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Autore: ChiiCat92    07/11/2013    3 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
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è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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23

Dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini c'è un cuore di fuoco.

 

Il cuore vive finché ha qualcosa da amare, così come il fuoco finché ha qualcosa da bruciare.

 

Sora si rigirò nel letto, affondando la testa nel cuscino.

Anche se Vexen gli aveva detto che poteva continuare a dormire, lui davvero non ne conosceva il motivo.

Stanco non era. Un po' dolorante sì, ma non credeva che fosse una scusa sufficiente per fargli passare il resto della mattinata a letto.

Per di più temeva che la segreteria avrebbe chiamato a casa se non si presentava a lezione.

Un altro motivo per tenere gli occhi spalancati nel nulla e tenere il sonno lontano.

L'infermeria era il posto più silenzioso di sempre. Che dipendesse dal fatto che si trovava in una zona lontana dal resto del plesso scolastico o meno, era comunque inquietante il modo in cui il mondo rimanesse a debita distanza da quel posto.

Che fosse l'aura gelida di Vexen a far scappare via i rumori?

Scosse la testa, stava decisamente divagando.

Le pareti potevano essere state semplicemente insonorizzate per rendere quel luogo tranquillo. D'altronde chi stava male non aveva bisogno di silenzio e tranquillità? E in infermeria non ci si andava quando si stava male?

Le due cose erano compatibili, e Sora fu convinto di aver trovato la sua risposta.

Si volse su un fianco e una fitta di dolore gli paralizzò per un attimo le gambe.

Fece una smorfia e socchiuse gli occhi finché il dolore non fu passato.

Per quanto provasse a darsi una spiegazione, il vuoto nella sua memoria non faceva altro che gettarlo nella più totale confusione.

Che cosa era successo dalla partita di dodge ball del giorno prima a quella mattina?

Era un lasso di tempo lunghissimo, che poteva essere pieno di avvenimenti...che lui non ricordava completamente.

Se si sforzava di recuperare qualche ricordo l'emicrania cominciava a minacciare di afferrargli il cervello e stringerglielo in una morsa gelida.

Il pulsare intermittente che aveva dietro gli occhi era la ragione per cui Sora aveva smesso di pensarci, dopo averci provato una o due volte.

Non aveva voglia di stare male.

Si volse ancora, mettendosi supino. Stavolta non sentì alcun dolore e un po' se ne compiacque.

Il silenzio dell'infermeria lo schiacciava, come una pesante cappa.

Avrebbe avuto voglia di gridare per spezzare quel nulla opprimente.

Poteva quasi sentire il suono dell'ossigeno che filtrava lentamente nella stanza, che attraversava le sue vie aeree e arrivava ai polmoni inondandoli di nuova aria.

Strizzò gli occhi, si tirò su a sedere e si compiacque per un attimo del fruscio che fecero le coperte.

Sbadigliò distrattamente, più per abitudine che perché avesse sonno.

Le sue scarpe erano per terra, ai piedi del lettino.

Saltò giù. Per un attimo il mondo gli ruotò intorno e rischiò di perdere l'equilibrio. Ma si riprese.

Forse si era alzato troppo in fretta.

Andò a recuperare le scarpe, rabbrividendo al contatto con il pavimento gelido e pulitissimo, e se le infilò.

La zaino con i libri era lì, su una sedia. Ma della sua divisa non c'era traccia.

Chissà dov'era finita.

Con il dubbio ancora ben impresso nella mente, Sora scostò la tendina che divideva il suo letto dal resto dell'infermeria.

Si guardò un po' intorno, indeciso su cosa fare.

Non poteva cambiarsi e togliersi di dosso quello stupido pigiama da ospedale se non gli avessero dato indietro la sua divisa. E aveva come l'impressione che la tuta era rimasta nell'armadietto in palestra, dato che non l'aveva vista nei dintorni.

La porta dell'ufficio di Vexen era aperta, ma di lui non c'era traccia.

Svogliatamente e solo perché aveva ben poco da fare, Sora andò a darci un'occhiata.

Quell'ufficio rifletteva quasi come uno specchio l'indole gelida e perfezionista del medico.

Non c'era un solo granello di polvere fuori posto, anzi, non c'era proprio nessun granello di polvere.

I libri nella vetrina erano ordinati in ordine alfabetico. Tutti i dorsi sembravano essere stati lucidati di fresco, anche se era chiaro che fossero usati giornalmente e con una certa frequenza.

Sora scorse con lo sguardo tutti i titoli. I suoi occhi cerulei si bloccarono sul buco tra un volume e un altro.

Mancava un libro.

- Oh!-

Sora sobbalzò sentendo quell'esclamazione, e si tirò indietro, quasi scottato.

- No...io...niente...stavo solo... - balbettò per giustificarsi, tenendo la testa basta per l'imbarazzo. Visto che non ricevette nessuna risposta, lui si azzardò ad alzare gli occhi, e si ritrovò davanti qualcuno che non si aspettava. - Ah...non sei Vexen. -

Disse solo, decisamente sollevato.

Davanti a lui c'era un ragazzino magrolino, non molto alto, dal cipiglio interrogativo, o almeno sembrava interrogativo. Era visibile solo l'occhio sinistro, il destro era nascosto sotto una lunga frangia di capelli grigio acciaio con sfumature blu.

Aveva un viso gentile, dai lineamenti delicati, che nonostante tutto gli davano un'aria matura. Sicuramente doveva essere di uno o due anni più grande di lui.

- No, credo di non esserlo. -

Disse, con un tono di voce sussurrante, quasi si trovasse in chiesa, o in biblioteca a giudicare dalla serie di libri che teneva tra le braccia.

A Sora fece subito simpatia.

Forse per i modi timidi di quel ragazzino, forse per la brillantezza del suo occhio color ardesia che invitava a scoprire il suo gemello nascosto, forse per il tono pacato della sua voce.

- Io sono Sora. E tu sei...? -

- Zexion. - sussurrò lui, stringendo di più i libri al petto - Non dovresti stare qui, se Vexen ti trovasse potrebbe arrabbiarsi. - si affrettò ad aggiungere, guardandosi intorno come per giustificare il suo nervosismo.

- La porta era aperta, e non ho toccato niente. Non penso che mi sgriderebbe. -

Ridacchiò Sora, aprendosi in un sorriso allegro.

- Meglio che tu non stia qui comunque... -

Fece Zexion, risoluto.

Superò Sora e andrò ad aprire la vetrina della libreria con una chiave che teneva al collo.

Il bruno sollevò un sopracciglio, stupito.

Perché aveva quella chiave?

Tirò fuori dalla pila di libri che teneva in braccio il volume che riempiva il vuoto su cui Sora aveva fatto cadere gli occhi qualche istante prima.

Zexion doveva essere autorizzato a prendere in prestito i libri presenti in quell'ufficio direttamente da Vexen: nessun altro avrebbe potuto dargli la chiave della vetrina.

Il ragazzo chiuse tutto a chiave, dopo aver sistemato i libri e averne presi un altro paio dalle fine più basse (grossi volumi dall'aria antica e le pagine sottili per il troppo utilizzo, di cui Sora non riuscì a scorgere il titolo).

- Stai male? -

Gli chiese all'improvviso, mentre s'infilava la chiave della vetrina dentro la camicia.

Sora fu preso alla sprovvista e inarcò le sopracciglia, senza capire.

Zexion fece scivolare su di lui l'unico occhio visibile, con un po' di preoccupazione, come se avesse voluto capire che cos'aveva soltanto guardandolo.

Sora fu costretto a guardarsi, come se avesse qualcosa di orrendo attaccato addosso.

- Stai male? -

Ribadì Zexion, adesso sicuro che il ragazzino lo capisse.

- Ahm...credo di sì...devo aver avuto un qualche incidente ieri a ginnastica...mi sono svegliato stamattina e l'ultima cosa che ricordo e la partita di dodge ball. -

Sorrise Sora, grattandosi la guancia con un'espressione confusa. Neanche lui sapeva bene che cosa dovesse raccontare.

- Hai dormito qui? -

Sora s'imbarazzò un poco a quella domanda, visto che il pigiama che aveva addosso era di una stoffa sottile, similcarta, che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Si strinse le braccia intorno al petto, come a volersi coprire dallo sguardo indagatore dell'occhio ardesia di Zexion.

- Ehm...sì, sì, ho dormito qui. Ero...svenuto credo. Stavo cercando la mia divisa per potermi cambiare, ma non la trovo da nessuna parte. -

Zexion accennò un sorriso, velocissimo come un flash. Sora ebbe appena appena il tempo di registrarlo.

Era un bel sorriso, di sincero divertimento.

Ma poi la sua espressione tornò neutra, come se anche le sue espressioni fossero timide.

- Forse posso procurartene una. È molto probabile che Vexen abbia distrutto la tua. -

- C-come? Distrutto? E perché?! -

Fu la reazione scioccata del ragazzino, che suscitò un altro sorriso lampo in Zexion.

- Sai, Vexen è un po'...ossessionato dalla pulizia. Brucia tutto quello che non può disinfettare completamente. Soprattutto i vestiti dei suoi pazienti. Visto che quasi tutti indossano le divise, quando arrivano qui, lui ne ha una scorta personale. -

- Che cosa strana... -

Borbottò Sora, corrucciando le sopracciglia.

Zexion si strinse nelle spalle, come a dire che quello strano era Vexen. Poi gli fece cenno con la mano di seguirlo.

C'era, in un angolo dell'infermeria, un grosso armadio metallico, chiuso con un lucchetto a combinazione.

Il ragazzo vi si avvicinò e a colpo sicuro inserì il numero della combinazione. Sora non se ne stupì neanche: ormai aveva appurato che Zexion doveva frequentare abitualmente quel posto, e Vexen, altrimenti non avrebbe potuto conoscere in quel modo usi e costumi dello strano e gelido medico.

Il bruno osservò da dietro i movimenti del ragazzo, e quando gli porse una divisa che puzzava orribilmente di disinfettante l'accettò di buon grado: era della sua misura, meglio stirata e più pulita di quella che gli avevano fatto avere dalla segreteria.

- Grazie. -

Gli sorrise Sora, stringendo la stoffa pulita della giacca nera.

- Niente di che. Cambiati in fretta. Lì c'è il bagno. - gli indicò una porta bianca - Non andartene prima che Vexen sia tornato e ti abbia dato il permesso. -

- Sì. -

Annuì forte il ragazzino.

Zexion gli rivolse l'ennesimo sorriso lampo.

- Zexion? Non ti aspettavo fino all'ora di...e perché ti sei alzato dal letto, tu? -

I due ragazzi si volsero quasi all'unisono.

Stavolta era Vexen, con il suo sguardo arcigno, i suoi occhi verde ghiaccio, i suoi lunghi capelli biondo smorto, e l'espressione lievemente alterata.

Sora si sentì percorrere da una scarica elettrica di un milione di volt quando il medico fissò la divisa pulita che aveva tra le braccia.

Fu sicuro che si sarebbe arrabbiato a morte e che avrebbe messo su una sfuriata da far cadere i muri che avevano intorno.

Invece successe qualcosa che non si sarebbe aspettato.

Lo sguardo di Vexen si sciolse, quasi fosse venuto a contatto con una forte e improvvisa fonte di calore, mentre passava da Sora a Zexion.

Sora aggrottò le sopracciglia, confuso.

Perché quel cambiamento?

- Ti avevo detto che dovevi risposare, e ti ritrovo in piedi e pronto ad andartene. - sbottò Vexen, rivolto a Sora, non più così freddo; neanche caldo, ma almeno aveva abbandonato i -10° di temperatura ed era arrivato allo 0 - Prima di lasciarti uscire, devo visitarti un'ultima volta. - indicò la divisa - Poi potrai cambiarti e andare dove ti pare. Ti avrei dato io di che vestire, ma Zexion mi ha preceduto. -

- Mi dispiace. -

Commentò con voce sottile il ragazzo, ma in realtà non sembrava particolarmente dispiaciuto.

Vexen fece un gesto con la mano che avrebbe dovuto zittirlo con stizza, ma sembrava più un pigro ammonimento, qualcosa aromatizzato con dell'affetto paterno.

Poi puntò l'indice sulla tenda dietro la quale c'era il lettino dove aveva dormito, senza aggiungere una sola parola.

Sora scattò sull'attenti da bravo soldatino e filò verso la tenda, capendo che quel gesto fosse stato indirizzato a lui.

Si voltò all'ultimo prima di superarla.

- Ciao Zexion, piacere di averti conosciuto. -

E gli sorrise tutto felice.

Zexion sentì una strana sensazione nel fondo dello stomaco mentre il ragazzino si infilava dietro la tenda.

Solo allora Vexen lasciò che il muro di ghiaccio spesso che lo circondava si sciogliesse del tutto e rivolse un'occhiata gentile a Zexion.

- Come mai sei qui? -

Gli domandò con sana e calda preoccupazione.

- Sono venuto a posare i libri che avevo finito e prenderne degli altri. -

Disse piano il ragazzino, mostrando al medico i libri che teneva in braccio.

Vexen annuì, con un messo sorriso.

- Hai trovato interessante il manuale di anatomia comparata? -

- Sì, molto. - fu il sussurro contento di Zexion - Mi è piaciuto tanto anche il trattato pratico di medicina occulta... -

- Con quello devi stare attento. - lo rimproverò leggermente, facendolo rabbrividire - Quelle sono tutte sciocchezze senza fondamento scientifico. -

- Lo so. - annuì Zexion, con risolutezza - Ma ho trovato istruttivo conoscere l'alternativa illogica alla scienza. -

- Bravo ragazzo. - velocemente, Vexen infilò una mano tra i capelli color acciaio di Zexion, e li spettinò con gentilezza - Però dovresti concentrarti di più sugli studi. -

- Lo sto facendo. -

Si lamentò lui, infilando nella sua espressione neutra un broncio velocissimo.

- Intendo che dovresti studiare per la scuola, e non per tuo piacere personale. -

- È sempre studio. -

Asserì Zexion, arrossendo un pochino, e nascondendosi di più dietro la lunga frangetta.

- Dovresti essere a lezione adesso, non qui. -

- C'è supplenza. -

- Vorrei crederci. -

- È la verità! -

Vexen accennò una risatina. Quando si accorse di stare ridendo, tossicchiò imbarazzato e tornò al suo freddo e solito contegno.

- Vai, prima che mi venga voglia di toglierti la chiave della libreria. -

Zexion sgranò gli occhi e scosse la testa.

- Vado! - disse. Strinse di più i libri al petto e girò i tacchi per andarsene. Non si dimenticò, sulla porta, di voltarsi per salutare l'uomo, con un sorriso pieno che gli rimase sulle labbra anche dopo che se n'era andato.

Vexen sospirò pesantemente. Quel ragazzino rischiava di cambiarlo ogni giorno di più. Lo rendeva troppo sentimentale, gli toglieva il distacco medico su cui aveva lavorato per tutta la vita.

Non doveva concedergli tutte quelle confidenze, o la sua maschera di ghiaccio si sarebbe incrinata. Ma ormai...

Il medico trasformò la sua espressione. Da rilassata tornò gelida mentre camminava verso la tenda.

Sora dondolava i piedi, seduto sul lettino.

Non aveva sentito nulla dello scambio di parole tra Vexen e Zexion, dato che avevano sussurrato tutto in modo concitato e soffuso, com'erano soliti fare tra di loro.

- Come ti senti? -

Esordì il medico, chiudendo dietro di sé la tendina.

Aveva perso quel poco di calore che aveva acceso i suoi occhi verdi, recuperando in fretta quel gelo che lo contraddistingueva.

- Uhm... - fece Sora, senza smettere di far dondolare i piedi - ...bene, credo. -

Vexen tirò fuori dalla tasca del camice che indossava un paio di guanti di lattice, probabilmente sterili.

Li indossò e si avvicinò a Sora. Lui fu preso da una sensazione bruciante di panico, e per un momento fu tentato di mettersi ad urlare. Il suo cervello superò il cortocircuito innescato dalla paura, e gli fece riprendere controllo di se stesso, anche se era rigido come un blocco di pietra mentre il medico gli tastava la gola, alla ricerca di chissà cosa.

- Hai vertigini, nausea, giramenti di testa? - estrasse una piccola torcia dal taschino cucito sul petto e l'accese - Segui la luce. - Sora fu abbacinato da quella lucetta, ma la seguì a destra e a sinistra, in alto e in basso, ovunque Vexen la spostasse.

- No...mi sento bene. -

Ripose, in differita.

Il medico spense la luce e la rimise al suo posto.

- Dolori generici? -

Sora si morse le labbra, ricordando il dolore a tutta la parte inferiore del corpo. Per Vexen fu una risposta sufficiente.

- No, nessun dolore. - mentì il ragazzino, scuotendo la testa - Che cosa mi è successo? -

- Sei caduto e hai battuto la testa. -

Commentò asettico il medico, il sangue che cominciava a gelarglisi nelle vene.

Sora portò automaticamente una mano sulla testa, come a volersene accertare.

- Ma non ho mal di testa. -

- Già. -

Lui corrugò le sopracciglia.

- E come posso aver battuto la testa se non ho dolore? -

Vexen non rispose.

Si tolse i guanti e li gettò nel cestino più vicino, ignorando del tutto l'espressione confusa del ragazzino.

Sora si concentrò con tutto se stesso per cercare nella sua memoria qualcosa che confermasse le parole di Vexen, ma trovò solo l'emicrania che gli esplose dietro gli occhi all'improvviso, annebbiandogli la vista per un momento.

Al medico non passò inosservato quel malore, che durò il tempo di strizzare gli occhi, diventati di colpo appannati come un cielo coperto di nuvole.

- Non riesco a ricordare niente. -

Disse Sora, lamentoso.

- La botta è stata molto forte. -

Fu l'unica spiegazione di Vexen, che nella sua mente stava analizzando e catalogando ogni gesto e ogni movimento del ragazzino, cercando di scoprire cosa e quanto di quell'esperienza traumatica fosse rimasto nella sua testa.

- Mi tornerà la memoria? -

Il medico rimase impassibile.

- È molto probabile. -

Sora si mordicchiò l'interno della guancia, sempre più confuso.

C'era qualcosa di sbagliato in quella storia, però lui l'accettava comunque. Gli andava bene come spiegazione, era meglio che cercarne un'altra.

Anche se c'era una piccolissima parte di lui che si opponeva a quella verità fallata. Era una parte molto piccola, ed era trascurabile.

- Posso vestirmi? -

- Sì. -

Il ragazzino annuì al medico e si alzò, prendendo con sé la divisa pulita.

- I miei genitori sanno che cosa mi è successo? -

- Se n'è occupato il Vicepreside. -

Rispose Vexen, senza aggiungere altri dettagli. Per quel che ne sapeva Sora era come se non gli avesse detto proprio niente.

Anche se aveva la testa piena di domande, non sollevò nessun'altra obiezione.

Andò in bagno e si chiuse la porta alle spalle.

 

*

 

Con un leccalecca alla Coca-Cola in bocca che andava sciogliendosi e uno fragola e panna ancora incartato, Axel scivolò fuori dalla classe senza farsi notare.

Anche se, per definizione, Axel non poteva passare inosservato.

Una bella fortuna che la prima ora fosse di supplenza, visto che non aveva avuto il tempo di stare in pace con Roxas quella mattina per colpa di Vanitas e Riku.

Succhiò un po' il leccalecca, sulla lingua il sapore scoppiettante dell Coca-Cola gli mandò un scarica di piacere.

Axel stava pensando a cosa inventarsi per far uscire Roxas dalla sua classe. Non sarebbe stato facile convincere la professoressa Aqua, che se non sbagliava doveva avere la prima ora di lezione quel giorno.

Si strinse nelle spalle: qualcosa gli sarebbe venuto in mente.

Svoltò a destra e in lontananza vide la porta della classe, ben chiusa. Di certo avevano già cominciato.

Lanciò un'occhiata all'orologio da polso. Erano appena le otto e mezza. Che palle certi insegnanti.

Si avvicinò alla porta e vi poggiò l'orecchio sopra. Sì, era la voce di Aqua, e sì, stava spiegando. Dalla foga che ci stava mettendo doveva essere molto presa.

Axel sfilò il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Spostando il leccalecca da una guancia all'altra scrisse un semplice messaggio: “svignatela, sono qua fuori”.

Pigiò su “Roxy” e lo inviò.

All'incirca trenta secondi dopo poté sentire la voce di Roxas che chiedeva alla professoressa di poter andare in bagno.

Lei si risentì un po', visto che lui non poteva voler andare in bagno dopo neanche mezz'ora di lezione.

- Mi scappa! -

Ribatté lui, con tono lamentoso, facendo ridacchiare Axel.

- Vai! -

Fu lo sbuffante permesso di Aqua.

Axel sentì la sedia strisciare sul pavimento e Roxas che quasi volava verso la porta. Probabilmente agli occhi di chi lo guardava stava correndo in bagno, mentre Axel sapeva benissimo che correva da lui.

Il pensiero lo fece sorridere.

Si scostò dalla porta mentre Roxas l'apriva con foga e se la richiudeva alle spalle.

I loro sguardi si incrociarono, e furono solo sorrisi.

Axel gli indirizzò un occhiolino e gli porse il leccalecca.

- Fragola e panna, il tuo preferito. -

- Grazie. - rispose lui tutto imbarazzato, e cominciò a scartarlo con le mani che gli tremavano. Quando lo infilò in bocca il suo sapore dolce gli fece venire un brivido. - Che ci fai qui? -

- Pensi di poter mancare fino alla fine dell'ora? -

Chiese Axel, ignorando le sue parole.

- Ahm...credo di sì. - anche se aveva un po' paura della possibile reazione di Aqua. Tutto sommato avrebbe potuto corromperla puntando sulla loro amicizia. - Sì, sì posso. - affermò saldamente, annuendo tra sé e sé.

- Saliamo su in terrazza? -

- Ok. -

Concordò Roxas con un sorriso.

Camminarono fianco a fianco, scambiandosi di tanto in tanto un'occhiata.

Anche se non c'era nessuno in giro, avevano comunque paura di toccarsi, di stare troppo vicini. O meglio, Roxas l'aveva. Axel sarebbe stato disposto a prenderlo per mano anche in quel momento, e a dire il vero ne aveva una certa voglia. Ma sapeva che l'avrebbe solo messo in imbarazzo, ed evitò per il suo bene.

Salirono la rampa che portava alla terrazza, accertandosi di non essere visti da nessuno dei bidelli.

Axel aprì la porta respirando a fondo l'aria della mattina.

C'era un bel sole e il clima adatto per rimanersene in panciolle tutto il giorno, altro che scuola.

Il rosso andò a sedersi ai piedi del muretto, incrociando le braccia dietro le testa e sospirando di piacere.

Roxas si sistemò con le gambe incrociate accanto a lui.

Rimasero in silenzio per un po'.

Axel finì il suo leccalecca e si dispiacque di non averne un altro, Roxas rinunciò a quanto era rimasto del suo per darlo a lui, che non ci pensò neanche per un attimo a rifiutarlo.

Il rosso gli diede una succhiata, giusto per togliersi il gusto della Coca-Cola dalla lingua e poi lo restituì a Roxas, che ridacchiò leggermente.

- Stamattina avrei voluto stare un po' con te. -

Sbuffò Axel all'improvviso.

Roxas ruppe il leccalecca con i denti, facendolo crocchiare.

- Non ti è bastato stanotte? -

Insinuò il biondo, con un'occhiata piuttosto esplicita.

- Mi secca che appena spuntano i tuoi amici mi tratti come se non mi conoscessi. - brontolò Axel, mettendo il broncio - E poi perché giri ancora con loro dopo quello che ti hanno fatto? -

- E dai Ax. - lo spintonò leggermente - Smettila con questa storia. -

- Mmm... - mugugnò lui - ...non voglio che diventi loro complice. -

- Non ti preoccupare. -

Fece lui in risposta.

Finì di mangiare il leccalecca in silenzio, poi si poggiò sulla sua spalla, assaporando il suo profumo e il calore del suo corpo.

Anche se non avevano niente da dirsi, il silenzio tra di loro non era imbarazzante, anzi, era una patina dolce che li avvolgeva con tenerezza, quasi a volerli preservare.

- Sai che stamattina la matricola non è venuta in classe? -

Fu Roxas a rompere quell'idillio silenzioso, con uno strano tono di voce.

- Intendi Sora? -

- Sì, lui. -

Gli occhi color smeraldo ridotti a due fessure.

- Non è che Vanitas gli ha fatto uno scherzo dei suoi? -

Roxas si strinse nelle spalle, scuotendo la testa come a dire che non lo sapeva.

- L'ultima volta che l'abbiamo visto è stato ieri dopo ginnastica. L'ho lasciato in palestra. Sono venuto a pranzo con te, ti ricordo. E siamo tornati a casa insieme. -

- E se gli ha fatto qualcosa di brutto? -

- Nah. - Roxas mosse una mano e scosse di nuovo la testa - Non lo farebbe. -

- Roxas. -

Lo riprese Axel.

Il biondo alzò gli occhi blu al cielo.

- Ha smesso di fare quelle cose, Ax. Non metterebbe in pericolo la vita di nessuno. -

- Sì, ma a te stava per ammazzarti. -

- No. - negò con forza - Non ha fatto niente a Sora. -

Ma non ne era veramente sicuro.

Il giorno prima, dopo aver eseguito gli ordini di Vanitas, stanco di aspettare che finisse di giocare con la matricola, Roxas se n'era semplicemente andato.

Visto che anche Riku l'aveva piantato appartandosi con la sua ragazza (che per la cronaca non gliela aveva data neanche quella volta, ed era stata la prima cosa che gli aveva raccontato quella mattina), la soluzione spontanea era stata quella di vedersi con Axel e pranzare con lui, che era esattamente quello che aveva fatto.

Poi non ci aveva pensato più, e non aveva fatto caso alla scomparsa improvvisa di Vanitas.

Dimentico della situazione in cui l'aveva lasciato, si era solo goduto i momenti con Axel, e poi erano tornati insieme a casa.

- Quel ragazzino è un amore. Non capisco perché lo dobbiate trattare male. -

Borbottò Axel. Intrecciò le dita con quelle di Roxas, giocando con l'anello nero infilato nel suo indice.

- Non lo trattiamo male. Gli facciamo solo qualche innocente scherzetto, così, per passarci il tempo. -

Si giustificò Roxas, punto nel vivo.

- Sarà. - sospirò Axel - In ogni caso non dovresti assecondare i desideri di Vanitas come fosse il tuo capo. -

- Gli ho detto di noi. -

Sputò all'improvviso Roxas, con il cuore che gli batteva così forte che neanche riuscì a sentire la sua voce.

Axel sgranò gli occhi smeraldini.

- Come? -

- Gli ho detto di noi. -

Ribadì con più calma Roxas. Teneva la testa bassa, quasi per sfuggire allo sguardo di Axel.

- A Riku e Vanitas? -

- Sì... -

Il rosso alzò il volto di Roxas con un dito, costringendolo a guardarlo. Non c'era scampo da quegli occhi color smeraldo.

- Quando? -

- I-ieri...mentre venivamo a scuola... -

- E che ti hanno detto? -

- Niente. Non abbiamo più sollevato l'argomento. -

- Allora perché continui ad evitarmi quando stai con loro? -

- Cioè...non gli ho detto proprio di noi. - bisbigliò Roxas. Le guance cominciarono a diventargli rosso pomodoro. - Gli ho detto che...che stavo con un ragazzo...ecco... -

Axel si spazientì. Sbuffò dal naso e volse altrove lo sguardo.

Il biondo, temendo di averlo fatto arrabbiare, gli strinse di più la mano.

- Quindi ti vergogni ancora troppo per dire che stai con me? -

- Ax... -

- Sì, sì, scusa. - un sospiro. Axel contò fino a dieci, allontanò la rabbia e la delusione, l'amaro che aveva in bocca. - Aspetto. Come sempre. -

Si chiuse in un silenzio ostinato, che avrebbe potuto dire tutto e niente, e che pungolò dolorosamente il cuore di Roxas.

Lui gli si mise cavalcioni. Lo afferrò con entrambe le mani per la camicia e lo trascinò a sé, coinvolgendolo in un lungo bacio.

Axel provò a non farselo piacere, provò con tutto se stesso a odiare quell'atto impostogli quando non ne aveva voglia. Ma non ci riuscì.

Passò una mano intorno alla vita di Roxas, e una la infilò tra i capelli setosi e brillanti di sole.

Lo allontanò solo quando il suo sapore dolce gli si fu impresso sulle labbra.

Il biondo gli poggiò una mano sulla guancia.

- Sei caldissimo! -

- Sarà che tu butti benzina sul fuoco. -

Rispose lui con un sogghigno.

Roxas affondò le mani tra i capelli rossi di Axel. Li agitò un po', e brillarono di mille riflessi alla luce del giorno, quasi fossero una fiamma viva.

Lui non resistette più. Con forza lo costrinse ad un bacio, infilandogli la lingua tra le labbra.

Il biondo sgranò gli occhi blu per un istante, poi accolse la foga del ragazzo con un sorriso.

Stretto tra le sue braccia, avrebbe potuto giurare di stare andando a fuoco.

 

Rimasero abbracciati per una quantità indefinibile di tempo. Avvolti nella loro bolla di calore sarebbe potuta passare un'eternità senza accorgersene.

Ma il suono della campanella li risvegliò brutalmente.

Axel fu il primo a riscuotersi. Con uno sbuffo irritato allontanò da sé Roxas, che coccolato dal suo corpo stava quasi per assopirsi.

- Ho compito in classe. -

- Non andarci... -

Fu la risposta sussurrata di Roxas, che infilò subito una mano sotto la sua maglietta per accarezzare la pelle calda.

Axel fu attraversato da un brivido di piacere, ma ebbe la forza di allontanare la mano del biondo.

- No, non posso, è importante...cazzo. - Roxas mugolò qualcosa in risposta. Teneva bene gli occhi chiusi: d'altronde non aveva bisogno della vista per toccare i punti più sensibili di Axel. Continuò ad accarezzargli il petto, scendendo in ghirigori rotondi fino all'ombelico. Una scossa elettrica salì su per la schiena di Axel. Strinse forte le dita di Roxas, arrestando la sua discesa verso la zip dei pantaloni, dove qualcosa stava cominciando a muoversi. - Roxy, ti prego, non adesso. -

Il biondo spalancò gli occhi, deluso, e si tirò indietro facendo il broncio.

- Non mi respingi mai. -

- Fa più male a me che a te. -

Roxas mugolò qualcosa tipo “non credo proprio” e si tirò in piedi, spolverandosi di dosso lo sporco della terrazza, ma anche il calore di Axel.

- Non tenermi il broncio, piccoletto. - lo apostrofò il rosso, tirandolo indietro dal colletto della camicia e costringendolo a cadere tra le sue braccia - Sai che non lo farei se non fosse una causa di forza maggiore. - forzò le sue difese e si infilò con la lingua tra le sue labbra per un velocissimo bacio, poi lo spinse via - E tu devi andare a lezione anche. -

Il biondino piagnucolò, scuotendo la testa: non poteva essere arrabbiato con lui, non poteva davvero.

Recuperato il contegno i due si incamminarono giù per le scale.

 

*

 

Ventus scivolò nel corridoio con il cuore che gli martellava in petto.

Era diviso tra un'emozione positiva e una negativa.

La discussione con il Superiore gli aveva confuso la mente, ma anche rinforzato lo spirito.

Mentre si incamminava verso l'infermeria si ricordò di non avere con sé lo zaino. Non l'aveva lasciato da Xaldin quando era scappato via.

Chissà se il cuoco l'aveva tenuto da parte o se l'aveva dato all'ufficio oggetti smarriti...anche se non l'aveva smarrito e lui sapeva benissimo a chi apparteneva.

Si chiese anche se per caso il Superiore l'avrebbe giustificato per la sua assenza della prima ora.

Con l'espressione di chi si sta facendo delle domande esistenziali, deviò sulla strada per l'infermeria e si diresse in mensa.

- Ehi! Ciao! -

Disse una voce lontana, disincarnata.

Ventus alzò gli occhi e quasi gli venne un colpo.

Perché Axel non era a lezione e stava gironzolando da solo per la scuola?

Sentì un calore prendergli il collo ed espandersi su per il volto.

Camminò con la testa bassa, sperando che non lo fermasse (vaga speranza, visto che l'aveva già salutato).

Visto che niente poteva andare come desiderava, Axel gli andò incontro con un sorriso.

- Ciao Ven, sei in ritardo? -

Ventus trovò caustica ogni singola parola, e quasi gli venne voglia di rispondergli male. Poi si ricordò che doveva fingere, per il bene di suo fratello quanto meno.

- Sì, una cosa del genere. -

Rispose lui abbozzando un sorriso di cortesia, piuttosto scarso.

Axel evitò di prenderlo in considerazione, visto che gli era sembrato più una smorfia disperata che altro.

- Ti accompagno in classe? Andiamo nella stessa direzione. -

Certo, adesso sei tutto allegro e fai il finto tonto, perché non sai che io so tutto.” pensò acidamente il ragazzino. Provò il desiderio folle di prenderlo a pugni.

- No grazie, sto andando in mensa, ieri ho dimenticato il mio zaino lì e devo andare a prendermelo. -

- Di certo il vecchio Xaldin te l'ha messo da parte. - annuì Axel, come se fosse giunto alla sua stessa conclusione - Bhè, allora sarà per la prossima volta. -

- Sicuro. -

Ma era sicuro il contrario, e il rosso lo capì senza bisogno che lo dicesse, e neanche che lo pensasse: si leggeva benissimo sul suo volto.

Chiedendosi ingenuamente che cosa aveva fatto di male per meritarsi quel trattamento, Axel lo salutò con una mano e un sorriso leggero, e se ne andò.

Solo quando svoltò l'angolo Ventus poté tirare un sospiro di sollievo: non avrebbe sopportato la sua presenza un minuto di più.

Per andare in mensa sarebbe dovuto passare di fronte al bagno di Riku e Vanitas.

Non ci stava pensando mentre camminava, ma quando arrivò in vista di una nuvola di fumo simile a nebbia, intuì che i due dovevano essere dentro a fumare. Erano sempre lì dentro a fumare.

Ventus rimase fermo nel bel mezzo del corridoio, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.

Provaci.” gli disse una voce nella sua testa, venuta da chissà dove, e che aveva il tono leggero della voce di Sora.

Lui si mordicchiò le labbra e si fece avanti.

La porta del bagno era socchiusa e si sentiva lo sghignazzare sommesso di Riku: forse non erano solo sigarette quelle che stavano fumando.

Infilò uno sguardo nell'apertura per accertarsi che Roxas non fosse lì con loro.

I suoi occhi blu percorsero l'ambiente con ansia crescente e si appoggiarono su Vanitas, bellamente sdraiato sul pavimento con una sigaretta arrotolata tra le dita, e su Riku, arrampicato sul davanzale della finestra, rilassato anche più dell'amico.

Di Roxas nessuna traccia.

Ventus si tirò indietro, respirando forte.

Se si fosse spacciato per Roxas in un qualsiasi altro momento, quei due l'avrebbero di certo riconosciuto. Ma sembravano fatti e strafatti, e non si sarebbero accorti che non era Ventus: bastava guardare l'assenza dell'occhio nero per capirlo.

Lo faccio, non lo faccio, lo faccio, non lo faccio.” si sentiva come se stesse staccando via i petali da una margherita.

Lo faccio.”

Scombinò i capelli in modo che gli cadessero sul viso più del solito, nella speranza che né Riku né Vanitas si soffermassero troppo su suoi occhi.

Sbottonò la giacca della divisa e allentò il cravattino. Tanto per gradire, sfilò dai pantaloni la camicia, stropicciandola con le mani: sì, somigliava molto più a Roxas così.

Il Superiore voleva che indagasse? E lui avrebbe indagato, cominciando dalle personalità più infime della scuola.

Con una spallata aprì la porta del bagno.

- Ehi. -

Esordì, senza titubanze.

Vanitas gli rivolse un'occhiata stralunata, da qualche parte nella sua mente dovette capire che era impossibile che Roxas si trovasse lì, visto che l'aveva lasciato in classe solo un'ora prima, ma i fumi dell'erba che stava fumando gli impedì di concludere il ragionamento, che si perse irrimediabilmente.

- Ehi. -

Lo salutò si rimando.

Nel suo intimo, Ventus sorrise.

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The Corner

Ciao a tutti!
Ben trovati con questo nuovo capitolo,
mi dispiace se la storia procede a rilento, ma è un brutto, orrendo periodo e non sono molto ispirata.
Vorrei potervi far leggere qualcosa di decente, per questo ci metto molto a scrivere!
Spero di pubblicare il prossimo capitolo giovedì 14! p.s. festeggiamo le oltre 1000 visualizzazioni del primo capirolo! Non posso ancora crederci! è un numero enorme...non pensavo che la storia avrebbe potuto mai neanche avere tutti questi "visitatori"!
Chii
   
 
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