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Autore: ChiiCat92    07/11/2013    3 recensioni
Tom e Bill Kaulitz sono gemelli, e questo, ancora prima degli Hunger Games, ha complicato la loro vita.
Contro Capitol City non c'è speranza, si cerca di morire nel modo più dignitoso possibile.
è questo che pensa Tom, quando ogni anno aspetta che il suo nome venga estratto durante la Mietitura...
Genere: Avventura, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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21:

L'unico amico che mi resta

 

Il peso di Gustav sulle mie spalle comincia a diventare insopportabile quando sento due colpi di cannone: uno per Ayra, uno per Anthya.

Il cuore mi sprofonda in petto, pesante, come fosse fatto di piombo.

Gustav respira, sento il suo fiato caldo nell'orecchio.

È l'unica cosa che mi costringe a camminare.

Il dolore del mio corpo non è niente in confronto a quello del cuore, dell'anima.

Ho le mani ancora sporche di sangue. Il suo odore mi impregna le narici, il colore mi acceca la vista.

Non se ne andrà mai più.

Stringo i denti. Con uno scossone mi tiro più sulle spalle Gustav esanime.

Qualsiasi cosa gli abbiano fatto, non so se si riprenderà.

Quello che so è che non voglio assistere alla sua morte.

Però non riesco a non pensare che sono pronto ad ucciderlo con le mie stesse mani, se dovesse essercene la necessità.

Non voglio più essere tradito.

Quando arrivo in vista del condominio mi faccio più sfrontato.

Ci sono stati solo due colpi di cannone, due spari che hanno avvertito i Tributi rimasti che Anthya e Ayra sono morti.

Solo due.

Se fosse successo qualcosa ad Astrid o a Ria, di certo sarebbero stati quattro, o tre almeno.

Invece no.

I Favoriti non devono ancora essere andati a prenderle.

Probabilmente non hanno avuto il tempo di realizzare che il loro piano è fallito e che la situazione si è volta a mio favore.

Non riesco ancora a capire che cosa possa aver attirato Ayra e Gustav in quel tranello neanche tanto ben celato.

Dovevano essere proprio disperati per lanciarsi allo scoperto in quel modo.

Dal respiro leggero e veloce di Gustav, e dalla ferita all'occhio che aveva Ayra, deduco che fossero stanchi e provati: la trappola dei Favoriti deve essergli sembrata l'unica via d'uscita.

In ogni caso Gustav non presenta alcuna ferita, visibile almeno. Non ha fuoriuscita di sangue o tagli o quant'altro. A parte il fatto che è privo di sensi ormai da dieci minuti buoni (che potrebbero essere di più dal momento che non so quando tempo è stato riverso sul terreno prima che arrivassi) non sembra avere niente di male.

È un buon segno, potrebbe riprendersi completamente.

Peccato che lui debba comunque morire.

Per qualche strana ragione la mia mente si rifiuta di pensare a quello che è appena successo.

C'è qualcosa che blocca i pensieri e le immagini che riguardano l'omicidio di Anthya.

Tentativi inutili di proteggermi dal dolore.

Qualunque cosa faccia sento una stretta al petto che potrebbe soffocarmi. Non è una sofferenza fisica, non gli si avvicina neanche.

È una sofferenza interna, profonda, che viene direttamente dall'anima.

Nel momento della disperazione, nel momento del pericolo, mi sono trasformato in una macchina assassina e non ho fatto altro che quello che Capitol City mi ha chiesto di fare: uccidi per sopravvivere.

Non riesco a pensarci senza vedere quell'atto come un qualcosa esterno, che non mi comprende.

Tom? È stato Tom ad uccidere Anthya?

Certo, è stato lui. Ma non io.

Non sono stato io a prendere il coltello, non sono stato io a conficcarlo ripetutamente nel suo petto.

Una volta è legittima difesa, due volte è assicurarsi che non possa più nuocere, tre volte è intento omicida. Ma cinque, cinque è desiderio di sangue, cinque è voglia di vedere la vita lasciare il corpo. Cinque non è qualcosa di umano.

Non è neanche senso di colpa quello che mi avvolge lentamente, ad ogni passo.

È puro e semplice disgusto di me stesso.

Non basterebbe una vita per pagare per il crimine che ho commesso.

E ancor più terribile è pensare che non è finita. Non è ancora finita.

Il peso di Gustav mi schiaccia la schiena ma ho ancora la forza di andare avanti, anche se le gambe mi tremano e il cuore non regge i battiti.

È solo quel peso fisico a farmi crollare o anche quello interiore, quel peso che non si può toccare con mano e non è in alcun modo quantificabile?

Gustav mugugna. Forse cerca di dire qualcosa, forse no.

Alzo lo sguardo il più possibile per cercare di guardarlo in volto.

Lui strizza gli occhi con forza e trattiene per un attimo il respiro, come se stesse valutando cosa non va nel suo corpo, come se stesse controllando ogni parte di sé e impedire all'ossigeno di inquinare il sistema possa essergli d'aiuto in qualche modo.

- Che...Ayra...dove... -

Balbetta, tutto tremante.

Non credo che sia in grado di continuare sulle sue gambe, quindi stringo la presa e faccio in modo che stia il più comodo possibile.

- Ti spiego tutto dopo, adesso andiamo in un posto sicuro. -

Anche se non credo che sia più un posto sicuro. Ma dove altro potrei andare?

Lui borbotta un “va bene” e richiude gli occhi, sprofondando di nuovo nell'incoscienza.

Me lo sistemo ancora meglio sulle spalle e aumento il passo.

Il nostro palazzo (anche se non so se definirlo “nostro” sia così giusto) è ancora in piedi, è ancora in buono stato, ed è ancora vuoto.

Sembra che nessuno abbia violato la sua intimità.

Guardo bene tutto intorno, cercando qualche traccia dei Favoriti, qualcosa che possa dirmi che quel posto non è più sicuro.

Ma non c'è nulla che me lo lasci intendere, così entro nel palazzo come la prima volta, cercando di non pestare i vetri più del dovuto per non fare rumore.

L'idea di dover fare dieci piani di scale con Gustav sulla schiena non mi piace per niente, ma lui non sembra in grado di poterlo fare da solo, e sarei di una cattiveria unica se decidessi di risvegliarlo dal suo stato comatoso solo perché sono troppo stanco per fare qualche rampa di scala.

Davanti al primo gradino prendo un profondo respiro, e comincio quella che mi sembra una scalata.

 

Più o meno al sesto piano sento che le gambe mi andranno a fuoco, o in alternativa mi si staccheranno del busto.

La schiena a pezzi mi formicola dolorosamente e non riesco più a muovere un passo senza farmi venire il fiatone.

È già un miracolo che io sia riuscito ad arrivare fin qui senza collassare.

Il corridoio pieno di porte chiuse è invitante come lo sarebbe un letto caldo e una notte di riposo.

Davanti alla prima porta spero che sia aperta, perché non ho davvero più la forza di andare verso la seconda.

Forzo la maniglia e spingo la porta con la spalla: è aperta!

Me la chiuso subito dietro, dopo essermi guardato intorno (non sia mai che qualcuno mi abbia seguito).

Il divano che mi trovo davanti ha il colore, il suono, l'odore del Paradiso: se un posto come il Paradiso potesse avere delle caratteristiche fisiche, sarebbero quelle di quel divano.

Praticamente scarico Gustav senza tanti complimenti, e lo sento sbuffare. Fa una smorfia di dolore e un po' mi dispiace di non essere stato delicato.

Apre di nuovo gli occhi e mi guarda, un po' spaventato un po' incredulo.

- Tom... -

Sussurra. Ha una voce flebile, quasi l'avesse usata troppo per urlare.

- Gus, ci troviamo in un edificio di dieci piani. Ho lasciato la mia compagna e Astrid al decimo piano, e devo vedere se stanno bene. Non ce la facevo a trasportarti fino in cima e mi sono fermato al sesto piano. Adesso devo andare a vedere se loro stanno bene, ok? Le porto qui, abbiamo acqua e cibo, ti faremo sentire meglio. - spiego velocemente. Lui non mi risponde, forse non ha intenzione di farlo, però prendo il suo silenzio come un assenso. Non ho altro tempo da perdere. - Vado e torno, va bene? -

Continua a non rispondere e io continuo a prendere il suo silenzio come un assenso.

Gli rivolgo un sorriso rassicurante (o almeno quello che penso essere un sorriso rassicurante, ma viste le mie condizioni non credo che lo sia).

Faccio per andarmene, ma lui mi afferra il polso con decisione. Nonostante sia semi-incosciente ha una forza pazzesca.

- Ayra. -

Dice soltanto, con la decisione sufficiente per farmi salire la nausea.

- Lei...senti ne parliamo dopo, adesso devo andare. -

Tom, ma speravi veramente di cavartela così?

Gustav non molla la presa e mi guarda con gli occhi più limpidi e seri che ci siano. Della confusione di prima non è rimasta alcuna traccia.

- Adesso. -

Mi sale un brivido lungo la schiena.

Guardo lontano mentre lo dico.

- È stata uccisa. Il Tributo del Distretto 9 l'ha uccisa. - la sua presa perde efficacia, la luce nel suoi occhi si affievolisce - Io ho ucciso lui. - aggiungo, come se potesse rassicurarlo o farlo sentire meglio in qualche modo.

Ovviamente non è così.

Lacrime gli riempiono gli occhi mentre mi lascia il polso e nasconde il volto tra le mani, disperato.

Mi faccio indietro lentamente, temendo in qualche modo di profanare il suo dolore.

Non dico niente mentre esco dall'appartamento, accompagnato dai suoi singhiozzi sommessi.

Con foga crescente, come per volermi allontanare da lui, salgo gli scalini a due a due, a tre a tre se mi riesce.

Prima di rendermene conto arrivo al decimo piano, e stramazzo al suolo senza fiato.

Grondo sudore da ogni poro, e quasi non riesco a vedere per la stanchezza. La nausea non mi è passata, anzi è più forte di prima.

Mi tocco il petto bollente, infiammato dalla cicatrice che mi taglia in due la pelle.

Fa un male cane il cuore, lanciato in corsa come se fosse inseguito da qualcuno.

Guardo la porta del nostro appartamento come fosse un miraggio.

Non voglio che sia successo qualcosa di male ad Astrid. Che diavolo, non voglio che sia successo qualcosa neanche a Ria. Devo prima scusarmi con lei per aver pensato che fosse una traditrice.

Mi trascino verso la porta, le gambe molli che non reggono più il mio peso.

Un vuoto mi prende lo stomaco quando vedo la porta ammaccata e scheggiata: qualcuno l'ha presa a calci per aprirla.

NO!” urla qualcosa dentro la mia testa, mentre vedo il mio braccio che si solleva e spinge la porta in avanti.

L'appartamento è esattamente come l'ho lasciato. Tutto in ordine, non c'è niente fuori posto.

Sembra così sbagliata l'assenza di Astrid e Ria.

- Astrid! - chiamo ad alta voce. A questo punto non ho più niente da perdere. - Ria! -

Nessuna risposta, da nessuna delle due.

Una bruttissima, viscida sensazione mi percorre l'anima.

Ricordo Astrid addormentata sul divano, e Ria lì accanto.

Ricordo anche Anthya e la sua gentilezza, i suoi modi melliflui di giocare con la mia mente.

Da qualche parte dentro di me penso che abbia fatto bene ad uccidere prima Ayra, perché così mi ha dato il tempo di reagire, disarmarlo e ucciderlo.

Il sacrificio di Ayra è giovato alla mia vendetta. È terribile già solo pensarlo, ma crederci fermamente lo è anche di più.

- Ragazze? -

Chiamo ancora, anche se ormai è chiaro che non ci sia nessuno qui. Forse non voglio accettarlo, forse è davvero troppo doloroso farlo.

Mi avvicino al divano e subito salta all'occhio un piccolo foglietto di carta piegato in quattro appoggiato su uno dei cuscini.

Lo afferro al volo, con la mano che mi trema.

So già che cosa leggerò e i miei occhi non sono intenzionati a leggerlo.

Non voglio, mi rifiuto.

Per un attimo le parole scritte a penna con una scrittura nervosa mi appaiono sfocate e senza senso, come fossero scarabocchi di un bambino che finge di scrivere.

Lo ripiego con cura e me lo stringo al petto.

Prendo un respiro profondo e mi passo una mano sul viso.

È importante che io capisca che cosa c'è scritto su quel foglio, è veramente importante.

Da qualche parte un migliaio di telecamere, minuscole e sparse in giro per l'appartamento, staranno di certo riprendendo l'evento.

Da qualsiasi angolatura mi riprendano, però, nessuna riesce a vedere cosa c'è scritto sul foglio, non finché lo tengo chiuso tra le mie mani.

Immagino distrattamente il popolo di Capitol City, no, che dico, il popolo di tutta Panem in bilico sul divano, sulle sedie, incollati allo schermo del televisore.

Immagino Bill, che stritola la mano della mamma, che cerca di dare forza a lei prima ancora che a se stesso.

Torno a guardare dentro il biglietto.

Adesso le parole sono chiare.

Sono quasi sicuro di sapere chi è stato a scriverle, tanto che quando le leggo, facendo scorrere piano gli occhi su ogni lettera, sento la voce della persona che le ha vergate: la voce di Mizar.

 

Io ho qualcosa che ti appartiene, tu hai qualcosa che appartiene a me. Io ho le due ragazze, tu hai la vita. Pensi di poterci rinunciare per salvare loro?

Ti aspetto alla Cornucopia. Vieni prima che l'Arena cambi, o seppellirò i loro cadaveri nella sabbia del deserto.

 

Rimango un po' a fissare il foglio, leggendo e rileggendo le parole sul foglio, leggendo e rileggendo le parole di Mizar.

Voglio che le telecamere riprendano bene quello che c'è scritto sul biglietto, quindi rimango ancora a fissarlo con l'espressione fintamente concentrata.

Poi, quando penso che Panem si sia goduto abbastanza la scena, appallottolo il foglio e lo lancio lontano.

Mizar mi ha lanciato una sfida, e io sono disposto ad accettare.

Con tutta la calma di questo mondo, come se questo non potesse nuocere alla mia tranquillità, do un'occhiata in giro per l'appartamento, cercando il boccione con l'acqua e le merendine che abbiamo trafugato ai piani inferiori.

È ancora tutto lì dove l'abbiamo lasciato.

Probabilmente i Favoriti hanno abbastanza acqua e cibo preso alla Cornucopia per non avere bisogno di procurarsene dell'altro.

Ma io l'ho promesso a Gustav, e non ho intenzione di infrangere quella promessa.

Mi carico il boccione sulle spalle e infilo quante più merendine posso nelle tasche dei pantaloni, poi lascio l'appartamento, cosciente del fatto che forse non ci tornerò mai più.

Scendo le scale con più calma di prima, un po' perché sono stanco, un po' perché il boccione pesa, un po' perché voglio dare l'impressione di non essere sconvolto come invece sono.

Non so quanto tempo mi rimane per andare a salvare Astrid e Ria, ma so che devo farlo assolutamente.

Non importa se ne uscirò morto, non posso lasciare che per colpa mia loro perdano la loro vita.

Mizar vuole la mia vita, dice che gli appartiene, bene, in ogni caso venderò cara la pelle.

Non mi avrà con così tanta facilità.

Non sono sopravvissuto fino ad adesso per farmi uccidere come una vittima sacrificale.

Arrivato al sesto piano imbocco a passo sicuro la porta dell'appartamento.

Gustav è seduto sul bordo del divano. Alza subito la testa verso di me, sul chi vive, forse troppo stremato per reagire ma non ancora deciso a lasciarsi andare.

- Eccomi. -

Esordisco con un sorriso. Appoggio il boccione vicino ai suoi piedi e gli porgo tutte le barrette che tengo in tasca. Non credo di avere abbastanza fame da poter mangiare, anche se il mio corpo ne avrebbe bisogno.

- Dove sono le due ragazze? -

Una fitta al cuore mi costringe a spegnere il sorriso.

- Mizar le ha rapite. Vuole la mia vita in cambio della loro. -

- Gliela darai? -

Chiese Gustav, così alla leggera da lasciarmi senza fiato. Come se niente fosse scarta una merendina e comincia a mangiarla. È chiaro persino ai suoi occhi che è la pura fame a spingerlo a farlo, perché avrebbe voglia di gettarla e lasciarsi morire d'inedia.

Non ho bisogno di riflettere su quelle domande.

- Ho intenzione di andare a salvarle, ma non di morire. -

- Lui ti ucciderà. -

L'asetticità della voce di Gustav è spaventosa. Del paffuto e gioioso ragazzo che ho conosciuto non è rimasto niente.

- Io ucciderò lui. -

Gli dico a cuor leggero.

Non ci credo.

Forse Panem può crederci, io no.

E so che neanche mio fratello, mia madre e mio padre ci credono. So che sono già pronti a piangermi.

Lo sono da quando il mio nome è strato estratto alla Mietitura.

Gustav mi guarda in modo eloquente.

- Non hai un'arma. -

- Già. - sorriso - Dovrò fare a mani nude. -

- Lui ha tutto l'arsenale della Cornucopia. Sarai morto ancora prima di rendertene conto. Ci sono i Tributi del Distretto 2 con archi e frecce. -

- Non mi colpiranno. - di questo sono sicuro - Mizar vuole uccidermi personalmente, non lascerà che i suoi sottoposti si mettano in mezzo. Certo, giocherà sporco, ma solo se si sentirà in pericolo. Non mi prende sul serio, sarà disattento. -

- Ti rendi conto che questo ragazzo vuole ucciderti solo per togliersi uno sfizio? Solo perché non aveva niente di meglio da fare e voleva avere qualcuno con cui giocare dentro l'Arena? -

- Stiamo tutti giocando, Gustav. -

Gli dico in risposta, funereo.

Lui rabbrividisce, capendo che cosa voglio dirgli.

Sono morte tantissime persone, si sono consumati tradimenti, omicidi, crudeltà di ogni genere.

Ma questi rimarranno sempre dei giochi, dei semplici giochi. E l'anno prossimo altri 23 ragazzi giocheranno per la loro vita, proprio come noi in questo momento.

- In ogni caso. - comincio - Non ho intenzione di veder morire Astrid e Ria solo perché Mizar ha voglia di giocare. Il suo obbiettivo sono io, non loro. -

Negli occhi di Gustav leggo chiaramente la frase “dopo aver ucciso te ucciderà anche loro, è inutile che ti sacrifichi per loro, ci può essere un solo vincitore”. Lo so, perché sono le stesse parole che ho detto ad Anthya.

Tendiamo a dimenticarci che solo uno di noi può sopravvivere. Forse pensiamo che le nostre azioni possano cambiare in qualche modo le cose. Forse crediamo che salvando una vita, togliendone un'altra, qualcosa si muova nei cuori degli Strateghi. Quasi vogliamo sentire una voce dall'alto che grida “basta così, quest'anno vincete tutti, non c'è bisogno di andare avanti”.

Ma non è così. Le nostre azioni cambiano solo noi stessi, mentre il mondo intorno a noi rimane uguale a se stesso.

- Sei coraggioso, ma anche stupido. - dice lui, con gli occhi di nuovo pieni di lacrime. Se li asciuga con foga. - Non puoi andare comunque disarmato! - si alza all'improvviso, getta la merendina mangiata a metà in un angolo - Io so dove possiamo trovare qualcosa di utile. -

- Fammi strada. -

Annuisce.

 

Come dei soldati in un campo minato ci aggiriamo per le strade della città, sotto la luce dell'eterno tramonto.

Gustav sembra voler allontanare la sofferenza per la perdita di Ayra in tutti i modi.

Non parla molto, ma quando parla evita l'argomento come fosse una colata d'acido iniettata direttamente nelle vene.

Decido che è meglio assecondare il suo silenzio.

Lui sa che ho vendicato la morte della sua compagna e non sembra voler sapere di più. E io, d'altronde, non voglio chiederglielo.

Ci allontaniamo un po' dal centro città, dove sappiamo esserci la Cornucopia, e arriviamo in periferia, nei pressi di una stazione dei treni abbandonata.

Questo posto è molto più grande di quanto mi sia sembrato all'inizio. Non avevo visto, né ero mai stato in questa zona. Ma Gustav cammina a passo sicuro, tanto che non mi faccio problemi a seguirlo.

La mia unica paura sia che l'Arena cambi all'improvviso e che io perda la mia unica possibilità di salvare Astrid e Ria.

Lui sembra capirlo, perché procede speditamente.

Una volta raggiunto il plesso della stazione distrutta, lui si infila dentro ed io lo seguo.

Non hai paura che possa tradirti anche lui?” insinua una vocina nella mia testa. Quella voce ha le sfumature della voce del Presidente Snow. Sembra quasi che sia Capitol City a dirmi che non devo fidarmi di nessuno.

Quindi, proprio per questa sensazione, decido di fidarmi ciecamente e ignorare la voce.

La stazione cade a pezzi. La sala d'aspetto con i tabelloni degli arrivi e delle partenze è tutta sottosopra.

Gustav si avvicina alle scale che portano al primo binario.

- Io e Ayra ci siamo venuti dopo il Bagno di Sangue iniziale. - lo dice con una certa sofferenza - Non è durata molto, ma è stato un posto tranquillo dove stare. Spero che i cambi dell'Arena non abbiano fatto sparire le armi che abbiamo nascosto qui. -

- Cosa siete riusciti a prendere? -

- Due spade, un set di coltelli, un arco e una faretra. -

- Wow. -

Riesco a commentare.

Gustav fa un sorriso amaro.

- È stata Ayra. È veloce, e scaltra, ha saputo giocarsela. -

Lui evita di usare il passato riferendosi alle sue qualità, io non lo correggo.

Seguiamo le indicazioni fino al binario 4. Le rotaie sono sommerse dalle sterpaglie, in fondo al binario si scorge un vagone vandalizzato da vernici spray, edera e ruggine.

Gustav raggiunge il vagone e ci sale sopra.

Per un attimo si guarda intorno spaesato, poi a colpo sicuro fruga in una delle cappelliere.

Tira fuori le due spade, ben chiuse al sicuro nei loro foderi.

Me ne lancia una. Io faccio in fretta a prenderla e a legare il fodero intorno ai miei fianchi.

Scende anche un rotolo di pelle di daino in cui sono avvolti i coltelli.

L'arco e la faretra li tira fuori da sotto un sedile.

Divide equamente i coltelli tra me e lui, e io mi ritrovo a nascondermeli ovunque addosso: negli stivali, nella cintura, sotto la maglietta.

L'arco e le frecce li tieni per sé.

- Fuoco di copertura. -

Dice con un sorriso.

Lo guardo stralunato.

- Vuoi venire con me? -

- Sono l'unico amico che ti resta. -

Lo afferma con la stessa leggerezza di prima, quando stava mangiando la merendina. Sembra un bambino che non può fare a meno di dire la verità con sincera schiettezza.

Gli rivolgo un sorriso grato.

- Allora, andiamo. -


The Corner

Ben trovati!
Purtroppo gli impegni universitari mi impediranno di continuare a pubblicare stabilmente,
non posso garantire un capitolo a settimana, ma ci metterò tutto il mio impegno!
a voi non resta che dare un'occhiata ogni tanto...
Spero di poter continuare a scrivere!
Chii
   
 
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