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Autore: TheOnlyWay    07/11/2013    7 recensioni
«Minacciosa, non c’è che dire.»
Violet sospira, incrocia le braccia sotto il seno e si volta verso destra.
James Potter non le piace. Per niente.
È arrogante, sfacciato e insensibile almeno per ventitré ore al giorno. Supponente, offensivo e un po’ troppo spregiudicato, è una di quelle persone che Violet non sopporta. E non solo perché, al contrario del fratello, è un idiota, ma anche perché non si lascia sfuggire occasione per dimostrarlo.
È carino, quello sì. Ma il bell’aspetto non mitiga di certo l’elenco più che infinito dei suoi difetti.
«Non è aria, Potter.» sibila, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Non vuole parlare con lui, non vuole leggere l’accusa nei suoi occhi. Non vuole che le rinfacci, ancora una volta, quanto il suo sangue sia macchiato.
«Per me sì.» ribatte semplicemente lui.
Tremore alle mani, ansia e fiato corto.
Violet si sente in trappola e le manca quasi il respiro. Spera solo di non andare in iperventilazione, come le è già successo quella mattina. Teme che, se svenisse, James la butterebbe giù dal treno senza troppo riguardo.
«Allora parla da solo. Io me ne vado.» mormora, dandogli le spalle.
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 3.
 
 
 
 
Essere un Prefetto, in generale, ha parecchi lati positivi. Albus ci riflette spesso, perché ancora non si capacita del fatto che, tra tanti Serpeverde così ligi al dovere – non troppi, in effetti – il preside abbia scelto proprio lui.
È intelligente, su quello non ci piove, ma di certo non è uno dei più rispettosi delle regole, né tantomeno, è uno che apprezza che gli si dica cosa fare.
Perciò, quell’anno, ha accolto con estrema riluttanza la sua spilla da Prefetto e si è consolato dicendosi che, almeno, potrà togliere punti a chiunque darà fastidio a lui, a Lily o a Violet.
Mentre cammina per i corridoi semi deserti, riflette attentamente sul modo giusto in cui potrebbe affrontare la situazione di Violet e, di conseguenza, aiutarla ad uscirne.
Ancora non sa molto, se non che suo fratello si trova ad Azkaban e che lei ha assistito all’omicidio compiuto da quest’ultimo, senza prestare soccorso alla babbana.
Conoscendo Violet, però, Albus sa che la storia non regge, ma finché lei non si decide a parlare, può fare ben poco in proposito.
È talmente assorto nei suoi pensieri che non si rende nemmeno contro della figura rannicchiata per terra e le finisce contro.
«Ma che diavolo…?» ringhia, mantenendo a stento l’equilibrio.
Si volta di scatto, con tutto l’intento di mandare al diavolo chiunque abbia pensato che fare un picnic nel bel mezzo del corridoio del quarto piano fosse un’ottima idea e cambia repentinamente espressione, quando si rende conto che la figura appartiene ad una ragazza con la divisa di Corvonero, che sta tastando il pavimento con aria disperata.
«Ahi.» si lamenta, tastandosi il punto in cui Albus l’ha inavvertitamente colpita.
Lui resta immobile per un momento, indeciso sul da farsi: è in ritardo per la riunione e non ha alcuna voglia di stare a sentire Dominique, mentre lo rimprovera di essere in perenne ritardo e blablabla.
E comunque, ultimamente sembra incappare di continuo in donzelle in difficoltà. Prima Violet, che vale più o meno come dodici ragazzine in crisi, poi Erin – che in crisi lo è di continuo – ci manca solo che vesta i panni del cavalier servente e apra un centro di consulenza e supporto per tutte le giovani studentesse con la mente deviata.
«Che ci fai per terra?» domanda, infine, maledicendo sé stesso per la sua incapacità di farsi i fatti suoi.
«Secondo te?» sbotta lei, infastidita. Intanto, continua a tastare il pavimento, alla ricerca di qualcosa di non bene identificato.
«Che vuoi che ne sappia, scusa? Mi hai fatto inciampare.»
«E tu mi hai tirato un calcio e non hai nemmeno chiesto scusa, perciò…» continua, dando sfogo ad una sorta di acidità repressa che Albus paragona all’istante a quella di Erin. E Merlino solo sa quanto ne abbia abbastanza di lei e delle sue scenate da isterica.
«Sì, be’… sono in ritardo.» conclude, spiccio, cominciando ad incamminarsi. Non ha proprio intenzione di stare dietro ad un’altra esaurita.
«Aspetta!» pigola lei, con voce flebile.
Albus arresta la sua camminata, poi alza gli occhi al cielo e torna indietro.
«Che c’è?»
«Ho perso un orecchino e ho dimenticato la bacchetta in Dormitorio.» spiega, brevemente.
Nella penombra del corridoio, Albus è quasi certo che sia arrossita. Con un incantesimo di appello, richiama l’orecchino – che gli finisce dritto in mano – e lo porge alla ragazza, che nel frattempo si è alzata e si sta spazzolando la gonna per togliere le tracce di polvere.
«Ti ringrazio.»
Albus annuisce distrattamente, concede alla ragazza un lieve sorriso, poi si incammina di nuovo lungo il corridoio, con calma. Tanto ormai è in ritardo, perciò è completamente inutile che si affretti a velocizzare il passo: Dominique avrà comunque da ridire.
Ne ha la conferma nel momento esatto in cui varca la soglia dell’aula destinata agli incontri di Prefetti e Capiscuola e Dominique gli rivolge uno sguardo così astioso che lui non può fare altro se non incassare la testa tra le spalle con aria colpevole e accomodarsi nel primo posto libero, accanto a Ginnifer Fisher, il secondo Prefetto di Serpeverde.
Non la conosce tanto bene, di lei sa solo che i suoi genitori lavorano entrambi al San Mungo e che conta di seguire le loro orme. Sarebbe abbastanza carina, se la sua voce non fosse tanto acuta da far venire la pelle d’oca. In ogni caso, chi è lui per giudicare? È amico di Erin, che quando urla raggiunge toni che probabilmente sentono solo i cani e i pipistrelli, perciò la voce di Ginnifer è all’ultimo posto nella sua lista di interessi.
Si guarda intorno, annoiato, perché le riunioni dei Prefetti sono sempre una gran scocciatura e lui odia perdere tempo in cose stupide come l’organizzazione delle ronde. In realtà, odia anche le ronde e tutto ciò che non concerne il togliere punti alle altre case.
Sbadiglia, prossimo ad addormentarsi, e Dominique gli rivolge un’altra occhiata di fuoco.
«Ti sto annoiando, per caso?» sibila, con gli occhi azzurri così stretti da risultare inquietante. Albus sogghigna, poi si stringe nelle spalle.
«Non è colpa tua, Dom.»
Nella stanza cala improvvisamente un silenzio tombale, rotto solo dai respiri silenziosi dei presenti e dall’ennesimo sbuffo di Albus, che proprio non riesce ad apprezzare i modi di fare di Dom, troppo dittatoriali e, per Morgana!, da maniaca del controllo. A suo modesto parere, la cugina dovrebbe rilassarsi un po’, prendere il suo compito di Caposcuola così come viene e smetterla di comportarsi come se avesse Voldemort alle calcagna e lei fosse l’unica in grado di sconfiggerlo.
«No? E di chi sarebbe? Sentiamo.» la voce è gelida, lo sguardo altrettanto. La postura rigida, le spalle contratte e le labbra strette in una smorfia di disappunto: Albus scoppia a ridere, si alza in piedi e lascia un bacio sulla guancia di Dominique, che si immobilizza del tutto e arrossisce violentemente.
«Fammi sapere quando è il mio turno, Dom.»
«Dove pensi di andare, Albus?»
«A dormire.» risponde, con un’alzata di spalle che fa fremere Dom di rabbia a stento contenuta.
«Non ci si comporta così, Potter.»
«Oh, e dai, Dom. Lo sai anche tu che queste cose mi annoiano un sacco.»
Ha appena afferrato la maniglia della porta, quando questa viene aperta con un impeto tale che Albus viene sbalzato all’indietro e cade col sedere per terra. Dominique lo guarda, impassibile. Ginnifer ride, con la sua voce fastidiosa e infantile, e la nuova arrivata inciampa e precipita sul pavimento accanto ad Albus, che alza gli occhi al cielo e sospira: non è per niente sorpreso.
«Sei in ritardo, Tessa.»
Dominique ama essere Caposcuola. Ama il potere, l’autorità, gli sguardi ammirati e il sapere che la gente l’ascolta e obbedisce ai suoi ordini, ma quando si ritrova ad avere a che fare con soggetti come Albus o come Tessa Goodacre, la sua pazienza e il suo autocontrollo vengono messi a dura prova; chiunque abbia deciso che quei due sono adatti a ricoprire il ruolo di Prefetti, ha senz’altro qualche rotella fuori posto. E pensare che il professor Paciock le è sempre sembrato un uomo giudizioso.  
Dominique stringe la base dell’alta coda di cavallo, sistema gli occhiali sulla punta del naso e tende una mano a Tessa, che si alza impacciata e borbotta una serie di scuse incomprensibili.
«Non fa niente.» replica Dom, spazientita.
Albus non ha intenzione di muoversi. Distende le gambe, incrocia le caviglie e porta le mani dietro la schiena, stiracchiandosi come un enorme felino. E un po’ lo ricorda, con quegli occhi verdi.
Tessa lo guarda, arrossisce un po’ e scavalca le sue gambe con attenzione, quasi temesse di inciampare di nuovo. Si accomoda accanto a Colin Brown e comincia a giocare con la serie infinita di braccialetti che porta al polso. Con disappunto, si accorge che manca uno dei suoi ciondoli, quello con il fulmine dorato.
Deve averlo perso da qualche parte e il pensiero la fa adombrare parecchio: è il suo preferito e le ha sempre portato fortuna. Come farà adesso? Mugugna, frustrata e anche un po’ arrabbiata con sé stessa e attira l’attenzione di Dominique, che nel frattempo ha ricominciato a parlare dei turni per i prossimi due mesi.
«Cosa c’è, Tessa?»
«Il mio ciondolo, quello col fulmine… l’ho perso.» mormora, in risposta.
Albus la osserva, confuso e si rende conto che in sei anni di scuola non si è mai accorto di lei. Tutto gli è nuovo: i capelli corvini e ricci, gli occhi scuri – neri, forse? – le sopracciglia folte, definite ed espressive, gli zigomi pronunciati e il naso alla francese. Le gambe piene, i polsi fini, le scarpe consumate. Persino tutti quei braccialetti. Sta per dirle che si tratta di un ciondolo e basta, ma incrocia lo sguardo di Tessa – nero, senza ombra di dubbio – e capisce che non è così. Si blocca, con la frase sgarbata ancora ferma sulla punta della lingua e sospira.
«Ti aiuto io, a cercarlo.»
Forse dovrebbe davvero aprire un centro di supporto per ragazzine imbranate, pensa, mentre Tessa lo ringrazia con un sorriso che mette in mostra dei denti bianchi e perfettamente dritti.
Oppure potrebbe aiutarla e basta, perché quel sorriso è una ragione più che sufficiente per farlo.
 
A Violet non piace infrangere le regole. Dopotutto, se sono state stabilite, un motivo deve pur esserci e chi è lei per fare diversamente? Quand’era piccola, era capitato che sentisse la necessità di fare l’opposto di quanto le era stato detto, per puro e ingenuo spirito di contraddizione, ma lo schiaffo che aveva ricevuto l’aveva fatta desistere dalla voglia di riprovarci un’altra volta. Suo padre non era un uomo che ammetteva repliche e, soprattutto, non sopportava che qualcuno osasse contravvenire ai suoi ordini.
Perciò Violet, alla tenera età di cinque anni, aveva capito che infrangere le regole non serviva a niente, se non a scatenare una serie di conseguenze decisamente spiacevoli.
Da quando è tornata ad Hogwarts, però, rispettare il regolamento sembra sempre più difficile: mangiare con gli altri, seguire le lezioni con studenti che non appartengono alla sua Casa, convivere con gli sguardi sospettosi, colmi d’odio e di astio. Se potesse, eviterebbe volentieri di comparire in Sala Grande, o in Sala Comune, o in qualsiasi altro posto. Sparirebbe, semplicemente, senza lasciare traccia.
Inseguendo il suo desiderio di invisibilità, ha deciso che l’orario migliore per recarsi alla Guferia è senz’altro dopo il coprifuoco serale.
Sono le dieci e quarantacinque, quando imbocca il sentiero che conduce alla Guferia. L’aria è fresca e pungente e il vento le solletica il viso; con una smorfia, si rende conto che tenere i capelli legati non è stata una grande idea. Ha le orecchie congelate e di sicuro le verrà un gran mal di testa. Non tollera molto bene il freddo, ma per un po’ di serenità sarebbe disposta a farsi una nuotata nelle acque gelide del Lago Nero, in compagnia della piovra gigante.
Accelera il passo, perché camminare sotto la luce della luna e in pieno spazio aperto, la fa sentire troppo allo scoperto, e non le piace. Ha solo bisogno di un posto in cui sentirsi al sicuro e, forse, la Guferia lo è. Chi potrebbe trovarla, lì?
Stringe al petto la pergamena ancora immacolata e il calamaio con l’inchiostro. La piuma è al sicuro nella tasca del mantello, spera solo che non si spezzi.
Con la bacchetta, illumina i gradini davanti a sé e riesce ad entrare nella torre senza inciampare da nessuna parte. La temperatura è un po’ più alta rispetto all’esterno, anche se il suo respiro continua ad addensarsi in volute di vapore argenteo che si disperdono nell’aria. Si siede su un gradino, spiega la pergamena e la appoggia sulle ginocchia. Le lanterne le garantiscono la luce minima indispensabile, ma Violet non si è mai sentita più serena di così, da quando è rientrata a scuola.
Intinge la punta della penna nel calamaio e comincia a scrivere.
 
“Caro Spencer,
non ti chiederò come stai, perché penso che la risposta sia abbastanza ovvia. Non so nemmeno se ti permetteranno di leggere la mia lettera: gli Auror sanno essere gentili, con i loro prigionieri?
Continuo ad avere gli incubi, Spencer. Tu urli, gemi, ti contorci e infine svieni, senza nemmeno avere la forza di tenere gli occhi aperti. Non ti stanno torturando, vero? Non possono farlo. Ti prego, chiedi se è possibile rispondermi. Ho davvero bisogno di sapere che stai bene. Vorrei venire a trovarti, ma senza il consenso dei genitori non mi permetterebbero di entrare. E tu sai bene che nostro padre non mi lascerà mai nemmeno avvicinare ad Azkaban.
Non è giusto, Spencer.
Voglio vederti. Voglio sapere che stai bene, che nessuno ti ha torto un capello. Voglio abbracciarti e stringerti e… mi sento così sola, senza di te.
È come se avessi smarrito la strada e, con essa, anche me stessa. Non so più chi sono, non so cosa voglio, non so cosa farò. Mi lascio trascinare dagli eventi, in loro completa balìa. Come una barca alla deriva, permetto alla marea di fare di me ciò che vuole. Ma ancora non affondo.
Da qualche parte, dentro di me, c’è la speranza che prima o poi qualcuno scopra la verità. La tua innocenza, Spencer. La mia innocenza.
Mi chiamano assassina, qui. Pensano tutti che io abbia ucciso Marlene. Eppure quello imprigionato sei tu. Preferirei essere al tuo posto. Non dev’essere male, la solitudine, il silenzio.
Un po’ di pace, in fondo. Sei lontano da nostro padre, dai suoi voleri, dai suoi ordini. Sei in gabbia, ma sei anche libero.
Io sono in trappola. Aspetto solo il momento in cui qualcuno si decida a trovare le chiavi e a restituirmi le ali.
Voglio volare via da qui.
Voglio sparire.
Ti voglio bene, Spencer.
Mi manchi.
Vì.”
 
Con un fischio sommesso, Violet richiama uno dei gufi della scuola, un grande allocco grigio dall’aria affidabile: lui sarà in grado di affrontare il lungo viaggio verso Azkaban.
Con delicatezza, gli lega la pergamena intorno alla zampa, gli regala un biscotto come incentivo per il tragitto e gli accarezza la testa. L’allocco socchiude appena gli occhi, poi spicca il volo ed esce da una delle inferriate. Tempo un paio di secondi, e si è confuso nella notte.
«Non dovresti essere qui.»
Violet sobbalza e il calamaio finisce per terra, rompendosi con un rumore cristallino. La macchia nera di inchiostro si allarga a dismisura e, con la mancanza di luce, sembra ancora più nera e ancora più inquietante. Violet si impedisce di paragonarlo al sangue, perché sa che uscirebbe fuori di testa; non vuole dare di matto davanti a Louis Weasley.
Lui non capirebbe mai. E come potrebbe farlo? D’altra parte, nessuno conosce la verità e, peggio ancora, nessuno è disposto ad ascoltarla. Perciò è inutile preoccuparsi. Con mano tremante, fa evanescere la macchia di inchiostro e ripara il calamaio. Poi si siede perché, inutile negarlo, le gambe le tremano e al momento non riuscirebbe a tornare a scuola. Da quando è diventata così debole, così patetica e senza spina dorsale? In passato, avrebbe risposto a Louis Weasley di farsi gli affari suoi, se non voleva avere problemi. Ora, invece, non trova più nemmeno la forza di affrontarlo.
«Allora?»
Louis si appoggia al muro, incrocia le braccia al petto ed incrocia le caviglie. Violet lo guarda per un attimo, un sopracciglio elegantemente inarcato e lo sguardo di chi non ha nessuna voglia di parlare.
Si limita ad osservarlo, registrando nella sua mente quanti più particolari possibili. Louis è altro quanto Scorpius, più o meno. Ed ha i capelli biondi, abbastanza lunghi da coprirgli le orecchie. Porta un cerchietto argentato alla narice sinistra e gli occhi sono azzurri, cristallini, anche se nell’ombra della Guferia sembrano più scuri che mai.
È esile, slanciato e i colori di Grifondoro stonano con la sua carnagione pallida, il rosso e l’oro fanno a pugni con il biondo chiaro dei capelli. Secondo Violet, il blu e l’argento di Corvonero gli donerebbero di più. Assomiglia parecchio a sua sorella Dominique e ne condivide l’atteggiamento distaccato e cinico.
«Allora cosa?»
«Non dovresti essere qui.» ripete Louis, rivolgendole uno sguardo apparentemente gelido. Violet si stringe nelle spalle e strofina i palmi delle mani sulla gonna.
«Non volevo causare una fuga di massa, venendo qui all’orario consentito.» sibila, un po’ amaramente. Ogni volta che attraversa un corridoio, che entra in una classe o che semplicemente si siede a tavola, le si crea il vuoto intorno. Gli studenti si allontanano, le rivolgono occhiate sospettose, come se si aspettassero che da un momento all’altro cominciasse a scagliare Avada Kedavra a destra e a manca. E, in tutta sincerità, Violet non ne può più. A volte, si trattiene a stento dall’urlare e fare realmente ciò di cui tutti l’accusano.
«Forse dovresti semplicemente smetterla di comportarti come se il mondo ce l’avesse con te.»
Violet incassa la testa tra le spalle, solleva appena lo sguardo e osserva di nuovo Louis, che rimane imperturbabile. Poi, senza alcun preavviso, le sorride brevemente. Violet si sente arrossire, perché quel sorriso è il gesto più amichevole che le sia stato fatto da un tempo che le sembra incredibilmente lungo e non sa proprio come reagire. Dovrebbe sorridere anche lei, giusto? Solleva lievemente gli angoli delle labbra, accennando una smorfia che è più di quanto abbia concesso a chiunque negli ultimi tempi, poi si alza in piedi e si stringe nel mantello.
«Grazie, Weasley.»
«Buonanotte, McLeod.»
 
 
 
***
 
 
Buonasera! Sono un po’ in ritardo, lo so, ma ci sono.
Comunque, come avete visto, sono entrati in scena altri due personaggi: Tessa e Louis. Che ne pensate? Personalmente, io adoro entrambi. Louis è un po’ incomprensibile ed è strano, ma spero che lo apprezzerete. E Tessa è un po’ tonta ed imbranata e… povero Albus.
Voi che ne pensate?
Fatemi sapere, se vi va! Per me sarebbe un piacere avere un vostro parere.
Con affetto, Fede.
 

 

 
 
 
 
   
 
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