ più completa di quanto fosse successo sia sulla questione Batarian, sia sulla Base dei Collettori, così come Saren, l’indottrinamento. Sull’Araldo. 
Cose che conosceva già in parte, ma voleva sentirle da lei.
E Shepard aveva capito gli intenti di James.
 
- Tieni duro, Comandante – l’aveva salutata il giorno prima del suo incontro con il Consiglio dell’Alleanza. Non aveva potuto stringerle neanche la mano, e in seguito l’aveva pure mandata al diavolo per aver lasciato Anderson sulla Terra.
 
 
La osservò nuovamente dall’alto, appoggiando poi la guancia sulla sua nuca, pensieroso.
Era affranto. In quel momento pensò realmente a quanto fosse difficile la vita del Comandante Shepard, a quanti pensieri e problemi avesse in testa. Non voleva credere che stesse cedendo, non se lo sarebbe mai aspettato da lei, ma in quegli istanti di quiete – mentre lei dormiva – aveva rimuginato a lungo.
 
Shepard era umana. Non era una macchina, aveva anche lei i suoi problemi, i suoi timori e i suoi scazzi.
Hai scoperto l’acqua calda… Probabilmente al posto suo sarei già uscito di testa” pensò, serrando le labbra e ripensando alla sua ultima missione prima di essere reclutato sulla Normandy.
Si accorse di quale abisso vi fosse tra loro due. E verso altri compagni di questa nave.
 
- Tieni duro, Comandante – aveva sussurrando, stringendola debolmente per permetterle di riposare.
 
 
L’avviso di nuova posta in arrivo lo fece sobbalzare e una piccola vertigine lo colse, anche se ben sapeva di non poter andare da nessuna parte, seduto com’era sul pavimento.
 
Ok. Bella cazzata… Ed ora che faccio?” si domandò con un sopracciglio alzato e timore crescente, cominciando a pensare al fatto che fosse tremendamente tardi per tirarsi indietro e sgattaiolare, al solito.
Non era uno bravo a gestire le situazioni limite e lo sapeva bene, bastava pensare a poco prima. Quel trillo aveva avuto l’effetto di riportarlo alla realtà, evidenziando come si fosse in un certo senso lasciato andare rispetto ai suoi canoni di comportamento con lei.
 
C’era una sorta di timore reverenziale di fondo che imponeva la sua presenza, benché molte volte si fosse sentito in dovere di spingersi oltre l’eventuale rapporto tra Superiore e Sottoposto. Un po’ per carattere, un po’ perché nel momento in cui ebbe conosciuto Shepard, capì quanto fossero inesatte le informazioni pubbliche sul suo conto. Perché, benché calma e misurata, estremamente fredda e robotica in alcuni casi, era una persona normale. Un soldato normale, terribilmente affezionato al suo equipaggio – in maniera tale che molti militari avrebbero quasi storto il naso. Diversi individui avrebbero riso a quell’affermazione, ma le apparenze spesso ingannano e lui l’aveva appreso direttamente sul campo.
 
Però, la cosa che da sempre l’aveva preoccupato, erano le conseguenze dirette ad un comportamento del genere. Più che preoccupato, in verità, era la confusione generata dall’essere un individuo piuttosto gioviale e semplice, anteposta al ruolo stesso di soldato obbligato a stare in determinati ranghi.
Sentiva come se avesse sempre il freno a leva tirato, sul baratro di un testacoda. E questo produceva dentro di lui un fastidio che non riusciva a gestire razionalmente.
 
Sul filone di quei pensieri Shepard si mosse.
- Ehi Lola… - sussurrò, con una vaga inquietudine. Lei mormorò un qualcosa di indefinito, prima di riprendere la cognizione dello spazio e del tempo, alzando la testa e ritrovandosi quegli occhi color nocciola che la osservavano con un po’ di mal celata incertezza.
Ma non riuscì a cogliere quella sfumatura, impegnata a far luce a proposito di quanto tempo fosse passato.
 
- Due ore più o meno… Mi ero addormentato anche io… - mentì.
- Così tanto? - domandò sorpresa lei, sfilandosi il braccio di James da dietro le spalle e stropicciandosi gli occhi. Lui giurò di vedere una bambina di poco più di undici anni, destata dal pisolino pomeridiano che non faceva da giorni. Provò un moto di tenerezza irrefrenabile, ma solo per un brevissimo istante, prima di fare i conti col sentirsi la coscienza sporca. Ciò lo fece alzare con energia, mentre Maxime si lamentava di un forte cerchio alla testa e cercava a tentoni il bordo della scrivania per tirarsi su.
 
Non le negò tuttavia una mano, rimettendola in piedi: la fissò in volto interdetto, senza dire una parola e notando che il nero del suo trucco le era colato giù per le guance.
 
- Grazie, James… Che c’è? - sussurrò lei, grattandosi la testa e sistemandosi il ciuffo che pareva fosse esploso sotto una granata, posando poi il suo sguardo interrogativo e assonnato nel suo. La realtà era che Maxime probabilmente stava ancora dormendo in quel momento, dopo quel crollo psicofisico che aveva, ragionevolmente, avuto. Lo si poteva notare dalla sua totale mancanza d’arguzia e attenzione ai dettagli.
 
- No, niente Lola… - aveva risposto con un sorriso nervoso - E’ solo che… Quello - indicò il suo viso, mimando il gesto di qualcosa che scende e cercando un appiglio nel vuoto che giustificasse il suo essere senza parole.
- Che c’è che non va? - domandò un tantino allarmata lei, girandosi per osservarsi nel vetro della teca contenente i modellini.
- Ti si è sciolto il… Sembri Alice Cooper, ecco - la prese in giro, trovando la sua espressione terribilmente divertente. Shepard annuì ridendo e portandosi una mano sul viso. Era un sorriso stanco, sì, ma pur sempre un sorriso.
 
 - Ho bisogno di riposare, ho un mal di testa terribile… Dì a Steve che sto bene - concluse, muovendosi verso il letto e sedendosi sopra le coperte. Sistemò i cuscini uno sull’altro.
- Va bene, Lola… Se hai bisogno-
- Vi chiamerò… Sì, ho capito… - lo interruppe e congedò con gesto di assenso, mentre il Tenente si lasciava alle spalle la porta dell’appartamento. Udì in un secondo momento la voce di Shepard che ordinava ad IDA di vietare l’ingresso a chiunque per le prossime sei ore, e fu in quel momento che si appoggiò con la schiena alla serratura olografica.
 
- Madre de Dios… - mormorò, portandosi alla fronte la mano e stropicciandosi la fronte e le tempie. Scese poi sulla barba, con la voglia di prendersi a schiaffi. Dieci lunghi minuti di riflessione, dominati da una sensazione che ben poco gli piaceva. Oltre ad una stanchezza terrificante, che lo fece sentire molto simile ad uno straccio unto e logoro.
James, sei un cretino…” avrebbe voluto dire a sé stesso, ma quello che risuonò in quel piccolo disimpegno fu la voce di IDA, atta ad informarsi del perché non avesse già preso l’ascensore per raggiungere i suoi alloggi e se potesse fare quindi qualcosa per lui.
 
Sussultò, sollevando il viso d’istinto verso il soffitto della Normandy.
- Diamine IDA, mi hai fatto prendere un infarto! - berciò, con voce bassa tuttavia, affinché Shepard non lo sentisse.
- Non rilevo nessun danno fisico, Tenente Vega. La frequenza cardiaca è più alta della norma, ma il tuo apparato cardiocircolatorio è perfettamente funzionante. C’è qualche problema? - ciarlò l’IA, mentre James si metteva a sogghignare leggermente, scuotendo la testa.
 
- Tutto a posto IDA, lascia perdere - fu la sua risposta, mentre si dirigeva verso l’ascensore.
 
 
 
 
- Quanto vorrei che tu fossi qui... - ammise, mentre i piani della torre del Velo cominciavano a collassare a causa delle prime esplosioni. Parti dei vetri a specchio della struttura Salarian stavano cadendo tutte intorno a lei e al suo interlocutore, ma stranamente precipitavano tutte nel raggio di parecchi metri lontano da loro.
 
- Non necessiti del mio aiuto - le rispose Mordin, strabuzzando gli occhi per un istante.
- Invece sì… Sapresti consigliarmi. Mi hai sempre consigliato, Mordin. E’ inutile semmai negarne l’evidenza… - sottolineò lei.
- Incorretto. Non ho esperienza in questo campo. Io sono uno scienziato, nulla di più, nulla di meno - aveva ribattuto, avvicinandosi a lei e allargando le braccia. Un frammento di architrave d’acciaio provocò un fragore assurdo ad un paio di passi da loro.
 
- Almeno mi distraevi e mi facevi ridire… - gli sorrise con le lacrime agli occhi.
- Possibile. Diversi esemplari della mia specie e non, mi attribuiscono questa qualità.
- Perché proprio io, Mordin? - gli domandò, risollevando lo sguardo nel suo, questa volta teso e smarrito.
Il Salarian controllò automaticamente qualcosa sul suo Factotum, passandolo poi sul piano sagittale della figura di Shepard e dando un’occhiata.
- Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare - rispose disarmandola, con quel sorriso rarissimo che aveva mostrato pochissime volte, prima di sparire attraverso le porte dell’edificio. Shepard provò ad impedirglielo, facendo per corrergli dietro, ma una mano le bloccò il braccio.
 
Succedeva sempre, in quei sogni. Ogni volta che Mordin varcava la soglia facendo intendere che era sua responsabilità, che sarebbe andato e mai più ritornato per riparare a tutto quello che i Salarian avevano fatto subire ai Krogan, per rimettere le cose a posto di suo pugno, Shepard aveva cercato invano di impedirglielo.
E nell’istante in cui scattava, tendendogli una mano oppure nell’intento di accompagnarlo e non lasciarlo solo al suo destino – per quanto nobile ed eroico – un qualcosa glielo impediva fisicamente. Non importava se uno scoppio, qualcuno, o la fine dell’incubo.

Non riusciva a sorpassare quelle porte.
 
Si voltò nervosamente, cacciando via quella mano e riprendendosi il braccio, con espressione ferita e risentita, prima di riuscire a vedere l’identità del responsabile.
 
Le si fermò il cuore, mentre tutto attorno a lei diventava nero. Lo sfondo del cielo, il piano frontale, il pavimento: si trovò sospesa nel vuoto in quel nero liquido come i suoi occhi, che la fissavano con immensa malinconia – più del suo solito cipiglio vagamente triste.
 
- Non andare… Non puoi e non devi - aveva aggiunto, mentre l’accoglieva tra le braccia e lei piangeva a dirotto, picchiando il pugno destro contro il suo petto tanto da fargli male. Strinse poi la pelle della sua giacca grigia per dargli uno spintone e discostarsi da lui.
 
- Perché… Dimmi solo il perché! - gli aveva ringhiato, ferita e stanca, dopo aver esaurito le forze per continuare a ripetere quel concetto. La voce dalla sua gola ne era uscita strozzata, mentre Thane si riaggiustava il polsino della giacca e continuava imperturbabile ad osservarla con quell’espressione di poco prima.
 
Rimase in silenzio ancora per un lunghissimo istante.
- Lo sai il perché. E avevamo messo in chiaro tutto ancor prima della missione suicida, ricordi? - rispose calmo e misurato, avvicinandosi a lei. In tutta risposta Shepard gli aveva mollato un sonoro ceffone in pieno viso, la mano avvolta in quell’alone blu che riuscì a dipingere varie sfumature cromatiche su quella parete nera che li avvolgeva.
 
- Stronzate, Thane! - l’aveva ripreso, e così anche la sua rabbia - Come pensi che io abbia vissuto quei giorni sulla Terra? E cosa pensi che abbia provato quando mi hai contattato dall’Huerta Memorial Hospital?! Non prendermi in giro, ti prego… - aggiunse, con la voce che gli moriva man mano e si trasformava in un gemito di frustrazione.
 
- Davvero non comprendi?
Thane si era parato innanzi a lei, questa volta con sguardo duro. Sguardo che durò un instante, prima che sciogliesse quell’espressione, vedendo lei che si disperava tra le lacrime e i singhiozzi. Le sue ginocchia caddero sotto il peso della sua sofferenza, ma lui la resse e la abbracciò nuovamente, stringendola a sé.
 
- Ti credevo morto -mormorò - Mi ero già preparata psicologicamente alla cosa, anche se faceva male. Volevo solo avere l’opportunità di starti accanto ancora per un po’, dopo che mi avevano rubato sei mesi della mia vita. Quei sei mesi della mia vita! - sottolineò, sollevando il volto sfigurato dalle lacrime e sudato, mentre lui appoggiava la fronte alla sua e due grosse lacrime gli rigavano le guance.
 
- Mi manchi, Thane… - singhiozzò tremando come una foglia al vento autunnale – Mi manca tutto di te… Mi manca la tua presenza, la tua voce, i tuoi consigli… Mi mancano i tuoi baci  - gli urlò in faccia tutta la sofferenza che provava, prima che le sue labbra incontrassero quelle dell’unica persona che avesse mai amato, sebbene in così poco tempo. Ma di questo ne era sicura.
 
- Mi sento persa, vuota… Avrei dato la mia stessa vita perché tu morissi con me sul campo di battaglia, e non in quella maniera meschina - riuscì a proseguire, prima che i singhiozzi troppo forti le impedissero di continuare. Avrebbe voluto dirgli di più, assicurargli che quel dannato soldatino di Cerberus avrebbe avuto la morte che si meritava, ma sapeva che lui avrebbe dissentito.
 
Tuttavia quella frase in particolare era vera: se proprio doveva morire sotto ai suoi occhi, doveva farlo in battaglia e non in una camera asettica di un ospedale, tra spasmi di dolore, fremiti, colpi di tosse e fame d’aria.
E per quanto a quel punto Thane fosse sembrato sereno nell’arrendersi, per quanto fosse rimasto ferito mortalmente in una battaglia contro Cerberus e con lei presente, non potè fare a meno di ricordarsi degli ultimi e interminabili minuti nell’orbita di Alchera.
 
Anche lei era morta in modo analogo. E solo il fatto di potersi ricordare e portare alla mente quei dolori lancinanti di quella lenta agonia, la uccideva una seconda volta. Pensare che Thane avesse sofferto almeno quanto lei, era un concetto che non poteva accettare.
 
- Non devi pensare a quello. Mi eri accanto, mio figlio mi era accanto e tanto mi è bastato per andarmene serenamente. Scaccia quei pensieri, ti prego - le aveva sussurrato lui prendendole il viso tra le mani, mentre quegli occhi viola appannati dalle lacrime e arrossati gli straziavano il cuore.
 
- Lo sai che sono al tuo fianco e che ti aspetterò al di là del mare, ma quel giorno non è oggi. Respira, Siha - continuò, accarezzandole il viso e appoggiando nuovamente la sua fronte contro il suo ciuffo corvino.
- Sono stanca… - ammise disperata, rubandogli nuovamente un bacio e cingendogli le spalle, perché non potesse andar via o svanire.
 
Nuovamente la guardò negli occhi.
- Sono con te.
- Non mi basta…
- Deve bastarti - l’ammonì lui, scivolando via dal suo abbraccio e stringendole i polsi, riportando le braccia sui suoi fianchi.
- Ci incontreremo di nuovo, ti ho fatto una promessa. Ma non oggi. Non sei ancora pronta. Ed ora respira, ti prego.
 

 
Si svegliò cacciando un urlo strozzato, mentre la gola le bruciava e i polmoni le esplodevano. Si era resa conto di essere andata in apnea, inconsciamente e la prima boccata d’aria fu come alcool nelle vene. Tossì ripetutamente, rantolando e aggrappandosi alle lenzuola blu scuro.
 
Il suo sguardo smarrito vagò per la stanza, mentre dentro di lei una diga si rompeva e cedeva alla fiumana di emozioni forti e violente. Appena riuscì ad alzarsi in piedi prese lo stesso flacone di bagnoschiuma che aveva lanciato addosso a James poco prima, e lo gettò contro il muro, con tutta la forza possibile.

Si dilaniò le nocche, colpendo ripetutamente la Normandy, figurandosi Kai Leng e quel suo sorriso beffardo. Lacrime di rabbia, a fiotti e una frustrazione immane per averlo fatto fuggire, prima di rovesciare con un gesto risoluto del braccio tutto il contenuto del piano inferiore della scrivania.
 
- Ti ammazzerò, figlio di puttana! - urlò nel cuore della notte con il sudore che le bagnava la fronte – Abbi fede, arriverò da te e ti ucciderò con le mie mani. Rimpiangerai di esserti messo sulla mia strada, bastardo! Fosse l'ultima cosa che faccio! - aggiunse, generando un’onda biotica verso il pavimento che dall’intensità ben riassumeva il suo stato d’animo. Gli oggetti più svariati volarono letteralmente come proiettili verso ogni lato della stanza, mentre un datapad si conficcò nel vetro dell’acquario, formando una grossa crepa.
 
Pochi secondi passarono prima che l’acqua cominciasse a fluire da quella fenditura – con i pesci che mancarono più battiti e che correvano in lungo e in largo terrorizzati. Come una grossa secchiata d’acqua versata sulla fiamma di un falò, Maxime si spense.
 
La rabbia svanì in un solo colpo, mentre ritornava lucida e accorreva verso l’acquario, tamponando con le mani l’acqua e premendo con forza contro la crepa.
- I-IDA?! - urlò spaventata, mentre osservava il livello dell’acqua scendere e il suo appartamento allagarsi man mano.
- Sì, Shepard?
- Vieni a darmi una mano… Ti prego… - mormorò, vergognandosi nel profondo del suo cuore.



Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Ringrazio con affetto e copioso capovolgimento sul mio stesso asse, Shadow per i complimenti, l'entusiasmo e le dritte. ;) 
Ah, noto con marcata ilarità che i pesci di quel dannato acquario, appaiono sempre nelle storie di tutte e... hanno delle coronarie di tutto rispetto. xD
ps. Quando ho scritto questa parte di Thane, non avevo ancora giocato al Citadel... Per evitare paradossi interni alla storia, ho deciso di non considerarlo in toto (e quindi non solo in tema Thane) nella stesura della fic, se non per una piccola parte alla fine. ;)

 
   
 
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