Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: S p a r r o w    07/11/2013    0 recensioni
" Era impossibile definire esattamente da quanto stesse dormendo, se da una mezz'ora o una quarantina di minuti, ma certo è che il suo non era un sonno tranquillo. Stava giusto rimembrando il suo paese natale, quando apparve il volto di Marco, sfigurato dall'attacco che l'aveva ucciso, sconvolgendogli del tutto il sonno.
Il giovane non sapeva come liberarsi di quegli incubi e, tuttavia, sapeva di non poter continuare in quel modo. La verità era che non aveva ancora accettato la scomparsa improvvisa di Marco e che, con molte probabilità, non l'avrebbe mai fatto. "

{ One-Shot senza pretese; JeArmin con accenni JeanMarco; dedicata a M.; un commentino sarebbe gradito, è la mia prima fic! }
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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FUORI, IL GIORNO ERA APPENA NATO







Il sibilo del vento penetrava attraverso le finestre in spifferi pungenti, che provocavano negli abitanti dormienti un immediato rinnovo della posizione delle coperte, perlopiù tirandole fin sopra il capo.
La Squadra di Ricognizione riposava quieta nell'edificio per essa adibito a caserma, ognuno dei membri impegnato nell'atto di rimettersi in sesto a seguito degli ultimi scontri con i Titani. Erano lieti di possedere ancora la facoltà di respirare e stare in piedi, eppure la perdita dei compagni si faceva sentire, scatenando le reazioni più svariate in ogni soldato: chi veniva colto da improvvise crisi di pianto, chi riusciva a malapena a impugnare nuovamente un'arma, chi parlava - o perlomeno era convinto di farlo - con i defunti e chi semplicemente li sognava.
La corrente infestava la camera di Jean come un fastidioso insetto che il diretto interessato era stufo di sopportare. Era impossibile definire esattamente da quanto stesse dormendo, se da una mezz'ora o una quarantina di minuti, ma certo è che il suo non era un sonno tranquillo: una miriade d'immagini popolava la sua mente, portando con sé sensazioni più o meno confortanti, come se in quel breve arco di tempo tutti gli eventi dell'ultimo anno gli fossero affiorati alla memoria, assieme alle dirette conseguenze.
Stava giusto rimembrando il suo paese natale, quando apparve il volto di Marco, sfigurato dall'attacco che l'aveva ucciso. La connessione fra i due ricordi era pressoché inesistente, eppure ecco lì quella faccia grottescamente lacerata da qualcosa che di certo doveva essere venti volte più grande e più forte di lui, a sconvolgere il sonno del bruno come un fulmine a ciel sereno.
- MARCO! -
Si svegliò, pronunciando in un grido rauco il nome del compagno, grondando sudore nonostante la finestra socchiusa. Fortunatamente si trovava in una camera singola, particolare che gli evitò di destare qualcun altro.
Erano giorni ormai che l'immagine del cadavere dell'amico lo tormentava, costringendolo a quei improvvisi risvegli nel cuore della notte; la situazione era insopportabile, anche perché capitava spesso che quelle alzatacce fossero seguite da pianti silenziosi.
Il giovane non sapeva come liberarsi di quegli incubi e, tuttavia, sapeva di non poter continuare in quel modo. La verità era che non aveva ancora accettato la scomparsa improvvisa di Marco e che, con molte probabilità, non l'avrebbe mai fatto.
Si strinse maggiormente fra le coperte, serrando gli occhi ed imponendosi di porre l'attenzione su qualcosa di più lieto; ma nemmeno un singolo pensiero differente da quel ricordo sbiadito sorse a rinfrancarlo, ed alla fine si addormentò, con gli occhi brucianti di lacrime d'impotenza.


Armin aveva da un po' l'impressione che qualcosa non andasse in Jean, anzi: più che un'impressione personale era un dato di fatto confermato da tutte le persone che giornalmente lo affiancavano. Qualcosa, era palese, lo turbava.
Il biondo credeva di conoscere il motivo dello sconforto che lo attanagliava, eppure, temendo di metter bocca su sentimenti troppo profondi, non osava rivolgerglisi in occasioni diverse dai saluti quotidiani.
Eppure era insopportabile vederlo in quello stato, e il biondo voleva assolutamente trovare una maniera per lenire le sue ferite invisibili.
Quel pomeriggio di fine Autunno non erano previste riunioni con gli ufficiali o addestramenti, motivo che spinse Armin a credere che fosse il giorno propizio per parlare al bruno.
Egli sostava ai piedi di un muretto, con lo sguardo perso nel vuoto ed un'aria tetra dipinta in viso, che però non bastò a far desistere il biondo dal suo intento; infatti gli si avvicinò con un sorriso.
- Buon giorno, Jean. -
La reazione del bruno fu inaspettatamente immediata: sussultò, portando lo sguardo ambrato sull'esile figura altrui.
- Buon giorno, Armin. -
Ciò che il biondo non sospettava era che il compagno, prima ancora di esser vittima di quegli orribili incubi, aveva iniziato a nutrire un interesse di natura affettuosa nei suoi confronti, sentimento che, tuttavia, era boicottato dal continuo pensiero di Marco, per il quale, prima di quel muto e fuggevole addio, aveva provato lo stesso genere di emozione.
Quel che soprattutto lo bloccava dal farsi seriamente avanti con Armin era - assieme all'amicizia che li legava - la sballata consapevolezza che, se mai si fosse impegnato con lui, avrebbe tradito il defunto moro.
- Come stai? -
- Bene, credo... un po' stanco, in realtà. -
L'espressione del biondo si fece grave e comprensiva al contempo, mentre un breve annuire del capo lasciava intendere all'altro che condivideva la sua stanchezza.
- E tu? -
- Non mi lamento. -
Una breve pausa di silenzio si frappose tra i due, mentre entrambi cercavano un modo discreto per mandare avanti la conversazione. Nessuno di loro contemplava l'idea di godere della presenza altrui senza il bisogno di colmare di parole inutili quella piacevole bolla priva di chiacchiere, segno di una chiara sintonia reciproca.
Jean non riusciva a mascherare un lieve rossore sulle gote pallide, soprattutto perché quell'interesse nei confronti di individui del suo stesso sesso - prima Marco e in quel momento Armin - era nato all'improvviso, sostituendo il sentimento fin'allora provato per Mikasa. "Tempeste ormonali", aveva udito definirle da qualcuno; per lui erano molto più delle tempeste mentali.  
- Ti va di camminare un po'? - Propose infine il biondo, inclinando appena la testa. Il bruno annuì all'istante, ed entrambi si avviarono a passo lento lungo il perimetro del muretto.
I sentimenti di Armin verso il giovane non erano molto differenti da un semplice affetto amichevole, eppure c'era qualcosa di più nelle occhiate circospette che gli lanciava, una specie di forte apprensione che spesso sfociava in atteggiamenti troppo insistenti; ad esempio tendeva a porgergli spesso la domanda "come stai?", poiché era sua intenzione accertarsi di un effettivo suo benessere e, nel caso esso non fosse presente, di far sì che l'acquisisse il prima possibile.
Tale atteggiamento veniva utilizzato con lui ed Eren; verso gli altri si mostrava solo gentile e disponibile.
- Bella giornata, vero? - Mormorò Jean, nel tentativo di sviare la propria mente dal fastidioso pensiero di star - chissà poi come - tradendo Marco.
- Sì, infatti. -
Entrambi erano consci del disagio dell'altro ed entrambi credevano di esserne la causa. Una situazione alquanto scomoda.
Gli sguardi reciproci vagavano sul paesaggio circostante, come a voler appurare che ci fosse del vero nell'affermazione appena formulata, e così era: la distesa celeste al di sopra delle loro teste era stranamente tersa e priva di nube alcuna, il che dava modo di ammirare l'azzurro slavato di cui si era tinta; il cinguettio degli uccelli sugli alberi circostanti rilassava la mente ed avrebbe rimandato a un giorno di Primavera, se non fosse stato per l'assenza quasi totale di foglie dai rami dei suddetti arbusti; i raggi di Sole del primo pomeriggio illuminavano il selciato su cui i due camminavano, facendo risaltare gli ultimi ciuffi d'erba rimasti ai lati del suddetto; il vento - pungente, ma sopportabile - soffiava da Ovest, scombinando i capelli ed abbassando sensibilmente la temperatura.
Nell'insieme era, appunto, una bella giornata.
- Senti, Jean, posso chiederti una cosa? -
La voce del biondo non stonava per niente con l'ambiente attorno: pacata e bassa, profondamente gentile.
- Certo, dimmi. -
Il giovane esitò qualche istante, indeciso sulle parole da utilizzare.
- Per caso c'è... qualcosa che ti preoccupa? Intendo, sorvolando su tutto quello che ci sta succedendo. Perché ultimamente sembri più assorto del solito. -
La domanda di Armin scatenò nel bruno reazioni contrastanti: da una parte l'interesse e l'attenzione mostrati nei suoi confronti dal compagno lo lusingarono e, per un breve attimo, gli fecero credere possibile un ricambio di sentimenti; dall'altro lo preoccuparono, in fondo avrebbe dovuto raccontargli del sogno, se gli avesse dato ragione in merito all'osservazione fatta.
- Io... be', in effetti c'è qualcosa, ma— ma non è niente di grave. -
Il biondo si limitò ad annuire piano, tentando di dissimulare la delusione causata dal mancato confidarsi dell'altro. Non che lo biasimasse, dopotutto lui era il primo a non parlare delle proprie ansie a nessuno, tuttavia gli avrebbe fatto piacere se Jean gli avesse svelato cosa lo angustiava.
Forse proprio per questo si azzardò a chiedergli:
- Riguarda Marco? -
Al solo sentir pronunciare il suo nome, il bruno si immobilizzò. Per qualche istante nulla di diverso da quel sorridente viso lentigginoso gli attraversò la mente, assieme al calore che si trascinava dietro come caratteristica intrinseca; infine si volse a guardare l'amico per un momento e, senza aggiungere altro, gli fece un breve cenno di saluto, misto ad un'espressione di silenzioso scusarsi, e si allontanò a ritroso per il selciato.
Armin si limitò a incolparsi per aver osato tanto, senza seguire l'altro, immaginando che preferisse distrarsi in qualche modo, iniziando ad avviarsi anche lui verso la propria stanza dopo aver appurato d'aver finalmente scoperto la causa del malessere dell'amico.
In altre circostanze, Jean non se ne sarebbe andato in quel modo, avrebbe solo evitato una risposta diretta e si sarebbe imposto di non concentrarsi troppo sul ricordo del compagno scomparso. Ma tutto quell'insieme di circostanze avevano fatto sì che gli fosse insopportabile sostare un momento di più in compagnia del biondo.
Si sistemò in camera, sdraiandosi sul letto a peso morto, come un fantoccio. L'agitazione minacciava di sfondargli il petto, mentre i pensieri, ormai, non erano più uniti da un filo logico. Tutto appariva confuso e disordinato, finché a un certo punto, troppo provato per sopportare oltre uno stress simile, il suo corpo cedette al sonno, un precario sonno dettato dall'impotenza in merito alla situazione.



- Jean? -
Non udì subito quella voce flebile chiamarlo, ma appena riconosciutone il timbro non tardò a guardarsi attorno frenetico, in cerca della sua fonte. Poteva essere ancora addormentato, la sua mente gli stava probabilmente riproponendo quel ricordo per tentare di alleviare le sue sofferenze. Eppure cercò ugualmente con gli occhi la provenienza di quel sussurro, sperando che, se si fosse trattato d'un sogno, sarebbe perdurato al lungo.
- Marco?! -
Chiamò incerto, scrutando la stanza ormai in penombra.
La figura del moro era seduta sul bordo del letto, sempre sorridente, e lo guardava con aria divertita. Il bruno non riusciva a formulare una frase di senso compiuto.
- Ciao, Jean. Non c'è bisogno che parli, ho già sentito tutto quello che vuoi dirmi in questi giorni, soprattutto in queste notti. Sono venuto per parlarti, per chiarire alcune cose. -
Il giovane, ancora supino, non riusciva a capacitarsi dell'effettiva presenza altrui, fin quando non notò lo sfregio sul viso, che ne nascondeva buona parte alla vista, e la manica destra della divisa abbandonata ad un volteggiare lieve provocato dalle movenze del resto del fisico.
- Sei... morto? -
Conosceva già la risposta senza dover formulare quel quesito, ma ne sentì ugualmente l'impellente bisogno.
L'ultima volta che l'aveva scorto, benché fosse stata una visione fugace e quasi certamente immaginaria, tutto nel suo corpo era parso intatto, per questo non riusciva a credere di averlo nuovamente davanti.
- Dovresti saperlo, ormai. In ogni caso, non è di me che dobbiamo parlare, ma di te ed Armin. -
Il sorriso sulle labbra di Marco lasciò spazio a un'espressione seria e vagamente decisa, che sul suo volto stonava in maniera evidente.
- Cosa...? Ma di che stai parlando? -
- Di quello che provi per lui e... visto che ultimamente ci stai pensando parecchio, volevo dirti che non mi infastidisce, davvero, non vedo perché dovrebbe! Dopotutto io e te abbiamo passato delle belle esperienze, anche se non ho potuto salutarti come avrei voluto... Se poi avessi saputo che tu, be', ricambiavi quel che sentivo per te, mi sarei comportato diversamente, ma credo che ormai sia troppo tardi, vero? - Il sorriso tornò per un breve momento, mentre gli occhi di Jean si inumidivano vistosamente. - Quello che voglio dire è che devi smettere di pensare di tradirmi in qualche modo nel provare tutto questo. Lui è un ragazzo intelligente e buono e... e io sono solo un cadavere, adesso. -
- Non dire così! -
- Ma è così! - Anche nello sguardo nocciola del moro bruciavano lacrime di rabbia ma, dopo quell'aumento di tono, tornò apparentemente placido, mostrando un sorriso amaro. - Non perdere tempo, confessagli tutto. Magari, un giorno, potrebbe essere troppo tardi. -
Il pianto bagnava i volti di entrambi, con la differenza che il bruno non riusciva a trattenere i singhiozzi ed era scosso da tremiti, tanto forte era l'impatto che quelle parole stavano avendo su di lui.
- Tu non sarai mai morto, per me. -
Riuscì a sussurrare fra i singhiozzi Jean, alzando nuovamente lo sguardo lucido sulla figura del compagno, scorgendola sfocata per via del pianto.
Avrebbe voluto gridare al mondo la sua ira, sfogare quel groviglio d'emozioni che lo stava logorando dall'interno, abbandonarsi a pianti come quello fino a prosciugare lo sguardo e la voce, urlare in faccia al presunto Dio che Marco quella morte non se la meritava per poi implorarlo, subito dopo, di riportarlo lì, fra le sue braccia. Aveva ragione il moro: se le cose si tengono dentro troppo al lungo, un giorno potrebbe essere troppo tardi per confessarle. Ed infatti, era troppo tardi per qualsiasi cosa, in quell'istante rubato nella piccola camera impregnata del dolore di due giovani ingiustamente privati del sorriso.
- Devi pensare a coloro che ancora non lo sono. - Sussurrò Marco, tentando d'asciugarsi quelle lacrime immateriali che gli rigavano le guance punteggiate di lentiggini. - È bello che tu voglia ricordarmi, ma c'è chi da te può ancora ricevere un abbraccio per essere confortato, un sussurro per sentirsi amato... non ha senso struggersi per me, Jean. Devi guardare in faccia la realtà. Ora... è meglio che vada. -
- No! No, ti prego, resta ancora un po', solo un momento, parlami, Marco! -
- Shht -
Al bruno parve d'avvertire davvero il tocco delle dita del giovane sulla bocca e, un attimo dopo, le sue labbra nel medesimo punto; ma fu solo per un breve istante e, subito dopo, l'unica cosa che quell'immagine fugace s'era lasciata dietro fu quel sorriso inesistente su un volto di polvere e cenere.



Armin si svegliò con una sensazione particolare, il giorno dopo: l'aver sognato Marco che gli chiedeva di prendersi cura di Jean lo aveva turbato parecchio. Tuttavia si alzò di buonora, come sempre, sistemando la camera subito dopo essersi vestito.
Stava giusto per uscire dalla stanza, quando Jean gli apparve davanti, facendolo sussultare appena dopo aver aperto la porta.
- Jean...? -
- Posso entrare? Ho bisogno di parlarti. È urgente. -
Lo sguardo fermo del bruno non lasciava adito a dubbi: era veramente una questione seria, di qualunque cosa si trattasse; qualcosa che non poteva aspettare.
Si fece quindi da parte, permettendo all'altro di muovere qualche passo nella stanza dove, arrivato al centro, si voltò in direzione del compagno.
- Cosa succede? - Mormorò il biondo, senza mascherare un certo nervosismo; quell'espressione tanto seria era proprio bizzarra sul volto altrui. Inoltre, le parole di Marco nel sogno gli tornarono in mente, facendogli assumere un'espressione ansiosa.
- Ti prego, Armin, di non cambiare l'opinione che hai di me dopo che ti avrò detto questa cosa. Ci... ci tengo a te, perdere la tua amicizia sarebbe qualcosa di cui non mi perdonerei mai. -
Udire quelle parole in bocca a Jean era come vedere il caporale sorridere: non era mai successo prima e, con molte probabilità, non sarebbe più successo dopo.
- Va bene, non preoccuparti. Non l'avrei fatto, comunque. -
Il bruno parve rassicurato da quell'ultima frase, tanto che abbandonò per poco l'aria di chi sta per essere ghigliottinato, mostrando un piccolo sorriso. Quindi prese le mani dell'altro fra le sue, recuperando un certo contegno, che tuttavia era poco credibile, viste le guance arrossate.
Prese un profondo respiro e, dopo aver pregato silenziosamente Marco di non farlo balbettare, parlò al biondo:
- Tu mi piaci, Armin. Non come persona, non solo. Mi piaci... come dovrebbe piacermi una ragazza. - Il volto atterrito del biondo lo mandò in panico totale. - C-cioè, non sto insinuando che sostituisci una ragazza o che- che le assomigli ma- mi piaci. E dovevo dirtelo perché, chissà, un giorno magari ci potremmo perdere di vista e... - Lasciò la frase a metà, mentre il vero significato di quell'ultima affermazione aleggiava nell'aria, perdendosi nelle menti di entrambi.
Senza volerlo, il più basso iniziò a tremare, senza più aver il coraggio di specchiarsi nello sguardo altrui; dal canto suo, il bruno era rigido come un tronco.
La situazione pareva senza scampo, ai limiti dell'imbarazzo, prossima anche a peggiorare: insomma, prima o poi uno dei due avrebbe dovuto aggiungere qualcosa. Ed entrambi erano certi che sarebbe il qualcosa sbagliato.
Un'idea si affacciò alla mente di Jean come una rivelazione, tramutandosi presto in un proposito da attuare il prima possibile: iniziò ad avvicinarsi al viso altrui, spostando una delle due mani sulla sua guancia sinistra, tentando di scostare alcuni ciuffi biondi da quella pelle morbida che tante volte, ultimamente, aveva immaginato di sfiorare. Dunque gli si avvicinò piano, facendo sembrare una manciata di secondi un'eternità.
Armin alzò finalmente gli occhi sul compagno, notando che il suo volto era sempre più vicino al proprio. Intuendo le sue intenzioni, e condividendole tacitamente, serrò gli occhi e dischiuse le labbra, in attesa di quel tocco che, almeno così credeva, avrebbe dovuto donare lui a una donna.
Infine, le rispettive bocche si sfiorarono appena, quasi volendosi accertare reciprocamente che quella dell'altro era lì, pronta a ricevere quel bacio che presto si approfondì, mentre le labbra di entrambi premevano l'una contro l'altra in quell'unione tanto attesa, tanto bramata, e infine ottenuta in un mattino d'Autunno che avrebbe potuto esser definito noioso ma che, invece, sarebbe stato eternamente ricordato come l'inizio di qualcosa.
I corpi dei giovani non tardarono a cercarsi, stringendosi in un abbraccio quasi morboso, mentre gli occhi chiusi mascheravano la presenza appena visibile di quel terzo ragazzo che, con lo sguardo umido ed il sorriso sulle labbra, osservava il suo sogno scivolargli dalle mani, strappatogli per essere donato a qualcuno che, magari, ne aveva più bisogno.
Fuori dalle finestre socchiuse, il giorno era appena nato.





 
*****
 
Ehy-ooooh!
Dunque dunque, questa piccola fic senza pretese è stata elaborata in un momento davvero troppo noioso, che ho pensato di rendere piacevole piangend— scrivendo di una delle mie OTP.
Dedico questa fic a M., che sa benissimo di essere il mio sorriso ed il mio giorno appena nato. <3
Non so se scriverò anche un seguito p0rn, suggeritemi nelle recensioni se è meglio lasciare così questa one-shot e creare direttamente un'altra storia o aggiungere un capitolo "bonus".
Grazie dell'attenzione, comunque, chu!
 
A.
  
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